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Autore: Little Firestar84    03/06/2020    0 recensioni
Un caso di doppia giurisdizione porta il giovane detective di Bludhaven, Richard "Dick" Grayson, in California, a collaborare con il CBI. Ma Dick Grayson non è solo un giovane detective: è anche un ex circense, cresciuto girando fiere e quant'altro... ed è una vecchia conoscenza di Jane, che negli anni, non ha perso il ragazzo meraviglia di vista. Specie quando, all'insaputa del mondo, è stato adottato dal più grande detective del mondo.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Patrick Jane, Teresa Lisbon | Coppie: Jane/Lisbon
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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“Mi rendo conto che questo the non sia all’altezza di quello preparato da un autentico maggiordomo inglese, ma fidati, questo è il migliore the di tutta la California.”

Lisbon si morse le labbra, nascondendo sotto i baffi un sorrisetto malandrino, mentre ascoltava Jane disquisire di the seduti al tavolino del grazioso locale di Sacramento. Ferro battuto, colori pastello, delicati fiori e porcellane inglesi facevano da sfondo a quell’anomalia del mondo californiano, solitamente cacofonico, a tutto volume, rockeggiante e dalle tinte forti e brillanti.

Quel posticino, vecchio stampo, era proprio come Jane – tranquillo nei suoi completi tre pezzi e la sua auto storica. Non si meravigliava che gli piacesse così tanto, che vi si trovasse a suo agio quasi fosse una seconda pelle.

Era più strano che fosse di gradimento al loro ospite. Come pure era strano che Jane conoscesse – di persona, e non per esserci finito invischiato in uno dei suoi fantasmagorici disastri investigativi- il giovanissimo poliziotto di Bludhaven che si era temporaneamente unito al CBI per seguire un delicato caso di traffico di droga che riguardava entrambe le loro giurisdizioni.

Lisbon, sentendo parlare di maggiordomi, alzò un sopracciglio, guardando Jane. Forse che il Detective Grayson – massimo trentacinque anni, capelli spettinati, camicia stile boscaiolo, jeans e sneakers - appartenesse ad una ricca famiglia di Malibu che si era lasciato il passato alle spalle, ribellandosi ai desideri paterni entrando in Polizia? O si trattava forse di una battuta?

Il mentalista sogghignò, scuotendo lievemente il capo, il sorriso sornione perennemente stampato in volto. “Conosco Richard da quando era neonato. Mio padre ed io per un po’ ci siamo aggregati al circo in cui si esibiva la sua famiglia. Potresti averli sentiti nominare, ai tempi erano una leggenda: I Grayson Volanti. Tutti avrebbero voluti averli con sé, erano richiestissimi.”

Grayson posò la tazza nel piattino, e si morse il labbro, il suo sguardo improvvisamente cupo. Abbassò gli occhi, e fece un profondo sospiro. Sembrò che volesse aggiungere qualcosa, ma non lo fece, e calò il silenzio tra di loro-allo stesso Jane sembrò mancare il fiato per un attimo. Si rese conto della gaffe che aveva fatto, e ripensando alla sua stessa situazione- a quanto detestava che gli si ricordasse della sua perduta famiglia – si rese conto del dolore che aveva inavvertitamente causato al giovane uomo, rimasto colo dopo la perdita dei genitori.

Tutto questo, però, Lisbon non lo sapeva- non era nemmeno certa di come i due uomini si conoscessero. Aveva solo capito che l’aria si era fatta improvvisamente pesante, che era causa di Jane, e che come ogni guaio causato da Jane, era sua preciso dovere intervenire e porvi rimedio.

(Anche perché la vedeva dure risolvere il caso, se Grayson avesse continuato  a fare scena muta, o, peggio, si fosse messo ad evitare Jane.)

“Ah, un altro circense, eh? Quindi la cosa del maggiordomo era una battuta! Jane ed il suo spirito di rapa!”

Tentò, forzatamente, di sorridere, e si lanciò un pasticcino in bocca, rischiando che le andasse di traverso. Guardò prima il giovanotto, poi Jane, attendendo risposta, ma nulla. Continuavano a fare scena muta, con l’aggravante che adesso sembravano due cani bastonati con le orecchie basse.

Alzò gli occhi al cielo, sospirò, poi, seccata, prese la giacca dalla sedia su cui l’aveva appoggiata e si alzò, pronta ad andarsene. “Okay, io torno in ufficio. Quando decidete di ricominciare a parlare fatemi un fischio e raggiungetemi, sempre se foste interessati a risolvere il caso, si intende.”

Grayson la guardò come un cucciolo penitente, sentendosi un po’ in colpa- il senso di colpa era una cosa che gli era stata inculcata per bene dalla più tenera età, dopotutto- e capì che, forse, forse i suoi prolungati silenzi avevano seccato la bella poliziotta. E forse, forse,, l’avevano anche leggermente… offesa. Ed il rispetto delle forze di polizia (specie dei loro membri onesti e competenti, quali era Teresa Lisbon) era un’altra cosa che gli era stata inculcata per bene da quando era un bambinetto che girava con i calzoni corti.

“Il mio tutore aveva il maggiordomo inglese.” Le disse, e a sentire la cosa, Teresa, sentendosi un po’ in colpa, si sedette, e decise di tenere il becco chiuso, onde evitare ulteriori gaffe. “I miei genitori morirono mentre facevano un numero senza protezioni. Io sono stato adottato da un filantropo che era venuto a vedere lo spettacolo.”

“Bruce Wayne.” Jane chiarì.

Quel Bruce Wayne?” Chiese lei, a bassa voce, arrossendo lievemente all’idea dell’uomo che più e più volte era stato giudicato uno de maggiori sex-symbol del Paese.

Il mentalista, tranquillo, sorseggiò il suo the, e come se nulla fosse, sorridendo sornione e malandrino di nuovo, con uno strano luccichio negli occhi che a Lisbon non piacque per nulla -stava tramando qualcosa, ne era certa- le fece segno di avvicinarsi per poterle sussurrare qualcosa, ma lei non acconsentì, non volendo passare per cafona (ci pensava già lui a fare la figura del maleducato cronico).

Jane sbuffò, annoiato, petulante come un bambino a cui la ragazzina per cui aveva un debole avesse detto che non voleva più giocare con lui. “Allora, Dick, com’è lavorare con Batman?”

Dick, la tazza di the alla bocca, rimase pietrificato per un attimo, limitandosi ad alzare un sopracciglio, circospetto, mentre Lisbon ridacchiò lievemente, nascondendo il sorrisetto malizioso dietro una delle sue delicate mani.

“Al massimo il detective Grayson può sapere cosa significa lavorare con Nightwing, Jane – Batman è a Gotham, non Bludhaven. Credevo sapessi tutto e non ti sbagliassi mai. Cos’è, invecchiando inizi a perdere colpi?”

Jane fece schioccare la lingua un paio di volte, scuotendo il capo, con quel sorriso malandrino di chi la voleva fare franca perennemente stampato in faccia. “Già, però è il qui presente Dick che è stato adottato da Batman e ne è diventato la spalla. Allora Dick, com’è lavorare con Batman? E soprattutto: indossavi quelle orride braghette corte giallo canarino per distrarre i vostri avversari e fargli credere che fossi una povera pecorella innocente e smarrita che non avesse la più pallida idea di come ci si dovesse difendere, vero?”

Con un tonfo sonoro, Grayson posò con eccessiva forza la tazza nel suo piattino, e strinse i denti mentre guardava negli occhi il vecchio compare  di vita circense.

“Andiamo, Jane, Bruce Wayne, miliardario donnaiolo e spendaccione, sarebbe Batman? Sul serio?” Lisbon di nuovo a malapena trattenne le risate- a malapena. Tuttavia, la cosa era così ilare che il suo corpicino era scosso da lievi sussulti, quasi impercettibili ad un osservatore esterno, e per non sghignazzare dovette mordersi la lingua.

“Perché, tu non lo avevi ancora capito? Andiamo, Lisbon…” Le fece l’occhiolino, schioccando la lingua ancora una volta. “Bruce Wayne se ne torna dal suo auto-esilio, e guarda caso, appare Batman. Nessuno dei due è mai nello stesso posto dell’altro. E soprattutto, ogni volta che cambia spalla, guarda caso coincide con Wayne che prende sotto la sua ala protettrice una nuova pecora smarrita- o scopre di avere un figlio segreto. Oh, e non dimentichiamoci del fatto che il trasferimento a Bludhaven del qui presente Dick Grayson coincide con l’arrivo nella medesima città di Nightwing, alias il primo Robin, e che Nightwing stesso è stato avvisato qui in città la  scorsa notte, proprio quando Dick è arrivato a Sacramento. Sul serio, davvero tutta quella schiera di pazzi scatenati con cui tu ed il tuo paparino lottate un giorno sì e l’altro pure non ha ancora fatto due più due? O le forze dell’ordine? Ma dico, c’è davvero bisogno di me per capire una cosa così elementare? Cosa sono, un branco di idioti?”

“Quindi io sono un’idiota.” Lisbon mise le mani, incrociate, sul tavolo, ed iniziò a tamburellare, guardando Jane fisso negli occhi. Lui, sentendo odore di trappola, quasi fosse un animale braccato, decise di stare zitto e immobile, pregando nella clemenza del suo bel capo. “Questa è una cosa talmente elementare che solo un idiota può non averlo capito, io non l’ho capito quindi sono  un’idiota. Il tuo ragionamento è questo, no?”

Jane guardò la donna, supplichevole. “Mi appello al quinto emendamento?”

Lisbon si alzò e fece per andarsene, ma poi cambiò idea, e fece un passo indietro, tornando al tavolo, e stando di fronte  a Jane. “Fammi un favore, Einstein, predi uno spazzolino e va all’inferno.”

…e così dicendo gli versò la tazza di the in grembo, prima di notare che in fondo erano rimaste ancora alcune gocce, che gli schizzò in volto, prima di levare sul serio le tende, lasciando il cretino a piedi.

Dick riprese a sorseggiare, tranquillo, il suo the- non certo come quello di Alfred, ma non male – e sorrise al vecchio compare, che guardava il punto in cui era scomparsa Lisbon, una volta girato l’angolo.

“Fossi in te le andrei dietro e implorerei pietà. Sempre che tu stanotte non voglia dormire sul freddo pavimento della sua camera da letto.”

“Io non mi faccio Lisbon!” Rispose Jane, indignato, sibilando.

“Sì, però vorresti fartela- e non venirmi a dire cazzate. Non sarò un mentalista, ma lo hai detto tu stesso, ho imparato tutto quello che c’era da imparare sul lavoro investigativo da Batman e Lanterna Verde, sulle investigazioni scientifiche da Flash e la tattica militare dall’altra Lanterna Verde. Sono bravo nel mio lavoro. Molto, molto bravo. Perché credi che sia già detective di primo livello alla mia età?”

Jane fece per portarsi la tazza alla bocca, poi guardò Dick, che sorseggiava tranquillo, e qualcosa scattò in lui. Posò la tazzina sul tavolo, e senza dire nulla si mise a correre. “Lisbon! Aspettami! Mi dispiace!”

Dick scosse il capo, mentre chiese al vicino di tavolo se potesse imprestargli  il giornale, e lesse gli articoli con tranquillità, sorseggiando la bevanda ormai tiepida e insapore (niente a che spartire con le pregiate e squisite miscele a cui lo aveva abituato Alfred, e che di tanto in tanto ancora gli mandava), limitando ad alzare svogliatamente un sopracciglio quando gli cadde l’occhio sull’ultimo exploit del supereroe mascherato Nightwing, che la notte precedente aveva legato ad un palo una banda di malviventi che aveva tentato di rapinare una giovane donna,  facendoli trovare belli ed impacchettati per la polizia.

A quanto pare, questa volta era una specie di cavaliere- vampiro, con tanto di mantello (che non aveva) e denti aguzzi. Gli mancavano anche gli occhi rossi. Di tutte le storie che aveva letto su di se e Batman, questa era una delle più fantasiose.

Dick lasciò un po’ di banconote sul tavolo, e chiuse il giornale, ordinatamente, porgendolo al legittimo proprietario, e, mani in tasca e occhiali da sole abbassati sugli occhi azzurri, prese fischiettando la strada per tornare al CBI.

Chissà, questa del vampiro l’avrebbe raccontata a Bruce. O magari ad Alfred.

Alfred, almeno, si sarebbe fatto de risate.

   
 
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