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Autore: BabaYagaIsBack    31/05/2020    0 recensioni
● Book II ●
In una notte Aralyn ha compiuto nuovamente l'impossibile, mettendo in ginocchio l'intero clan Menalcan. Ha visto ogni cosa intorno a sé macchiarsi del colore del sangue e andare distrutto - forse per sempre. Così, in fuga dai sensi di colpa e dal dolore che le schiaccia il petto, si ritrova a essere ancora una volta l'eroina del suo branco e il mastino al servizio del Duca, ma anche il nemico più odiato dai lupi del vecchio Douglas e l'oggetto di maggior interesse per il Concilio che, conscio di quale pericolo possano ora rappresentare i seguaci di Arwen, è intenzionato a fargliela pagare.
Ma qualcuno, tra i Purosangue, è disposto a tutto pur d'impedire che la giovane Aralyn Calhum venga punita; anche mettere a punto un "Colpo di Stato".
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Triangolo
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12. Home

Killian rimase fermo sul materasso, le lunghe gambe accavallate e le braccia poco più indietro della schiena, piantonate nel copriletto per sorreggersi meglio. Silenzioso osservava Aralyn ficcare nello zaino le poche cose che lui stesso le aveva comprato e, nolente, dovette ammettere di sentirsi rammaricato da quella situazione.

Per undici giorni aveva condiviso casa con lei e Arwen, venendo catapultato indietro nel tempo, in mezzo a ricordi che aveva creduto non possedere più. Ogni volta che quella ragazzetta aveva intrapreso un discorso o si era mossa per le stanze, Klaus aveva fatto ritorno nel suo quotidiano; il sorriso di lui si era sovrapposto a quello di lei e le loro voci squillanti erano diventate una sola, scaldandogli il cuore. Quando, con la coda dell'occhio, la chioma pallida dell'Alpha del Nord aveva catturato le sue attenzioni, l'uomo aveva potuto rivedere Veronika scivolare tra un corridoio e quello successivo - era stato come riavere i propri migliori amici, un sogno che troppo presto si era reso conto non poter diventare realtà, ma che nuovamente stava per essere infranto.

«Pronta!» La sentì improvvisamente esclamare, venendo trascinato via da quei pensieri. 
Ancora malamente accucciata a terra, in modo da evitarsi del dolore inutile, la lupa tendeva verso di lui una sorta di sorriso - pareva felice, sì, ma non del tutto.

«Ne sei certa?»

Aralyn battè le palpebre qualche volta, confusa: «Beh, non ho molto da mettere via...» i suoi occhi calarono sul bagaglio che teneva di fronte a sé, forse elencando tutto ciò che vi aveva messo dentro, peccato solo che la domanda fosse riferita a ben altro.

Con un movimento lento, Killian scese dal letto, inginocchiandosi accanto a lei. Le dita ingioiellate si andarono ad appoggiare su quelle di lei, ora finalmente guarite dalle abrasioni, e le allontanarono dalle cerniere per portarle verso il proprio petto - le mani della giovane erano così sottili nelle sue, fragili e inermi, eppure erano state capaci di impugnare una tra le armi più pericolose per la loro specie; chissà se sarebbero state in grado di aggrapparsi alla vita con così tanta forza da riuscire a scampare al Concilio, pensò.

«Non fare la sciocca, non lo sei mai stata» la rimproverò bonariamente, sentendosi davvero come uno zio alle prese con la nipotina.
L'espressione di lei si fece cupa, lasciando trapelare la comprensione che d'un tratto l'aveva colta: «Dici?» chiese, iniziando a torturarsi il labbro: «Eppure ho agito come tale».

«Con il senno di poi siamo tutti ottimi giudici di noi stessi, mo phàiste. Ci rendiamo conto di quante altre possibilità avremmo potuto cogliere, ma che invece ci siamo lasciati sfuggire» la bocca del licantropo si tese, cercando di darle conforto: «Ma ricordati che la Madre Luna e gli Dèi ci guidano sempre. Se ti hanno fatto agire in un modo, invece che in un altro, è perché hanno qualcosa in serbo per te».

Aralyn volse lo sguardo verso la finestra. Il cielo azzurro le si riversò negli occhi, ma loro parvero non fermarsi lì, ma piuttosto oltrepassare le nuvole e rifugiarsi in pensieri che non sembrava volenterosa di rivelare. Rimase immobile per alcuni, brevissimi istanti, poi parve scendere nuovamente con i piedi per terra: «Ci credi veramente? Intendo a questa storia dei destini già scritti».

Avrebbe voluto stupirsi di quella domanda, ma purtroppo i suoi quasi sessant'anni lo aveva preparato a molte più cose di quelle che ci si sarebbe mai aspettati: «Credo che ci vengano date delle indicazioni, dei doni e delle disgrazie con cui scrivere il futuro che ci aspetta. Io ad esempio ho questa maledizione, tu un'altra» e, senza preoccuparsi di ciò che stava per fare, Killian si sporse nella sua direzione, appoggiando i polpastrelli al centro del torace di lei, lì dove oltre il maglioncino leggero batteva il cuore.
«Chi ti dice che ci sia una maledizione, su di me?»
«Tutti siamo condannati, in un modo o nell'altro» d'improvviso, del tutto fuori luogo rispetto al suo solito atteggiamento, l'uomo fece spallucce, socchiudendo appena le palpebre: «e quando le sventure si assomigliano, ci si riconosce».

Quell'ultimo commento gli sfuggì dalle labbra senza che se ne potesse realmente rendere conto e, subito dopo, se ne pentì. Quando le pupille di lei baluginarono nella sua direzione, bloccandosi con incredibile fermezza sul suo viso, Killian non riuscì a impedirsi di mordersi la lingua e inveire contro quel moto di tenerezza che gli aveva fatto abbassare la guardia, tanto da rievocare qualcosa che sarebbe stato meglio tacere per sempre.

«Che vuoi dire?»

Il modo in cui gli si rivolse parve schiaffeggiarlo; l'espressione sul suo viso era una vera e propria maschera di severità, sembrava starsi preparando alla difesa - cosa stava temendo? Forse ciò che più volte aveva negato di ammettere? Forse quello che lui aveva sospettato sin dal principio?

«Niente d'importante».

Aralyn, con ancora la mano stretta in quella di lui, piegò le dita ed estrasse gli artigli, premendo nella carne: «Che vuoi dire?» ripetè, questa volta in un sibilo tanto sottile d'apparire tagliente. Nel suo sguardo c'era la smania febbrile della conoscenza, il desiderio vorace di capire per poi mettere a tacere - e seppur nolente, il licantropo dovette ammettere di non trovarlo affatto piacevole.

Le sue parole, che avrebbero dovuto semplicemente essere innocenti e rincuoranti, erano diventati per entrambi delle spine nel fianco. E seppur lui non volesse più tirare in ballo la questione, non dopo essersi sbilanciato a quel modo, si ritrovò a non riuscire a sfuggire alla bramosia di lei. Chiederle il motivo del vuoto che la stava mangiando viva, il suo nome, avrebbe significato ricordare anche quello del proprio - e dopo trent'anni, non intendeva incrinare il guscio di indifferenza in cui l'aveva seppellito, quindi provò nuovamente a scostarsi: «Nulla, Ara, mi riferivo a questioni del passato» ma non era vero, e seppe con certezza che nemmeno lei aveva creduto a quelle parole.

Qualsiasi fosse la causa della sua condizione così assertiva però, lui, adesso, voleva restarne all'oscuro, in modo da celare le ferite che a sua volta portava addosso.

Ma lei non demorse. Dopotutto, si ricordò l'uomo, doveva aver ereditato persino lei qualcosa dalla madre: «Ti ho chiesto che stavi insinuando!?» chiese ancora, visibilmente turbata.
Killian avvertì gli artigli di Aralyn tagliare la pelle, vide il suo viso tirarsi e la pelle cambiare grana. Il suono delle prime ossa in procinto di spezzarsi gli solleticò i timpani e, in un lampo, si rese conto di non poterle permettere di cambiare forma - già durante le tre notti di Luna era stato costretto a sedarla; una mutazione, nelle sue condizioni, avrebbe riaperto sia la ferita procuratagli da Douglas, sia quella sul polpaccio. L'argento l'aveva indebolita più di quanto ci si sarebbe potuti aspettare e lui doveva assolutamente evitare un simile disastro.

«Io... Aralyn, abbiamo solo dei vuoti simili, tutto qui...»

E lei, d'improvviso, parve perdere ogni forza. I suoi occhi si riempirono di lacrime, cercando rifugio ovunque tranne che sull'interlocutore: «Un imprintig è una maledizione?»
A quella domanda, l'uomo s'irrigidì.
Se da un lato i suoi sospetti avevano finalmente trovato una certezza, dall'altro si rese conto che avrebbe preferito non saperlo mai.

Un imprinting è una maledizione?
Sì, la peggiore.

Essere indissolubilmente legati a qualcuno, vivere nella sua vita e perire nella sua assenza - cosa ci poteva essere, di più atroce, di sapersi condannati all'altro per il resto dei propri giorni e perdere la capacità di restare a galla senza quella persona al proprio fianco? Persino lui, alcuni giorni, faticava ancora a respirare senza sentire dolore in mezzo alle costole.

«Arwen ha attaccato i Menalcan per vendetta, mi hai detto, non per il Pugnale» iniziò a dire, sapendo di star buttando sale su una ferita fin troppo fresca: «E' a causa sua?»

Silenzio. Nulla che li circondasse stava facendo rumore, anche l'aria pareva aver smesso di muoversi intorno a loro. E Aralyn se ne stava immobile a sua volta, una sorta di statua di fronte ai suoi occhi. La sua mente doveva aver ripreso a vagare altrove, lontana.

«Sì» un soffio, nulla più, poi una impavida lacrima le scese lungo la guancia, segnandole la pelle: «Sai, fino a sei mesi fa credevo che non vi fosse altro uomo se non Arwen, destinato a me. Eravamo noi due e basta, per sempre. Io lo avrei sorretto in questa vita e lui mi avrebbe tenuta con sé, amandoci silenziosamente e accettando l'ennesima negazione del nostro mondo. Avremmo combattuto insieme per cambiare le cose, per essere uguali a tutti voi» per la prima volta, la ragazza si rivolse a Killian in quanto Puro, differenziandosi da lui come mai gli era capitato prima - e l'uomo dovette accettare il sapore amaro che gli riempì la bocca, sopportando per un solo momento di dover fare i conti con un passato che aveva voluto più volte cancellare. Lei tese un tenero sorriso: «Ci saremmo guadagnati il diritto di poter fare come qualsiasi purosangue presente in Europa, esattamente come promette il Duca. Questo era tutto ciò a cui anelavo... l'imprinting era una favola che sentivo scivolare fuori dalle bocche degli altri, non mi toccava. Avevo mio fratello e andava bene così, ma poi è arrivato». Sfilando la mano dalla presa dell'uomo, Aralyn si ravvivò una ciocca dorata: «Aveva quel profumo strano, piacevole. Era un misto di calore e selvaggina, di sottobosco autunnale, eppure forte come quello di un Alpha e virile, accogliente. Ogni volta che lo sentivo nell'aria il mio corpo pareva venirne inesorabilmente attratto e quando non riuscivo a fermare i piedi mi conduceva al suo cospetto. Lui mi guardava come se fossi un mistero su due gambe, una piccola meraviglia in mezzo al caos, mentre io cercavo in ogni modo di allontanarlo. Non volevo avvicinarmi, saggiare il suo sapore, assuefarmi della sua presenza... perchè mi faceva paura, Killian» d'un tratto gli occhi di lei tornarono a fissarlo, le pupille grandi e le guance fin troppo rosse. Gli diede l'impressione di non essere altro che una bambina terrorizzata, eppure ne aveva viste più di qualsiasi sua coetanea. Avrebbe voluto stringersi a lei, farle capire che ne comprendeva le parole e le sensazioni, ma invece rimase fermo sulle proprie ginocchia, aspettando.
«Temevo il fatto che d'un tratto, dal nulla più assoluto, lui fosse comparso ed io fossi stata all'oscuro della sua presenza fino a quel momento. Non lo conoscevo, eppure lo desideravo. E temevo di fare ciò che ho fatto, cioè tradire Arwen... eppure... eppure non sono riuscita a fermarmi. Ogni giorno la sua presenza diventava sempre più rassicurante, il suo sorriso entusiasmante e... seguivo i suoi allenamenti costringendomi a non trovarlo meraviglioso, eccitante e proibito, ma più tempo passava e meno riuscivo a restar salda a ciò che mi ero ripromessa. Quando mi ha baciata ho creduto che il mondo iniziasse e finisse lì, con noi in mezzo a quelle foglie, ma poi» si morse il labbro con più veemenza: «poi a Novigrad abbiamo passato la notte insieme e lì, in quel momento, nell'esatto istante in cui siamo diventati una cosa sola ho creduto di poter sfiorare il cielo. Non avevo idea di cosa stessi facendo o di quanto in alto mi stesse portando con il suo amore, sempre se di quello si può parlare, ma poi qualcuno mi ha spinto giù. Le enormi mani di Gabriel Menalcan mi hanno strappato le ali ed io sono precipitata al suolo, distrutta» più il discorso era proseguito, più le parole di lei erano diventate via via sempre più simili ad aghi premuti nella carne, uccidendola e facendo male persino a lui.

Quelle sensazioni, tempo addietro, erano state le medesime che aveva provato anche lui - ma se Killian era riuscito a trovare un modo per andare avanti, Aralyn sembrava non avere idea di come smettere di sprofondare e, forse, nel tentare di rimanere a galla, aveva nuovamente trovato appiglio sul cuore di Arwen.

«Chi è, Ara?» le domandò in un sibilo, conscio di quale malignità le stesse facendo.

E in quell'istante, completamente in balìa delle lacrime, la vide spezzarsi come un tempo aveva fatto lui: «Ho dato il mio cuore a Joseph, Killian...» i singhiozzi arrivarono sommessi, poi sempre più intensi - e vi fu l'annichilante certezza che una parte della maledizione di lui, era quella che stava subendo lei.

***

«Vuoi che mi fermi?» La voce di Arwen arrivò da un punto indefinito accanto a lei, strappandola ai ricordi di ciò che aveva confessato a Killian. Più volte Aralyn batté le palpebre, cercando di ritrovare del contegno e sistemandosi sul sedile per poi volgersi verso di lui.

«Perché?»
«Stiamo viaggiando da due ore e mezza, abbiamo ancora tantissimi chilometri davanti a noi, la mia gamba inizia a fare male e vorrei potermi godere ancora qualche minuto in solitaria con te. Ti bastano come motivazioni?» Il sorriso che tirò gli creò due piccole fossette agli angoli della bocca, rasserenandola; vederlo così spensierato era cosa rara, ma con grande probabilità si trattava solo di un tentativo di depistaggio - dubitava che un viaggio in auto, pochi giorni dopo al funerale di Douglas Menalcan, e con il fantasma del Concilio alle calcagna potesse non urtare lo stratega in lui, ma apprezzò quel suo tentativo. Come ci si sarebbe aspettati, stava cercando di avere per lei qualche premura in più.

«Dillo che devi fare la pipì!» lo punzecchiò, cercando di apparire meno assente di quanto in realtà fosse.

Nonostante stessero tornando a casa, entrambi vivi e vegeti, non riusciva a pensare ad altro se non a ciò che aveva perduto. Non c'era alcuna soddisfazione ad accompagnarla, nessun reale motivo per sentirsi felice - solo la consapevolezza di essersi rovinata con le proprie mani nel giro di poche settimane.

«Anche se fosse non te lo direi mai così!» Rise lui, trascinandola via da quei pensieri e portandosi indietro le ciocche che avevano preso a infastidirgli il viso. Già, pensò teneramente Aralyn, cercando di trovare una ragione per non abbattersi, Arwen non aveva mai usato un linguaggio volgare con lei, se non in quei rari casi in cui era arrivato a minacciarla - occasioni più uniche che rare - e, seppur alle volte in modo un po' scostante o impacciato, aveva sempre cercato di essere gentile nei suoi confronti, facendole capire che il suo amore era ancora lì, presente e indistruttibile.

L'auto imboccò la corsia verso l'area di servizio.

Non era dell'umore giusto per fermarsi, vedere e ascoltare gente, eppure non obiettò, capendo da sola i bisogni dell'uomo sedutole di fianco. Inoltre, finché i punti di sosta erano abbastanza battuti dagli umani, non avrebbero dovuto preoccuparsi di incorrere in grandi pericoli: nessuno voleva indispettire il Concilio - nemmeno lei lo avrebbe fatto, se si fosse ricordata di quell'inutile e stupidissimo dettaglio.

Così, appena si fermarono, Aralyn provò a balzar giù dalla vettura, ritrovandosi però ad arrancare come una povera nonnina affetta dai reumatismi e dagli acciacchi dell'età - le ferite tiravano la pelle lì dove le croste si erano andate a formare, minacciando un'imminente riapertura; eventualità che avrebbe evitato con piacere, visto la poca abitudine a soffrire per così tanto tempo. 
Con le dita si arpionò alla portiera, piegandosi un poco in avanti per riuscire a lenire il dolore e prendere fiato e, nel momento esatto in cui fu certa di essere pronta ad affrontare i postumi delle fitte, si ritrovò le braccia di Arwen pronte a sorreggerla.

Per un attimo rimase incredula di fronte a quel gesto, chiedendosi come fosse possibile che, dopo anni, i ruoli si fossero invertiti a quel modo. Ricordava ancora tutte le volte in cui era stata lei a offrirsi come bastone per i suoi passi incerti, come lo aveva aiutato a compiere i movimenti più banali: togliere e mettere vestiti, andare in bagno, lavarsi o fare una sorta di passeggiata - e ora eccola lì, degente tra le braccia di chi una volta era stato suo paziente.

«Ce la faccio» provò a dire, riluttante all'idea di affaticarlo più del dovuto, ma lui parve non sentirla. Con un movimento lesto le cinse la vita, stringendola a sé. Le sue dita stettero attente a non sfiorare i lasciti di Douglas, fermandosi sulla curva dell'anca, mentre con sguardo languido la esortava a fare altrettanto con lui. Aralyn dovette combattere contro l'imbarazzo per riuscire a toccarlo, trovando quell'atteggiamento estremamente estraneo al modo in cui si erano comportati per tutti quegli anni - un po' le piacque, ma non a sufficienza da sentirsi nuovamente attratta da lui.

«Dicevo anche io così, eppure non ti sei mai allontanata un singolo giorno dal mio capezzale. Ogni volta che cercavo di alzarmi dal letto tu accorrevi come una furia».
«Era diverso, Arwen...»
«Non lo è, invece. Entrambi siamo scampati alla morte, siamo stati salvati da Killian e abbiamo l'altro a prendersi cura di noi, direi che è praticamente la stessa cosa».

La ragazza sobbalzò. In effetti l'unica differenza che diversificava le due circostanze erano i lasciti: la gamba di lui non sarebbe più tornata alla forma di un tempo, tradendolo di tanto in tanto, mentre la sua pelle avrebbe per sempre ricordato quella notte, senza però minare il futuro che aveva di fronte - misero, certo, ma comunque significante.

E guardando il viso sereno di suo fratello, Aralyn si domandò per quale ragione, alla fine, se lui era riuscito a innamorarsi di lei durante la riabilitazione di otto anni prima, lei non sarebbe riuscita a provare per Arwen i medesimi sentimenti.

Perché, il suo stupido ricordo, non riusciva a essere cancellato?


 

Yaga:

Ebbene, per una strana forma di pietà ho deciso di dividere in due il capitolo - la prima con i patemi di Aralyn, la seconda con le colpe e le gioie che tornare al clan comporterà. Oltre a questo però, l'ombra del Concilio non si dissipa mai: è lì, sta arrivando e, con lui, anche tutti i colpi di scena che fino ad adesso ho taciuto.

Sicuramente questo secondo volume avrà una narrazione più lenta del primo, ma solo perché deve dare il via a qualcosa di più "avvincente" (o quantomeno nei miei piani/pensieri), ma non temete, farò sì che ne valga la pena <3

Detto ciò, voi non potete nemmeno immaginare cosa stia nascondendo Killian e a quali intrecci il suo personaggio è legato! Però se volete fare delle supposizioni, vi invito a farlo.
Come sempre vi ringrazio per il tempo che spendete su questa storia <3 mi auguro di avere vostri feedback!


 
   
 
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