Poter osservare il tramonto nella natura incontaminata di ciò che era il Giappone durante l’epoca Sengoku, era per Kagome molto più che una benedizione. Un miracolo al quale stentava a credere ogni giorno in cui si risvegliava in un mondo che non era il suo.
Quando non c’erano demoni pericolosi da abbattere, immergersi in quell’epoca era persino piacevole; e lo era perchè al suo fianco viaggiava quel mezzo-demone cane che stava imparando ad apprezzare. Quando la giornata volgeva al termine, Inuyasha sembrava sfilarsi di dosso le vesti di ragazzo scorbutico e diffidente, a favore di un animo sorprendentemente gentile, tristemente abituato ad una incolmabile solitudine. La ragazza al calar del sole prese la mano artigliata del mezzo-demone e lo condusse con sé presso una collina che dava verso il tramonto. 
Entrambi sapevano quale notte li aspettasse, e tale era la ragione per cui avevano prestato attenzione a nascondersi dalle tenebre sempre pronte a tentare di rubar loro la vita: una notte senza luna.
Quando Inuyasha si sedette, con sempre quel finto broncio a increspargli il viso giovanile, Kagome si inginocchiò alle sue spalle maneggiando quella che aveva l’aspetto di una spazzola. Il mezzo-demone si accigliò.
“Che cosa stai facendo, dannata?”, le chiese, socchiudendo poi gli occhi senza voltarsi. La ragazza sorrise, divertita dal suo solito modo di fare.
“Voglio pettinarti i capelli. Sono pieni di nodi.”, ammise, iniziando a sciogliere i grovigli più spessi con le dita. Inuyasha tacque abbassando le orecchie in segno di resa, chiudendo gli occhi di fronte al sole morente; Kagome poté così intrecciare morbidamente le dita tra quei fili d’argento che erano i suoi capelli, ciocca dopo ciocca, saggiandone la consistenza fine ma resistente. Quando il sole definitivamente morì, la cascata d’argento del mezzo demone iniziò a mutare, fino a che la ragazza non si ritrovò a far scorrere le mani e le setole della spazzola in un profondo mare d’ebano. Le orecchie demoniache erano scomparse nel nulla, lasciando il posto ad un aspetto umano che Kagome stava inconsciamente imparando ad apprezzare - amare, forse. Quando finalmente il mare d’ebano che erano quei capelli normalmente indisciplinati, si calmò, la giovane erede spirituale di Kikyo strinse l’ormai uomo - anche se solo per una notte - tra le braccia. Egli non rispose, né si mosse.
Kagome sorrise, custodendo il sonno che l’aveva colto all’improvviso, tra le braccia esili: Inuyasha si era sopito come un bambino, sotto al peso della trasmutazione che ad ogni notte di luna nuova lo colpiva e lo rendeva un essere umano a tutti gli effetti. 





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