Fumetti/Cartoni americani > She-Ra e le principesse guerriere
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Autore: Talitha_    31/05/2020    0 recensioni
Spoiler Alert! ⁣
Ambientata dopo la fine della quinta stagione. ⁣

Brightmoon. Il grande Horde è stato sconfitto, eppure la vita su Etheria non è tutta rose e fiori. ⁣
Bisogna riparare città, cuori, persone. ⁣
Essere regina non è facile, questo Glimmer lo ha sempre saputo. Ma improvvisamente questa condizione le appare soffocante. Come portare avanti il proprio dovere senza lasciare indietro la sua vita?
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Di stelle, frecce e ciambelle

 

 

1. Bow

 

Bow sbuffò esasperato, sbattendo pesantemente i piedi sul pavimento in marmo rosa del corridoio. Glimmer, come un’anguilla, cercava in ogni modo di sfuggire alla sua presa, o meglio, alle sue parole. Durante una discussione come quella sarebbe stata capace di correre fino in capo a Etheria. Certo, le sarebbe bastato teletrasportarsi, ma una delle regole principali su cui si fondava la sua relazione con Bow vietava questi piccoli sotterfugi. Lui li odiava. D’altronde, l’avrebbe sempre ritrovata, quindi scappare giocava soltanto a suo sfavore. 

Nel corridoio risuonavano soltanto i tintinnii di piccole e luccicanti stelline, che si muovevano in sintonia col passo di Glimmer. 

L’aria odorava di tensione, parole non dette e… quel sentore di preoccupazione che scaturisce solo dal più puro sentimento d'amore. 

“Glimmer, ma ti stai ascoltando?”

Bow emise un sospiro profondo, mentre sentiva la pelle e i muscoli improvvisamente stretti e soffocanti, e minuscole goccioline di sudore increspargli la fronte. 

Glimmer roteò gli occhi, mentre si dirigeva a passo spedito verso la Sala del Consiglio del castello di Brightmoon. Tutto intorno a lei, un mare di scintille vorticavano come in preda ad una crisi isterica.

“Non ti rendi conto che hai bisogno di una pausa? Sono giorni che non ti fermi, e…”

“Io sono la regina di Brighmoon, Bow” rispose finalmente Glimmer, rivolgendogli un’occhiata di fuoco e stelle. “Credo che questa cosa non ti sia ancora ben chiara.”

“Glimmer, io non ti sto chiedendo di abbandonare il tuo regno” con uno slancio, Bow le si parò davanti “perché non ci prendiamo una pausa? Solo tu e io, come ai vecchi tempi.” Le prese il viso tra le mani. Era talmente vicino che riusciva a sentire perfettamente l’odore di stelle della sua pelle. Può la pelle avere il sapore delle stelle? Quella di Glimmer sì. 

Bow prese un altro respiro profondo, questa volta avvolto da tutti quegli odori e quei profumi che soltanto Glimmer aveva, e che lo facevano sentire improvvisamente calmo. A casa. Quasi si mise a ridere quando, espirando, il suo fiato scosse leggermente i capelli rosa di Glimmer. 

Quasi. 

“Non dobbiamo per forza andare via, mi basta stare un po’ con te. E che tu ti riposi. Almeno per qualche giorno, finché…”

Glimmer sentiva lacrime amare premere per uscire. Sapeva che Bow aveva ragione, e questa cosa la frustrava terribilmente. Lo guardò profondamente, e quasi si perse nei suoi occhi.

Quasi. 

“Ehi” sussurrò Bow, accarezzandole la guancia con il pollice, “non c’è niente di male nel sentirsi deboli, qualche volta. Questo lo sai, vero?”

Glimmer abbassò lo sguardo. In volto aveva un’espressione impenetrabile, e temeva che se avesse guardato ancora per un po’ gli occhi innamorati e preoccupati di Bow, sarebbe scoppiata a piangere. Dentro si sentiva come ingarbugliata. Sembrava quasi che una marea di emozioni intrecciate tra di loro premessero per esplodere, e lei non sapeva a quali dare spazio prima. Amore? Preoccupazione? Frustrazione? Rabbia?

Bow le rivolse uno sguardo dolcissimo, che cercava di celare la sua preoccupazione. 

“Glimmer, lo so che stai cercando in tutti i modi di trattenere le lacrime, ma con me non ce n’è alcun bisogno. Io…”

 Glimmer si scostò, rifiutando le sue carezze e le sue parole confortanti.

“Smettila, Bow. Te lo chiedo per favore” mormorò appena in tono supplicante, come di chi è stanco di lottare. Eppure Glimmer non poteva riposarsi, fosse solo per qualche giorno. Non proprio ora che Brightmoon aveva più bisogno di lei. Certo, avevano sconfitto il Grande Horde, ma il lavoro da fare era ancora tanto. Soccorrere tutti i feriti, assicurarsi che ognuno avesse un posto in cui dormire, ricostruire case, persone, cuori. 

Bow cercò di riguadagnare il suo sguardo. La afferrò per il braccio. Una presa dolce e gentile, che nonostante tutto provocò a Glimmer un brivido lungo la schiena. 

“Ho fatto per caso qualcosa di sbagliato? Mi dispiace, io…”

Non seppe come continuare la frase. 

Glimmer gli volse le spalle, evitando il suo sguardo e le sue parole. Si abbracciò, circondandosi e cullandosi con le braccia. Si sentiva come un cucciolo smarrito.

Bow assunse un’aria ferita. Tuttavia, raccolse tutto il suo coraggio, e la prese delicatamente tra le braccia. Anche se entrambi erano ormai cresciuti, Glimmer arrivava ancora appena sotto il mento di Bow. Lui appoggiò la sua testa su quella di lei, ispirando a pieni polmoni il profumo di caramello dei capelli di Glimmer. 

Lei, sebbene si aspettasse quella dimostrazione di affetto da parte di Bow, ne rimase spiazzata. Rimase per pochi secondi con il volto premuto sul suo petto, ampio e profumato; poi si scostò, come infastidita. In realtà aveva solo paura di non riuscire più a trattenere le lacrime, che premevano furiose per uscire. 

Sul volto di Bow si dipinse un’espressione delusa e sofferente. Glimmer non si era mai comportata così con lui, e Bow non sapeva cosa fare, cosa dire.

Ora Glimmer gli stava davanti, afflosciata e scomposta. Anche le stelline che la circondavano sembravano aver perso la loro luce e il loro solito sbrilluccichio. Lo sguardo spento era rivolto verso il pavimento di marmo rosa del corridoio. Quel pavimento su cui, da bambini, facevano a gara a chi riusciva a correre senza scivolare per terra, cosa che inevitabilmente finivano per fare entrambi. Allora Bow piangeva per il dolore, Glimmer per le risate. 

A quel ricordo le lacrime sembravano per un attimo essersi arrese. Glimmer tirò un lungo e profondo sospiro, raddrizzando le spalle. 

“Che ne dici di dormire un po’?” propose Bow, come ultimo tentativo. La sua voce aveva un che di disperato che, in un’altra situazione, avrebbe fatto ridere Glimmer.

“Posso prepararti la cioccolata calda come piace a te, con le ciambelline glassate alla fragola e alla crema.”

Le accarezzò i capelli di stelle, la guancia morbida.

Un sorriso amaro dipinse il volto di Glimmer. Bow la conosceva così bene, eppure non riuscì a rallegrarsi davanti a quella proposta. 

Senza guardarlo negli occhi, si scostò nuovamente dal suo tocco, rialzò le spalle e si incamminò dritta verso la Sala del Consiglio. 

“Sono a posto così” esclamò, cercando di dare un tono scherzoso alle sue parole. Suo malgrado, le uscì un mugolio strozzato.

Le lacrime premevano ancora per uscire. Glimmer concesse il permesso ad una soltanto, una grossa goccia carica di frustrazione e sofferenza che le percorse il profilo del volto e cadde infine silenziosa a terra. 

Bow, invece, piangeva a singhiozzi. E non riusciva proprio a controllarsi. 

 

 

2. Glimmer

 

Glimmer era cambiata. Tanto. Prima era una persona insicura e, a modo suo, un po’ ribelle. Diventare regina l’aveva trasformata, tanto che a volte persino lei stentava a riconoscersi. 

Aveva imparato ad anteporre sempre il bene del suo popolo, a capire più a fondo, grazie a Bow e ai suoi amici, la forza e l’importanza dell’amore. Era diventata più sicura di sé, più determinata, più responsabile. Aveva imparato a sue spese le conseguenze di un errore, il prezzo di una decisione. Aveva sofferto tanto, ma aveva anche vissuto i momenti più memorabili della sua vita, sia belli che brutti. Il sacrificio di sua madre l’aveva devastata, e le aveva messo addosso una responsabilità enorme. Al tempo stesso, il ritorno di suo padre aveva colmato parte di quel vuoto, di quel senso di abbandono. Anche se il ricordo di Angella non l’avrebbe mai abbandonata - e avrebbe rimpianto per sempre la mancata possibilità di tornare ad essere una famiglia unita e felice - si sentiva finalmente di nuovo a casa. 

Una cosa soltanto non era mai cambiata, in lei, perlomeno sino a quel momento: Glimmer aveva sempre affrontato la vita con ottimismo e buonumore. 

Per questo non capiva il motivo per cui ora si sentisse così sconfortata, pessimista, e terribilmente incompresa e sola. Sebbene sapesse perfettamente che tutti i suoi amici avrebbero fatto di tutto pur di aiutarla, Glimmer sentiva che in realtà nessuno era capace di capire veramente il peso che doveva portare sulle spalle. Essere regina non l’aveva mai oppressa tanto come in quel momento. Forse la consapevolezza di aver finalmente vinto le aveva causato quel senso di spossatezza che provava ogni giorno, il malumore che aveva allarmato tutti i suoi amici, la rigidità e la durezza delle sua parole. Sembrava assurdo, eppure Glimmer non riusciva a trovare un’altra spiegazione. Forse che aveva accettato di diventare regina spinta soltanto dalle circostanze che si erano venute a creare? Per assicurare la salvezza di Brightmoon, che altrimenti sarebbe piombata nel caos più assoluto? 

Glimmer non lo sapeva, e queste domande continuavano a tormentarla da settimane, privandola anche di quelle poche ore di sonno che i suoi impegni da regina le concedevano. Decise semplicemente di smettere di pensarci. 

Si sedette al grande tavolo della Sala del Consiglio, concentrandosi su mucchi di carte e documenti di ogni sorta. 

Colta da un improvviso mal di testa, prese a massaggiarsi le tempie con movimenti lenti e rotatori, mentre lo sguardo scorreva veloce su cifre, lettere, firme, richieste. 

Credette di udire dei passi farsi sempre più vicini, ma non ne era completamente sicura.

Il cervello le vorticava sempre più forte, in una danza oscura e dolorosa, mentre le parole si facevano sempre più sfocate, la stanza oscilllava veloce, gli occhi si appannavano, le mani tremavano. 

L’ultima cosa che Glimmer sentì – o pensò di sentire - prima di svenire, era la voce di suo padre che chiamava il suo nome.  

 

 

3. Micah

 

Profumo di zucchero e stelle. 

Glimmer aprì piano gli occhi, ancora un po’ stordita. Le faceva male dappertutto, come quando da bambini lei e Bow si divertivano a rotolare giù per la collina vicino al castello.

La luce della stanza, per quanto soffusa, le fece richiudere d’istinto gli occhi. 

“Glimmer, sei sveglia?”

La voce di suo padre la riportò piano alla realtà. Glimmer si stiracchiò, preoccupandosi di riaprire gli occhi un poco alla volta. 

“Papà?” biascicò. 

Sentì il materasso piegarsi sotto il peso di suo padre. 

Micah le prese la mano pallida, accarezzandola dolcemente.

Glimmer emise un gemito di dolore. Sentiva come se la testa potesse scoppiarle da un momento all’altro. Se appena sveglia aveva pensato di sognare, la consapevolezza di quel dolore la riportò alla realtà.  

“Papà?” ripeté “ma cos…”

“Sta’ tranquilla, tesoro. Ci sono io qui con te.”

Glimmer parve rilassarsi per un attimo, abbandonando la testa sul cuscino.

Dopo una breve pausa, Micah chiese: “Come ti senti?”

A Glimmer venne da ridere, ma le uscì un mugolio che era per metà un sorriso e per l’altra metà una smorfia. 

Alla fine rispose: “Come se un intero esercito di cloni di Horde mi avesse appena investita.”

Il padre assunse un’aria grave. “Glimmer!” esclamò a mo’ di rimprovero. 

Lei fece finta di nulla, mentre cercava di tirarsi un po’ su con le mani.

“No, no! Stai giù! Glimmer, hai bisogno di riposo” e la rimise sdraiata, preoccupandosi di rimboccarle bene le coperte. 

“Papà, ma sto bene!” cercò di protestare lei. 

“No, tu non stai affatto bene. Anche Bow te lo sta dicendo da giorni, e tu ogni volta fai orecchie da mercante.”

Glimmer rivolse uno sguardo al soffitto tempestato di stelle. 

“Bow?” chiese, col tono di una che sente quel nome per la prima volta. 

Se non fosse così sicuro che era per la sua cocciutagine che Glimmer stava male, Micah sarebbe stato pronto a credere che sua figlia fosse ubriaca. 

“Tesoro, vuoi che chiami Bow?” chiese allora. Glimmer chiuse stancamente gli occhi.

“No” mormorò.

“No?” chiese sorpreso Micah. Quei due erano inseparabili.

“Bow sa che sono ehm... svenuta?” domandò Glimmer, riaprendo gli occhi.

“No, lui è uscito poco prima che ti raggiung…”

Non riuscì a terminare la frase, che fu interrotto da Glimmer. 

“Va bene così, non dirgli niente. Finirebbe per preoccuparsi inutilmente. Digli che…” si interruppe per riprendere fiato. 

“Glimmer…”

“Digli che” riprese “ho seguito il suo consiglio, e che non voglio essere disturbata da nessuno.”

Micah fece per ribattere, ma lo sguardo esausto e supplicante di sua figlia gli fece morire le parole in gola. 

“Va bene” si limitò a dire, mentre continuava a stringerle forte la mano.

Dopo qualche secondo di silenzio, in cui sembrava che Glimmer fosse assorta nei propri pensieri, Micah le chiese se avesse bisogno di qualcosa. 

Glimmer alzò di nuovo gli occhi verso il soffitto di stelle della sua camera. Ricordava ancora quanto lei e Bow si fossero divertiti ad attaccarcele sopra.  

“Raccontami della mamma” chiese inaspettatamente Glimmer. 

Micah non aveva affatto previsto una domanda del genere. 

“Come vi siete conosciuti?” insistette lei, portando lo sguardo fisso su suo padre. 

“Ma se te l’abbiamo già raccontato un sacco di volte!” protestò lui. 

“Lo so, ma è da tantissimo tempo che nessuno me ne ha più parlato. Nessuno… nessuno ormai parla più della mamma. Sembra quasi che ormai di lei non importi più nulla…”

“Glimmer, sai benissimo che non è così” la rimproverò Maica. “Tutti qui portano il ricordo di tua madre nel loro cuore, ne sono sicuro. E se non ne parlano di fronte a te è soltanto per non recarti un dispiacere.”

Glimmer si affrettò ad asciugarsi una lacrima che, senza il suo permesso, aveva iniziato imperterrita la sua discesa. 

“Papà?” chiese, con la voce rotta dal pianto. 

Micah si allarmò. “Tesoro, non piangere. Io…”

Glimmer si sentì le lacrime gocciolarle fin dentro le orecchie. Tra un singhiozzo e l’altro riuscì a dire: “Per quanto io possa impegnarmi, non… non riuscirò mai a diventare come lei” si fermò per asciugarsi il naso. 

“Glimmer…”

“Io provo tutti i giorni a essere una brava regina, ma… ma non sempre ci riesco e… e finisce sempre che rovino tutto, o che non riesco a soddisfare le esigenze di tutti. Io… io”

Si fermò un attimo, cercando di riprendere fiato. 

“Io non ce la faccio più” mormorò debolmente. 

Micah le toccò la fronte. 

Tesoro, stai delirando. Hai la febbre molto alta e…”

“Non sto delirando, papà!” Lo sguardo di Glimmer pareva infuocato, gli occhi lucidi. 

Si coprì il naso con le mani nel tentativo di calmare i singhiozzi. 

“Glimmer, tu sei una regina meravigliosa. Ogni giorno dai il massimo - e forse troppo - delle tue energie per Britghtmoon, per i tuoi amici. Oh, Glimmer. Per tanto tempo ti ho creduto perduta per sempre, e ho spesso immaginato la donna che eri diventata, e...” si fermò un istante, come per esplorare un attimo i meandri dei momenti e della sua vita trascorsa lontano da casa. “Ma mai, mai ti ho immaginata così forte, coraggiosa, altruista. La donna che sei diventata mi rende fiero di te, Glimmer. E sappi che qualunque decisione tu prenda, io la appoggerò sempre.”

Fece un'altra pausa, nel tentativo di dare alle sua parole un significato più profondo di quello che già non avessero. Glimmer lo guardava intensamente, gli occhi rossi di pianto. “Ma, tesoro” riprese “anche le persone più forti a volte hanno dei momenti di fragilità e vulnerabilità. Tutti abbiamo bisogno di dedicare del tempo a noi stessi. Quindi, per favore, cerca di ascoltare i consigli delle persone che hai accanto, perché non vorranno mai altro che il tuo bene.”

Le parole di suo padre ebbero un effetto strano su Glimmer. Come un calmante. D’improvviso i singhiozzi si erano calmati. Il petto respirava regolarmente. Micah le bagnò il volto con un panno fresco. 

“Papà?” chiese ancora Glimmer. 

“Sì?”

“Allora, me lo racconti come vi siete conosciuti tu e la mamma?”

Un sorriso tinse il volto di Micah, che iniziò a raccontare. 

Glimmer chiuse gli occhi, lasciandosi cullare dalla voce di suo padre. 

 

 

4. Bow e Glimmer

 

L’unico rumore nel raggio di dieci metri era quello delle frecce scoccate dall’arco di Bow, che si esercitava in quel giardino dietro il castello quando voleva staccare un po’. E quando Glimmer lo faceva arrabbiare. 

Questa volta era per il secondo motivo. Erano dieci giorni che non vedeva più Glimmer, dieci giorni da che lei aveva rifiutato di riceverlo. Bow era molto arrabbiato, ma anche preoccupato, avendo intuito dal tono di Micah che Glimmer non stava bene, sebbene non fosse riuscito a cavargli nulla di più. 

Prese l’ennesima freccia dalla faretra, tese l’arco, e scoccò. Bersaglio mancato. 

E inutile dire che tutti i tiri precedenti e quelli successivi non andarono a segno. 

Intorno a lui, il giardino rifletteva il giallo del sole e il verde delle foglie degli alberi. L’azzurro del cielo e il rosa dei fiori. 

Freccia. Arco. Tiro. Bersaglio mancato. 

Mancato. 

Mancato. 

Mancato. 

Bow iniziò a spazientirsi, mentre nella sua mente passava in rassegna tutti le possibili condizioni in cui poteva riversare Glimmer. Aveva perso un braccio? Era impazzita? Aveva contratto una malattia incurabile? Stava morendo? 

Quella di Glimmer era solo una semplice febbre, ma la fantasia degli innamorati preoccupati spesso porta a giocare brutti scherzi. 

Se in quei dieci giorni Bow non aveva insistito più di tanto nel vederla, era solo per una questione di orgoglio. Però si ripromise che se entro quella sera Glimmer non lo avesse fatto chiamare, sarebbe andato lui da lei a qualunque costo. 

Freccia. Arco. Tiro. Bersaglio mancato. 

Mancato. 

Mancato. 

Mancato. 

Bow sentiva il sudore imprimergli la pelle, i capelli scarmigliati sulla fronte, le dita appiccicate tra di loro. 

Prese un respiro profondo, quando una leggera brezza di stelle lo raggiunse, cullandolo dolcemente. 

Un tintinnio e un profumo di caramello lo investirono. 

“Bow?” si sentì chiamare da dietro. Bow fece fatica a girarsi. Aveva paura di star vivendo un sogno. 

“Bow?” ripeté Glimmer. O meglio, la voce di Glimmer. Non era possibile che lei avesse avuto le forze per teletrasportarsi fin lì. Se davvero stava per morire. 

Quando si girò verso la voce, Bow credette di avere un’allucinazione. 

Glimmer era lì, di fronte a lui, con il viso pallido e il corpo afflosciato. Eppure i suoi occhi brillavano come non facevano da tempo, e, nonostante il suo volto fosse un po’ emaciato e provato dalla febbre, il suo sguardo esprimeva pura felicità. 

“Glimmer” mormorò lui, non ancora disposto ad ammettere che quella visione non fosse frutto della sua mente. 

Al sentire di nuovo la sua voce per quello che le era parso così tanto tempo, Glimmer fece uno di quei sorrisi tristissimi che solitamente precedono il pianto. 

Difatti, le lacrime non tardarono ad arrivare. 

“Mi dispiace” sussurrò con voce strozzata. 

Nuovamente di fronte a Glimmer, Bow le perdonò immediatamente tutto, fece cadere a terra l’arco e la prese tutta tra le braccia, circondandole i fianchi, la schiena, il capo, e ispirando profondamente il suo profumo, di cui non aveva sentito la mancanza che aveva provato fino a quel momento. 

Glimmer gli imbrattò il petto di lacrime e moccio, ma a Bow non importava affatto. Era semplicemente felice di averla di nuovo tra le braccia, di sapere che stava bene e che non lo odiava. 

“Glimmer…” riuscì solo a farfugliare, mentre con le dita le accarezzava piccole ciocche di capelli. 

Lei si strinse ancora di più a lui, aggrappandosi alla sua schiena. Il cuore di Bow perse un battito. 

Glimmer non riusciva a proferire parola. Quando tentava, le uscivano solo gemiti strozzati, e allora si rifugiava ancora di più nel petto di Bow. All’improvviso, tutte le emozioni che aveva fatto fatica a condividere con lui esplosero in un vortice di lacrime e singhiozzi. Bow non aveva bisogno di parole. Aveva capito sin da subito come si sentiva Glimmer. Le sue paure, ansie, preoccupazioni. Certo, non era come viverle in prima persona, ma avrebbe fatto di tutto pur di alleviare un po’ la sofferenza di Glimmer. 

Mentre lei piangeva e dava via libera alle sue emozioni, Bow la consolava, accarezzava, confortava. Le sussurrava parole dolci, leggeri sospiri. 

Erano circondati come da un’atmosfera magica, fatta di battiti di farfalle, gracidii di rane, tintinnii di gocce di rugiada che si infrangevano al suolo. Odore di pioggia e di fiori. Di sale e di miele. 

Ormai i singhiozzi di Glimmer erano tornati ad essere dolci respiri, sul suo volto era tornato un debole sorriso. Ma pur sempre un sorriso. Di quelli stanchi ma felici, di chi dopo tanto tempo ritrova la serenità. 

“Bow?” mormorò Glimmer, appoggiando il mento sul suo petto, incrociando gli occhi con i suoi. 

Bow tornava finalmente a vedere le sue iridi di stelle. La sua aurea scintillante. 

“Sì?” rispose, sebbene i suoi occhi parlassero già da sé. Per guardarla meglio, le avvolse le grandi mani di cacao intorno ai fianchi, in un gesto dolce e romantico. 

Glimmer trattenne il respiro. Adorava quando Bow la teneva per i fianchi. E lui lo sapeva. 

Le venne da ridere. 

Anche a Bow. 

Risero di una risata cristallina, pura e allegra, come lo scorrere dell’acqua nel fiume, o il soffio del vento tra le foglie. 

Bow tornò serio per un istante, godendosi la visione di una Glimmer nuovamente felice. 

“Ti amo, Glimmer."

Glimmer trasalì alla tremenda dolcezza con cui quelle parole erano state pronunciate. Le tornò quasi da piangere, ma sicuramente non per la sofferenza. 

Con una mano prese ad accarezzargli la guancia, mentre con l’altra si aggrappò al suo collo. Si alzò in punta di piedi, sentendo il terreno sgranocchiare sotto le dita. 

Questa volta fu Bow a rabbrividire, mentre osservava Glimmer farsi sempre più vicina. 

Il suo cuore si fermò quando, a pochi centimetri dalle sue labbra, Glimmer sussurrò. Quello che disse Bow non lo capì perfettamente, ma ogni volta che ripensa a quel momento gli piace immaginare che Glimmer avesse risposto alla sua spontanea dichiarazione d’amore che, sebbene non fosse la prima, gli provocava ogni volta un po’ di imbarazzo. 

E dopo quel mormorio, lei si era fatta così vicina a lui, che parevano quasi essere una cosa sola. Glimmer si sentiva di essere rinata, e, specchiandosi nello sguardo di Bow, si vedeva finalmente felice. Dopodiché, chiuse gli occhi. 

E anche Bow. 

E poi le loro labbra si incontrarono.

   
 
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