“Mi
rendo conto che questo the non sia all’altezza di
quello preparato da un autentico maggiordomo inglese, ma fidati, questo
è il
migliore the di tutta la California.”
Lisbon
si morse le labbra, nascondendo sotto i baffi un
sorrisetto malandrino, mentre ascoltava Jane disquisire di the seduti
al
tavolino del grazioso locale di Sacramento. Ferro battuto, colori
pastello,
delicati fiori e porcellane inglesi facevano da sfondo a
quell’anomalia del
mondo californiano, solitamente cacofonico, a tutto volume,
rockeggiante e
dalle tinte forti e brillanti.
Quel
posticino, vecchio stampo, era proprio come Jane –
tranquillo nei suoi completi tre pezzi e la sua auto storica. Non si
meravigliava che gli piacesse così tanto, che vi si trovasse
a suo agio quasi
fosse una seconda pelle.
Era
più strano che fosse di gradimento al loro ospite. Come
pure era strano che Jane conoscesse – di persona, e non per
esserci finito
invischiato in uno dei suoi fantasmagorici disastri investigativi- il giovanissimo poliziotto di Bludhaven che
si era temporaneamente unito al CBI per seguire un delicato caso di
traffico di
droga che riguardava entrambe le loro giurisdizioni.
Lisbon,
sentendo parlare di maggiordomi, alzò un
sopracciglio, guardando Jane. Forse che il Detective Grayson
– massimo trentacinque
anni, capelli spettinati, camicia stile boscaiolo, jeans e sneakers -
appartenesse ad una ricca
famiglia di Malibu che si era lasciato il passato alle spalle,
ribellandosi ai
desideri paterni entrando in Polizia? O si trattava forse di una
battuta?
Il
mentalista sogghignò, scuotendo lievemente il capo, il
sorriso sornione perennemente stampato in volto. “Conosco
Richard da quando era
neonato. Mio padre ed io per un po’ ci siamo aggregati al
circo in cui si
esibiva la sua famiglia. Potresti averli sentiti nominare, ai tempi
erano una
leggenda: I Grayson Volanti. Tutti avrebbero voluti averli con
sé, erano
richiestissimi.”
Grayson
posò la tazza nel piattino, e si morse il labbro,
il suo sguardo improvvisamente cupo. Abbassò gli occhi, e
fece un profondo
sospiro. Sembrò che volesse aggiungere qualcosa, ma non lo
fece, e calò il
silenzio tra di loro-allo stesso Jane sembrò mancare il
fiato per un attimo. Si
rese conto della gaffe che aveva fatto, e ripensando alla sua stessa
situazione- a quanto detestava che gli si ricordasse della sua perduta
famiglia
– si rese conto del dolore che aveva inavvertitamente causato
al giovane uomo,
rimasto colo dopo la perdita dei genitori.
Tutto
questo, però, Lisbon non lo sapeva- non era nemmeno
certa di come i due uomini si conoscessero. Aveva solo capito che
l’aria si era
fatta improvvisamente pesante, che era causa di Jane, e che come ogni
guaio
causato da Jane, era sua preciso dovere intervenire e porvi rimedio.
(Anche
perché la vedeva dure risolvere il caso, se Grayson
avesse continuato a
fare scena muta, o,
peggio, si fosse messo ad evitare Jane.)
“Ah,
un altro circense, eh? Quindi la cosa del maggiordomo
era una battuta! Jane ed il suo spirito di rapa!”
Tentò,
forzatamente, di sorridere, e si lanciò un pasticcino
in bocca, rischiando che le andasse di traverso. Guardò
prima il giovanotto,
poi Jane, attendendo risposta, ma nulla. Continuavano a fare scena
muta, con
l’aggravante che adesso sembravano due cani bastonati con le
orecchie basse.
Alzò
gli occhi al cielo, sospirò, poi, seccata, prese la
giacca dalla sedia su cui l’aveva appoggiata e si
alzò, pronta ad andarsene.
“Okay, io torno in ufficio. Quando decidete di ricominciare a
parlare fatemi un
fischio e raggiungetemi, sempre se foste interessati a risolvere il
caso, si
intende.”
Grayson
la guardò come un cucciolo penitente, sentendosi un
po’ in colpa- il senso di colpa era una cosa che gli era
stata inculcata per
bene dalla più tenera età, dopotutto- e
capì che, forse, forse i suoi
prolungati silenzi avevano seccato la bella poliziotta. E forse,
forse,,
l’avevano anche leggermente… offesa. Ed il
rispetto delle forze di polizia
(specie dei loro membri onesti e competenti, quali era Teresa Lisbon)
era
un’altra cosa che gli era stata inculcata per bene da quando
era un bambinetto
che girava con i calzoni corti.
“Il
mio tutore aveva il maggiordomo inglese.” Le disse, e a
sentire la cosa, Teresa, sentendosi un po’ in colpa, si
sedette, e decise di
tenere il becco chiuso, onde evitare ulteriori gaffe. “I miei
genitori morirono
mentre facevano un numero senza protezioni. Io sono stato adottato da
un
filantropo che era venuto a vedere lo spettacolo.”
“Bruce
Wayne.” Jane chiarì.
“Quel Bruce
Wayne?” Chiese lei, a bassa voce, arrossendo lievemente
all’idea dell’uomo che
più e più volte era stato giudicato uno de
maggiori sex-symbol del Paese.
Il
mentalista, tranquillo, sorseggiò il suo the, e come se
nulla fosse, sorridendo sornione e malandrino di nuovo, con uno strano
luccichio negli occhi che a Lisbon non piacque per nulla -stava
tramando
qualcosa, ne era certa- le fece segno di avvicinarsi per poterle
sussurrare
qualcosa, ma lei non acconsentì, non volendo passare per
cafona (ci pensava già
lui a fare la figura del maleducato cronico).
Jane
sbuffò, annoiato, petulante come un bambino a cui la
ragazzina per cui aveva un debole avesse detto che non voleva
più giocare con
lui. “Allora, Dick, com’è lavorare con
Batman?”
Dick,
la tazza di the alla bocca, rimase pietrificato per
un attimo, limitandosi ad alzare un sopracciglio, circospetto, mentre
Lisbon
ridacchiò lievemente, nascondendo il sorrisetto malizioso
dietro una delle sue
delicate mani.
“Al
massimo il detective Grayson può sapere cosa significa
lavorare con Nightwing, Jane
– Batman
è a Gotham, non Bludhaven. Credevo sapessi tutto e non ti
sbagliassi mai.
Cos’è, invecchiando inizi a perdere
colpi?”
Jane
fece schioccare la lingua un paio di volte, scuotendo
il capo, con quel sorriso malandrino di chi la voleva fare franca
perennemente
stampato in faccia. “Già, però
è il qui presente Dick che è stato adottato da
Batman e ne è diventato la spalla. Allora Dick,
com’è lavorare con Batman? E
soprattutto: indossavi quelle orride braghette corte giallo canarino
per
distrarre i vostri avversari e fargli credere che fossi una povera
pecorella
innocente e smarrita che non avesse la più pallida idea di
come ci si dovesse
difendere, vero?”
Con
un tonfo sonoro, Grayson posò con eccessiva forza la
tazza nel suo piattino, e strinse i denti mentre guardava negli occhi
il
vecchio compare di
vita circense.
“Andiamo,
Jane, Bruce Wayne, miliardario donnaiolo e
spendaccione, sarebbe Batman? Sul serio?” Lisbon di nuovo a
malapena trattenne
le risate- a malapena. Tuttavia, la cosa era così ilare che
il suo corpicino
era scosso da lievi sussulti, quasi impercettibili ad un osservatore
esterno, e
per non sghignazzare dovette mordersi la lingua.
“Perché,
tu non lo avevi ancora capito? Andiamo, Lisbon…”
Le fece l’occhiolino, schioccando la lingua ancora una volta.
“Bruce Wayne se
ne torna dal suo auto-esilio, e guarda caso, appare Batman. Nessuno dei
due è
mai nello stesso posto dell’altro. E soprattutto, ogni volta
che cambia spalla,
guarda caso coincide con Wayne che prende sotto la sua ala protettrice
una
nuova pecora smarrita- o scopre di avere un figlio segreto. Oh, e non
dimentichiamoci del fatto che il trasferimento a Bludhaven del qui
presente
Dick Grayson coincide con l’arrivo nella medesima
città di Nightwing, alias il
primo Robin, e che Nightwing stesso è stato avvisato qui in
città la scorsa
notte, proprio quando Dick è arrivato
a Sacramento. Sul serio, davvero tutta quella schiera di pazzi
scatenati con
cui tu ed il tuo paparino lottate un giorno sì e
l’altro pure non ha ancora
fatto due più due? O le forze dell’ordine? Ma
dico, c’è davvero bisogno di me
per capire una cosa così elementare? Cosa sono, un branco di
idioti?”
“Quindi
io sono un’idiota.” Lisbon mise le mani,
incrociate, sul tavolo, ed iniziò a tamburellare, guardando
Jane fisso negli
occhi. Lui, sentendo odore di trappola, quasi fosse un animale
braccato, decise
di stare zitto e immobile, pregando nella clemenza del suo bel capo.
“Questa è
una cosa talmente elementare che solo un idiota può non
averlo capito, io non
l’ho capito quindi sono
un’idiota. Il
tuo ragionamento è questo, no?”
Jane
guardò la donna, supplichevole. “Mi appello al
quinto
emendamento?”
Lisbon
si alzò e fece per andarsene, ma poi cambiò idea,
e
fece un passo indietro, tornando al tavolo, e stando di fronte a Jane. “Fammi
un favore, Einstein, predi uno
spazzolino e va all’inferno.”
…e
così dicendo gli versò la tazza di the in grembo,
prima
di notare che in fondo erano rimaste ancora alcune gocce, che gli
schizzò in
volto, prima di levare sul serio le tende, lasciando il cretino a
piedi.
Dick
riprese a sorseggiare, tranquillo, il suo the- non
certo come quello di Alfred, ma non male – e sorrise al
vecchio compare, che
guardava il punto in cui era scomparsa Lisbon, una volta girato
l’angolo.
“Fossi
in te le andrei dietro e implorerei pietà. Sempre
che tu stanotte non voglia dormire sul freddo pavimento della sua
camera da
letto.”
“Io
non mi faccio Lisbon!” Rispose Jane, indignato,
sibilando.
“Sì,
però vorresti fartela- e non venirmi a dire cazzate.
Non sarò un mentalista, ma lo hai detto tu stesso, ho
imparato tutto quello che
c’era da imparare sul lavoro investigativo da Batman e
Lanterna Verde, sulle
investigazioni scientifiche da Flash e la tattica militare
dall’altra Lanterna
Verde. Sono bravo nel mio lavoro. Molto, molto bravo. Perché
credi che sia già
detective di primo livello alla mia età?”
Jane
fece per portarsi la tazza alla bocca, poi guardò
Dick, che sorseggiava tranquillo, e qualcosa scattò in lui.
Posò la tazzina sul
tavolo, e senza dire nulla si mise a correre. “Lisbon!
Aspettami! Mi dispiace!”
Dick
scosse il capo, mentre chiese al vicino di tavolo se
potesse imprestargli il
giornale, e
lesse gli articoli con tranquillità, sorseggiando la bevanda
ormai tiepida e
insapore (niente a che spartire con le pregiate e squisite miscele a
cui lo
aveva abituato Alfred, e che di tanto in tanto ancora gli mandava),
limitando
ad alzare svogliatamente un sopracciglio quando gli cadde
l’occhio sull’ultimo exploit
del supereroe mascherato Nightwing, che la notte precedente aveva
legato ad un
palo una banda di malviventi che aveva tentato di rapinare una giovane
donna, facendoli
trovare belli ed impacchettati per
la polizia.
A
quanto pare, questa volta era una specie di cavaliere- vampiro,
con tanto di mantello (che non aveva) e denti aguzzi. Gli mancavano
anche gli
occhi rossi. Di tutte le storie che aveva letto su di se e Batman,
questa era
una delle più fantasiose.
Dick
lasciò un po’ di banconote sul tavolo, e chiuse il
giornale, ordinatamente, porgendolo al legittimo proprietario, e, mani
in tasca
e occhiali da sole abbassati sugli occhi azzurri, prese fischiettando
la strada
per tornare al CBI.
Chissà,
questa del vampiro l’avrebbe raccontata a Bruce. O
magari ad Alfred.
Alfred,
almeno, si sarebbe fatto de risate.