Anime & Manga > Il grande sogno di Maya
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Autore: Nisi    01/06/2020    3 recensioni
Revisione completata, pubblicazione riprende regolarmente.
'E' piuttosto improbabile che in questi boschi lei possa incontrare l’imperatore del Giappone e consorte, quindi l’abito da cerimonia non è richiesto.”
Shiori lo guardò male, agitandogli sotto il naso un maglione di pile. “Questo abbigliamento non mi dona affatto.”
Kenji si tolse gli occhiali e le diede una buona occhiata. “E’ bella lo stesso. E badi, questo non è un complimento, ma una oggettiva osservazione della realtà!”
Non è umanamente possibile che in una persona sola si concentrino tanti difetti: piattola, lagna, viziata, macigno, pallista, intrigante, nevrotica, cozza…
Ci ho pensato su e sono giunta alla conclusione che Shiori l’abbiano fatta diventare così.
Quindi quello che ci vuole è qualcuno che la rieduchi, nella fattispecie un serioso ingegnere con una spiccata tendenza alle gaffes
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'I tre volti della Dea'
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“Non è un uccello, questo. Abbiamo qui niente po’ po’ di meno che Shiori Takamiya”, l’occhialuto l’aveva evidentemente riconosciuta.
“Come fa a sapere chi sono?” domandò Shiori piuttosto perplessa.
“Le sue foto sono su tutti i giornali” rispose l’uomo con il tono di chi sta constatando l’ovvio e che cercasse di spiegarlo a un mentecatto. “Comunque, io mi chiamo Kenji Kawahara”

A quel punto Shiori si mise le mani nei capelli. Solo metaforicamente parlando perché non voleva rovinarsi l’acconciatura, fresca di parrucco. Il coso numero due aveva ragione, purtroppo: evidentemente il benservito del giovane Hayami alla rampolla dei Takamiya aveva fatto il giro di tutto il Giappone e i giornalisti avevano trovato lo scoop della settimana. Kenji Kawahara? Dove l’aveva già sentito quel nome?

Nemmeno in quel caso una frignata sarebbe servita a molto, quindi Shiori si limito ad incassare meglio che poté (non troppo bene, in verità, mise giù un muso che le arrivava alle ginocchia, tanto con quei due cosi mica si doveva sforzare a far la perfettina).
A quel punto, il coso numero uno si rivolse al coso numero due mimando il gesto di girare il volante. Coso numero due lo guardò in tralice: “Vuoi che ti porti a fare un giro in macchina?” Coso numero uno scosse vigorosamente le testa e indicò Shiori che reggeva ancora tra le mani la tazza del tè.
“Credo che voglia che lei mi accompagni” lo informò Shiori laconica e piuttosto desiderosa di tornarsene da Samsonite e Trolley che erano una compagnia più divertente dei due cosi.
“Come vuole” sospirò il secondo, rassegnato a un triste fato (la rima è involontaria). “Coraggio, venga”.
Shiori si alzò in piedi e in quella si ricordò di essere scalza, se non consideriamo uno stivaletto di fango secco una calzatura. “Ho bisogno delle mie scarpe”.
“Prego, faccia pure.”
“Lei non ha capito… Ho bisogno che qualcuno mi recuperi le scarpe”.
“Vedo che lei è in grado di camminare, perché non ci va lei?”
“Perché sono incastrate nel fango e anche perché non so dove siano”.
“Come non lo sa? Di solito se uno perde le scarpe se ne dovrebbe accorgere.”
Shiori sospirò. Coso numero due era peggio di numero uno, che almeno non parlava. “Coso numero… Il suo amico mi ha portato qui in spalla e non ho visto la strada e sono di Christian Louboutin”
“Lei mette le scarpe di qualcun altro? E le sue?”
Shiori era shockata: quel coso non aveva nemmeno una vaga idea di chi fosse Christian Louboutin, evidentemente. E questo bastava di fare di lui uno zotico senza speranza. “Christian Louboutin è uno stilista francese famoso per le scarpe e le borse”, mormorò esasperata da tanta ignoranza, provando un’intensa nostalgia per la civiltà. Shiori era così demoralizzata di trovarsi in quel posto dimenticato da tutti da fare quasi tenerezza. Quasi.
Coso numero due uscì senza dire una parola e rientrò poco dopo con in mano un paio di stivali da pescatore. “Tenga, si metta questi.”
“No, lei non ha capito, io questi cosi (e tre!) non li metto. Sono orribili!”
L’uomo li sollevò e finse di studiarseli ben bene. “In effetti, non credo siano particolarmente belli. Però si intonano bene al fango che ha sui vestiti”
“Io non li metto.”
“Allora niente scarpe.” rispose placido e laconico Kawahara-san.
“E va bene. Però mi deve promettere che non dirà a nessuno di avermi vista coperta di fango e con addosso quei… quei…”
“Stivali, si chiamano stivali. Glielo prometto, non si preoccupi”.
“Soprattutto non lo dica ai giornalisti.”
“Non c’è pericolo, quella gente non mi piace.”
Se non altro nemmeno lui li amava.

Shiori avanzava dietro l’uomo. Anzi, sarebbe meglio dire arrancava. Gli stivali erano di parecchie misure più grandi della sua, l’uomo camminava a grandi falcate e quando Valentino aveva creato l’abito che indossava, era piuttosto improbabile che stesse pensando a una specie di safari in mezzo alla melma.

Per fortuna non dovettero camminare molto e l’uomo si girò a guardarla dopo aver fissato le scarpe letteralmente sommerse dal fango.
Si chinò e le raccolse. “Però! Ci vuole del talento.”
“Per fare cosa?”
“Per camminare su questi trampoli”
Shiori scosse graziosamente il capo. “Grazie, ma è solo questione di abitudine”.
Kenji fece spallucce. “Sarà, ma io non ci proverei nemmeno.”
La donna lo guardò scandalizzata: “Ma certo che non ci proverebbe, i tacchi le portano le signore!”
”Già, anche questo è vero. A proposito, prego!” e le porse le scarpe inzaccherate.
“Penso che ormai siano rovinate” osservò Shiori mortificata.
“Non se la prenda, lei potrà comprarsene anche duecento paia, di queste scarpe.”

Shiori non disse niente, ma gli prese le Louboutin dalle mani e girò sui tacchi – no,  non proprio – e si diresse silenziosamente e con tutta la dignità che le consentivano gli stivaloni, verso la casa di Coso numero uno.
“Aspetti, non si sarà mica offesa?” Kenji la raggiunse con tre passi tre.
“Keep your breath to cool the porridge” sibilò Shiori la quale spaventosa buona educa
zione le impediva di mandare a sedere sul water chiunque, ma non le citazioni colte, soprattutto da Orgoglio e Pregiudizio e persino in inglese. Tanto coso numero due non capiva di certo l’inglese.
Kenji sorrise per la prima volta dopo che un veloce lampo di interesse gli aveva per un attimo illuminato lo sguardo pacifico: “Va bene, mi scusi, non avrei dovuto rispondere così e lei non ha bisogno di dirmi in inglese per stare al mio posto, il giapponese lo capisco.”
“Perché ride?” se c’era una cosa che Shiori non sopportava è che si ridesse di lei. Dopo che la si scaricasse per una ragazzetta, naturalmente.
Lui sorrise ancora: “Perché lei è la cosa più divertente che mi è capitata oggi.”
Incerta se prenderlo come un complimento o meno, Shiori abbozzò una sottospecie di inchino. “Molto gentile.” Ora però vorrei andare a salutare il suo amico e a ringraziarlo.”
Kenji le lanciò un’occhiata sorpresa, ma non disse nulla e continuò a camminare verso la casa di coso (scusate il gioco di parole), con in mano le scarpe che perdevano pezzi di fango man mano che il tempo passava.

Entrarono in casa e Shiori si ritrovò davanti l’uomo che l’aveva tirata fuori dalla melma. “La ringrazio per quanto ha fatto per me, è stato molto gentile”. E si inchinò compita. Per tutta risposta, l’uomo le cacciò in mano un’altra tazza di tè. “Beh, grazie anche per il tè…” mormorò stupita e si affrettò a trangugiare la bevanda, visto che sentiva ancora molto freddo.
Kenji aspettò pazientemente che avesse finito. “Allora andiamo?” e senza attendere risposta, uscì e si avviò verso il suo cocchio. In realtà non si poteva parlare di cocchio, ma di una roba su quattro ruote (beh, Shiori sperava ne avesse quattro) che aveva visto ere geologiche migliori. Di colore imprecisato e schizzata dello stesso fango che aveva inzaccherato le Louboutin di Shiori.

“Cos’è quella?”
Kenji la fissò per un attimo e rispose serissimo: “La carrozza che la riporterà a Meryton”.
Shiori dimenticò per un attimo il ribrezzo verso quella cosa che Kenji si ostinava a chiamare macchina per fissarne il proprietario con uno sguardo sorpreso. “Non è solo lei a citare Jane Austen, signorina”. Proseguì lui quietamente.

Shiori ricambiò lo sguardo con curiosità. Non aveva mai conosciuto un giapponese di sesso maschile che ammettesse tranquillamente di conoscere Jane Austen ed era rimasta talmente sorpresa da essersi accomodata in auto senza fiatare, anche perché l’interno della vettura era scrupolosamente pulito.
“Allora, dove la porto?”
“Al Sabishii Ryokan”.
“Però! Ci trattiamo bene.”
“E’ passabile.” Concesse Shiori.
“Altroché. E’ il migliore albergo della zona.”

L’uomo guidava in silenzio, concentrandosi sulla strada dinnanzi a sé. Era evidente che conosceva piuttosto bene quelle parti perché arrivarono davanti al ryokan nel quale alloggiava Shiori in pochi minuti.
Kenji spense il motore e si voltò a guardarla. “Signorina Takamiya, che cosa è venuta a fare, qui?”
Shiori teneva parecchio alla sua privacy, ma soprattutto non voleva certo che quel bifolco con la coda ridesse di lei. “Turismo. Sono una turista. Mi hanno detto che qui l’aria è buona e fa molto bene.”
Kenji scrollò il capo, sogghignando.
“Perché ride? Le sembra una cosa stupida?”
“No, affatto. Solo che non può essere la verità.”
“E perché mai? Come posto per fare turismo, mi sembra ottimo.”
“Oh, certamente. Ma chiunque viene in questo luogo è perché sta cercando qualcosa. Non si preoccupi, signorina, non le chiederò cosa va cercando lei. In fondo non sono affari miei. Mi permetta però di darle un consiglio. Se vuole fare del turismo – e calcò l’accento sulla parola turismo – questi non sono gli abiti adatti. Davanti al suo ryokan c’è un ottimo negozio di abbigliamento sportivo. Si compri qualcosa lì. Temo che le sue Louboutin non sopporteranno un'altra sessione di snorkelling nel fango.”
“Sì, grazie per il consiglio. Farò così. E grazie per il disturbo, le ho fatto spostare la macchina.”
“No, nessun disturbo. Dovevo venire comunque in città per fare delle commissioni.” Senza aggiungere altro, Kenji uscì dalla macchina lasciandola  sola.

Shiori era francamente stupita. Non le era mai accaduto che chiunque non le aprisse la portiera e la aiutasse a scendere, tantomeno che la piantasse in asso a quel modo. Pazienza, c’era una prima volta per tutto, anche per un Coso maleducato e poco civilizzato.

Però doveva ammettere che il Coso le aveva dato un consiglio sensato, quindi entrò nel negozio di articoli sportivi e fece incetta di tutto quello che pensava potesse esserle utile, sotto gli occhi allibiti della giovanissima commessa che la osservava riempire il carrello di attrezzatura adatta per una spedizione in Antartide, per un safari in Sud Africa e per un trekking sulle Ande.

Shiori era una donna d’azione: da quando era entrata nel negozio fino al momento in cui aveva strisciato la sua Amex era passato sì e no un quarto d’ora.
Uscì con quattro borse piene zeppe di roba e si scontrò col Coso.
Kenji la guardò stranito. “Che diavolo ha comprato?”
Come osava rivolgerle la parola in quel modo? “Ho semplicemente fatto quello che mi ha consigliato, ho preso qualcosa di adatto.”
A quel punto, Kenji cominciò a sghignazzare. “Vediamo, una piccozza, dei ramponi… , manca solo un fucile a canne mozze. C’è di che aver paura.”
Shiori ora era veramente offesa. “Cos’è che non va?”
Kenji fece un eroico tentativo di tornare serio e le spiegò pazientemente. “Lei ha bisogno di un abbigliamento da mezza montagna. Non deve partecipare ad una spedizione alle isole Svalbard, credo. E nemmeno ad un safari in Zambia.” Nel vedere il viso avvilito della donna dinnanzi a lui, Kenji si sentì quasi in colpa per aver riso di lei. “Senta, se vuole torniamo dentro e l’aiuto a scegliere qualcosa di più adatto.”

Shiori non disse niente, fece solo di sì con la testa. Lei, la specialista dello shopping farsi aiutare da un uomo così poco fine ed elegante. Però tanto lì non la conosceva nessuno.
Rientrarono insieme e Kenji salutò la commessa. “Sumire-chan, forse la signorina si è fatta un po’ prendere la mano. Che ne dici se ti rendiamo qualcosa e scegliamo dell’altro?”
“Sì, Kenji-kun, va benissimo.”
Quindi l’uomo svuotò quasi completamente le quattro borse. Rimase solo una borraccia, una canotta e un cappello. Si girò verso Shiori spiegandole:”Ha bisogno di calzature comode, meglio delle pedule, così le tengono ferme le caviglie e la proteggono dalle storte. Quindi dei calzoni sportivi, delle magliette, un paio di camicie, un giubbetto impermeabile, delle felpe. Per esempio questa.” E le porse una maglia che Shiori rifiutò con un gesto sdegnoso del capo.
“Perché?” le domandò Kenji genuinamente stupito. “Cos’ha questa felpa che non va? E’ comoda, pratica e calda, proprio come deve essere una felpa.”
 “Quel colore andava di moda l’anno scorso.” Rispose ad un allibito Kenji.
“Senta, io sono un uomo e per giunta ingegnere. Cosa vuole che ne sappia io di moda?”
“Niente, è chiaro” rispose piccata Shiori lanciando uno sguardo eloquente alla camicia che indossava.
L’uomo ignorò il commento, scosse la testa e si grattò il capo. “Senta, allora facciamo così: io le dico cosa prendere e lei sceglie il colore, va bene?”
“Mi sembra ragionevole. Anche se devo dire che questi abiti non sono molto eleganti.”
“E’ piuttosto improbabile che in questi boschi lei possa incontrare l’imperatore del Giappone e consorte, quindi l’abito da cerimonia non è richiesto.”
Shiori lo guardò male. “Questo abbigliamento non mi dona affatto.”
Kenji si tolse gli occhiali e le diede una buona occhiata. “E’ bella lo stesso. E badi, questo non è un complimento, ma una oggettiva osservazione della realtà. Per una volta se ne freghi di quello che indossa, almeno in questo posto.”
Finito che ebbe di darle assistenza,  ancora una volta la piantò in asso.

* * *

Ringrazio con un inchino profondo Tetide e Garakame per le gentili recensioni.
   
 
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