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Autore: _Cthylla_    03/06/2020    1 recensioni
“Tutto lascia una traccia e ha la sua importanza”, soprattutto le piccole cose in una relazione a due.
Raccolta che verrà aggiornata nei momenti di “noia”, probabilmente destinata a restare incompiuta. Verranno mostrati momenti casuali della relazione tra Nickel, alias la minicon della Decepticon Justice Division, e il mio OC Bustin, il tutto ambientato prima della distruzione della colonia di Prion (il posto dove Nickel è nata e cresciuta).
Genere: Commedia, Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nickel, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Generation I, Transformers: Prime
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- Questa storia fa parte della serie 'The Specter Bros'- la serie'
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Mens Sana In Corpore Sano
(…o magari no)
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 



 
Era stata una tra le prime cose di cui le avevano parlato sia quando ancora studiava, sia quando aveva iniziato a lavorare in clinica: la possibilità di finire col dover prestare aiuto medico ad amici, familiari e conoscenti e la necessità di restare lucidi nonostante l’attaccamento emotivo più o meno forte.
 
Nickel non poteva dire di aver avuto grandi problemi a riguardo, si poteva dire che fosse piuttosto abituata. Veniva da una famiglia piuttosto numerosa -non tanto il nucleo più ristretto, quanto piuttosto a livello di zii, zie e cuginanza- nella quale era presente un buon numero di scavezzacollo che lei aveva avuto modo di curare già prima di studiare da medico; perlopiù si era trattato di lievi distorsioni, qualche contusione e qualche ferita, tutto tipico dei prioniani provenienti dalle “campagne” con relativa tendenza a vivere e giocare all’aria aperta. Ovviamente, prima durante il tirocinio e poi da interno, aveva trattato cose decisamente più serie che andavano da patologie più o meno gravi a ferite da aggressioni -Prion era una colonia pacifica ma neppure il posto più pacifico del cosmo, finché ci fosse stato il libero arbitrio, sarebbe mai stato esente dal crimine- e incidenti.
Qualche incidente era successo anche a persone che conosceva di vista, e il caso più eclatante era stato conseguenza di un rally clandestino nel quale erano stati coinvolti cinque suoi ex compagni di studi: uno aveva perso il controllo finendo addosso a un altro, e da lì si era creato un tamponamento a catena che aveva coinvolto una dozzina di persone. In quel caso Nickel ricordava di aver sbuffato il giusto per la loro incoscienza -“Siamo a Prion, non a Velocitron!”- ma ovviamente aveva prestato la sua opera di chirurgo senza battere ciglio.
 
“Chirurgo” appunto. Quella era la branca che le piaceva e nella quale si era specializzata, non si poteva essere medici esperti di tutto. Di solito, a parer suo, chi cercava di essere esperto in tutto finiva con l’essere esperto in niente.
 
“Quindi la domanda è: perché sono stata richiesta nel reparto psichiatrico?” pensò, mentre l’ascensore la portava al quarto piano della clinica.
 
I suoi punteggi negli esami iniziali l’avevano resa idonea a poter scegliere praticamente qualsiasi cosa nel momento in cui aveva dovuto decidere quale sarebbe stata la sua specializzazione, dunque se avesse voluto avrebbe potuto scegliere di studiare da mnemosurgeon e lavorare come tale, ma non l’aveva fatto. A voler essere del tutto onesta riteneva l’idea piuttosto spaventosa: nessuno secondo lei avrebbe dovuto poter agire sul processore altrui ai livelli in cui operavano i mnemosurgeon. Riconosceva la loro utilità medica in determinati casi ma era inquietata lo stesso da quelle pratiche.
 
Quando le porte dell’ascensore si aprirono trovò ad accoglierla proprio il caporeparto di psichiatria, il che rese tutto ancora più bizzarro.
 
«Oh, eccola qui. Mi fa piacere che sia stata così celere, dottoressa».
 
«Che mi abbia voluta qui è talmente strano che non potevo fare altro se non sbrigarmi» replicò Nickel «Serve aiuto con un paziente?»
 
Il caporeparto annuì. «Possiamo dire di sì, anche se in realtà è più un tentativo… inutile a prescindere ahimè ma quando si fa un giuramento…» disse, più a se stesso che a lei «Le spiegherò mentre andiamo».
 
Il reparto di psichiatria non somigliava a una brutta prigione sotterranea, c’era il giusto grado di spazio e di illuminazione, però Nickel si sentiva a disagio lo stesso chiedendosi quante stanze fossero occupate e per quali motivi. Certi casi richiedevano tempo e più di una seduta oltre che aghi nel cervello.
 
«Il fatto è che la mnemosurgery può molto» esordì lo mnemosurgeon «In certi casi direi che può moltissimo, ma non è la panacea che vorremmo. Scintilla e processore, la scienza dice che siamo tutto lì ma avendo alle spalle una carriera piuttosto lunga ho imparato che purtroppo certe ferite riescono ad andare oltre. Lei crede nel concetto di “anima”, dottoressa?»
 
«Onestamente non so risponderle… e non capisco ancora perché sono qui» replicò Nickel, sempre meno tranquilla «Vuole fare un tentativo inutile a prescindere riguardo cosa?»
 
«Lei conosce il signor Copper, giusto? Un mese fa era entrato in clinica quale inserviente ».
 
Sentire quel nome sorprese non poco Nickel. «Sì, lo conosco, per un po’è stato anche un mio compagno di studi».
 
Aveva conosciuto il minicon in questione nel primo anno dei suoi studi di medicina, iniziando presto a ritenerlo non un amico ma un conoscente con cui fare quattro chiacchiere e parlare delle lezioni. A un certo punto aveva avuto l’impressione di piacergli in quel senso ma, alla fine del primo vorn di studi, Copper aveva abbandonato il corso e si erano persi di vista, reincontrandosi solo un mese prima proprio in ospedale.
A Nickel non era dispiaciuto incontrarlo di nuovo, per qualche giorno avevano parlato del più e del meno e avevano bevuto insieme dell’energon caldo durante le pause… finché lui, a un certo punto, l’aveva guardata nelle ottiche e le aveva detto quanto gli fosse sempre piaciuta e gli piacesse ancora. Nickel aveva ritenuto opportuno chiarire di essere felicemente fidanzata, eppure Copper il giorno dopo si era procurato in qualche modo il suo indirizzo e le aveva mandato dei fiori a casa. Una faccenda per lei a dir poco imbarazzante, specie perché Bustin era stato presente alla consegna.
 
 
 
“Ti giuro che ha fatto tutto da solo! Io ci ho solo chiacchierato durante le pause, e quando si è dichiarato io gliel’ho detto che sono fidanzata, gliel’ho detto chiaro e tondo a quel deficiente! E tantomeno gli ho dato l’indirizzo!... come gli è venuto in mente di mandarmi dei fiori?!”
 
“Un po’lo capisco: qualunque persona dotata di buon gusto in fatto di femme ti manderebbe dei fiori”.
 
“Bustin, non è divertente. È una cosa imbarazzante e non capisco come tu possa prenderla in questo modo! Cazzo, se un’altra ci provasse con te in questo modo le farei ingoiare una chiave inglese!”
 
“Non dico che quel che è successo mi piaccia, però so anche di non avere niente da temere. Non avrebbe molto senso farti una scenata di gelosia perché qualcuno ti ha mandato dei fiori che tu neanche volevi”.
 
 
 
Per fortuna Bustin era una persona ragionevole e aveva una fiducia assoluta -e ben riposta- in lei, dunque su quel fronte non c’erano stati problemi, e il giorno successivo Nickel aveva avuto una conversazione piuttosto dura con Copper. Era riuscita a farlo desistere, ma lui non le aveva più rivolto la parola e da lì in poi si erano a malapena incrociati. Nulla di male: due chiacchiere durante le pause non valevano tanto stress.
 
«Ecco. Dunque forse si sarà fatta qualche domanda sul perché sia assente da quasi una settimana?...» le domandò il professore.
 
«È assente? No, non mi ero accorta, eccetto che nei primi giorni non abbiamo più avuto a che fare uno con l’altra, ma non capisco...»
 
Si interruppe facendo un collegamento che, nonostante la stupidità dimostrata dal suo ex compagno di studi, mai avrebbe desiderato o pensato di trovarsi a fare.
 
«Non mi vorrà dire che Copper si trova qui?»
 
L’altro minicon, molto serio in volto, annuì. «È stato trovato in uno dei quartieri di periferia della nostra cittadina. Si aggirava lì in uno stato confusionale gravissimo e di aggressività a livelli bestiali, dal quale non si è ancora ripreso, gridando parole assolutamente prive di senso».
 
«M-ma cosa… come?» allibì Nickel «Com’è successo?! Se ne sa qualcosa?»
 
Il caporeparto scosse la testa. «Nessuno ha la minima idea di come sia successo, dove sia successo di preciso e perché. Nessun medicinale ha funzionato e i nostri migliori mnemosurgeon, tra i quali posso annoverarmi senza falsa modestia, non sono ancora riusciti a cavare un aracnobot dal buco pur avendo già scavato più in profondità di quanto sarebbe stato medicalmente saggio. Tutto ciò che abbiamo trovato nella mente di quel povero disgraziato è stato il caos, e devo aggiungere che qualcuno dei più giovani ad aver operato si è anche sentito piuttosto male in seguito» affermò «Purtroppo ho già visto casi di transformers ridotti in questo modo, alcuni aggressivi, alcuni in stato vegetativo. È un fenomeno raro ma tutt’altro che unico: quando io ho iniziato gli studi era già conosciuto. In passato è stato colpito anche più d’un transformer piuttosto eminente… la prova che le malattie non risparmiano proprio nessuno».
 
L’idea faceva sentire Nickel piuttosto destabilizzata. Era consapevole che esistessero delle patologie difficilmente o per niente curabili, ma non era mai piacevole sentire che un proprio conoscente era andato completamente fuori di testa.
 
«Quindi… perché io sono qui?»
 
«Lei è uno degli ultimi tentativi di penetrare la barriera di caos e trovare qualcosa a cui aggrapparsi per iniziare a rimettere in ordine il processore del signor Copper. Si spera sempre che la vista di amici, familiari e conoscenti riesca a far scoccare quella scintilla» le spiegò il medico.
 
«Immagino che abbiate già tentato con le prime due categorie».
 
«Confermo. Abbiamo provato, nonostante io avessi capito molto presto di cosa si trattava, perché il nostro giuramento ci impone di fare ogni tentativo possibile di aiutare i nostri pazienti… anche perché, in caso di incurabilità dichiarata, sa bene qual è la scelta che tende a fare chi ne assume la tutela».
 
«Eutanasia. E solitamente in casi come questo non impiegano molto a far avviare la procedura» disse Nickel, in tono piuttosto neutro «Se i pazienti non sono più funzionali in alcuna parte e non c’è la neanche la minima possibilità che tornino a esserlo viene considerato un atto di pietà. Quindi cosa vuole che faccia di preciso, dottore?»
 
«La stanza del signor Copper è questa» disse il caporeparto, indicando una porta coperta da un pannello oscurante di colore chiaro «Tolto il pannello, lui potrà vederla. Tutto quel che deve fare lei è stare qui, magari provare a chiamarlo. Si spera in una reazione diversa dal solito…»
 
«Ma non ci conta».
 
«No».
 
La minicon esitò solo brevemente prima di dire all’altro di aprire il pannello, più che altro in nome di un giuramento che aveva fatto, come tutti i medici, e nel quale credeva.
 
Un grido animalesco precedette di poco la testata che il povero minicon impazzito e stretto in una sorta di camicia di forza diede contro la porta, proprio davanti a Nickel, che sobbalzò all’indietro suo malgrado.
 
« N’ghftnyth mgepnog!» urlò il minicon «Iä! Iä! N’ghftnyth mgepnog!»
 
Era stata preparata a quel che avrebbe visto, eppure lo spettacolo era perfino peggio di quanto Nickel avesse immaginato. Non c’era un briciolo di raziocinio in quelle ottiche, riflesso del caos nel processore, e il resto dei movimenti scattosi del minicon e dei suoi versi sconclusionati mostrava solo un miscuglio di aggressività bestiale e terrore. Decise di farsi comunque forza e provare a chiamarlo.
 
«Copper-»
 
«Ephaiah Mgehye! Ephaiah N’gha!» sbraitò il minicon folle, con la visibile intenzione di cercare nuovamente di spaccarsi la testa contro la porta o le pareti, fatte fortunatamente di materiali adatti a evitarlo «Ahhai nilgh’rishuggogg ephaiah uh’eor Chhaos…»
 
Nickel provò a chiamarlo ancora e ad attirare la sua attenzione, senza risultato: lui continuò a gridare e ringhiare i suoi strani versi, che in certi punti le sembravano quasi somigliare a parole vere e proprie in una lingua sconosciuta.
 
«Come immaginavo e temevo» disse lo mnemosurgeon, cupo «Nessunissima differenza. Ha fatto il suo, dottoressa, può andare».
 
Nickel non se lo fece dire due volte, desiderosa solo di allontanarsi, e si congedò con un breve cenno d’assenso raggiungendo l’ascensore più velocemente che poteva. Non poteva fare assolutamente niente per il suo ex compagno di studi, restare ancora lì era inutile e sperava di riuscire ad allontanare dalla testa quel pensiero proprio come aveva imparato ad allontanare dalla propria sfera emotiva i dolori e le miserie dei suoi pazienti: era necessario farlo -in una certa misura- per evitare di consumarsi dietro la sofferenza altrui.
 
«… N’ghftnyth, h’Uaaahgof’n ng f’Gof’nn ephaimgahnnn ngluii!» sentì urlare ancora il disgraziato ex inserviente  «Ng h' ephaiah ephaii yar ot Mgepogor R'luhhor! N’ghftnyth! N’gha! N’gha! N’ghaaaaa!»
 
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
 
La prima cosa che fece Nickel quando rientrò a casa svariate ore dopo fu dirigersi verso il mobile bar e servirsi un cubetto di energon extra forte, come faceva spesso dopo giornate particolarmente pesanti, e quella indubbiamente lo era stata. Col passare delle ore aveva concluso che avrebbe superato abbastanza presto la faccenda di Copper, ma vedere un minicon in quelle condizioni non era stato gradevole.
Sentì i passi di Bustin a poca distanza da lei, e pensò che non essere da sola in casa era più che consolante in certi momenti.
 
«Bentornata. Giornata dura?»
 
«Abbastanza» disse la minicon, svuotando il cubetto con un lungo sorso, per poi sospirare. «Hai presente Copper?»
 
Bustin la guardò con aria interrogativa. «Chi?»
 
«Il cretino che mi ha mandato dei fiori».
 
«Ah, lui! Mi avevi detto che avevi chiarito, è venuto a darti noia di nuovo? So che sei abituata a risolvere certe cose da sola ma se serve aiuto dimmelo».
 
«No, non mi serve aiuto, non credo che possa più darmi fastidio ormai. Vedi, lui…» sospirò nervosamente «È in psichiatria al momento, e il caporeparto è piuttosto convinto che non ci sia speranza, e dopo averlo visto ne sono abbastanza convinta anche io».
 
«In psichiatria? Sul serio?» si stupì Bustin «Che gli è successo?»
 
«L’hanno trovato a vagare impazzito in periferia. Io l’ho visto perché in casi come quello sperano sempre di “smuovere” qualcosa nei processori dei pazienti facendo vedere loro gente conosciuta» spiegò rapidamente Nickel «Ci avevano notati mentre eravamo insieme al bar della clinica, prima che lui si dichiarasse e tutto il resto, quindi hanno pensato che magari… ma è stato inutile. Continuava a urlare cose incomprensibili e cercare di rompersi la testa».
 
«Mi spiace sia per quel povero disgraziato sia per te che l’hai visto così. Quasi quasi bevo un po’di extra forte anche io, qui ci vuole» disse Bustin, servendosi un cubetto come quello di Nickel «Hanno una vaga idea del perché sia messo così? Una malattia, dei traumi, non so…»
 
«Se si fosse trattato di quello avrebbero potuto risolvere con le medicine o con la mnemosurgery. Il caporeparto ha fatto un discorso che tirava in ballo le ferite dell’anima o roba del genere, poi mi ha chiesto se credo al concetto di anima e…» sbuffò «Da un uomo di scienza non me l’aspettavo, anche se effettivamente, con quel che ha visto e che ho visto…»
 
«Riguardo il concetto di anima cosa gli hai risposto?»
 
«La verità, ossia che non lo so. Però lo vedo più come un concetto organico, noi siamo processore e Scintilla, sono quei dati che si riuniscono all’Allspark, il tutto volendo pensare che abbiano ragione i neoprimalisti e che quindi l’Allspark esista» disse Nickel «Tu invece che pensi?»
 
«Che è inutile farsi domande su concetti che non possiamo comprendere. Per quanto ne sappiamo, Primus, Unicron, noi stessi e tutta la compagnia potremmo essere solo un lunghissimo sogno di qualcuno e niente di più».
 
La minicon alzò gli occhi al soffitto. «Una risposta strana come questa dovevo aspettarmela. Adesso che ho parlato di tutta questa cosa però mi sento meglio».
 
«Sono qui apposta».
 
«Pensare che io ho iniziato a lamentarmi appena sono tornata e non ti ho nemmeno detto “ciao”…»
 
«Sei ancora in tempo!»
 
Nickel sorrise. «Hai talmente tanta pazienza e sei così carino con me che a volte mi domando se sei vero».
 
Bustin le prese una mano con delicatezza e l’accarezzò. «Sono dell’idea che la mia parte migliore e più vera sia proprio tu e tutto quel che ti riguarda, Nickel. Comunque, sei ancora dell’idea di uscire questa sera?»
 
«Usci-ah, già! Avevamo detto di andare al Crawling Mist insieme» ricordò lei «Sì. Sì, possiamo andare, credo che uscire un po’mi farà solo bene».
 
«Domani poi siamo a casa tutti e due, quindi se ci gira bene possiamo anche fare chiusura!»
 
«Un’altra volta?!» esclamò Nickel, “disperata” ma solo per modo di dire dato che il locale e il tipo di clientela non le dispiacevano «O beh, basta non finire entrambi a ballare sopra il bancone del bar di nuovo…»
 
«Quello, sempre se ci gira bene, succederà di sicuro!»
 
«Perlomeno stavolta lascia a casa la vuvuzela, altrimenti-»
 
«“Altrimenti” me la rubi un’altra volta per soffiarci dentro mentre balli?»
 
Nickel gli lanciò un’occhiataccia. «Prima che ci mettessimo insieme queste cose non succedevano, ero una persona seria, TU mi hai traviata».
 
«Sì, l’ho fatto!» annuì Bustin «Io vado a prepararmi».
 
«Non metterci due ore come tuo solito!... e per fortuna che dovremmo essere noi femme a stare in bagno un’eternità» commentò Nickel, vedendolo sparire su per le scale.
 
Buona parte della giornata forse era stato pesante ma, per sua fortuna, c’era qualcuno che era sempre pronto ad alleggerire la sua esistenza.
Bustin era carino, premuroso, comprensivo, intelligente, tranquillo, piaceva ai suoi genitori, avevano una bella casa e avevano entrambi una carriera ben avviata: sarebbe stata l’atmosfera perfetta per diventare compagni di vita e di mettere su famiglia, idea che lei aveva già tirato fuori in più di un’occasione, soprattutto da quando il tirocinio era finito. Lui non era ancora molto convinto, ma Nickel era sicura che avrebbe capito a sua volta che potevano davvero permettersi di farlo… prima o poi.
 
Spingendo in fondo al processore i pensieri negativi, le persone che non poteva aiutare e le parole che non poteva comprendere, andò a prepararsi a sua volta immaginando un futuro sereno e felice col suo bel lavoro, il suo amato compagno e i loro futuri figli nella colonia di Prion. Cosa sarebbe mai potuto andare storto?
   
 
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