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Autore: Asmodeus    30/05/2020    4 recensioni
[Terza classificata al contest di Marika Ciarrocchi/Angel Cruelty sul forum di EFP]
Will e Tom sono due soldati britannici al fronte, nel nord della Francia durante la primavera del 1917. Il loro mondo è ormai da mesi un'alternarsi di turni in trincea e momenti di riposo nell'"Isola d'erba", una piccola e pacifica radura erbosa che permette loro di avere un po' di normalità e sfuggire per un po' all'inferno della guerra.
«Se dovessi morire, pensa solo questo di me: che ci sarà un angolo di un campo straniero che sarà per sempre Inghilterra…»
Tom dondolava pigramente le gambe come un bambino annoiato, issato sul basso ramo della quercia al centro dell’Isola. Aveva ripreso a declamare a mezza voce quella stupida poesia, e guardava con aria sognante le candide nuvole rincorrersi attraverso il cielo primaverile.
Will continuò a squadrarlo per un po’ con un unico occhio semiaperto, chiedendosi come facesse ad essere amico di un ragazzino così infantile. “Sono tutte cazzate, nipper ” avrebbe voluto dirgli, eppure come tutte le altre volte restò in silenzio. Si sistemò meglio sulla soffice erba dell’Isola chiudendo del tutto gli occhi, preparandosi a riposare.
Genere: Guerra, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note dell'Autore: questa storia partecipa al contest "Una biblioteca in disordine" di Marika Ciarrocchi/Angel Cruelty indetto sul forum di EFP, in cui si è classificata al 3° posto. L'idea per questa storia mi è venuta unendo alcune opere di "war poets" britannici al film "1917" di Mendes; i nomi di battesimo dei personaggi sono un tributo sia ai protagonisti del film che ad alcuni di questi poeti di guerra morti in combattimento durante la Prima Guerra Mondiale. La storia in sé è comunque un'originale completamente slegata sia dalle opere sopra citate, e qualunque corrispondenza con fatti, luoghi o persone realmente esistiti è puramente fortuita ed utilizzata a soli scopi narrativi, senza fini di lucro. Il titolo della storia, inoltre, è parte integrante del contest, ed è da esso che parte tutta la vicenda. Non vi trattengo comunque oltre con le spiegazioni e vi lascio alla storia; qualora vi piaccia, le recensioni sono sempre graditissime! Buona lettura!

 

 

 

L'ISOLA D'ERBA


 

Trincee della riserva della 37^ Divisione del Corpo di Spedizione Britannica, da qualche parte vicino ad Arras, Dipartimento del Passo di Calais, Francia Settentrionale; inizio aprile 1917

 

«Se dovessi morire, pensa solo questo di me: che ci sarà un angolo di un campo straniero che sarà per sempre Inghilterra1»

Tom dondolava pigramente le gambe come un bambino annoiato, issato sul basso ramo della quercia al centro dell’Isola. Aveva ripreso a declamare a mezza voce quella stupida poesia, e guardava con aria sognante le candide nuvole rincorrersi attraverso il cielo primaverile.

Will continuò a squadrarlo per un po’ con un unico occhio semiaperto, chiedendosi come facesse ad essere amico di un ragazzino così infantile. “Sono tutte cazzate, nipper2” avrebbe voluto dirgli, eppure come tutte le altre volte restò in silenzio. Si sistemò meglio sulla soffice erba dell’Isola chiudendo del tutto gli occhi, preparandosi a riposare seriamente. Non aveva senso continuare a fingere di dormire per controllare l’innocuo amico: aveva deciso che anche quel giorno l’avrebbero scampata. La soffice voce di Tom lo avrebbe cullato come una ninna nanna, il fresco venticello tra i suoi capelli sarebbe stato come le mani di un dolce amante.

«… lavato dai fiumi, benedetto dai soli di casa. E pensa a questo cuore, liberatosi da ogni male3…Ehi Will!» si interruppe bruscamente Tom, tutta la tranquillità spezzata da quell’improvviso aumento di volume nella voce. Il giovane si protese dal ramo per guardare in basso intorno a sé, cercando il viso di Will in mezzo all’erba. Il più grande era coricato proprio sotto al suo ramo, la corta chioma castana appoggiata sulle braccia incrociate sotto la testa, gli occhi apparentemente serrati dal sonno.

«Will? Stai dormendo?» chiese sporgendosi ancora un po’ dal ramo, gli occhi azzurri che scandagliavano il corpo del compagno per tutta la sua lunghezza in cerca di un indizio rivelatore. Nonostante fosse più vecchio di lui di sette anni e fosse già un veterano, il suo viso sembrava ancora quello di un ragazzino. Tom adorava la sua pelle pallida ricoperta di lentiggini a causa del sole, così come l’accenno di barba che gli incorniciava la mascella; invidiava invece il suo corpo longilineo e scattante di muscoli, nascosto dalla divisa che ne lasciava comunque intuire in parte le forme.

«Will! Will! Mi senti?» Continuò ad analizzarlo e a chiamarlo, come un bambino dispettoso, in attesa di farlo cadere nella sua trappola. Il più grande non riuscì a trattenere una smorfia di divertita esasperazione, e finalmente gli rispose fintamente seccato.

«Che vuoi nipper? Cercavo di dormire, spero sia importante». Will aprì nuovamente un solo occhio, il destro, cercando di apparire burbero nonostante fosse abituato ai modi fanciulleschi dell’altro.

«Lo sapevo che fingevi!» ridacchiò Tom, aprendo la bocca in un sorriso solare. Poi riprese a parlare.

«Stavo pensando alla poesia… Che significa secondo te “liberatosi da ogni male”? Come può un soldato valoroso essere libero dal male?» Il sorriso di Tom si era tramutato in una smorfia interrogativa, i suoi occhi per un attimo alzati verso il cielo, come a porgere la domanda a Qualcuno Lassù. Tornò subito a rivolgere la testa verso il basso, fissando Will. Il sangue cominciava ad andargli alla testa stando proteso in quella posizione, ma non voleva né scendere dal ramo né perdere il contatto visivo con l’amico.

Will si chiese silenziosamente e ancora una volta come facesse a sopportare quel bambino pieno di domande. Di quelle domande. “Come se io fossi un prete, o peggio, un uomo saggio”, si lamentò con sé stesso. Chiuse l’occhio, maledicendo quella stupida poesia che riempiva di balle e domande scomode la mente di Tom. Cercò dentro di sé una risposta che potesse soddisfare la curiosità del giovane, e non trovandola, la inventò. Riaprì entrambi gli occhi, stavolta, prima di rispondere a bassa voce, per non disturbare gli altri commilitoni.

«Mi hai preso per un prete, forse? Non sarei così scemo da stare qui in tal caso».

Cominciò in modo brusco, cercando poi addolcire il resto delle parole con un tono il più neutro possibile. Non riusciva a parlargli normalmente come faceva con tutti gli altri, ma non aveva ancora capito il perché.

«Comunque, se quello che temi è se ciò che facciamo sia un male, tranquillizzati nipper. Non è così. Noi non dobbiamo essere liberati da nessun male».

Non riuscì a nascondere la punta d’astio in quel noi, che racchiudeva un mondo di non detto. Un giudizio netto su quella guerra e su chi li obbligava a starsene lì a buttare la loro vita in attesa del prossimo assalto, in attesa della prossima pallottola letale. Ma era un giudizio anche su tanto altro: su quei poeti che dipingevano quella follia come un’impresa eroica riempiendo di balle le teste dei ragazzini come Tom; sui Fritz4 al di là delle trincee; sulla loro maledetta artiglieria omicida che non li faceva dormire la notte. Forse, su tutto ciò che lo stava tenendo lontano da casa inchiodandolo all’Isola, e che al tempo stesso rischiava di portargli via ogni giorno quella stupida testa di riccioli castani invadenti.

Ecco, tutto quello sì che era un male, da cui sarebbe stato bello essere liberati.

Tom lo squadrava perplesso, i corti riccioli bruni che pendevano verso il basso e lo incoronavano di un’aureola di segatura. Cercava di sondare con quel suo sguardo ancora troppo innocente le parole dell’amico, di penetrarne il cervello come un proiettile, passando attraverso i suoi splendidi occhi grigi, e svelare così i pensieri che l’altro non voleva rivelargli.

«Siamo nel giusto, vero Will?» chiese, una punta di incertezza nella voce che si riabbassava per adattarsi al tono del compagno. «Intendo… sono i Fritz che sbagliano no? Hanno iniziato loro questa stupida guerra, noi…» continuò, cercando di dare voce a quello che gli avevano sempre insegnato, a ciò che lo aveva spinto ad arruolarsi volontario appena diventato maggiorenne. «Noi non avremmo mai voluto ucciderli. Stiamo solo difendendo la nostra terra, i nostri valori».

Le parole del poeta gli risuonavano ancora come trombe di cavalleria in testa, eppure più passava il tempo all’Isola e meno gli sembravano vere. Non avevano più la carica di quando le aveva lette sul Times, l’anno prima, né gli davano lo stesso coraggio che aveva avuto ripetendosele mentalmente prima di dire a mamma che si sarebbe arruolato. Credeva in quelle parole, ma la vita da soldato non era come la cantava Brooke, ora lo sapeva.

Will non gli rispose subito. Chiuse gli occhi, privando Tom di quella luce stanca nei suoi occhi in cui l’altro si specchiava ogni volta che poteva, e sembrò nuovamente fingere di dormire. Ma poco dopo riaprì gli occhi, liberò le mani dalla testa e si appoggiò ai gomiti tirandosi su da terra. Alzò il braccio destro e indicò genericamente l’area intorno a loro, muovendo la mano a descrivere un cerchio. Tom seguì con lo sguardo il viaggio del suo braccio, ammirando meglio lo spettacolo che li circondava dalla sua posizione innalzata.

L’Isola era tutta intorno a loro. La verdissima radura si apriva all’interno del perimetro descritto dal braccio di Will, un’erbosa tranquillità sospesa in un tempo solo loro. Muraglie di alberi la circondavano da ogni lato, dandole quella strana forma romboidale e separandola dal resto del mondo; all’interno, un soffice manto erboso di smeraldo la riempiva di vita e delle promesse del suolo abbondante su cui crescevano qua e là vari fiori colorati. Al centro di tutto, la quercia su cui era assiso Tom e sotto cui Will fingeva di dormire, la loro amica che proteggeva le loro giornate quando non erano in servizio in trincea. Quell’albero era il più lontano dalla postazione di distribuzione del rancio, ed era solitario ed escluso dagli altri gruppetti di alberi sparsi qua e là all’interno della radura sotto cui si riposavano i loro commilitoni. Quella quercia era un po’ diversa da tutti gli altri suoi fratelli, ma forse per quello l’avevano eletta a loro dimora in quei giorni tutti uguali che si ripetevano sospesi tra un turno e l’altro. Lì sotto nessuno li disturbava se volevano un po’ di pace, poiché nessuno voleva stare troppo lontano dal rancio: eppure Tom attendeva volentieri per il cibo pur di potersi arrampicare su quei bassi rami, e a Will piaceva la compagnia del suo nipper.

«Questa non è la nostra terra, nipper» rispose infine Will. «Puoi anche averla chiamata “l’Isola” per farmi ricordare casa mia, ma è solo una radura francese persa chissà dove». Di nuovo, si accorse di essere stato brusco con l’amico, e cercò di correggere il tiro. «E io i Fritz li ammazzo, se mi capitano davanti. L’ho già fatto. Ma è vero, hanno iniziato loro, e suppongo che noi stiamo difendendo i nostri valori, sì».

Lo fissò dritto in quei suoi occhi azzurri come il cielo, facendovi affogare il pantano del suo sguardo ormai oscurato da troppo tempo passato al fronte. Tom non aveva ancora combattuto veramente. Da quando era arrivato al fronte, durante l’inverno, non vi erano ancora state battaglie importanti. Aveva già conosciuto la trincea e i turni infernali in quelle gallerie mortali, ma erano stati sempre fortunati. Quello era un settore tranquillo, e comunque nessun generale sano di mente avrebbe mai fatto massacrare i suoi uomini spedendoli ad attaccare in pieno inverno. Era già primavera ormai, ma ancora nessuno aveva ordinato l’assalto alle linee nemiche, dunque le uniche esperienze di guerra di Tom erano state semplici scaramucce. Un nulla a confronto con ciò che aveva visto lui l’anno prima, sulla Somme5. Quello sì che era stato un inferno in terra. Ogni notte, pregava il Dio in cui non credeva affinché risparmiasse al suo nipper ciò che lui aveva dovuto patire, affinché fosse protetto.

Tom non sembrava soddisfatto: una smorfia strana aveva sostituito il suo usuale sorriso. «Mhmm» abbozzò a mezza bocca; poi si tirò su e si sistemò meglio sul basso ramo, cercando di rimettersi nella posizione iniziale, allontanandosi da Will. Non aveva più voglia di guardare quegli occhi e quelle lentiggini, né di sentire i suoi brontolii da veterano. Spesso finivano per scontrarsi, quando si parlava di quelle cose: sapeva che Will la vedeva diversamente da lui, e probabilmente aveva ragione, ma… non riusciva a pensare che potessero essere anche loro dalla parte del torto. In quella guerra non potevano essere loro i cattivi.

Will si morse la lingua davanti a quel gesto, ma non sapeva come fare per rimediare. Stettero entrambi in silenzio per qualche minuto: Will che scrutava addolorato Tom, e Tom che guardava il cielo per non scrutare Will.

Infine, fu Tom a rompere per primo il silenzio. «Ricordati che non sei l’unico soldato qui. Anche io li ammazzo i Fritz, se mi si parano davanti». Gettò una breve occhiata sotto di sé, per vedere se Will lo stava ascoltando, poi continuò, abbassando la voce quasi a un sussurro. «E pensavo di farti un piacere, chiamandola “l’Isola d’erba”. Ha la forma di Wight, di casa tua. Credevo lo avresti apprezzato».

Avrebbe voluto aggiungere molto altro, ma non gli uscivano le parole, incastrate in gola dalla delusione. Aveva chiamato quella quercia Carisbrooke, come il castello che Will gli aveva detto di vedere ogni mattina guardando fuori dalla finestra; le trincee erano gli Aghi di Wight, le cucine Shalcombe e Mottistone; la strada per le retrovie e gli alti comandi, infine, era Osborne House, il palazzo dei Reali. Tutti luoghi di cui Will gli aveva parlato con nostalgia più e più volte, e che lui aveva riportato in vita lì dove erano ora. In attesa di poterli vedere di persona, una volta finito tutto quell’inferno. Quando sarebbero tornati ad essere Will e Tom, e non più i Caporali Sassoon e Owen. Quando avrebbe conosciuto la madre di Will, e la avrebbe vista piangere di gioia vedendo le medaglie guadagnate dal suo meraviglioso e coraggioso figlio. Una lacrima gli scese a rigargli la guancia, ma non permise ad altre di seguirla. Fissò ostinatamente il cielo, cercando di non pensare a quelle cose, ignorando Will, pensando alla sua, di casa, di madre, di famiglia.

Will aveva la bocca secca, che sembrò diventare un deserto quando si accorse della lacrima sul viso dell’amico. “Stupido. Voleva solo essere gentile. E aveva bisogno del tuo supporto. Hai rovinato tutto.” Continuò a maledirsi, sperando che tra gli improperi la sua mente partorisse un’idea su come farsi perdonare. Essa, come prima, non arrivò. E lui, come prima, fu di nuovo costretto a inventare, pur di spezzare quel silenzio tra loro così odioso.

Estrasse dalla tasca della divisa un piccolo fagottino: un fazzoletto arrotolato più e più volte a celare un prezioso tesoro che solo lui conosceva. Si premurò di fare abbastanza rumore da obbligare Tom a guardare giù verso di lui, ma senza attirare lo sguardo degli altri commilitoni: erano lontani, ma era meglio che non si facessero troppo gli affari suoi. Cominciò a srotolare il fazzoletto con cura, strusciando quanto più possibile con la divisa, sbattendo casualmente la gamella contro il calcio del fucile. Come previsto, il riccioluto non riuscì a ignorarlo troppo a lungo: lo sentì presto muoversi sul ramo, in modo da mettersi più comodo per osservare cosa stesse facendo pur fingendo disinteresse. Sorrise dentro di sé, continuando a srotolare il fazzoletto ma stavolta più silenziosamente. Ed infine, ecco rivelato il tesoro prezioso: un mezzo toast al prosciutto e formaggio. Era vecchio di qualche giorno, ma qualunque commilitone avrebbe pagato per averne un pezzo. Quelle erano rarità in trincea, anche tra loro inglesi. Si premurò di mostrare “distrattamente” quell’autentico gioiello a Tom, sempre nascondendolo dagli occhi degli altri compagni.

«Che cos’è?» bisbigliò infine Tom, che aveva capito tutto.

«Oh, questo?» si finse innocente Will. «Toast prosciutto e formaggio. Davvero squisito». Ne staccò un frammento minuscolo, infilandoselo in bocca in un lampo. Nel farlo, scivolò leggermente sul fianco destro, per dare la schiena agli altri soldati. Solo Tom poteva vedere cosa aveva in mano.

«Ah», fu il laconico commentò di quei riccioli di segatura, benché gli occhi azzurri parlassero da soli. Anzi, stavano praticamente urlando, una muta richiesta dettata dalla fame che tornava a farsi sentire prepotente. Gli alti comandi li trattavano bene rispetto ai francesi, e supponeva avessero le pance piene a confronto dei Fritz; eppure anche loro pativano la fame. Avevano imparato a non ascoltarla, così come si fingevano sordi al richiamo di casa, per soffrire di meno e sopravvivere di più. Anche grazie a trucchetti come quello di Tom: riportare casa qui e ora, per non pensare al fatto che molto probabilmente non l’avrebbero mai più rivista da vivi. Will benediceva ogni nuova alba, perché Tom era sopravvissuto a un’altra notte: sapeva che lui non sarebbe mai tornato a casa, ma bastava il pensiero che il suo nipper ce l’avrebbe invece fatta a spingerlo ad andare avanti, a combattere un altro giorno.

«Ne vuoi un po’?» gli chiese finalmente, con tutta la nonchalance del mondo sorridendo. Le due pozze d’acqua pura avevano scintillato di gioia con quelle sole quattro parole, e anche quelle soffici labbra gli avevano sorriso di rimando. La sua insicurezza si sciolse un po’, mentre riccioli-di-segatura si lasciava scivolare giù dal ramo agile come un gatto, senza nemmeno degnarsi di rispondergli. Si ritrovò in un attimo quelle iridi di cielo davanti a sé, più vicine di quanto fosse lecito per due commilitoni; il respiro di Tom si fuse col suo e col vento della primavera, mentre i loro sorrisi si intrecciavano nuovamente.

Spezzò il mezzo toast in due e ne diede una parte all’amico: senza fretta, e lasciandogli il pezzo più grande e più imbottito. “Egli prese il pane, e quando ebbe reso grazie, lo spezzò, e lo diede al suo discepolo dicendo: prendi, mangia, questo è il mio corpo, che è dato per te.” La voce dell’anziano padre Macarthur risuonò nelle sue orecchie, riportandolo a quando seguiva la messa da bambino insieme a sua nonna nella chiesa di St. Mary a Carisbrooke. All’epoca era ancora credente, e sapeva che un giorno avrebbe gioito per l’eternità in paradiso con tutti i suoi amici e i suoi cari. Ma quello era una vita fa: ora la sua fede era svanita, la nonna era morta e le ossa spolpate di padre Macarthur non erano molto diverse da quelle dei suoi commilitoni falciati nella terra di nessuno. Anche l’Isola di Wight e la chiesa di St.Mary facevano parte di un mondo che non conosceva più: un mondo di pace e di serenità, di corse sulle spiagge e giochi sull’erba in attesa di un futuro migliore, fatto di una splendida moglie dagli occhi celesti e tanti bambini sorridenti. Ora il suo mondo prevedeva la guerra e la fame, la trincea e la morte che ti attende ad ogni passo; anche l’idea di una moglie e di tanti figli dagli occhi azzurri era stata seppellita da ciò che aveva scoperto di sé. Eppure, qualcosa di bello in quel mondo c’era ancora: aveva Tom e i suoi riccioli castani e i suoi occhi celesti; aveva l’Isola d’erba, il loro rifugio e la loro casa; e aveva quel toast da condividere, che pareva la cosa più sacra al mondo, un nuovo sacramento che li univa davanti a Dio. Non era un paradiso per l’eternità, ma era comunque la cosa più bella che vi potesse essere al mondo.

Will si era incantato a pensare, come spesso faceva, ma Tom non aveva fretta: aspettò che gli occhi dell’amico si mostrassero nuovamente presenti, nascondendo il pezzo di toast agli occhi degli altri e perdendosi tra i disegni nascosti dalle lentiggini dell’altro. Aveva notato come Will gli avesse lasciato il pezzo di cibo più grande, e avrebbe voluto protestare per dividere anche quello in parti uguali come tutto il resto delle cose che condividevano. Ma sapeva che quello era un gesto d’amore: come una madre con i propri figli, come una sposa col proprio marito. Accettò il suo dono, comprendendo fosse molto di più che semplice pane, sondandogli fin dritto al cuore e quasi riuscendo a sentire il suono dei suoi pensieri. Poi Will finalmente tornò da lui, e gli sembrò di udirlo mormorare ancora un po’ sovrappensiero: “Fai questo, in memoria di me.” Tom non era sicuro di averlo sentito sul serio; eppure quelle parole non potevano che appartenere a un’unica preghiera, e per quanto lui fosse credente e quella situazione quantomeno inopportuna per citarla, non obiettò. L’idea che si fosse creato una sorta di rituale soltanto loro, sacro e profano insieme, gli andava più che bene, e lo avrebbe ripetuto ogni giorno della sua vita se questo voleva dire stare insieme. Per questo rispose semplicemente con un «Grazie Will!», che nel suo cuore suonava come un “Lo farò, da oggi fino alla fine del mondo”.

Consumarono quel pasto condiviso come amici, fratelli, amanti; senza far altro che masticare con calma quel piccolo tesoro e guardarsi l’un l’altro, le iridi metalliche che si specchiavano in occhi di cielo e si parlavano tra loro senza che fosse necessario emettere alcun suono. Sapevano entrambi che ciò che stavano provando non era un bene, che era peccato e che Dio li avrebbe puniti per questo. Will in particolare sapeva che non sarebbe nemmeno durato, perché la guerra era al loro fianco e non l’avrebbero superata vivi entrambi, ma presto uno di loro due se ne sarebbe andato all’altro mondo abbandonando l’altro per sempre. Eppure, stesi sulla soffice erba dell’Isola, in quel momento tutto ciò non importava. Finito quel misero spuntino si sdraiarono uno a fianco dell’altro, per osservare insieme le nuvole rincorrersi in quel cielo di primavera. Erano fin troppo vicini, più del normale, e le mani stese tra i loro corpi quasi si sfioravano senza osare toccarsi.

«Beh, non continui la tua dannata poesia, nipper?» domandò infine Will, fingendosi nuovamente burbero ed evitando di girarsi verso Tom. Non aveva più bisogno di guardarlo, perché sapeva che sarebbe stato sempre al suo fianco, per quanto potesse durare quel sempre.

Riccioli-di-segatura rise sotto quegli occhi di cielo, e anche lui non si voltò a guardare il suo soldato bruno dagli occhi di metallo. Riprese semplicemente a declamare quella poesia così assurda e falsa, ora lo sapeva, ma che restava un ennesimo legame tra loro due. Perché fintanto che lui avesse continuato a cantarla, le parole del poeta avrebbero arrestato il resto del mondo, congelandoli in quel momento perfetto.

Era il loro piccolo universo personale, in cui solo loro due potevano entrare. Un’isola d’erba soffice e fresca per sognare una vita insieme; una quercia dalle fronde ampie per proteggersi dalla bruttura del mondo; un mezzo toast per scambiarsi una promessa solenne ed eterna.

Né Will né Tom sapevano quanto potesse durare davvero l’eternità, o come fosse fatto il paradiso dei preti. Ma quella era la loro eternità e il loro paradiso, e il resto non importava.

«…e le sue viste ed i suoi suoni; e i sogni felici come una sua giornata; e la dolcezza, nei cuori in pace, sotto un Cielo inglese6».

 

 


[1] Rupert Brooke, “V. The Soldier”, in “1914 & other Poems”; traduzione mia, in originale: “If I should die, think only this of me:/That there's some corner of a foreign field/That is for ever England.

[2] ragazzino o bambino; termine utilizzato colloquialmente nell’Inghilterra del Sud, in particolare sull’Isola di Wight. Si usa riferendosi specialmente ai maschi molto giovani e di bassa statura, ed indica un ragazzo sempre in mezzo ai piedi, che ti pizzica e/o infastidisce (to nip). Da Urban Dictionary

[3] sempre da Brooke, “The Soldier”; in originale: “Washed by the rivers, blest by suns of home. /And think, this heart, all evil shed away

[4] termine inglese per indicare i soldati tedeschi durante la Prima Guerra Mondiale; equivalente all’italiano “crucchi”. Deriva dal soprannome dell’imperatore prussiano Federico Il Grande, detto “der alte Fritz”, “il vecchio Federico”.

[5] La Battaglia della Somme fu un’imponente serie di offensive anglo-francesi contro le postazioni tedesche durante la Prima Guerra Mondiale. L’offensiva durò 140 giorni, da luglio a novembre 1916, ed è ricordata come una delle più sanguinose battaglie della Grande Guerra, risoltasi in un sostanziale fallimento costato più di un milione di perdite tra morti e dispersi di entrambi gli schieramenti. È stato calcolato che per ogni metro quadrato di terreno conquistato ai tedeschi gli Alleati abbiano perso almeno 150 uomini. Per altre informazioni, rimando alla pagina Wikipedia dedicata a questa battaglia.

[6] sempre Brooke, “The Soldier”; in originale: “[…]Her sights and sounds; dreams happy as her day; /And laughter, learnt of friends; and gentleness, /In hearts at peace, under an English heaven.” (NdA: Brooke si riferisce prima nel testo all’Inghilterra, a cui sono riferiti i vari “her”; ho preferito omettere le parti precedenti in modo che la poesia potesse adattarsi anche alla relazione fra Will e Tom).

   
 
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