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Autore: PrincessintheNorth    03/06/2020    1 recensioni
Nuova edizione della mia precedente fanfic "Family", migliorata ed ampliata!
Sono passati tre anni dalla caduta di Galbatorix.
Murtagh é andato via, a Nord, dove ha messo su famiglia.
Ma una chiamata da Eragon, suo fratello, lo farà tornare indietro ...
"- Cosa c’è?
Deglutì nervosamente. – Ho … ho bisogno di un favore. Cioè, in realtà non proprio, ma …
-O sai cosa dire o me ne vado.
- Devi tornare a Ilirea."
Se vi ho incuriositi passate a leggere!
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Morzan, Murtagh, Nuovo Personaggio, Selena | Coppie: Selena/Morzan
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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MURTAGH
 
 
Quando mi svegliai, quel mattino, credetti di stare ancora sognando.
Prima di tutto c’era il sole, dopo settimane di costante pioggia: la giornata era talmente tersa che potevo vedere riflesse nella finestra le alte guglie della cattedrale della città. Come seconda cosa nell’aria c’era profumo di colazione, ma di una colazione di quelle buone, ricche, che non mi godevo da che Belle si era ammalata; terzo, non sentivo colpi di tosse, ma risate.
Dalla saletta privata dove io, Katie ed i bambini mangiavamo, a cui si accedeva dalla camera da letto tramite un arco, proveniva un allegro vociare e il rumore di stoviglie all’opera: dopo qualche secondo, mi resi conto che anche il profumo della colazione veniva proprio da lì. Fu proprio la curiosità e la speranza di non ritrovarmi in un sogno a farmi alzare: mi misi rapidamente addosso una camicia ed andai in avanscoperta.
Intorno alla tavola imbandita erano seduti Killian, Evan, Katie e Belle: fu vedere quest’ultima a confermarmi che l’incantesimo che Katherine aveva fatto quella notte aveva funzionato.
La piccola sorrideva e rideva a tutto spiano, felice come non l’avevo mai vista, e si godeva la propria colazione (e soprattutto la pancetta croccante) come aveva sempre fatto: le guance erano accese di vita, gli occhi brillanti e spalancati sul mondo mentre raccontava alla sua mamma e ai suoi fratelli il sogno che aveva fatto quella notte.
«C’ela la mami» raccontò. «Ed ela un sogno un po’ blutto ma non ela plopio un sogno blutto. Ela tutta spocca e poi faceva le magie. E poi mi sono sognata che … beh, in lealtà non me lo licoddo cosa ho sognato dopo, pelò mi pale che ela uno bello sogno. Papà!» esclamò poi, vedendomi: con un balzo che non le vedevo fare da tempo saltò giù dalla sedia e, prima ancora che me ne rendessi conto, ce l’avevo in braccio.
Nel sentirla tra le mie braccia, vigorosa, felice, fresca e sana, un’enorme felicità s’impossessò di me: non sembrava nemmeno la bambina sull’orlo della morte che avevo accudito quella notte, mentre Katie era fuori. Era proprio la mia Belle, la mia peste, quella che stavo abbracciando.
«Adesso sto bene!» esultò ridendo. «Andiamo a giocale dopo? Sai che sei più bellino stamattina?»
Un’altra stretta, un bacino umido sulla guancia e lei saltò giù, tornando a tavola per divorarsi ancora un po’ di colazione. Non mi aveva nemmeno dato il tempo di risponderle, tanto era contenta.
Evan e Killian mi considerarono molto poco: erano occupati a farsi la guerra con i pupazzi.
«State attenti» Katie gli consigliò. «Prima che quegli orsetti facciano il bagno nella fonduta».
Prendendo posto accanto a lei, mi resi conto che quella colazione era ben più sostanziosa di quanto avessi immaginato: non c’era un pollice del tavolo che non fosse occupato da piatti succulenti. Fonduta di formaggio, pancetta croccante, salsicce, pomodori ripieni e arrosto, fagioli in umido, pane fritto, uova alla coque e strapazzate … qualunque cosa a cui potessi pensare, era lì.
Notai che c’erano altri cinque posti apparecchiati, ma ancora vuoti: probabilmente i nostri genitori si sarebbero uniti a noi per colazione, forse insieme ad Eragon.
«Più bellino?» domandai a Katie, che sorrise.
«Da quando si è svegliata ogni cosa che vede è bellissima. Ha passato un’ora a fissarmi e a dirmi quanto, oggi, fossi ben più “calina calinissima” del solito. Il cielo è sempre stato così blu? Il mare è sempre stato tanto bello?» mi spiegò. «Ho sentito dire che succede, quando si scampa alla morte per grazia degli dei».
«E della mamma più coraggiosa che una bimba possa avere» precisai. Avevamo deciso di non dire a nessuno quello che era accaduto quella notte, anche perché non sarebbe stato molto utile: come mi aveva raccontato lei, Galbatorix era scomparso non appena lei aveva completato il rituale di sacrificio. Inoltre sapevo quello che sarebbe accaduto: da quando eravamo tornati dalla Du Weldenvarden i rapporti con i suoi parenti si erano fatti più tesi, e visto il suo atteggiamento più severo loro si erano fatti estremamente più sospettosi nei suoi confronti. Se avessero scoperto non solo che aveva fatto uso di magia nera, ma che aveva stretto un patto con Galbatorix, seppur per nobili fini, l’avrebbero sempre vista come una potenziale traditrice. Soprattutto, non doveva venirlo a sapere mio padre: già era convinto che lei fosse vittima di un qualche incantesimo (solo perché non gli andava giù che lei l’avesse messo al tappeto), e se fosse venuto a conoscenza di come Belle si era salvata chissà che avrebbe combinato. Dopotutto, solo per un vago sospetto le aveva sfregiato il viso: se avesse scoperto in che genere di guaio lei si fosse cacciata … meglio non pensarci.
Dunque, avevamo deciso che ufficialmente Belle fosse guarita per miracolo: aveva iniziato a tossire, respirare difficoltosamente, sputare sangue, ma all’improvviso una luce dorata l’aveva avvolta e lei era ritornata la bimba che era sempre stata.
Avevo sentimenti molto ambivalenti sul modo in cui Katherine era riuscita a salvarla. Da una parte capivo che lei era l’unica che potesse farlo: dopotutto l’elfa, nonostante le numerosissime sessioni di tortura cui l’avevo sottoposta, a me non aveva mai rivelato niente, ma con Kate, che non era stata nemmeno tanto cattiva, aveva cantato come un usignolo. Era evidente che il piano suo e di Galbatorix fosse proprio quello di attirare Katie nella trappola (e ciò rendeva quel mio sogno sempre più pericolosamente vicino alla realtà), e che solamente in quel modo saremmo riusciti a salvare la nostra piccola, ma non riuscivo a smettere di pensare che, a stringere quel patto, ad usare quella magia, sarei dovuto essere io. Non per motivi di gloria personale, per fregiarmi del merito di aver salvato mia figlia, ma per proteggere Kate. Ancora non sapevamo quando e in che modo lui avrebbe riscosso il favore che lei gli aveva promesso, ma intanto aveva fatto qualcosa di ben peggiore: l’aveva introdotta all’uso della magia oscura, in un labirinto dal quale era difficilissimo uscire a meno che non lo si volesse con la massima intensità. La magia nera non era qualcosa di cui ci si poteva liberare facilmente, perché corrodeva in poco tempo lo spirito ed, in qualche modo, creava dipendenza: una volta scoperto che, con un minimo spreco di energia, potevi ottenere risultati che la magia tradizionale non consentiva, non ti liberavi più del desiderio di usarla. Io stesso, per la maggior parte del tempo che avevo trascorso sotto il dominio del re, ero rimasto ammaliato dalle potenzialità di quegli incantesimi: me n’ero allontanato solo quando ero stato costretto a sacrificare Tornac, il mio cavallo, per far ammalare mortalmente gran parte della popolazione anziana dell’Impero. Galbatorix non voleva avere gente inutile nel proprio regno, ma di certo non si era sporcato le mani per toglierseli di torno da sé.
Katherine, la notte prima, era rimasta sconvolta dal fatto di non essere nemmeno spossata dopo aver lanciato un incantesimo così potente: per lunghe ore, prima che il sonno la vincesse, aveva avuto la paura negli occhi. Quello mi aveva un po’ rasserenato, anche se vederla così spaventata non mi aveva fatto particolarmente piacere: era meglio che temesse la magia oscura, invece che apprezzarne i lati che potevano sembrare vantaggiosi. Visto il suo potere, saperla in grado di scagliare certi incantesimi e in debito con Galbatorix sarebbe stata la cosa meno auspicabile di tutte.
In quel momento, però, non c’era spazio per timore o sentimenti negativi in lei, potevo vederlo: era assolutamente, completamente felice, come, d’altro canto, lo ero anche io.
«Oggi festeggiamo» decisi, affogando sull’esempio di Katie e dei bambini, una fetta di pane all’aglio nella fonduta. «Non ci saranno preoccupazioni».
Qualche minuto dopo ci raggiunsero i nostri genitori e la mia bisnonna, Anne: tutti e tre avevano un’espressione stranita in volto, come a chiedersi perché Katherine li avesse invitati di punto in bianco ad una colazione privata nelle nostre stanze, ma ogni dubbio scomparve dai loro volti quando videro Belle, allegra e sana come un pesce, sostituito dalla felicità e dalla commozione. La piccola passò il resto del pasto accoccolata in braccio a mio padre (era ancora un po’ sospettosa nei riguardi di Derek, dopo la sfuriata a cui aveva assistito due settimane prima), che non perse certo l’occasione di renderla un animaletto insegnandole a fare le bolle nel bicchiere.
Riuscì persino a farle mangiare fagioli e pomodori, nonostante non fossero i suoi cibi preferiti, disponendoglieli a forma di fiore. «Sapete, piccoli» aggiunse con il tipico tono che usava quando voleva raccontare un qualche episodio imbarazzante della mia infanzia. «Tanto tempo fa, quando il vostro papà era piccolo, non voleva mai mangiare la verdura, ed il nonno e la nonna erano costretti a fargli le faccine di verdura per fargliela mangiare. Altrimenti diventava stitico».
«Cosa è titico?» domandò Killian.
«Vuol dire che non faceva la cacca!»
Ovviamente questo scatenò un moto d’ilarità nei tre, essendo in quella particolare fase dell’infanzia in cui ogni cosa legata a cacca, pipì e cose varie è estremamente divertente.
«Meraviglioso» sbuffai riempiendomi il piatto di pancetta. «Ora avrò davanti una splendida giornata di prese in giro da parte di tre nanetti».
«Io non sono basso!» protestò Evan. «Semmai la mamma!»
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
MORZAN, UNA SETTIMANA DOPO
 
Il disegno si fa più chiaro, pensai, mentre tiravo di scherma con Murtagh, per la gioia dei bambini, che urlavano “picchia-picchia-picchia!” come degli sciammannati.
Mi era capitato più volte di misurarmi con lui: era un combattente eccezionale e letale, quando aveva in mano la spada non esisteva altro. Eppure, da giorni era completamente distratto e continuava a lanciare occhiate preoccupate verso Katherine, che in quel momento stava aiutando Evan a fare un disegno.
La misteriosa guarigione di Belle aveva lasciato tutti costernati: la settimana prima Murtagh e Katie avevano raccontato un mucchio di frottole, dicendo che era stato un miracolo, parlando di una magica luce dorata che aveva avvolto la bambina. Ma per piacere, avevo pensato in quel momento: l’attimo dopo Derek aveva sfiorato la mia mente, e ci eravamo resi conto che nutrivamo gli stessi sospetti, anche se i miei erano ben più oscuri. Avevamo preferito non dire niente, sorridere e fargli credere che ce la fossimo bevuta, ma dovevo chiarire le cose con il ragazzino quanto prima. Mi ero preso perciò una settimana per osservarli, per vedere se si comportassero in modo sospetto: e lo facevano, altrochè. Spesso mi capitava di vederli rintanati in qualche angolo, non occupati nelle piacevoli attività che dilettavano le giovani coppie, ma colti dalla preoccupazione. La sera prima, addirittura, avevo visto Kate uscire di soppiatto dalle loro stanze, avvolta in un mantello blu scuro, così da confondersi con le ombre: avevo preferito non seguirla, dicendomi che poteva essere in giro per il castello ad un’ora così tarda per svariati motivi, ma il senso di preoccupazione e sospetto non mi avevano lasciato dormire per tutta la notte.
Mi bastò una rapida torsione del polso per disarmarlo: come sempre, rimase ammutolito per almeno dieci secondi, chiedendosi come diavolo avessi fatto.
«Avrò usato la magia nera» commentai per stuzzicarlo. Era ovvio che uno di loro due avesse fatto uso di quegli incantesimi: nessuna formula normale aveva avuto effetto, ed erano gli unici nel castello ad essere abbastanza potenti per guarire la bambina.
Come immaginavo, non appena dissi quelle parole impallidì, quasi perdendo la presa sulla spada che aveva appena raccolto: subito dopo rimodellò la propria espressione in una scettica e sarcastica, ma ormai aveva parlato.
«Tu adesso vieni con me» ordinai trascinandolo fuori dal salotto, in una stanzetta attigua.
«Cosa diavolo vuoi?!» protestò una volta che ebbi chiuso a chiave la porta.
«Sapere cos’avete combinato voi due idioti» feci andando dritto al sodo. «Sappi che nessuno si è bevuto la storiella della guarigione miracolosa. Lo so benissimo che uno di voi due ha guarito Belle con la magia nera, e ora tu mi dirai tutto».
«Non è vero» negò scuotendo la testa. «È andata esattamente nel modo in cui abbiamo detto …»
«Sì, e magari i bambini nascono sotto i cavoli?» alla provocazione arrossì di rabbia. «Non cercare di farmi fesso, ho un secolo d’esperienza in più di te. Galbatorix potrà anche averti detto di essere più forte di me, ma sappi che l’ha fatto solamente per darti la forza di sconfiggere tuo fratello. Devi avere ben chiaro in testa che la tua conoscenza magica, in confronto a quella che possediamo Derek, Galbatorix od io, è grande più o meno come il bambino che Katherine ha nella pancia. Una cosina così» allargai le mani quel poco che bastava per fargli intuire le attuali dimensioni del bambino che presto avrebbe avuto. «Un mandarino, Murtagh. Ora, il tuo cervello è ben più grande di un mandarino, quindi usalo e dimmi cos’avete combinato».
Da infuriata, la sua espressione cambiò, divenendo preoccupata e spaventata. «Stava morendo» mormorò poi. «Belle. Se ne stava davvero andando … e allora Katie è andata dall’elfa. Lei le ha detto di andare nel bosco, in una caverna dove un tempo viveva una sorta di fattucchiera … e … e ha trovato il modo di guarirla».
Merda.
La realtà era ben peggiore di quanto avessi pensato. Immaginavo cosa fosse successo dopo, come Kate avesse trovato il modo di salvare Belle, ma preferii far continuare Murtagh per averne la certezza.
Aveva gli occhi pieni di lacrime di paura: la voce gli si era fatta rapida, spezzata, colma di ansia. «Ha … ha incontrato lui. Le ha fatto sacrificare quel verme di Kjellgrim e poi … una volta che è tornata a casa ha usato l’incantesimo che le aveva detto. In cambio le ha chiesto un favore che riscuoterà quando vorrà. Questo è successo» concluse scrollando le spalle. «Nulla di più, nulla di meno».
«Nulla di …Murtagh, ti rendi conto di cosa stai dicendo?» sbottai, invocando quel poco di pazienza che avevo perché mi impedisse di urlare. «Tua moglie, Katherine, principessa e futura regina del Nord, madre incinta dei tuoi figli, una delle streghe più potenti in circolazione fa patti con niente meno che Galbatorix, viene introdotta all’uso della magia oscura e tu hai il coraggio e la stupidità di dire “nulla di più, nulla di meno”? Ma cosa diavolo vi è saltato in mente? Posso capire lei, è incinta e un po’ fuori di sé, ma tu …! Perché non avete detto niente?!»
Lui ridacchiò con sarcasmo, incrociando le braccia. «Per caso tu hai già detto in dettaglio a Derek cosa sospetti su di lei?» mi rispose di rimando, cogliendomi sul vivo. «No, immaginavo. Se non gli hai detto tutto allora sai benissimo perché certe cose non deve venirle a sapere. L’ha vista arrabbiata, seriamente arrabbiata, e non ci ha pensato su due volte per decidere di toglierle i bambini. Non solo a lei, ma anche a me. Se scoprisse qual è davvero la tua piccola teoria, o peggio, quello che lei davvero ha fatto? Il fatto che sia sua figlia non costituirebbe il minimo deterrente per lui. Chissà cosa farebbe».
Purtroppo aveva ragione: Derek non poteva permettersi di essere solamente il padre di Kate, era anche il suo re. Lei aveva, seppur con le migliori intenzioni, cospirato con il nemico, e questo le faceva pendere un’accusa di alto tradimento sulla testa. Suo padre non aveva via di scampo: proteggendola si sarebbe tenuto in casa una potenziale traditrice (anche se quest’ultima aveva buone intenzioni), incriminandola avrebbe condannato a morte sua figlia, rendendo orfani quattro bambini piccoli. No, l’unica soluzione era che non sapesse niente, e che io nel frattempo proteggessi Katherine.
«Come l’ha presa?» domandai preoccupato.
«Come ha preso cosa?»
«La magia oscura, Murtagh, non fare il finto tonto. Come si è comportata dopo?»
Avevo imparato a conoscere Kate: in lei c’era un certo grado di spregiudicatezza, seppur mitigato dalla morale. Avrebbe fatto qualunque cosa per raggiungere uno scopo che riteneva nobile e giusto, od utile per il proprio tornaconto. Se questo scopo poteva essere raggiunto tramite scorciatoie o sotterfugi in grado di risparmiarle grane e tempi morti, meglio ancora: avendo usato la magia nera, doveva aver già capito che quella era la migliore scorciatoia che esistesse.
Un simile potere in mano ad una donna con quel carattere era una cosa che nessuno poteva permettersi.
Murtagh sospirò, di sollievo stavolta. «Era spaventata a morte» fece.
«E non è un’altra fesseria delle tue, questa?»
«Vel einradhin iet ai Shur’tugal» sibilò. La mia parola di Cavaliere.
Il cucciolo non mente, Dracarys commentò. Lascialo in pace, e aiutalo. Anche se non lo da a vedere, si angoscia molto per la sorte della madre-dei-suoi-cuccioli.
Lo so. Ma deve rendersi conto … deve capire che Katie, seppur inconsciamente, è pericolosa.
Katie sarà pericolosa se le permetterete di esserlo, replicò. In questo momento lei vede Murtagh come unico e solo alleato, l’unico essere umano a parte i suoi figli che la ami davvero e che non la tratti come un drago impazzito. Avete visto che tacerle le cose e mentirle crea danni: parlale, aiutala, falle capire in che pasticcio è finita. Noi lo sappiamo cento volte meglio di Murtagh e Castigo. Lei ha bisogno di alleati … uno solo non basta. Due potrebbero essere meglio.
«Va bene» sospirai allora. «Però tu devi fare una cosa: toglierti i paraocchi. Da che siete tornati dalla Du Weldenvarden tu non ti sei reso conto di niente, oppure hai visto benissimo che cosa sta diventando ma hai deciso di giustificarla ad oltranza. Ora che si è creata questa situazione non te lo puoi più permettere, perché lo sai benissimo cos’accadrebbe … pensa se qualcuno la facesse infuriare di nuovo».
Lui deglutì nervosamente: aveva capito. «Se peggiora so dove trovarti» concluse.
«Non solo: devi controllare cosa combina. Ti ha mostrato cos’è accaduto quella notte?»
Anche un’altra domanda avrei voluto porgli: sai dov’è andata la scorsa notte? Probabilmente però non lo sapeva: creare attriti fra di loro era l’ultima delle cose che volevo.
Murtagh trasalì: sul suo volto passò, rapida come un falco, l’ombra del sospetto. Scosse lentamente la testa. «Mi ha detto tutto» sussurrò. «Deve averlo fatto …»
«Non voglio creare attriti fra di voi, ma … lei è venuta in contatto con Galbatorix e ha usato la magia oscura. Potrei star dicendo un mucchio di idiozie, ma … va tenuta d’occhio. Dobbiamo capire se lui è già riuscito ad influenzarla».
«Ma è Katie!» protestò. «Non lo farebbe mai! Lo sa chi è lui!»
«Anche tua madre ed io lo sapevamo, così come te. Eppure tutti noi, nessuno escluso, abbiamo avuto un periodo in cui eravamo fermamente convinti delle sue idee. E nessuno di noi aveva in mano il potere che lei ha».
Murtagh sembrava sul punto di voler vomitare: già le sue guance stavano prendendo una sfumatura molto pallida e malsana.
Lo stai terrorizzando, Dracarys puntualizzò. Cosa ti avevo detto?
Se si preoccupa noterà molto di più le stranezze di Kate. Probabilmente ora correrà da me per ogni minima cosa, ma spero che tra la miriade di cose che mi dirà ci sarà qualcosa che possa aiutarmi a rendere più chiaro il dilemma.
Sì, ma ora non dormirà più la notte.
Ha tre figli piccoli e scatenati e praticamente non fa lavorare la tata che ha assunto. Dormirà.
«Adesso non farti venire pensieri drammatici» mi venne da ridere non appena lo dissi. Al suo posto avrei fatto pensieri ben più che drammatici. «Può essere che quel che ci siamo detti ora sia tutta una grande stupidaggine. Sicuramente Kate sta bene e sono certo che sa bene chi è il re, dunque è molto probabile che non avremo nulla da temere. Tuttavia, tenere gli occhi aperti non costa nulla e non ha mai fatto male a nessuno».
Quando tornammo nel soggiorno, dov’era il resto della famiglia, notammo che la situazione era già cambiata: i bambini stavano giocando con Derek e Miranda, Audrey stava rimproverando Annabeth per qualche oscuro motivo e Selena era seduta tranquilla su uno dei divani, con Evan raggomitolato accanto mentre ascoltava una delle sue storie.
Katherine invece era stata richiesta come modella dal pittore di corte, insieme a Sìgurd. Erano inseriti in una scenografia molto particolare, caraterrizzata da un’ambientazione estiva da un lato e da una invernale dall’altro: al centro esatto della composizione c’era lei, che si era cambiata d’abito ed indossava un vestito dai caldi colori autunnali. A cingerle la testa, una corona di foglie d’acero rosse e gialle: tendeva un braccio verso il paesaggio estivo, traboccante di vita, ma Sìgurd, che vestiva abiti di un bianco accecante e portava una corona di fiocchi di neve, la teneva per la vita, conducendola verso di sé.
Il dipinto stava già prendendo forma nei bozzetti: su quei fogli l’espressione di Katie era ancor più tormentata di quanto non lo fosse nella realtà.
Quando mi voltai verso Murtagh, e vidi la sua espressione turbata, capii che aveva avuto il mio stesso pensiero.
Ironia della sorte, pensai.
«Cosa dipingete?» chiesi all’artista, avvicinandomi.
Prima di rispondermi, lui diede qualche altro colpo di carboncino: il tempo di rappresentare la stretta di Sìgurd sui fianchi di Katherine in una maniera talmente provocante che avrebbe fatto illividire Murtagh, già piuttosto contrariato per la vicinanza di un altro uomo accanto a sua moglie. «Una scena di un mito» fece accentuando l’espressione di subdola vittoria sul volto di Sìgurd. «Il malvagio dio dell’Inverno riesce infine a sedurre la dolce e sensuale Estate, che si tramuta nell’Autunno, pur sapendo che questa scelta le costerà tutto. Secondo il racconto la tramutazione dell’Estate doveva avvenire durante il bacio dell’Inverno, ma non essendo qui presente vostro figlio ho dovuto accontentarmi e fare con ciò che avevo».
«Hai il primo ufficiale della Comandante della Marina!» ridacchiò Sìgurd. «Non ti basta?»
«Mio signore, capirete che non posso far posare la mia musa in atteggiamenti intimi con un proprio familiare» rise Aedàn. «Ad ogni modo, ecco: i primi bozzetti sono finiti. Almeno Murtagh si darà un po’ di pace».
La battuta riuscì a strappargli un mezzo sorriso: Aedàn era un suo amico d’infanzia, terzo figlio del maggiordomo di Lionsgate. Avendo la stessa età, lui, Murtagh e John, figlio di Marlene e Tornac, avevano subito fatto amicizia: erano diventati in breve tempo il tormento della servitù e dei rispettivi genitori. Mi bastava chiudere gli occhi per rivederli scorrazzare nei giardini della mia tenuta, piccoli e spensierati: ora erano tutti diventati adulti, mariti, padri di famiglia. Marlene, John e la sua famiglia erano arrivati poche ore prima al Tridente, su invito di Murtagh: ritrovarsi era stato bello per tutti, ma era stato particolarmente benefico per Murtagh ed i miei nipoti, che avevano immediatamente fatto amicizia con i figli di John, Lily e Tornac. Belle, soprattutto, era felicissima di aver conosciuto dei “cuginetti” che non la trattavano male, ragion per cui gli stava presentando Mellie, raccontando per filo e per segno la storia di come lei e Kate l’avevano trovata e soccorsa.
«Hai visto com’è contenta?» Kate sorrise raggiungendo Murtagh, che l’abbracciò.
«Le servivano dei nuovi amici» rise Derek.
Quando Katherine lo sentì parlare, non fu assenso la prima espressione che manifestò: fu la paura.
Prima gli lanciava spesso occhiate spaventate, m’informò Selena. Teme che la scoprirà.
Farò sì che non accada.
 
 
 
 
 
 
 
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Ciao a tutti! Desidero scusarmi per l'immenso ritardo, ma sto avendo dei problemi con l'installazione di una nuova linea telefonica, per cui non ho una connessione fissa. 
Detto ciò spero che il capitolo vi sia piaciuto! 
Un bacio.
   
 
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