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Autore: Irene_Violet    02/06/2020    1 recensioni
[Magic Kaitō/Lupin III]
Fujiko Mine, la donna fatale ha per le mani un obiettivo prestigioso, per mettere le mani sul quale avrà bisogno di tutto l'aiuto possibile, da parte del talentuoso Kuroba Kaitō. Il furto sarà però solo la punta dall'iceberg di un gioco di rivalse, legato al gioiello in questione. Vi auguro buona lettura! -Irene_Violet.
Genere: Commedia, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kaito Kuroba/Kaito Kid, Shinichi Kudo/Conan Edogawa
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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L’arte di restare a galla

 

#1 - Chi dice donna, dice… Furto!

 

La voce elettronica proveniente dagli altoparlanti, ribadì l’ultima chiamata per il volo diretto in partenza per la capitale nipponica, in partenza dal Gate n° 5. Seduta al bancone di uno dei piccoli bar sparsi per la struttura brulicante di persone, una donna dai capelli biondo platino, abbandonò il suo bicchiere di Martini rosato sul bancone, bevuto per metà ed allungò al barista una banconota da cinquanta dollari. Il ragazzo stava per raggiungere il registratore di cassa per consegnare il resto alla cliente, ma ella abbassò gli occhiali da sole ambrati, strizzando l’occhio al giovanotto.


≤Gardez la monnaie, garçon!≥


Lo sguardo confuso del ragazzo al bancone, fu seguito da un fluente movimento del corpo della donna, la quale ponendo una mano sul manico della propria valigia bianco-perlacea, si allontanò con passo sicuro. Indossava un vistoso ed elegante completo firmato, ed un cappello bianco a falde larghe; difficilmente avrebbe potuto passare inosservata anche in mezzo alla folla più fitta immaginabile. Ed era proprio quello il punto: essere notata o meno, non aveva assolutamente importanza. Doveva prendere quel volo. Recatasi dunque al proprio cancello, completò le procedure di imbarco, prendendo il suo posto in prima classe, sprofondando nella comoda poltrona imbottita con un sorriso soddisfatto. Una volta rimesso piede a terra, sarebbe stata in ballo in una di quelle piccole scorribande ad alto rischio. Il gioco valeva la candela ed avrebbe potuto godere ancora una volta dell’adrenalina che le portava avere la situazione sotto controllo. Ordinò una bottiglia di champagne e delle tartine, per assaporare meglio il panorama lattiginoso presente fuori dal finestrino dell’aereo, mentre il pensiero vagava placido, al pensiero di stringere tra le dita, la sua ricompensa finale.

L’accordo era stato stretto da circa dodici ore ed aveva ancora impressa nella sua mente, la conversazione posta all’origine di quella partenza. Era stata attratta da un peculiare invito, privo di mittente, lasciato alla reception dell’hotel in cui alloggiava. Il nome battuto da una vecchia macchina da scrivere, con inchiostro nero, era quello con il quale si era registrata mesi prima ed al quale rispondeva sempre con disinvoltura; il corpo del messaggio invece, le aveva dato motivo per cui preoccuparsi di accettare un invito a cene, a dir poco

Non c’era dubbio, era stato scelto davvero un locale di alto livello, dall’atmosfera piacevole e sfarzosa. Le candele poste sui tavoli e delle piccole lampade a parete erano l’unica illuminazione disponibile, a contrastare la notte puntinata di stelle, presente fuori dalle finestre, generando quel genere di intimità, spesso difficilmente raggiungibile tra le mura domestiche. Tavoli apparecchiati con calici di cristallo con bordi in oro, ceramiche pregiate, posate d’argento; l’arredamento della sala, dava l’idea che ci si trovasse in un locale rustico e d’altri tempi, pur rimanendo incastonati nel caos di una delle metropoli più caotiche del continente americano. Quel ristorante era stato riservato in anticipo a due soli clienti. Per l’occasione i camerieri di sala così come lo Chef, aveva ricevuto una maggiorazione sulla paga per il servizio di quella serata, tanto l’ospite era importante. I due non si scambiarono poi troppi convenevoli, era pur sempre un incontro d’affari. L’uomo in questione, ci tenne davvero a rimanere nell’ombra fino all’ultimo, ma anche se si fosse rivelato sin da subito, la risposta di lei a quella domanda non sarebbe cambiata.


«La sua fama la precede Miss Mine, verrò subito al dunque...» - affermò l’uomo unendo le mani davanti al viso, poggiando entrambi i gomiti sul tavolo - «Se ha accettato il mio invito, deduco abbia apprezzato la mia proposta. Avrà la più totale libertà di azione. Vorrei solo assicurarmi: è certa di avere l’uomo giusto per questo lavoro? Mi pare di aver colto la sua intenzione di non coinvolgere il “Principe dei Ladri”, in questo affare...»
 

«Esatto.» - sorrise, la donna portando alle labbra il frutto di un’ostrica, posta sul suo piatto - «Questa è la mia contrattazione e lei non ha nulla da temere. Ho in mente la persona perfetta per questo incarico. Lasci fare a me, monsieur Thomas»

 

Tra circa dodici ore, avrebbe incontrato il prescelto per affrontare quel colpo. Intanto, Fujiko utilizzò il suo portatile, con la modalità aereo inserita, per controllare il contenuto di una chiavetta USB. In essa erano contenute cartelle su cartelle piene di profili e file importanti. Dati di preziosi sparsi in tutto il mondo, nomi di uomini molto in vista, quali politici ed uomini sospettati di frodi fiscali, truffe ed altri reati gravi, con annesse prove. Quella chiavetta poteva rovinare la vita di molte persone se mai fosse giunta nelle mani sbagliate. Naturalmente c’era anche il suo nome lì in mezzo. La ladra però fece doppio click su di una cartella differente, aprendone il file provvisorio. Un sorriso furbo, si disegnò sulle labbra della donna:

«Quindi… è davvero uno studente liceale. Liceo Ekoda, eh?»

 

 

La campanella dell’ultima ora, risuonò per i corridoi dell’istituto e dopo le consuete pulizie dell’aula, i ragazzi cominciarono via via a raccogliere le proprie cose, per dirigersi verso l’uscita. Gradualmente le varie aule si svuotarono, mentre il cielo assumeva un gradevole colore aranciato. Verso le ultime file un ragazzo moro, teneva la testa sul banco, racchiusa tra le braccia, era in quella posizione da almeno un paio d’ore, a causa di un gancio ben assestato in pieno capo, dopo uno dei suoi ennesimi scherzi. Non aveva più mosso un muscolo, non perché il colpo gli avesse creato chissà quali danni, l’aveva vista solo come un’ottima opportunità per ignorare le lezioni, in maniera efficace, ed anche recuperare qualche meritata ora di sonno, il che non poteva fargli altro se non un gran bene. Fu svegliato dai vari spostamenti di sedie ed oggetti, nei suoi paraggi aspettando di ricevere qualcosa di più deciso di un tintinnio cadenzato, atto a spostarsi di lì una volta per tutte. Aoko aveva appena finito di sistemare le sue cose, dopo aver pulito per bene la lavagna, quando dette uno sguardo nella sua direzione con aria piuttosto perplessa.

 

«Andiamo, per quanto ancora vuoi continuare questa messinscena? Non era poi un pugno tanto forte, da mettere K.O. una testa dura come te!» - asserì. Incrociando le braccia al petto - «Guarda che ti lascio qui, se non ti sbrighi!»

 

La risposta da parte del ragazzo, fu una sorta di borbottio poco chiaro, per cui dovette per forza di cose, esprimere il suo disappunto, chiedendogli di ripetersi. Quando Kuroba decise finalmente di tirare su il capo, aveva dipinta in viso un’espressione imbronciata, ricolma di fastidio e non esitò a chiarire quanto detto, con una buona dose dei suoi urli plateali di contorno.

 

«Non era poi un pugno così forte un corno Ahoko! Mi hai fatto venir fuori un bernoccolo enorme, neanche mi avessi colpito con il tuo amato spazzolone. Se la consideri roba da poco, allora non mi immagino quale sia la tua versione di “andarci pesante”!»

Grugnì Kaitō, alzandosi quindi dalla propria sedia e sistemando nello zaino, le poche cose ancora presenti sulla superficie del suo banco, aspettandosi niente di meno dell’indignata replica della sua amica d’infanzia, intenta già a guardarlo indispettita.

«Ah, quindi adesso sarebbe colpa di Aoko? Non di chi ha deciso arbitrariamente di introdursi nello spogliatoio femminile per spiarci mentre ci cambiavamo? Bel coraggio davvero e non chiamarmi in quel modo Bakaitō!»


Non gli si poteva comunque dare torto proprio su tutta la linea; se voleva, la ragazza sapeva come farsi valere, anzi ringraziava di cuore non fosse iscritta a nessun club sportivo o di difesa personale, come la fidanzata di un certo detective di sua conoscenza, altrimenti altro che bernoccoli, avrebbe finito con il mandarlo sul serio all’ospedale con una commozione cerebrale. E sì… forse un po’ se lo meritava, ma era sempre meglio evitare un ricovero, quando era possibile. Di ferite e brutte esperienze, ne aveva avute anche troppe da quando aveva assunto i panni di ladro fantasma; tutte esperienze innominabili e che sperava di tenere ben separate dalla propria quotidianità. Il ragazzo caricò lo zaino in spalla, passandole accanto per poi superarla alzando le spalle come se la cosa non lo riguardasse minimamente.

«Come ho detto, stavo cercando di recuperare la palla da Baseball mandata in fuoricampo da Yamazaki. Che colpa ne ho se è entrata dalla finestra del vostro spogliatoio ed ha finito con l’incastrarsi sotto le panchine. Dovevo pur cercarla no? È stata solo una coincidenza sfortunata, voi ragazze ve la prendete troppo per simili sciocchezze! Mi sono anche scusato, quindi non c’era bisogno di inseguirmi, per mezza scuola, per prendermi a pugni! Bé, se ti può consolare, non è che ci fosse poi chissà quanto da vedere…»


Pur standole dando le spalle, ebbe un brivido freddo lungo la schiena. Come al solito aveva parlato più del dovuto e la cosa non avrebbe potuto non portare a delle conseguenze poco piacevoli per la sua persona. Si voltò lentamente per ritrovare Aoko con una sedia posta al di sopra della testa ed un chiaro intento “omicida”, dipinto su di un volto solcato anche dal più profondo imbarazzo. Il mago sgranò gli occhi incredulo e sul suo viso si dipinse una maschera di terrore.

«Tu… Brutto…» - mormorò lentamente la castana.
 

Kaitō allungò con la stessa lentezza una mano verso la porta dell’aula, ringraziava dal più profondo del cuore, di essere più vicino all’uscita di quanto lo fosse la sedia.


«IDIOTAAA!!!»

 

Fu questione di pochi attimi: il ragazzo scattò verso la porta e si precipitò in corridoio, chiudendo con un gesto deciso la porta alle spalle, ed allontanandosi da essa con uno scatto. Attese almeno mezzo minuto, prima di tirare un sospiro di sollievo, Aoko aveva rinunciato. La porta non si mosse di un millimetro. Aveva davvero esagerato con il suo fare il superiore, per quella giornata. Si diresse verso l’entrata per lasciare il liceo, era maglio lasciare la ragazza da sola per farle sbollire l’arrabbiatura, prima di peggiorare le cose con una delle sue solite, ragionatissime uscite. Si passo una mano tra i capelli, soffermandosi per qualche secondo sulla zona gonfiatasi a causa del pugno ricevuto, ed un sorrisetto lieve gli si disegnò in volto.
 

«Me lo sono proprio andato a cercare»
 

Giunto all’ingresso e cambiatosi le scarpe, notò Keiko ferma vicino all’ingresso ed avvicinandosi le fece un cenno con la mano.


«Kuroba-kun!»
 

«Aoko è ancora in classe, penso arriverà tra poco...» - disse puntando il pollice della mano sinistra alle sue spalle.
 

«Ho capito, allora le farò compagnia tornando a casa, vista la vostra litigata di oggi.»

La ragazza con i codini si dimostrò piuttosto allegra a riguardo, si vedeva quanto la cosa la divertisse, ed anche se Kaitō tendeva generalmente a non darvi troppo peso non gli ci voleva un genio, per capire cosa le passasse per la testa. Dopo una breve risatina, la ragazza tornò a farsi seria, spostando lo sguardo verso l’esterno, per poi domandare a voce alta:
 

«Comunque non ti ho fermato per questo; piuttosto è tua la moto parcheggiata più in là sul vialetto, vero? Sembra si sia creato un gran trambusto lì attorno, anche se non ho capito esattamente perché...»

 

Kaitō non poté far a meno di inarcare un sopracciglio e dopo aver ringraziato la compagna, si diresse subito verso la sua Suzuki per cercare di chiarire il mistero. La prima se non unica opzione plausibile, lì per lì fu che qualche imbecille avesse deciso di vandalizzare quel suo gioiellino, per qualche motivo – il mondo è pieno di invidiosi, giusto? –. Doveva ammettere non gli andasse proprio giù, però era comunque un danno affrontabile, bastava farla rimettere a nuovo; quel che però gli si presentò di fronte una volta avvicinatosi, lo colse del tutto impreparato. Keiko aveva ragione, il suo mezzo era attorniato da un nutrito gruppetto di studenti, i quali sembravano per altro molto presi da qualcosa, o meglio da qualcuno, seduto in sella alla propria moto. Una donna dai capelli castano scuri, in un tailleur color bordeaux – in grado di lasciare davvero poco spazio all’immaginazione, visto quanto l’indumento ne evidenziasse le forme – ed un paio di occhialetti da motociclismo sulla testa. Non appena il cervello del liceale razionalizzò l’immagine, le sinapsi fecero un’associazione fulminea, fornendo a quella figura una precisa identità, in grado da farlo sbiancare di colpo.

 

Oi-oi… Stiamo scherzando?! Che ci fa “Lei” qui?”

 

Non si trattava certo di una donna qualunque, bensì di una delle ladre più ricercate dalle agenzie investigative mondiali, facente parte della temibile banda capeggiata da uno dei criminali più noti ed inafferrabili, quasi al pari del primo Kaitō KID. La rivale ed occasionalmente amante del famigerato Lupin III. Una donna dalle mille risorse, capace di inganni e sotterfugi di ogni tipo, nonché con un numero imprecisato di contatti e conoscenze pericolose. Insomma, un pezzo da novanta del crimine internazionale. Il dossier a cui Jii-chan era riuscito ad avere accesso, era talmente dettagliato da contenere perfino le misure della suddetta ladra.

 

Mine Fujiko, era il suo nome. E proprio in quegli istanti, stava seduta a gambe accavallate sul suo motociclo. Se non lo stesse vedendo con i suoi occhi, probabilmente stenterebbe a crederci. No, gli riusciva difficile crederlo, pur avendola proprio sotto gli occhi!

 

Rimase imbambolato a chiedersi come agire a riguardo. Fare finta di nulla, era di gran lunga l’opzione più difficile in assoluto, perché c’era il rischio che qualche suo compagno lo fermasse prima che potesse essere abbastanza lontano per dirsi completamente “al sicuro”; anche affrontare la situazione però non era altrettanto semplice: avrebbe dovuto avvicinarsi ad una persona del genere con disinvoltura, montare in sella e andarsene, senza far caso alla folla di curiosi, la cui funzione era simile a quella di un cordone protettivo? Era troppo anche per la sua poker face. Però quale altra scelta aveva? Ancora incredulo, tentò di darsi un contegno avvicinandosi alla moto con le mani in tasca, con dipinta in viso l’aria più indifferente di cui fosse capace sul momento.

 

«Ragazzi, si può sapere cosa sta succedendo?»

 

Uno dei suoi compagni lo tirò come si aspettava, nella sua direzione cingendogli le spalle con un braccio e sussurrandogli all’orecchio, con la faccia di chi palesemente non aveva mai avuto una simile visione femminea. Tutto il contrario della sua di faccia, più simile a quella di uno pronto a volersi far sotterrare vivo, piuttosto che affrontare un simile mostro sacro. Tra le varie informazioni riportate nei suoi file, difatti era specificato a chiare lettere, di quanto la donna non disdegnasse l’utilizzo di armi da fuoco. Faceva sul serio a differenza di KID, il cui gadget più simile ad un arma, era la spara-carte. Utile, lo rendeva in grado di disarmare e mettere in seria difficoltà l’avversario, ma non era comunque allo stesso livello di un proiettile di qualunque tipo. Per cui per quanto amasse le sfide, non poteva dire di sentirsi del tutto a proprio agio all’idea di correre incontro a chi comunque, non esitava poi troppo a premere un grilletto vero e proprio, quando la situazione lo richiedeva.

«Ehi Kuroba, chi è quella signorina?» - domandò dunque il compagno, uscito da quell’eccessivo stato di contemplazione.
 

«E io che ne so! Non l’ho mai vista in vita mia e stavo giusto per andarle a chiedere di scendere dalla mia moto!» - ribatté in maniera piuttosto acida il diretto interessato, scrollandosi di dosso il braccio dell’altro per proseguire nel suo rischioso accorciamento delle distanza.

 

Farsi spazio tra i vari ragazzi ammassati lì di fronte non fu facile, ma a suon di spintoni, guadagnò finalmente un posto in prima fila. Ebbe a mal appena il tempo di poter alzare lo sguardo e provare ad articolare un paio di parole di senso compiuto, quando un paio di braccia gli si avvinghiarono attorno al collo, ed una sensazione di morbidezza si localizzò di punto in bianco contro il suo petto, facendogli perdere istantaneamente ogni possibile coerenza logico-linguistica. La donna era arrivata ad abbracciarlo in meno di un secondo, ed adesso si trovavano gli occhi di tutti i presenti puntati addosso. Un fastidioso vociare cominciò a diffondersi nei dintorni. Come biasimare gli spettatori di quella scena. Avrebbero dato chissà cosa pur di essere al suo posto, mentre lui avrebbe preferito dileguarsi nella sua consueta nuvola di fumo per correre all’impazzata verso il Blue Parrot, riorganizzandosi alla svelta, per evitare altre brutte sorprese.

 

«Da quanto tempo non ci vediamo! Come sono contenta e guarda quanto sei cresciuto, sei diventato proprio un ometto! E vero che mi porti a fare un bel giretto, Kaitō-kun?»

 

Non riuscì a fare qualcosa di meglio se non deglutire ed irrigidirsi; mentre era intento a cercare una via di fuga. Erano passati sì e no, massimo cinque secondi eppure gli sembrava di essere racchiuso in quella morsa da un’eternità. Nel mentre, notò la folla diradarsi pian piano, non era più uno spettacolo interessante da osservare, essendoci lui di mezzo; sarebbe stato un bene, se proprio in quel frangente, non avesse notato Keiko ed Aoko uscire a loro volta dal cancello, senza contare che Fujiko aggiunse un piccolo dettaglio alla frase formulata poco prima, sotto forma di un sussurro:


«O forse... farei meglio a chiamarti Kiddo-sama?»

 

Come fosse stato premuto un interruttore, Kaitō riuscì a fare un deciso passo indietro, ed a divincolarsi dalle spire della ladra, articolando in maniera titubante - «A-Ah, ma certo! Ora ricordo, se non sbaglio lei è F-Fujiko-san… dico bene? Mia madre mi ha parlato molto di lei. Come mai si trova qui in Giappone, non stava lavorando all’estero da qualche parte?»


Azzardò una risatina nervosa, tanto per tappare evidenti lacune percepibili dall’esterno. Non poté far a meno di guardarsi brevemente alle spalle. Non gli importava come l’avrebbero presa i ragazzi o quali voci potevano venire messe in giro rispetto a quella specie di ridicolo siparietto, però l’impressione che poteva lasciare nei riguardi una certa persona, gli interessava eccome. Poté notare solo una Keiko incredula cercare di raggiungere la sua migliore amica, intenta ad avviarsi a passo deciso dalla parte opposta rispetto a dove si trovava lui. Si accigliò nel giro di pochi attimi, per poi rivolgere lo sguardo verso la donna. Fujiko si mostrava a dir poco compiaciuta, apparentemente aveva notato quei tentennamenti, finendo per apprezzare la piega presa dall’evento in questione. Il liceale, intanto sembrava aver calato la maschera, perché non perse altro tempo nel rivolgersi alla sua senpai, con aria contrariata, andandosi ad appoggiare alla sua moto, cercando di distanziare il più possibile la sua avversaria, girandole attorno.

 

«Quindi, cosa vuole da me la celeberrima Mine Fujiko, in persona? Non credo lei sia venuta qui, solo con l’intento di mettermi in guardia, sul fatto che conosce la mia identità… o sbaglio?»
 

Fujiko si lasciò sfuggire un sogghigno, quell’improvvisa determinazione le era piaciuta. Non per niente era fan di quell’affascinante giovanotto vestito di bianco; aveva deciso di andare subito al sodo e lei non poteva chiedere di meglio.

«Ho un affare da proporti. Un qualcosa di molto interessante che può far comodo sia a me che a te. Però… prima portami in un posto carino, dove possiamo parlare con più calma. Appena ho letto nel tuo fascicolo di questa bella moto, mi è venuta una voglia pazzesca di salirci! Quando saremo in un posto abbastanza sicuro, ti racconterò ogni cosa nei minimi dettagli, senza tralasciare nulla. Promesso, croce sul cuore.»

 

Non aveva ancora sentito di cosa trattasse questa “proposta vantaggiosa” e già aveva la sensazione che avrebbe fatto bene a tirarsi indietro. Tuttavia la menzione di un fascicolo contenenti informazioni su di lui, dava una spinta in una direzione differente. La fuori c’era qualcosa di seriamente incriminante nei suoi confronti – tanto quanto Hakuba e le sue dannatissime illazioni –, non poteva sorvolare su di un dettaglio tanto importante. Fujiko o chi per lei, sapeva quanto bastava sul suo conto, da farla arrivare all’uscita del suo liceo, trovandola seduta sul proprio veicolo, per poi consigliarli di recarsi in un “posto sicuro”, per una chiacchierata di affari. Una serie di affermazioni e circostanze troppo perfette, per non metterlo almeno in guardia, sull’eventualità per cui se quelle stesse informazioni sarebbero mai finite sulla scrivania dell’ispettore Nakamori, avrebbe avuto le manette a tempo di record. Non sapeva ancora cosa la ladra avesse in mente di propinargli, ma qualunque cosa fosse, finiva con il divenire secondario, rispetto al pericolo di venire esposto in caso di rifiuto. Dunque Kaitō, senza pensarci troppo su, inforcò la moto, assecondando le richieste della donna. L’avrebbe naturalmente condotta al Blue Parrot, dove avrebbe finito con discute con Jii sul da farsi; forse mostrare ad una come lei, il loro nascondiglio non era la migliore delle mosse possibili, ma era senza dubbio l’unico luogo sulla faccia della terra che il liceale ritenesse sicuro al 100% al di là di ogni ragionevole dubbio. Premette sul gas a più non posso, per liberarsi dall’ingombro dato dalle generose forme della donna. Fujiko da parte sua sembrava proprio contenta di quel viaggetto, per ragioni ignote al giovane conducente. Ebbero abbastanza fortuna da non prendere troppi semafori rossi lungo il tragitto, ad uno di questi però, Kaitō decise di cogliere l’occasione per rompere quell’atmosfera di finta complicità, per fugare un dubbio piuttosto pesante, presentatosi alla sua attenzione: perché proprio KID?

 

«Posso farle una domanda?»

 

«Uhm? Certo, cosa c’è Kiddo-sama...» - replicò Fujiko, sporgendosi un tantino in avanti, accentuando più del necessario la vicinanza tra loro.

 

«Che fine hanno fatto Lupin e gli altri tuoi compari? Loro non fanno parte di questo affare a cui mi accennavi poco fa?»

 

«No! Per niente, nessuno di loro! Nel modo più assoluto!» - dal tono la castana parve anche piuttosto offesa da quel genere di insinuazione - «Perché dovrebbero farne parte? Questo è il MIO affare, la MIA carriera. Sarò anche parte della sua “banda” di quando in quando, come dicono quelli della polizia, ma non ho bisogno di nessuno di loro per raggiungere i miei obiettivi. Ho sempre lavorato da sola cavandomela alla grande. Figuriamoci, non ci penso nemmeno a includerli in un gioco tanto redditizio. Lupin… non esiterebbe a mettermi i bastoni fra le ruote se venisse a sapere a cosa sto puntando. Non permetterò a nessuno di intralciarmi. E poi non vedo perché debba sempre essere accomunata a lui, è inaudito!» - sbottò la donna, per poi produrre un breve sospiro - «D’altro canto, mi piace decidere per conto mio… con chi percorrere il cammino verso il successo, chi debba essere il mio partner...»

 

Il mago si pentì quasi di aver posto quella domanda, non solo perché sapeva di cosa fosse capace una donna irritata dall’aver anche solo sfiorato un tasto dolente – sua madre ne era un ottimo esempio, riusciva a zittirlo pur stando dall’altra parte del mondo – non voleva sapere di cosa fosse capace una del calibro di Fujiko Mine se in preda alla rabbia; senza contare il tentativo di quest’ultima di avanzare attenzioni, non del tutto gradite nei propri confronti.

 

«M-Ma certo... La mia era solo una piccola curiosità» - ribatté per poi finalmente tornare a dare gas, non appena al semaforo scattò il verde.


Una volta giunti di fronte al Blue Parrot, tirò un sospiro di sollievo, lasciando scendere prima Fujiko, per poi posteggiare la moto e recarsi anche lui verso le scale, alla volta del bar del suo fidato collaboratore. Fu il primo dei due ad entrare, per cortesia della famosa ladra che gli cedette il passo, anche se non c’è ne sarebbe stato bisogno, poiché a quell’ora del pomeriggio, il locale non era esattamente stracolmo di clienti. Non appena il campanello attaccato alla porta segnalò l’arrivo di nuovi clienti, il vecchio Jii intento a lucidare dei bicchieri, si voltò verso il suono in modo da accogliere i visitatori.

 

«Kon’nichiwa Jii-chan.» - lo salutò il liceale aprendo la porta, non apparendo affatto entusiasta.

 

«Oh, Botchama benvenu...»

 

L’uomo quasi perse la presa sul bicchiere alla vista di chi accompagnasse il figlio del suo defunto padrone. Era stato lui ad accedere al database dell’interpol per avere quante più informazioni possibili su Lupin III e la sua banda, per cui aveva studiato affondo il materiale anche riguardante i suoi complici. Ritrovare uno di loro, all’interno del suo locale, per giunta in compagnia del suo giovane padrone, gli dette più di una ragione per cui cominciare ad avere i sudori freddi.

 

«Mmm… caspita. Non male questo posticino, potrei considerare di venirci spesso in un bar come questo.» - commentò Fujiko, sedendosi ad una delle sedie al bancone, ordinando qualcosa da bere.

 

Jii servì subito la donna, prima di sgattaiolare dal retro del bancone, avvicinandosi a Kaitō, per avere qualche delucidazione sulla vicenda.

 

«Credo di capire… dunque Mine Fujiko-sama è qui per proporle un lavoro. Ci conviene valutare con molta attenzione quel che ci dirà, in questo caso.»

 

«L’ho pensato anch’io, per questo l’ho portata qui Jii-chan. Inoltre, a quanto pare è risalita al mio liceo e credo anche all’esistenza di questo posto, tramite certi “file”, di cui spero di riuscire a sbarazzarmi… in qualche modo.»


 

Il tintinnio del ghiaccio posto all’interno del bicchiere retto da Mine Fujiko, fu una sorta di richiamo per i due confabulatori, i quali la raggiunsero al bancone, dove la donna aveva predisposto il suo portatile, aprendo sul desktop varie cartelle e pagine web. Si cominciava a fare sul serio.

 

«D’accordo… di cosa si tratta esattamente?» - domandò Kaitō cercando di trovare prima di tutto una risposta da solo, sbirciando lo schermo.


Vide chiaramente la cartina di un porto, e delle pagine in lingua inglese, non avendo però grande libertà di poterle leggere, poiché la castana ne aprì una nuova, coprendo le altre.

 

«Di un lavoretto molto semplice; ma prima un po’ di storia.» - sorrise la donna, aprendo l’immagine di un bel diamante giallo a goccia, con un sorriso compiaciuto in volto - «Ti presento il “Fiorentino”, o “Granduca d Toscana”, noto anche come il “Giallo Austriaco”. Questo splendido diamante giallo pallido, ha avuto un percorso molto travagliato ed il suo passare di mano in mano, ha dato origine a numerose leggende e ha quindi altrettanti nomi: la pietra ha origini indiane, fu tagliato da Lode Van Berken per Carlo il Temerario, a quanto si crede. Il regnante lo portò con sé durante la battaglia di Nancy – mossa davvero molto stupida se chiedi la mia – e finì con il perderlo, oltre a perdere la vita egli stesso nella battaglia di Morat del 1476. Qui le vicende cominciano a farsi scure, non si sa bene se un fante, o una persona comune, insomma qualcuno trovò la gemma abbandonata e credendola un banale pezzo di vetro lo vendette ad un mercante per pochi spiccioli. Sembra che viaggiò per le mani di Ludovico il Moro, poi di Papa Giulio II, grazie ad un cittadino di Berna, il quale lo rivendette a sua volta, per venire infine depositato tra i vari tesori della famiglia dei Medici di Firenze, prendendo così il nome di Fiorentino. Sembra che il diamante giunse dopo varie peripezie nelle mani dell’Imperatrice Maria Teresa d’Austria, quando rilevarono il Granducato di Toscana nel 1737 e che collocata insieme ai gioielli della corona, seguì la famiglia fino alla sua caduta negli anni venti, quando sembrò sparire definitivamente dalla circolazione. Questo è quanto si dice sul gioiello, leggende ed effettivi dati storici si fondono, donando a questo splendido oggetto, un velo di mistero davvero affascinante. Non trovi?»

La ladra rivolse uno sguardo al liceale. In effetti la storia era interessante, ma avrebbe preferito sentirla arrivare al dunque quanto prima, ed una volta accortasi di questo particolare, Fujiko proseguì, con disinvoltura.

 

«C’è chi sospetta che il Tiffany giallo, altri non sia che un ritaglio della gemma in questione, però nulla di tutto ciò è stato confermato e di recente, indiscrezioni sono trapelate, grazie all’esposizione di una gemma molto simile alle descrizioni fatte nel 1657 da Jean-Baptiste Tavernier, mercante francese. La pietra apparterrebbe attualmente ad un uomo d’affari di origini turche, ed assicurato per una cifra astronomica, dovrebbe venire preso in custodia dal manager di una banca interpretata dalla sottoscritta, prima di raggiungere gli studi televisivi della Nichuri Tv, dove è in programmazione un servizio speciale sulla pietra in questione, il trasporto avverrà in un furgoncino blindato, scortato dalla polizia.»

 

«Se è così...» - intervenne Kaitō puntando l’indice sulla mappa dove il percorso in questione era segnato - «Rubarlo durante il trasporto verso lo studio televisivo, sarebbe piuttosto facile, basterebbe predisporre un mezzo identico da sostituire a quello in cui viene posizionato il gioiello.»

 

La donna cacciò indietro la testa a guardare il soffitto del bar, concentrandosi sull’illuminazione del locale - «È vero, ma penso potrebbe essere ancora più facile, se lo rubassimo qui!» - disse Fujiko puntando l’indice dall’unghia smaltata di fucsia verso il simbolo del porto - «Il diamante arriverà all’interno di un carico di ostriche pescate a largo delle coste di Aquitania. Il gioiello è stato imbarcato, sotto la stretta supervisione del mio socio, responsabile delle spedizioni di un’azienda ittica. È stato il proprietario a suggerire questo metodo, per evitare che il diamante venisse trafugato durante gli spostamenti; sfrutteremo proprio il momento dell’approdo. La ditta di spedizioni è responsabile del suo carico, fino a che questo è per mare, ma se venisse rubato proprio nel momento in cui smette di essere sotto la loro responsabilità, senza arrivare nelle mani di chi dovrebbe tenerlo in custodia?»
 

Kaitō ebbe una lieve smorfia nel sentire il lavoro svolto dal tale, ma annuì poi intuendo dove volesse arrivare la donna.

 

«Ho capito… Il proprietario non potrebbe incassare il risarcimento in caso di perdita della gemma, perché la tratta è stata completata senza incidenti; e non potrebbe fare la stessa cosa neppure con la banca, perché il carico non arriverà mai ad essere sotto la sua responsabilità. L’uomo d’affari turco, rimarrebbe quindi con un pugno di mosche in mano.»

 

«Proprio degno del grande Kiddo-sama, è proprio questo il piano. Ti basterà sottrarre il diamante da dentro la specifica cassa in cui è stato riposto, durante lo scarico delle merci... Ti basterà prenderlo e darti alla fuga, che mi dici, un giochetto semplice e veloce. Allora cosa ne pensi? Accetterai di collaborare con me?»

 

Fujiko si sporse nei confronti di Kaitō, sbattendo le sue splendide ciglia sperando in una risposta affermativa, in tutto ciò il liceale però non aveva ancora visto quale fosse il lato positivo che lo riguardasse. Aveva capito la necessità di avere un terzo uomo per trafugare il diamante, dato che la ladra doveva fingersi all’oscuro della manomissione, non accollandosi eventuali grane, recuperando quindi il bottino, però qualcosa no gli tornava ugualmente, tanto per cominciare chi era questo “socio” citato come parte operante nel piano? Chiunque fosse, sarebbe uscito anch’esso pulito dalla vicenda, incassando probabilmente una bella somma per compiere il trasporto, evitando poi di sborsare l’eventuale somma di un risarcimento, fin qui poteva avere senso… eppure, quella che pareva trarre maggiore profitto dall’intero svolgersi della vicenda, era proprio la donna che gli stava seduta davanti. Il ragazzo scosse il capo, liberando le mani dalla presa della tentatrice, con un gesto di dissenso.

 

«No, non vedo proprio perché dovrei farlo...» - affermò il ragazzo portandosi una mano sotto il mento - «Finirei con rubare il gioiello alla luce del giorno, trovandomi la polizia alle calcagna, solo per compiacere Mine Fujiko ed il suo socio in affari? Mi spiace, ma ho cose più importanti da fare, piuttosto che fare da tramite per le vostre truffe!»

«Eh? Davvero… che delusione! Ed io che non vedevo l’ora di poter ammirare da vicino le gesta del mio beniamino preferito...»


Il vecchio Jii parve in accordo con lui di primo acchito, per questo il ragazzo rimase piuttosto incredulo quando si sentì richiamare in un sussurro mal celato - «Credo dobbiate ripensarci, Botchama...» - disse.

 

«Huh? Perché?»

 

«Rifletteteci… si tratti o meno del Fiorentino, rientra comunque nella categoria dei Big Jewel… se vi tirate indietro e si trattasse in qualche modo di quello che stiamo cercando, recuperarlo dalle mani della signorina qui presente, poi potrebbe risultare un’impresa ostica.» - osservò l’anziano, lanciando un’occhiata nei confronti della diretta interessata.

 

La celebre criminale, tornò a sorseggiare il suo drink, sorridendo divertita, mentre il giovane dovette ammetterlo: il suo compare non avesse poi tutti i torti, valeva almeno la pena di controllare almeno che quel gioiello non fosse la pietra della vita Pandora, prima di chiamarsi fuori da quell’operazione.

 

«M-mah, credo tu abbia ragione...» - mormorò in risposta il ragazzo.

«Non ti avrei mai proposto nulla, se non avessi pensato anche a questo genere di cose… il tuo collaboratore a colto nel segno. Quindi ecco qui, i termini del nostro personale accordo.» - ghignò Fujiko, posando nuovamente il bicchiere ed incorniciando il viso tra le mani - «Se il “Granduca di Toscana”, non fosse il gioiello che stai cercando allora, lo darai a me come da patti. Tanto non te ne faresti nulla, giusto? Restituisci sempre ciò che rubi, quindi tanto vale concludere lo scambio ed affidarlo a qualcuno in grado di trattarlo come si deve...»

 

«E se si trattasse della gemma che cerco?»

 

«Bé...in quel caso...» - la donna allungò una mano nei confronti del ragazzo, portandosi a pochi centimetri dal suo viso - «Dovrò cercare di riprendermelo a modo mio, naturalmente.»

 

Un colpo di tosse piuttosto forte, interruppe l’atmosfera a dir poco incandescente che Fujiko seppe creare con pochi semplici gesti. Era il suo modo di lavorare dopotutto. Il suo corpo era un’arma tanto potente e distruttiva quanto potesse esserlo una bomba ad orologeria o un proiettile di una qualunque arma da fuoco. Anche usando la sua avvenenza, riusciva ad ottenere facilmente ciò che desiderava. Voci di corridoio, la consideravano una donna senza inibizioni e dalla morale discutibile, pronta a tutto pur di raggiungere i suoi scopi. Il giovane Kuroba non stentava troppo a credere almeno alla prima parte di questo genere di dicerie. Di certo, sapeva bene come rigirare determinate situazioni a proprio vantaggio. Già non sopportava i reiterati tentativi di Koizumi Akako di assoggettarlo, non solo con l’ausilio della sua magia, anche in modo decisamente più diretto – trovarsi bloccato con una del genere su di una seggiovia, per esempio, a sentirsi dire quanto fossero una bella coppia, era stato l’apice del terrore, altro che adesivi a forma di cuore e cioccolato stregato... –; ma quella donna era cento se non diecimila volte peggio! Gli dava i brividi in ogni senso possibile ed immaginabile, al punto che preferì spostarsi di due sgabelli, visto che poteva farlo.

 

Il liceale si schiarì a sua volta la voce, guardando con la coda dell’occhio la ladra, prima di replicare - «Va bene… penso proprio di poter collaborare, anche se sono queste le condizioni. Avrai il gioiello, se non si tratta di quello che m’interessa e solo in quel caso.» - rimarcò Kaitō; una volta distesosi i nervi bevendo una tazza di caffè, curioso volle definire l’ultimo dettaglio, per cui riprese parola - «Quindi? Riguardo alla polizia? Hai pensato anche a quella oppure la fuga è di mia competenza?»

«La fuga la lascio nelle tue mani. Però posso darti uno spunto utile. Immagino tu voglia vendicarti di quella scarsa imitazione fatta ai tuoi danni, in occasione del furto dello Zaffiro Ciliegia...»

 

Ipotizzò Fujiko, giocherellando con le dita intorno al proprio bicchiere, con aria placida. Il ragazzo annuì appena, non gli era piaciuto infatti, venisse usato il suo nome e la sua faccia durante quel furto, soprattutto considerando che nelle sue vesti, Lupin III aveva sparato agli agenti con una pistola vera e propria, cosa che lui non farebbe.

 

«Allora perché non ripagarlo con la sua stessa moneta… in questo modo, almeno ne usciresti lindo, come il tuo mantello da questa trattativa.»

 

A prescindere, per quel piccolo torto, si era vendicato rubando il tesoro contenuto nella piramide di Ōsaka prima di lui, lasciandolo con un palmo di naso; però trattandosi di un raggiro in piena regola ai danni del proprietario del diamante, anziché uno dei suoi soliti furti, forse fare un pensierino in quella direzione, non era poi una brutta idea. Non gli andava di macchiare troppo il suo buon nome prendendo parte a quella vicenda, ma la probabilità che potesse incappare in Pandora poteva essere reale e perdere un’occasione, tanto promettente, come Jii aveva fatto notare, era un peccato.

 

«Sì… potrei rendergli il favore in effetti...» - rispose lui, dando uno sguardo al proprio collaboratore, ne avrebbe parlato più approfonditamente, confrontandosi sulla cosa, non appena fossero stati soli.

 

«Molto bene! Allora ci vediamo dopodomani mattina verso le sei al molo della baia di Tōkyō, Il nostro carico dovrebbe arrivare più o meno verso le undici, quindi avremo tutto il tempo per infiltrarci ai rispettivi posti, per fare la nostra parte. Non preoccuparti per il preavviso, me ne occupo io, conosco il suo stile»


Fujiko si alzò dunque dallo sgabello che occupava, lanciando sul bancone del bar, un bigliettino recante il nome dell’hotel in cui alloggiava, con appuntato anche il numero della sua stanza, nonché una vistosa macchia di rossetto come firma. Oltre che ad un biglietto da cinquemila yen per il suo drink, dando una piccola pacca sulla spalla al ragazzo, mentre lo superava.

 

«Ci rivedremo ufficialmente quella sera, nella mia stanza quando verrai a portarmi il “Granduca”. Fino ad allora, ti auguro buona fortuna. Adieu.»


Lasciò il locale poco dopo, facendo riecheggiare nuovamente il suono della campanella attaccata alla porta, con un’eleganza innata. Il vecchio Jii riuscì finalmente a rilassarsi, asciugandosi il sudore che aveva finito per imperlargli la fronte, anche Kaitō si sentì infinitamente più leggero vedendola uscire dal Blue Parrot. Gli sembrava quasi di aver vissuto una enorme allucinazione. Rigirò tra le mani il biglietto lasciato sulla superficie di legno del bancone, ormai era in ballo, non poteva tirarsi indietro. Mentre stava lì a rimuginare su quello che si sarebbe trovato a fare di lì a pochi giorni, il rombo famigliare di motore, gli fece sgranare gli occhi, spingendolo poi a precipitarsi fuori dal locale, giusto in tempo per vedere la propria moto allontanarsi lungo il manto stradale.

 

«Non preoccuparti, te la riporto molto presto, promesso!» - gridò Fujiko mentre sfrecciava via salutandolo con la mano.

 

L’incredulità nel rendersi conto che non aveva più addosso le chiavi, lasciò spazio alla spossatezza sul volto del liceale, il quale non poté far altro che sospirare rassegnato. Non per niente era una delle ladre più ricercate a livello mondiale. Si portò una mano alla nuca, grattandosela mormorando tra sé - «Che razza di giornataccia!»

 

Gli sarebbe anche toccato scrivere ad Aoko per avvisarla che non si sarebbe presentato per cena, poiché avrebbero di certo dovuto spremersi le meningi per progettare al meglio ogni minimo dettaglio, un sopralluogo al porto, prima dell’azione era d’obbligo, come anche radunare i materiali adatti alla buona riuscita del furto. In sostanza prevedeva avrebbero passato la notte in bianco, per poter organizzare anche solo concettualmente, la cosa per bene.

 

Non poteva far altro, se non incrociare le dita e sperare andasse tutto per il meglio, anche se l’essere stato incastrato da quella donna, non gli andava proprio a genio.

   
 
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