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Autore: E_AsiuL    02/06/2020    0 recensioni
Aine era stanca. Stanca di tutto e tutti. Stanca della vita che faceva. Qual era lo scopo di tutto quello che aveva passato nei suoi seicento anni? Aveva perso così tanto è guadagnato così poco… aveva perso la maggior parte della sua famiglia, tranne Marge e Adam, aveva perso i suoi amici. Sì, aveva conosciuto tantissime persone, solo per doverle perdere, prese dal freddo e implacabile bacio della morte. E aveva perso lui. L'unica persona che avesse davvero contato qualcosa per lei. L'unica persona che avesse davvero amato. L'unica persona che fosse stata in grado di farla sentire umana, quando non lo era più stata. Che l’amava, anche quando era diventata il mostro che era ancora.
Genere: Malinconico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Tematiche delicate
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4 – Moonlight Sonata
 
Lyv si accarezzava il ventre gonfio, seduta sulla sedia accanto alla finestra. Osservava il mondo farsi sempre più buio, la neve che ricopriva il giardino striata dalla luce viola del crepuscolo. L’unico suono, nella stanza, oltre al suo respiro, era il crepitare dei ciocchi nel camino. Sospirò, pensando a come era finita su quella sedia, in quella stanza, in quella casa.

Suo padre l’aveva trovata, pochi giorni dopo quella notte con Bryan. Aveva mandato i suoi sgherri a cercarla, battendo ogni vicolo e ogni cantina. L’avevano portata via dalla strada, tra urla e botte, per gettarla ai piedi di suo padre come un sacco di immondizia. E lei era rimasta lì, il vestito sporco e logoro, un grosso livido sul volto – dove uno degli uomini di suo padre le aveva assestato una sberla – i capelli venuti via dalla treccia, e nemmeno per un attimo aveva alzato gli occhi su suo padre. Dal canto suo, lui non aveva espresso nessun commento sul dove e in che condizioni era stata ritrovata sua figlia. Le aveva solo intimato di alzarsi, seguire la cameriera e rendersi presentabile per incontrare il suo futuro marito. E che il matrimonio si sarebbe tenuto in capo a pochi giorni, che lei volesse o no. Perché lui aveva pagato – e non poco – il suo futuro genero perché la sposasse, alzando il prezzo promesso in virtù del suo disonore.

La vendita – Lyv non l’avrebbe mai definito un matrimonio – era avvenuta con successo pochi mesi prima, e lei era stata trasferita in casa di suo marito Dylan. Nominalmente, era la signora e padrona, ma, nei fatti, era prigioniera. Reclusa nella sua stanza o seguita a vista ovunque andasse. La sua unica consolazione era la piccola vita che le cresceva in grembo. Nonostante lo zelo di suo marito, e il suo vantarsi di essere riuscito praticamente subito a farla restare incinta, Lyv aveva la certezza che quel bambino non era stato concepito nel talamo nuziale, ma fosse frutto della sua ultima notte con Bryan. Era solo quella speranza a tenerla in piedi.

Sospirò, poggiando la guancia contro il vetro freddo. Se aveva fatto bene i conti – insieme ad Agatha, la cameriera a cui suo marito la aveva affidata – il suo bambino sarebbe dovuto nascere da lì a pochi giorni. Da un lato, non vedeva l’ora di conoscerlo, stringerlo a sé. Dall’altro, era terrorizzata. Sperava fosse figlio di Bryan, ma temeva potesse somigliargli.

Un’altra fitta la colse, appena più intensa di quelle che, da un paio di giorni, aveva iniziato a tormentarla. Gemette, portandosi entrambe le mani al basso ventre. Agatha l’aveva rassicurata più volte, dicendole che era perfettamente normale, ma che questo non voleva dire che il bambino stesse arrivando. Le aveva raccontato di come, quando aspettava il suo Sebastian, quelle fitte fossero andate avanti per almeno una settimana, prima che partorisse.

Agatha, seduta in un angolo della stanza a ricamare, le si avvicinò. «Tutto bene, Lady Blake?» le chiese, accarezzandole i capelli. Lyv annuì.

Sì. Solo un’altra fitta», le sorrise. «Aiutami a tornare a letto, per favore», le chiese. L’altra annuì, offrendole il braccio. Una volta che fu in piedi, Lyv fu colta da un’altra fitta, più forte. Strinse i denti. Sentì qualcosa di caldo scorrerle piano fra le gambe. Agatha se ne accorse.

«Signora, credo che il bambino stia arrivando».


Fu una lunga notte. Lyv non aveva mai avuto così tanta gente che le si affaccendava intorno. Ogni serva della casa girava intorno al letto, per la stanza: chi faceva bollire secchi d’acqua, chi le passava pezze bagnate sulla fronte, chi le asciugava il viso – improvvisamente sudato –, chi la faceva alzare per toglierle la camicia. E, in mezzo a tutto quel caos, la voce ferma della levatrice, fatta arrivare in fretta e furia, che le dava istruzioni appollaiata fra le sue cosce aperte. L’unica ancora in quel maremoto era stata Agatha. Le aveva tenuto la mano e sussurrato parole di conforto mentre lei piangeva per il dolore. Agatha, che le aveva baciato la tempia quando tutto era finito, e che le aveva portato la sua bambina.

Lyv quasi pianse, quando la vide. Era così piccola, così indifesa, tutta rossa e raggrinzita, con una matassa di capelli scuri – come quelli di Bryan, come quelli di Dylan – e quelli che sembravano essere i suoi occhi azzurri.

Con gentilezza, la levatrice le tolse la bambina, mentre Agatha prendeva panno pulito, immergendolo nell’acqua calda. Lyv la guardò, confusa.

«Dovete lavarvi, signora. E rivestirvi. E dobbiamo cambiare le lenzuola», spiegò, iniziando a sfregarle le cosce, cercando di essere il più delicata possibile. «Il padrone vorrà vedervi, e dovete essere presentabile».

Avrebbe voluto urlare che il padrone poteva anche andarsene all’inferno, che lei aveva appena partorito e che, se avesse voluto, sarebbe rimasta in quel letto pieno di sangue, ma si limitò ad annuire, stanca, lasciando che Agatha e le altre serve la sballottassero come una bambola di pezza.

Quando la reputarono degna di incontrare suo marito, le serve sparirono dalla stanza, lasciandola sola, la bambina avvolta nelle fasce e negli scialli, adagiata nella sua culla. L’ultima ad uscire fu Agatha, nonostante la muta supplica negli occhi di Lyv, che la pregava di non lasciarla sola con quel marito non voluto, l’uomo che l’aveva comprata come una vacca al mercato e che le aveva dolorosamente pesato addosso finché non gli aveva detto di essere incinta. Quella era stata l’ultima volta che Lord Blake era entrato nel suo letto.

Aveva pregato di partorire un maschio, così suo marito sarebbe stato soddisfatto e l’avrebbe lasciata in pace, magari sfogandosi su qualche serva o su qualche prostituta. Dio solo sapeva quanti mariti si erano sfogati con lei, quando era stata in strada.

La porta si aprì di nuovo. Lyv si voltò verso suo marito, tesa. Dylan aspettò qualche attimo, studiandola. Lyv sentiva su di sé tutto il peso dei suoi occhi verdi. La linea amara delle labbra non le faceva presagire nulla di buono. Doveva essere stato informato dalla levatrice che lei aveva partorito una femmina, e non doveva esserne entusiasta. Lentamente, si avvicinò alla culla. Si chinò, scostando gli scialli, per esaminare la bambina. Lyv trattenne il fiato, il cuore che le pulsava in gola, tanto forte e veloce da farle male.

«È femmina, e sembra gracile», commentò, severo, Dylan, sollevandosi e dirigendosi verso il letto.

«Mi dispiace», mormorò Lyv, facendosi piccola sotto la coperta pesante che Agatha le aveva poggiato addosso.

Dylan sollevò un sopracciglio, sfiorandole una mano. «Sei giovane. Avrai tempo per dalla alla luce un maschio», commentò, pendendole con forza il mento fra le dita e sollevandole il viso per costringerla a guardarlo. «E soprattutto, uno che sia mio» ringhiò, lasciandola andare. Lyv si schiacciò il più possibile contro i cuscini.

«Non capisco…» balbettò. E, invece, capiva benissimo. Sapeva – e, a quanto pareva, lo sapeva anche lui – che c’era la possibilità che fosse già incinta, quando aveva sposato Dylan, ma non poteva averne la certezza. Tra la notte con Bryan e il matrimonio erano passati pochissimi giorni, non abbastanza da dare certezze.

«Capisci benissimo, invece. Sappiamo entrambi cosa facevi, prima che ti sposassi».

«Come fate a dire che non sia vostra? Siamo sposati da abbastanza tempo perché sia stata concepita dopo le nozze» trovò la forza di ribattere Lyv, gli occhi azzurri che lanciavano strali.

Dylan rise. «Non potremo mai esserne sicuri», di nuovo, le artigliò il mento. «Per decenza, non la faccio annegare. Troppa gente si è congratulata con me per… oh… la mia abilità, nell’ingravidare mia moglie in tempi brevi. Troppa gente ha visto il tuo grazioso corpicino gonfiarsi per la gravidanza. Ma se dovesse capitare di nuovo…» non concluse la minaccia. Si allontanò da lei, avvicinandosi di nuovo alla culla.

«Bisogna trovarle un nome…» accennò Lyv, sottovoce.

«Magdalena», sputò Dylan, senza guardarla. «Per ricordarci di quando sua madre si vendeva al miglior offerente. Calzante, no?» la prese in giro. Lyv non osò rispondere. Senza aggiungere altro, Dylan lasciò la stanza.

Solo quando sentì i suoi passi allontanarsi, Lyv si concesse di piangere.
 
* * *

Lo schiaffo la colse alla sprovvista. Barcollò, ma riuscì a restare in piedi. Dylan la afferrò per un braccio, con forza.

«Cosa ti avevo detto, la notte in cui hai partorito?» le ringhiò in faccia.

«Che avreste preferito un maschio» rispose Lyv. Sapeva che non era quella la risposta che suo marito aspettava. Fu premiata con un altro manrovescio, più forte del precedente. Dylan la prese per le spalle, scuotendola con forza.

«Hai il coraggio di farlo ancora?» ruggì. «E in casa mia, per giunta!» continuò. «Dovrei lanciarti già dalle scale e risolvere il problema».

«No, vi prego», piagnucolò. Era colpevole, colpevole fino al midollo. Ma che poteva saperne, lei, che Bryan e suo marito fossero in rapporti? Che ne poteva sapere, lei, che suo marito lo avrebbe invitato a passare del tempo in casa sua? E lei era – ovviamente, stupida che non era altro – corsa più volte nel suo letto. Lo aveva incontrato, lo aveva voluto. Se solo Dylan fosse stato qualche volta nel suo letto, dopo la nascita di Magdalena… e invece, no. Suo marito l’aveva ignorata e, ora, era incinta di un altro peccato. E non poteva coprirlo.

«Pensi di passarla liscia, questa volta?» le urlò contro. «Rispondi!»

«Farò ciò che volete…» singhiozzò, a capo chino, sperando in un minimo di indulgenza, senza troppa convinzione.

«Sparisci dalla mia vista, sgualdrina», le intimò. Lyv non se lo fece ripetere due volte.

 
Qualche giorno dopo, Lyv rientrò nelle sue stanze per trovare le serve che si affaccendavano con dei bauli. Confusa, si voltò verso Agatha, che dirigeva le operazioni.

«Che succede, Agatha?» cercò di mostrarsi calma, quando, invece, avrebbe voluto urlare. Temeva che suo marito stesse per rimandarla da suo padre. Avrebbe preferito gettarsi sotto gli zoccoli di un cavallo.

«Lord Blake ha ordinato che passiate qualche tempo sulla costa. A suo parere, l’aria di mare farà bene a voi e alla bambina», rispose Agatha. Lyv colse il piano di suo marito: tenerla lontana il più possibile, in modo che nessuno sapesse che era di nuovo incinta, e trovare il modo di liberarsi del bambino. E usare la salute di Magdalena come scusa non avrebbe dato modo a nessuno di pensare che Lady Blake fosse uscita di scena per qualche segreto.

Chinando la testa, Lyv sospirò. «Lord Blake ha perfettamente ragione».

***

Poco più di un anno dopo aver dato alla luce Magdalena, Lyv si trovava in un altro letto insanguinato. E, di nuovo, partoriva una femmina. Quando Agatha gliela porse, Lyv serrò le braccia sul petto, voltandosi dall’altro lato.

«Non voglio vederla, Agatha», disse, la voce rotta. «Che senso ha, visto che me la porterà via?» singhiozzò. «Che senso ha?»

Agatha si strinse la bambina al petto. «Siete sicura?» le chiese. «Sicura di non volerla tenere nemmeno una volta? Nemmeno per dirle addio?»

Lyv scosse la testa, chiudendo gli occhi. «No, Agatha», rispose, la voce strozzata dalle lacrime. Agatha annuì, cedendo la bambina alla balia.
 

Vennero di notte, a prendersi la sua bambina. Vennero di notte, come ladri. Lyv avrebbe voluto urlare, fermarli, fare qualcosa, qualunque cosa, ma Dylan l’aveva rinchiusa. Era arrivato un paio di giorni prima, ignorato completamente Magdalena – che, povera anima innocente, sembrava pazza di lui –, controllato che sua moglie non avesse partorito un maschio, e l’aveva chiusa in camera. Per quanto poteva saperne Lyv, aveva buttato anche la chiave.

Non le rimase altra scelta che guardare dalla finestra mentre i servi portavano la sua bambina verso una carrozza, dove qualcun altro la prese e gliela portò via. Lyv sapeva che mai e poi mai l’avrebbe rivista. Pregò di addormentarsi e non svegliarsi mai più.
 
***
 
Non aveva nessuna intenzione di starsene lì seduta con le mani in mano mentre, dietro la pesante porta di legno scuro, sua madre urlava. Si chiese come facesse suo padre a restare perfettamente tranquillo, voltato verso la finestra.

«Tua madre ha l’abitudine di mettervi al mondo di notte». Dylan scosse la testa, mentre la bambina spostava su di lui le grandi iridi azzurre, incuriosita. Ma non fece domande, le era stato insegnato che non si parla senza permesso. E suo padre non le aveva dato il permesso di parlare. Non le dava il permesso di fare tante cose. Non che fosse cattivo con lei. In fondo, lei aveva solo tre anni, molte delle sue richieste spesso erano solo capricci. Sapeva che non valeva la pena piangere, se suo padre le impediva di dormire nel letto di sua madre, o di giocare con Sebastian, il figlio di Agatha e Stephen, anche se Ian – come lo chiamava lei, che trovava i nomi lunghi difficili – era l’unico bambino lì.

«Credo sia il caso tu vada a dormire, Magdalena». Di nuovo, suo padre parlò, questa volta guardando lei e non la luna. Magdalena annuì, saltando giù dalla sedia e seguendo la balia. Dopo tre passi, si fermò di colpo.

«Domani… domani potrò vedere la mamma e il fratellino?» chiese, titubante.

«Ti accompagnerò personalmente», garantì Lord Blake. La bambina prese la mano della balia e si allontanò. In fondo, pensò Dylan, non era una cattiva bambina. Generalmente, ascoltava e ubbidiva e, ad un occhio non attentissimo, passava tranquillamente per sua. Tuttavia… no, era presto per pensarci. E poi, stava già organizzando un’alleanza matrimoniale.

Sperando che, questa volta, fosse maschio. E suo.


Il sole era caldo sul viso, e la luce che filtrava dalle tende le colpiva gli occhi, ancora chiusi. Si stiracchiò, ancora sotto le lenzuola, per poi saltar giù dal letto. Agatha sarebbe venuta a chiamarla di lì a poco, ma non avrebbe aspettato. Voleva vedere la mamma, e sapeva che Agatha non l’avrebbe accontentata e che suo padre le avrebbe fatto aspettare troppo. Cercando di non fare rumore, sgattaiolò fuori, diretta alle stanze di sua madre.

Riuscì a raggiungere la sua meta senza incontrare nessuno. Con un respiro profondo, spinse la porta socchiusa.

La stanza era già in piena luce, segno che le tende erano state aperte, e poteva sentire sua madre intonare la ninnananna che cantava sempre per lei. Fece qualche passo.

«Magdalena! Sei già in piedi?» le chiese Lyv, cullando il bambino.

«Sì. Volevo…» s’interruppe. Voleva vedere la mamma? Il bambino?

«Credo sia ora che tu e tuo fratello vi conosciate, no?» le sorrise Lyv dal letto. «Vieni», la incoraggiò. La bambina annuì, raggiungendola e arrampicandosi sul letto. Aveva la strana sensazione di aver già vissuto quella situazione – sua madre sul letto, un neonato biondo in casa – ma era impossibile. Forse l’aveva sognato.

«Lui è Christian, ma puoi chiamarlo Chris», disse Lyv, mostrandole il bambino. Sembrava il vecchio più piccolo del mondo.

«Ciao», disse la bambina, titubante. Non si aspettava una risposta, sapeva che i bambini così piccoli non parlavano, ma Chris sembrò reagire, facendo una smorfia.

«Ha riconosciuto la tua voce», sorrise Lyv. Magdalena stava ancora decidendo se esserne felice, quando la porta si spalancò, sbattendo contro il muro. Lyv sussultò, Chris scoppiò a piangere. Nel vano della porta, la figura di Lord Blake era minacciosa. Agatha, alle sue spalle, si portò le mani alla bocca.

«Eccoti qui, signorinella», esordì suo padre. «Ti avevo detto che ti avrei accompagnata io, o sbaglio?» quasi ruggì. La bambina non rispose, chinando la testa, colpevole.

«Adesso, vai con Agatha e chiedi scusa a tua madre per averla disturbata».

Magdalena ubbidì, facendosi piccola piccola. Suo padre non l’aveva mai sgridata così. Non le aveva mai impedito di andare da sua madre di mattina. Dipendeva da Chris, allora? Magdalena odiò suo fratello.

«Forza, sparisci dalla mia vista», intimò Dylan. Lyv aprì la bocca per parlare, ma lo sguardo del marito la zittì.

«Sì, Signore», non “padre”. Signore. Mai aveva sentito così tanta irritazione nella voce di suo padre. Le era sembrato di valere meno di suo fratello. Ed era così: primogenita ma femmina. Destinata ad essere moglie di qualcuno o suora. Si sentì indesiderata, mentre Agatha la riportava in camera. Ebbe la sensazione che sarebbe potuta restare chiusa lì per sempre e a nessuno sarebbe importato.
 

A/N: credevo fosse quasi ora di introdurre anche Lena, dato che Aine l'abbiamo vista, no? Se ci siete, battete un colpo! 
 
  
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