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Autore: CatherineC94    01/06/2020    6 recensioni
«Beh, meno persone in giro ci sono, meglio si vive» disse lapidario, provocando le risa della donna che allargando le braccia rispose: « Mi dai l’impressione di essere un orso, un orso gigante di quelli polari che vuole vivere da solo nella sua tana!».
Si come no, pensò, un orso che ama uscire solo nelle notti di luna piena e mordere chiunque gli capiti a tiro, pensò Remus, reprimendo la risposta e sorridendo di rimando.Tonks gli fece cenno di continuare a salire verso la collina e rispose cristallina: «C’è così tanto là fuori, ti perdi un sacco di cose facendo così»; Remus avvertì un groppo al cuore e senza sapere il perché, mentre Tonks gli fece l’occhiolino.
Storia quarta classificata al contest "Merlino li fa e poi li accoppia" indetto da Shellcott sul Forum di EFP.
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nimphadora Tonks, Remus Lupin, Sirius Black | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
- Questa storia fa parte della serie 'I Malandrini'
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Storia partecipante al contest "Merlino li fa e poi li accoppia" indetto da Shellcott sul Forum di EFP. 

 
Bell’affare!
 
Mentre gli ultimi raggi del sole abbandonavano il cielo, il crepuscolo avvolgeva lentamente i profili degli antichi palazzi; l’atmosfera era pacifica e satura di promesse, come solo una sera d’estate poteva esserlo. Quell’estate, era una delle più calde degli ultimi cinquant’anni; il paese verteva in un profondo stato di agitazione dovuta alla siccità. Ovunque, si potevano intravedere i tipici prati curati trasformati in piazzole aride e di un color verdognolo che richiamavano le canne secche che si muovevano vicino ai piccoli stagni, nei pressi di Grimmauld Place.
Nel viale alberato regnava la pace, solo un gruppo di tre adolescenti passeggiava ignaro, ridacchiando di fronte all’erroneo numero delle case; mancava infatti il numero dodici, ma ormai tutti ci avevano fatto l’abitudine. In effetti, non era un errore dovuto all’inadempienza di qualche ufficio comunale anzi era tutti il contrario; il numero dodici esisteva, ma era invisibile agli occhi della popolazione non magica. Dentro l’edificio, disabitato per anni si trovavano i membri dell’Ordine della Fenice, l’organizzazione che lottava contro l’imperversare del mago più crudele ed oscuro degli ultimi anni.
Grimmauld Place, un tempo dimora di una delle casate più importanti del mondo magico, i Black, era in quel frangente temporale il varco per la salvezza e per la redenzione, mentre per altri ancora era solo una mascherata prigione che spalancava le porte verso un passato felice, perduto ed attualmente asfissiante.

Nella cucina annerita, due uomini stavano seduti attorno al lungo tavolo di legno tediato dal tempo; il tempo sembrava essersi fermato in quell’abitazione così oscura ed ombrosa, specialmente quel luogo. A Sirius Black, l’ultimo padrone in vita dell’antico maniero quella casa sapeva di caverna oscura, satura di male e malvagità; essere lì significava ripiombare in un vortice malsano e James questa volta non era lì per salvarlo. All’altro lato del tavolo, Remus Lupin trascriveva i dati raccolti dalla precedente perlustrazione; di tanto in tanto osservava il suo amico desideroso di ritrovare una piccola scintilla di ciò che era prima, ma senza successo.

«Harry? » chiese Remus tranquillo, mentre riguardava per la decima volta la pergamena.
Sirius si alzò, slacciando il primo bottone della camicia e rispondendo mesto: «Di sopra con gli altri due. Arthur e Molly sono usciti per fare compere; non l’ha presa molto bene la faccenda dei calderoni. Almeno si distrae un po’, tende ad eccedere con le ramanzine».
Remus lo guardò furtivamente; Sirius ancora non aveva accettato le parole dure di Molly durante la cena dell’altro giorno, quando aveva chiaramente messo al tappeto l’amico.
«Non dovresti prenderla sul personale, Molly lo fa per Harry. Credo che in parte abbia ragione» convenne Remus posando il foglio sul tavolo e fissando Sirius che tracannava un bel sorso di Brandy. Gli occhi grigi, che un tempo erano stati belli e sorridenti avevano un qualcosa di spiritato e di doloroso; in quel momento l’amico non dava segno di averlo sentito, lo sguardo era perso forse in qualche corridoio di Hogwarts di quasi venti anni fa.

«Ahi! Ma cos’è questo? Dannato Dung!» gridò una voce squillante facendoli voltare di scatto; era Ninfadora Tonks, figlia di Andromeda, cugina di Sirius. Quel giorno aveva un look davvero stravagante: lunghi capelli neri, occhi blu e bocca piccola; probabilmente aveva pedinato qualcuno. Fra le mani teneva uno dei calderoni rubati di Mundugus Fletcher, che senza alcun dubbio era  scampato alla razzia di Molly Weasley e Tonks entrando l’aveva travolto sbadatamente; mentre furibonda tornava al suo aspetto normale, dall’ingresso la voce di Walburga Black si disperse rapidamente:
«Sudici ibridi! Zozzura della società! Voi! Nella casa dei mie padri!; Sirius si alzò cupo, dirigendosi verso il quadro per metterla a tacere, mormorando un:« Adoro la sua voce, dolci ricordi». Remus lo guardò allontanarsi, mentre Tonks si avvicinava tutta sorridente verso di lui; l’uomo la guardò per un nanosecondo, distogliendo poco dopo lo sguardo.
Lei si sedette, mise i piedi sul tavolo ed agguantò un calice appellando la bottiglia di Brandy che Sirius aveva lasciato incustodita; “Molto male” pensò Remus “ Mai rubare l’alcol a Sirius”.

Ma Tonks aveva l’aria di saperla lunga, ed ancora sorridente lo guardò insistentemente mentre beveva un sorso; Remus pensò ancora che per essere una donna, era tutto il contrario di ciò che si potesse aspettare. Era molto diversa dalle ragazze che aveva conosciuto durante i suoi anni ad Hogwarts; Tonks era simpatica, intelligente un po’ sbadata, ma molto coraggiosa; per lo meno era ciò che tutti gli ripetevano in continuazione. Remus l’aveva dovuta incontrare a Grimmauld Place, quella sera: sarebbe stata per loro la prima missione e l’uomo era davvero curioso di vedere come avrebbe reagito sul campo. La guardò ancora, i suoi capelli rosa cicca, le piccole collanine e l’aria sbarazzina erano attraenti; era sicuro che James l’avrebbe definita ganza. E nel farlo sospirò ancora una volta triste, avrebbe avuto tanto bisogno di lui in quei momenti; il vuoto lasciato dalla sua perdita era davvero enorme ed incolmabile.
«Tutto bene? Perso nella tua dimensione? In effetti lo siamo un po’ tutti ultimamente» disse Tonks sghignazzando, mentre accavallava un piede sull’altro; Remus si svegliò  dal solito trance nostalgico e schiarendosi la voce disse: «Si tutto bene, che hai in tasca?». Si maledisse per la sua curiosità, non avevano un rapporto molto confidenziale; però i due pacchetti che spuntavano gli suggerivano qualcosa di nascosto fra i ricordi, infatti poco dopo..

«Cuginetta, allora le mie sigarette babbane?» chiese Sirius tutto smanioso entrando nella sala; ecco, avrebbe dovuto ricordarsi del progetto del suo ultimo amico rimasto in vita, ovvero quello di uccidersi con qualsiasi vizio possibile e immaginabile. Le sigarette erano legate alle nottate nel dormitorio a scrivere e creare mappe, a studiare e a ridere del mondo, invincibili.
«Eccole. Ah, ti lascio anche questo regalo per Ginny, se non ricordo male ha compiuto gli anni» affermò radiosa, lasciando un pacchetto tutto infiocchettato; Sirius annuì, lasciandosi sprofondare nella sedia.
«Ninfadora direi che dobbiamo andare» disse Remus guardando l’orologio; subito i capelli da rosa divennero rosso fuoco e la donna mormorò tagliente: « Non chiamarmi Ninfadora, mai più. A meno che tu non voglia ritrovarti qualche parte del corpo maciullata!». Afferrò così il soprabito, buttò di lato il calderone e fece un  cenno col capo il cugino a mo’ di saluto, che un po’ malizioso e un po’ nostalgico la salutò con un cenno di rimando.
«Buona fortuna, e fatti onore Remus» sibilò zuccheroso Sirius alzando il calice ricolmo di Brandy in sua direzione, mentre Remus con un cenno e con una smorfia perplessa afferrò il mantello logoro e la seguì nella sera inoltrata.

Nella strada di Heworth, regnava il silenzio, rotto ogni tanto dal rumore delle gomme da masticare di Tonks; Remus la seguiva silenzioso e con curiosità crescente. Da quando avevano lasciato casa di Sirius, la donna si era dimostrata attenta e vigile, il contrario di come si era immaginato lui; aveva fatto un giro in quel piccolo sobborgo perché Silente, aveva avuto una soffiata. I Mangiamorte avevano preso di mira due famiglie al di là della collina e toccava a loro sorvegliarli; continuarono a camminare ancora per un po’, mentre Tonks si guardava intorno curiosa.
«Mi piacerebbe vivere qua. Tutto pulito e silenzioso» disse di punto in bianco Tonks, lasciando Remus interdetto; non aveva ancora capito quando erano passati al livello successivo per quanto riguardava le confidenze.

«Beh, meno persone in giro ci sono, meglio si vive» disse lapidario, provocando le risa della donna che allargando le braccia rispose: « Mi dai l’impressione di essere un orso, un orso gigante di quelli polari che vuole vivere da solo nella sua tana!».
Si come no, pensò, un orso che ama uscire solo nelle notti di luna piena e mordere chiunque gli capiti a tiro, pensò Remus, reprimendo la risposta e sorridendo di rimando.
«Diciamo che amo vivere nel mio mondo, sono molto introverso» disse di getto Remus, senza nemmeno sapere  perché lo avesse fatto.
Tonks gli fece cenno di continuare a salire verso la collina e rispose cristallina: «C’è così tanto là fuori, ti perdi un sacco di cose facendo così»; Remus avvertì un groppo al cuore e senza sapere il perché, mentre Tonks gli fece l’occhiolino.
 
Arrivati alle case, tutto era stranamente silenzioso; i sensi di Remus erano all’erta. C’era qualcosa di strano, qualcosa non tornava; guardò Tonks che piano tentò di avvicinarsi alle abitazioni quando un getto verde la mancò per un millimetro.
Era una trappola! Si avvicinò rapido sfoderando la bacchetta verso la fitta boscaglia che circondava le due case  facendo da scudo a Tonks; «Fra due secondi, ci precipitiamo lì» sussurrò Remus sicuro, mentre Tonks annuiva. Tre, due, uno…
«CORRI! REMUS! CORRI! NASCONDIAMOCI! »urlò Tonks, mentre due uomini incappucciati si palesavano; così infuriò la battaglia.
Remus riconobbe Avery e Crabbe, che con un ghigno li incitavano al combattimento; Guardò Tonks, mentre metteva Avery al tappeto, si muoveva rapida però Crabbe stava per sopraffarla. Per la prima volta dopo molti anni, Remus ebbe paura e con un urlo belluino si lanciò, feroce buttandolo a terra; Tonks spalancò gli occhi, mentre Crabbe si allontanava ammaccato.
Li guardò sghembo e puntando verso le case urlò: « MORSMORDRE!», e con fare provocatorio si alzò la  manica del mantello, poggiando la bacchetta sul Marchio Nero.
Remus impallidì, se non scappavano subito sarebbero stati spacciati; trascinò Tonks velocemente verso la boscaglia, furioso ed impetuoso. La sua vita non aveva molta importanza in confronto a quella della ragazza; procedevano a tentoni senza sapere dove poggiare i piedi.
«Lumos» bisbigliò, ritrovandosi in una piccola radura; fiutò l’aria, erano al sicuro. Si voltò a sguardare Tonks che lo fissava sorridente; «Grazie Remus, mi hai salvato la vita» gli disse grata.
Remus face un sorriso stiracchiato e voltandosi le disse« Da qui ci possiamo smaterializzare. Ci vediamo domani per la riunione». Lei lo guardò un po’ delusa e con un guizzo speranzoso gli disse: «Si certo. Senti, ti andrebbe una pinta di Idromele da Madama Rosmerta?».
Remus ebbe un tonfo al cuore; avrebbe tanto voluto dire di si; guardò la luna in cielo, mancava un quarto per il plenilunio.
«Mi dispiace ecco, sarà per la prossima volta» balbettò, scomparendo.
Arrivò di fronte alla porta di Grimmauld Place poggiò la mano, affannato. Era ridicolo, cosa avrebbe dovuto rispondere? Un mostro come lui non avrebbe mai potuto stare con una donna; un profondo senso di tedio lo avvolse, quando ripensò agli occhi vivaci di Tonks.
Entrando quasi in trance, raggiunse la cucina dove ritrovò Sirius esattamente dove e come l’aveva lasciato tranne che per la presenza di due bottiglie vuote e un cumulo di mozziconi di sigarette.
«Lunastorta, tutto bene la missione?» disse con un tono ammiccante. Remus lo guardò indispettito, di solito non lo chiamava mai così, doveva essere davvero ubriaco; il cassetto “James-Malandrini” era un capitolo chiuso a doppia mandata.
«Benissimo. Riempimi un bicchiere, vecchio ubriacone» rispose Remus a denti stretti, lasciandosi cadere stancamente sulla sedia, provocando un eccesso di risate  all’amico. Remus lo guardò inebetito; da quanto non rideva così sguaiatamente? Per un attimo, fu solo un lampo, gli sembrò di rivedere il suo vecchio amico; poi però, assottigliando lo sguardo notò un luccichio agli angoli degli occhi.
«Ti abbiamo perso, lupastro mi sa. Ah! La cara cuginetta!!» sghignazzò Sirius, mentre Remus bevendo un sorso del liquido ambrato risposte affranto: « Già, bell’affare!».
Sirius batté un pugno sul tavolo annuendo.
«Uno come me non ha diritto a questo, e lo sai bene» bisbigliò Remus bevendo un altro sorso di Whisky; dal canto suo Sirius gli riservò uno sguardo gelidamente perforante, mormorando: « Sono solo stupidaggini e lo sai; se James fosse qui, ti prenderebbe a calci».
Remus sospirò, alzando lo sguardo assieme a Sirius quasi sperando che entrasse da quella dispensa, con i suoi capelli improbabili, gli occhiali storti e una smorfia di disappunto per ciò che aveva detto poco fa.
Non seppe mai se fosse stato l’alcol a farlo confessare, oppure la voglia di normalità; sapeva solo che l’aveva fatto. Poterono giurare, ma questo era solo nei loro confusi e sbronzi sogni forse, di non essere stati soli quella notte; e come diceva Sirius, Ramoso non sarebbe potuto mancare in un momento come quello.
«Per gli slip di Merlino! Lunastorta è cotto a puntino! Bell’affare davvero!» gracchiò Sirius alticcio, mentre Remus sospirava per l’ennesima volta disperato.
   
 
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