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Autore: shana8998    04/06/2020    2 recensioni
Dimenticate il solito cliché del ragazzo bello e dannato che stravolge la vita della povera ed ingenua protagonista. Dimenticate la ragazza vergine che perde la testa per il cattivo ragazzo.
Se per una volta fosse la bella e dannata a stravolgere la vita perfetta del protagonista?
Fra Gabriel e Cécile è successo proprio così. Lui ricco, di ottima famiglia , studioso , diligente e fidanzato.
Lei una ribelle piena di tatuaggi e piercing , dalla vita sregolata e disastrata.
Gabriel avrebbe potuto dimenticarla dopo il primo incontro.
Ma forse , sapevano entrambi che sarebbe stato impossibile.
«Tu ed io, siamo colpa del destino»
Genere: Angst, Erotico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Universitario
Capitoli:
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  “La vita è fatta di incontri e di separazioni. Le persone entrano nella tua vita tutti i giorni, tu gli dici buongiorno e buonasera, alcune restano qualche minuto, alcune per qualche mese, qualcuna per un anno, altre per sempre. A prescindere dalla persona, ci si incontra e ci si separa.”                 
                                                                                                                                                 (C.Ahern)

                                               
                               
                         Gabriel 11.
Il tragitto verso casa è familiare e semplice, e non mi da molti pensieri. Mi costringo a restare impassibile e scopro che è più difficile del previsto.
Darei qualsiasi cosa per riavvolgere il nastro dei miei ultimi mesi e tornare al primo giorno di Università.
Avrei seguito il consiglio di mia madre e cambiato stanza.
Si è preoccupata per Drake, temendo che potesse avere una cattiva influenza su di me; se solo avesse capito prima -anzi, se solo avessi capito prima- che il problema sarebbe stato quella ragazza maleducata dagli occhi miele!
Se avessi saputo che quello sguardo avrebbe finito per stravolgere la mia vita e farla a pezzetti.
  Non sarei arrivato a questo.  Chiedermi di sparire...
Ruby guida in silenzio, fissando la strada e mantenendo entrambe le mani strette attorno al volante.
Non mi ha fatto neanche mezza battuta da quando è arrivata a prendermi.
Probabilmente, anche lei è rimasta sbigottita dalla mia chiamata. Io ero quello che non sarebbe tornato a casa tanto presto...no?
Appoggio il gomito sulla sporgenza dello sportello e la testa al finestrino: riesco solo a fissare l'asfalto, ostinato a non crollare.
«Devi andartene. Lascia l'Università e dimentica questa storia.» 
Molto probabilmente, mia madre ha sempre avuto ragione a proteggermi da ciò che è il mondo e dovevo darle retta: a quest'ora non mi sarei ritrovato con la stanza del dormitorio a soqquadro ed il materasso stracciato a colpi di lama. Non mi sarei ritrovato, a dover scappare da tizi che neanche conosco e che mi vogliono impartire una lezione.
Se Jace non mi avesse proposto di restare da loro due notti fa, se non mi fossi convinto a farlo, ci sarei stato io li dentro.
«Mi dispiace Gabriel...è solo colpa mia».
Non sono solo le sue parole a non voler abbandonare la mia testa, ma anche l'espressione che aveva quella mattina quando, accompagnandomi al dormitorio, si è trovata a dover rispondere ad una chiamata di Drake che spiegava come certe persone mi stavano cercando, ed ancora, al suo volto, quando siamo entrati in camera mia ed abbiamo trovato tutto per aria. Il modo in cui si è passata le mani fra i capelli ed i suoi occhi si sono arrossati: Cécile non piange mai. Anche Jace me lo ha detto, lei non è in grado di farlo, eppure, lui stesso mi ha affermato che da quando conosce me, i suoi occhi tendono sempre più ad arrossarsi. Non le scendono le lacrime, non singhiozza; ma le trema la voce mentre si combatte -mentre si combatte e si incolpa di tutto. 
Come mi sposto sul sedile, dalla borsa, esce Norvegian Wood.
Lo afferro prima che cada sotto la seduta.
Non lo vedevo da un po'. L'avevo buttato fra le mie cose e dimenticato li. 
E' buffo pensare che un libro qualsiasi, ora, rappresenti l'unico collegamento che ho con lei.
«Pensi di restare tanto?» mi chiede all'improvviso Ruby, spazzando via, per un istante, i miei pensieri.
«Fino alla fine delle vacanze di Natale».
Solleva le sopracciglia sorpresa, facendo una smorfia strana.
«Tua madre ne sarà contenta» aggiunge poco dopo.
Manca poco perché casa mia appaia dietro l'angolo.
«Sicuramente».
Mi spia con la coda dell'occhio «Sei scappato da quella?»
Aggrotto la fronte e la fisso, «No! Ho solo bisogno di staccare per un po'», ma è proprio così. Sono scappato. Da lei, da quelle persone, dalla paura che ho provato.
Sospira un sorriso che di tutto sa, fuorché di convinzione.
Torno a fissare la strada ed il vialetto di casa appare dopo poche villette.
Spegne il motore e tira il freno a mano.
«La vecchia non sa niente, salterà dalla gioia...» fa, con la sua solita tendenza ad aggiungere il sarcasmo alle sue affermazioni, scendendo dall'auto.
Dolly, libera in giardino, mi fa le feste ma perdo poco tempo con lei. Decido di entrare e basta.
Niente ripensamenti, niente timore.
Abbandono la borsa all'ingresso e mi dirigo direttamente in cucina, poiché, è da li che sento alcuni rumori.
Trovo mia madre accanto ai fornelli sotto la vetrata circolare della cucina.
«Gabriel...» la sua bocca si spalanca di stupore. «Che ci fai qui?» Abbandona il mestolo e mi raggiunge in fretta, stringendomi fra le braccia.
A differenza del suo, il mio abbraccio si limita ad un leggero appoggiarle le mani sulle costole. Un saluto che rasenta la circostanza.
«Come stai mamma?» le chiedo.
Mi scruta in volto e subito, la sua espressione si tinge di preoccupazione. Mi accarezza una guancia.
«Io sto bene, ma tu? Tu come stai?» domanda in modo apprensivo.
«Sto bene» mi avvicino al bancone e raggiungo la macchina per il caffè a cialde.
«Avevi detto che non saresti tornato prima della fine del semestre» incalza lei.
Tiro fuori da un cassetto il blister delle cialde e ne estraggo una.
«Ho cambiato idea.» La infilo nell'apposito scompartimento e sfilo un bicchierino di carta dalla pila  affianco.
Stira le labbra per un momento e torna ad afferrare il mestolo, girando quello che sembra del maiale al latte.
«Non ti vedo bene, amore mio»
«Sto bene mamma!» Il bip della macchina squilla due volte.
Mia madre mi guarda come se le avessi appena sparato in petto.
«Scusami, ho bisogno di stare un po' per i fatti miei» Afferro il caffè e mi dirigo in camera mia.
                                       Cécile.
Non credo di aver mai provato la mancanza di qualcuno -ancora in vita- come la provo per Gabriel.
Se solo io non fossi io, a quest'ora, lui starebbe ancora con la sua ragazza a vivere un primo anno di Università sereno e spensierato.
E' possibile che io debba sempre rovinare tutto?
«Vuoi venire dai miei per Natale?» Jace si sporge dallo stipite della porta con la testa. Abbasso Norvegian Wood e sollevo gli occhi a lui.
«Non preoccuparti, Katline sarà stufa di cucinare per me» mi sforzo di sorridere.
Scuote la testa «Sai che non è così. Mia madre ti adora»
Vorrei veramente non passare il Natale da sola, ma non voglio neanche rischiare che gli uomini di Bonuà piombino a casa di una povera donna di settant'anni, la notte dell'avvento, per spaccarle qualche osso cercando me.
«Ti ringrazio Jace. Per quest'anno passo».
Si rabbuia come se ci fosse restato male. Drizza la schiena e mi raggiunge sedendosi a bordo letto.
«Non è il caso che tu resti qui, sola, mentre sai che loro ti stanno cercando»
Sospiro un sorriso che vaga fra l'amareggiato ed il sarcasmo «Non è la prima volta».
Quella volta al Waves: mi cercavano anche li.
Mi rivolge uno sguardo che definirei preoccupato «Non me la sento proprio di lasciarti sola qui» si schiarisce la voce «Non c'è neanche l'albero di Natale!». Mi strappa una mezza risata.
«Lo andiamo a comprare prima che tu torni da tua madre»
Alza gli occhi al cielo e si solleva «Sei veramente testarda»
«Sei veramente testardo» 
«Già, è uno dei miei tanti pregi.» 

Scuoto la testa e mi rendo conto che ho la pelle d'oca.
«Starò bene»
«Ti droghi?! Da quando?» 
«Se ci ripensi, parto domani mattina presto» Si allontana dal letto.
«Jace» aspetto che i suoi occhi incontrino di nuovo i miei «Grazie per tutto quello che hai fatto per me»
Sembra sbigottito e mi fissa con un'insolita faccia  inebetita.
«Non te lo dico spesso. Ma dovrei incominciare a dire grazie alle persone» 
Sospira un sorriso ed esce dalla stanza.
«Io ho bisogno di te» 
Sollevo lo sguardo al soffitto.
«La tua vita potrebbe essere migliore di questa.»
«Io voglio aiutarti» 
Chissà, forse è stato Gabriel a farmi imparare a riconoscere quando si deve ringraziare qualcuno per esserci.
E' raro trovare persone che diventino costanti nelle nostre vite. 
Forse, sono fortunata e non riesco ad accorgermene.
Afferro il cellulare ed entro su Whatsapp.
Sei in città?
Anche Drake per me c'è sempre stato. Non possiamo definirci una coppia. Ne, tanto meno, possiamo dire di essere innamorati.
Si. Vuoi che passi da te?
Nonostante ciò, lui, sin dal primo giorno, mi ha sempre teso una mano. Ha rischiato per me, come tutti loro e all'inizio, lo ha fatto da solo.
 Se sei libero...
E' un peccato che lo abbia conosciuto in quella bettola e che poi, si sia lasciato trasportare dalle droghe, dai soldi.
E' una bella persona. Era- una bella persona.
Aveva persino dei sogni. Credo che amasse cantare tanto quando me. 
Si...amava cantare e voleva sfondare nel mondo della musica. Ma anche lui, come me, è andato a sbattere contro le persone sbagliate.
Sono sotto casa.
Se non avesse deciso di assecondare quel maledetto...
 Ti ho aperto il portone.
Giro la chiave nella toppa e qualche minuto dopo scorgo la sua sagoma: le mani in tasca, i capelli biondi lisci e stranamente non riempiti di gel.
Gli stringo le braccia attorno al collo, ispirando uno degli odori più famigliari al mondo: il suo profumo.
«Ehy, darling»
Ci chiamavamo così una volta. Quando ancora metà dei miei guai non erano i suoi. Quando non conoscevamo droghe o consegne o danni.
Quando ancora eravamo solo Cécile e Drake.
Mi sorride come al solito prima di darmi uno dei suoi baci.
Cammino all'indietro senza staccare le labbra dalle sue.
Ci sono persone che difficilmente riescono ad amare, ma sanno dare affetto e riconoscenza in quantità così immensa che vengono scambiate per amore.
                                                  Gabriel.
«Ho bisogno di te.» sussurra Cécile  sfiorandomi appena sotto l'orecchio con le labbra.
«Ma sono troppo orgogliosa per ammetterlo a me stessa»
Le sfioro le guance.
«Dove vai adesso?» perché il suo viso è spaurito?
Cerco di risponderle che non sto andando da nessuna parte, che sono qui davanti a lei, in camera sua. Ma non mi sente. La sua sagoma si allontana sempre di più.

Apro gli occhi  e mi ritrovo nella realtà. Le tapparelle sono abbassate e per un attimo non mi ricordo dove sono. Poi capisco: sono a casa mia e quelle che vedo sono le pareti blu e celesti della mia stanza.
Provo a chiudere gli occhi per vedere se Cécile è ancora li, ma non ci riesco.
                                             ******
«Ben svegliato» esco dalla veranda sul retro, dopo aver chiesto a Ruby di prepararmi un cornetto colmo di Nutella, e trovo mia madre china sui suoi amati vasi di gerani con una paletta fra le dita coperte da grandi guanti gialli da giardiniere.
«Buongiorno» le sorrido.
Non ricordavo quanto mi piacesse questo lato di casa, fino a che, non ci sono voluto tornare.
C'è un piccolo lago distante una ventina di metri dal nostro prato. Sopra di lui si ergono diverse montagne, attorno è circondato da alberi.
Non esco sul prato. Preferisco restare all'interno della veranda. Fuori si gela, mentre qui dentro, il riscaldamento da terra permette di stare in pantaloncini e canotta.
Finisco di mangiare il cornetto e mi accomodo su una delle tre poltrone rivolte verso la vetrata laterale; quella con il televisore agganciato sopra.
Afferro il telecomando dal tavolino davanti alle mie ginocchia e pigio su on.
Normalità: mi era mancata in parte. Ammetto di aver provato terrore quando mi sono reso conto che fossi braccato dagli uomini di quell'aguzzino. Per questo, adesso, mi sento al sicuro, tanto, da pensare che tutto di casa mia mi è mancato.
«Tuo padre tornerà questa sera da Parigi. Ma ho deciso ugualmente di invitare a cena Sara e la sua famiglia» Afferma mia madre portando all'interno un ampio vaso pieno di rigogliosi gerani lilla.
Mi si contrae lo stomaco. Mi volto di scatto verso lei.
«A cena?...».
Abbassa il mento scrutandomi perplessa «Si, ho pensato che tu e Sara non vi vedete da un po'. Sarete contenti di passare un po' di tempo insieme».
Sgrano gli occhi. Possibile che Sara non abbia detto nulla a mia madre?
Perché non le ha spifferato che l'ho tradita?
Ma poi, una cena?! Come farò a guardarla in faccia?
«Sei proprio sicura che Sara abbia acconsentito a questa cena?». Le domando spostando il peso tutto su una gamba ed affacciandomi dallo schienale della poltrona.
Mia madre poggia il vaso accanto ad un tavolo più ampio, rotondo e pieno di scartoffie di mio padre; si  passa il dorso della mano sulla fronte e drizza la schiena.
«Be', io ho sentito Richard, non ho parlato direttamente con lei.»
«Da quanto tempo non la senti?»
Storce un labbro ed aggancia le mani alla vita «Un paio di giorni. Gabriel devi dirmi qualcosa?» fa canzonatoria.
«No, no.» mi affretto a rispondere scivolando a sedere dritto.
Mi raggiunge e si affaccia da dietro la poltrona, l'aria severa «Hai per caso litigato con lei?»
Sollevo appena lo sguardo oltre la mia fronte «E' stato solo uno stupido bisticcio» -anche se non è affatto stupido, non è stato minimamente intenso come le litigate fra me e Cécile.
Sospira «Spero per te, che tu non l'abbia fatta soffrire». Si allontana nella sua gonna lunga e svolazzante, sfilandosi i guanti.
«Ti sei cacciato in qualche guaio?» Sposto lo sguardo verso una delle ante scorrevoli che tappezza la veranda.
Ruby ha un'espressione che vacilla fra il divertimento e la derisione.
Sospiro rumorosamente «Mi stavo giusto chiedendo perché non ti fossi ancora impicciata degli affari miei» ridacchia accomodandosi a sedere sul tavolino davanti a me.
«Allora?» sibila.
La scruto dalle palpebre quasi socchiuse. Non le voglio rispondere. Non mi voglio sentir dire "te lo avevano detto" ne tanto meno, sentirla ridermi in faccia.
«La moretta ti ha mollato?» incurva un angolo della bocca e solleva ripetute volte le sopracciglia attirandosi un'occhiataccia da me.
«Non mi ha mollato.» borbotto «Non stavamo assieme» -e non ci staremo mai.
Storce le labbra «Allora cosa ti prende?»
Abbasso lo sguardo. Devo lasciare l'Università perché mi vogliono fare la pelle e non so come dirlo ai miei.
«Voglio lasciare l'Università» ammetto.
All'inizio, Ruby scoppia a ridere ma poi, quando si accorge che sono impassibile, si frena «Cosa vuoi fare!?» e starnazza come un'oca.
«Abbassa quella voce!» grido in un bisbiglio.
«Ti ha dato di volta il cervello? Cos'è, la passera ti ha fatto male?» ora bisbiglia anche lei.
«Sei veramente volgare delle volte».
Aggrotta la fronte. 
«Ho capito che quel posto non fa per me. Voglio solo cambiare facoltà, magari-» lontano da questa città. 
Si passa una mano sul viso e mima di piangere, poi di gridare ed infine schizza in piedi e mi punta un dito contro «Non finirò a dovermi sorbire tua madre piangere e ingoiare Martini come se fosse uno sciroppo alle fragole, per colpa tua!»
Sospiro piroettando altrove lo sguardo «Ti tocca bella».
Mi sollevo ed abbandono il telecomando sul tavolino.
«Mi tocca? Io non vengo pagata abbastanza per star dietro a tua madre!»
Mi diverte il fatto che non possa urlare e quindi bisbigli con la voce metallica seguendomi come un'ombra.
Attraverso il piccolo spazio che divide una delle due porte della cucina con quella laterale del salone.
«Che diavolo è successo per farti saltare questo grillo in testa?!» Ruby mi segue fin sulle scale.
«Non è successo niente. Non posso voler cambiare facoltà e basta?» Spalanco le braccia alzando le spalle.
«No che non puoi! Sai che i tuoi genitori hanno penato tanto per farti ammettere li»
Mi fossilizzo sulle scale voltandomi di colpo «Io! Io ho penato tanto!» Le dico indicandomi il viso.
Ruby sospira e mi lancia un'occhiata piatta «Si, si...Tu hai penato tanto» cantilena «Fatto sta, che l'ultima cosa che serve a tua madre ora è sapere che vuoi abbandonare quel posto.» Fa una breve pausa e riprendiamo a camminare verso la mia stanza «Ha avuto un crollo psicotico solo nove mesi fa!»
«Non significa che devo sacrificarmi ancora per qualcosa che non mi piace»
Provo a chiudermi la porta dietro ma lei afferra la maniglia e siccome so che tanto se la sbatterà dietro la lascio fare.
«Vedi di toglierti dalla testa quest'idea di merda e...» il suo tono cambia diventando esasperato «vedi di tornare con la biondina»
Sbatto le palpebre e resto fermo accanto a letto senza riuscirmi a tuffare fra le coperte come stavo per fare.
Fisso Ruby  e lei fissa me. «Come-»
«Non ci vuole un genio» mi fredda prima di sbattersi la porta dietro -come avevo previsto.
                                                 Cécile
Drake mi accarezza la testa mentre con la mano libera mantiene il cellulare sfogliando la Home di Facebook.
Gioco con la catenina che pende dal suo collo e per un momento, uno soltanto, mi sento esattamente dove dovrei essere.
E' qualcosa di estremamente mio questo attimo.
Qualcosa di così vicino al passato, a prima dell'incontro con Gabriel, che riesce, per poco, a farmi passare quella sorta di mancanza che ho per lui.
Mi bacia la testa senza spostare lo sguardo dallo schermo.
Sono così tanto abituata a lui che quando Gabriel è piombato nella mia vita, l'unica cosa che ho saputo fare è stata aver paura.
E poi i paragoni.
Paragonavo gli sguardi di Gabriel a quelli Drake, i loro baci, le loro attenzioni; tutto.
Ma fortunatamente, con Gabriel non sono mai andata a letto. A quest'ora, tratte le somme, non sarei riuscita a stare nuda ed abbracciata a Drake.
Non sarei riuscita a farci sesso ne tanto meno a restare poi accoccolata a lui. Forse...si, sesso ce lo avrei fatto lo stesso, ma gli avrei chiesto di andarsene o avrei inventato di aver da fare.
Qualche volta è capitato fra noi. Quando ho scoperto di Ambra.
Non so nemmeno dove diavolo l'abbia conosciuta.
Sollevo lo sguardo al suo viso.
Lui non lo ammette, ma è preso da lei. Solo che si fida così tanto di me, che gli resta impossibile lasciarmi andare. Quando certe persone sono immischiate nello stesso giro è difficile che si lascino perdere.
Ma tante volte, penso che gli sto togliendo una parte di felicità.
Una settimana prima che Gabriel piombasse nella mia vita, accusavo Drake di avermi tradita, di farmi soffrire; trovarlo con Ambra a letto mi aveva fatto uscire matta, ma ora...
Ora che sento la mancanza di un ragazzo per la prima volta, mi chiedo se non stia togliendo anche a lui qualcosa.
«Drake...» mi sollevo mantenendomi le coperte sul seno. Non so perchè lo stia facendo, mi sono sempre lasciata guardare da lui, ma ora, proprio mi sento imbarazzata.
I suoi occhi azzurri rimbalzano sul mio viso un po' attenti ed un po' disinteressati al tempo stesso.
«Ti vedi ancora con Ambra?»
Sospira e spegne il display del cellulare abbandonandolo sulle coperte accanto a se.
«Non ci vediamo da una settimana e te ne esci così?»
Distolgo lo sguardo che sicuramente mi si è indurito «Appunto perché non ci siamo ne visti ne sentiti, vorrei saperlo. Mi hai chiamato solo per dirmi che la tua stanza al dormitorio era un disastro. Che ci facevi li? Mi hai detto che non ci dormivi più.» 
Si muove sotto le coperte e porta le braccia dietro la nuca. Ha l'aria strafottente, la solita, di quando si sta per accendere un litigio.
Lo guardo per un istante in attesa di una risposta «Ero tornato a prendere la mia roba»
«Per dormire dove? Non mi hai mai detto dove dormi veramente.»
Solleva le spalle « Dormivo seriamente in confraternita. Li dove siamo stati insieme l'ultima volta»
«Ed ora?» chiedo più aggressiva.
Sospira ancora e fa per alzarsi.
«Che importa?» fa una breve pausa che sfrutta per infilarsi di nuovo i panni «Non eri tu quella del "non siamo gelosi
Mi mordo un labbro. E' vero, quando siamo tornati insieme ed io ho baciato Gabriel è bastato poco perché se ne accorgesse e l'unica cosa che ho saputo rispondergli è stata «non fare il geloso. Io non sono gelosa di te»
Allora perché nonostante mi dica che voglio renderlo libero di stare con Ambra, mi ribolle lo stomaco?
«Non sono gelosa, voglio solo sapere se posso lasciarti nelle mani di una ragazza che ti vuole sul serio»
Le sue iridi azzurre si schiantano su di me all'improvviso.
Schiude le labbra e mi fissa.
«Sai, ti ho beccato più di una volta con lei. Ho pensato che ti piacesse sul serio.»
«Chi ha detto che mi piace?» tuona, infilandosi in un gesto veloce, quasi unico, la T-shirt nera.
«Si vede. Insomma, lo neghi, ma si vede» accenno un sorriso che fa rabbuiare la sua espressione.
«Sei solo abituato a me.»
«Non dire cavolate e non pensare che voglia lasciarti per qualche scappatella» mormora appena. 
Certe volte, è così difficile separarsi dalle persone. Anche da quelle che non si amano veramente.
«Perché non hai il coraggio di ammettere che vuoi stare con lei?»
Mi guarda con una stranissima espressione colpevole che per qualche motivo mi fa sciogliere.
L'ho legato a me per così tanto tempo...
Mi sollevo dal materasso gattonando verso il bordo, verso lui, e gli aggancio le braccia al collo.
«Io ci sono anche se stai con lei» mormoro «Ricordi quello che ci ha insegnato Jace? Siamo una famiglia.»
Ce l'ha ripetuto così tante volte...
«Se uno di noi si dovesse trovare nei guai, ognuno di noi ci deve essere» 
«Non si abbandona la famiglia» 

«Lei mi piace.» Ammette in un filo di voce «Mi fa sentire bene. Mi fa ridere. Certe volte, però, ho bisogno di te»
Mi passa le mani sui tatuaggi che ho sulle costole e nonostante sia nuda, per la prima volta, non mi guarda come se volesse scoparmi e basta.
«E' per questo che voglio-» liberarti da me «Che tu stia con lei»
Solleva lo sguardo a me ed è indecifrabile.
 «Io ci sarò sempre per te.» gli dico.
Socchiude le palpebre e ride. Una risata piena di imbarazzo e...dispiacere? Ma anche la risata di un ragazzo che si è appena tolto un peso.
«E'- cazzo è strano»
«Lasciarsi senza urlare?» sorrido. 
Scuote la testa «No, rendersi conto, per la prima volta, che qualcuno potrebbe mancarti» fa una pausa ed io non riesco a far altro che fissarlo confusa. «Sono così abituato a te che adesso, pensare che è finita -finita davvero- mi fa sentire strano.» Storce naso e bocca mentre lo dice e mi scappa da ridere.
«Fa strano anche a me.» Faccio scivolare via le braccia dal suo collo, ma le blocca afferrandomi i gomiti, riacquistando la mia attenzione.
«Promettimi che ci sarai e non dico solo per Bonuà, i soldi o per sniffare. Intendo come amica. Come persona che mi conosce sul serio»
Per un momento ho l'impulso di baciarlo, ma mi rendo conto che stona con quello che sta succedendo, perciò, mi limito a sorridergli e a promettere che sarà così.
                                     ******
«Allora...Vado...» dice quando mi sono rivestita.
«Va bene» gli sorrido mentre mi allaccio gli anfibi seduta a bordo materasso piegata a testa in giù.
«Ah, comunque vivo da lei. Sono pochi giorni...Ma ecco, mi faceva strano dirtelo.»
Stringo le labbra e non so se ridere o arrabbiarmi o restare impassibile. 
Forse, dovrei solo essere contenta per lui.
«Ma volevi dirmelo...» gli faccio notare sollevandomi dal materasso.
«Perché sei veramente l'unica di cui mi fido» non ha il coraggio di guardarmi, ma dovrebbe farlo. Seriamente, è tutto ok.
«Sono felice per voi due» 
Un sorriso sincero si fa spazio lentamente sulle sue labbra...e sulle mie.
                                                  Gabriel.
«Ben rivisto giovanotto! Ti fai sempre più alto» 
Lascio passare Richard e sua moglie Susanne, invitandoli ad entrare.
«Felice di rivederti tesoro» Sua moglie mi da un bacio sulla guancia. Manuel, il fratello minore di Sara è stretto fra le sue braccia e quando lei si piega per salutarmi, mi tira una ciocca di capelli.
«Sei cresciuto» gli scompiglio i suoi sorridendo.
«Richard! Susanne!» Mia madre, pomposa come sempre, li raggiunge a braccia aperte salutandoli calorosamente.
«Lasciate che porti queste buste in cucina» Hanno per mano svariati pacchetti che di solito comprendono dolci per il dessert e qualche pensierino portato per me o per i mie genitori, dai loro viaggi all'estero.
Ma questa volta, non sono entusiasta all'idea che li dentro ci sia qualcosa per me: non lo merito.
«Ciao Gabriel» Sposto lo sguardo all'uscio di casa.
Sara indossa, sotto al cappotto nocciola, un abito prugna lungo sulle ginocchia e mi fissa stringendo la cinta della borsetta con entrambe le mani, così forte, che le nocche le sono diventate bianche.
Posso percepire la sua agitazione da ogni singolo gesto o movimento che fa.
Ai piedi indossa un paio di stivaletti senza tacco.
Nonostante siano passati solo due mesi, non averla vista, me la fa sembrare più alta di come la ricordavo.
«Entra,che fai li alla porta?» cerco di sorriderle e mi muovo in fretta facendole un cenno plateale con la mano che le strappa una risata.
Mi da un bacio sulla guancia, poi, mi sorpassa dirigendosi verso la sala da pranzo.
                                     *******
«Allora, come vanno gli studi?» Mi domanda Richard arrotolando un pugno di spaghetti alla forchetta.
Mio padre è appena arrivato da Parigi e senza cambiarsi è venuto a cenare.
Non ho avuto nemmeno tempo per parlargli della mia scelta di lasciare l'Università.
«Bene» affermo sotterrando lo sguardo all'interno del mio piatto.
«Sai, anche Sara vorrebbe iscriversi nella tua stessa Università, l'anno prossimo.» Fa euforica sua madre.
«Ma davvero?!» e mia madre non è da meno.
Sollevo lo sguardo a Sara che ricambia al mio con uno che non riesco a comprendere. So solo che mi fissa, forse, come se stesse aspettando una mia reazione.
«Sono certo che verrai ammessa» dico accennando un sorriso.
Abbassa lo sguardo e sembra nascondersi mentre sorride a sua volta.
Certe volte, mi chiedo come ho fatto a tradirla. E' così dolce, tenera...
Peccato che Cécile sia tutta un'altra cosa.
Mi infilo un pugno di spaghetti in bocca allontanando quel commento dalla mia testa.
La cena procede decisamente più tranquillamente. Il ghiaccio fra me e lei si è sciolto e riusciamo -grazie a suo fratello Manuel che non ci lascia in pace un attimo- a ridere come facevamo una volta.
Arrivati al momento del digestivo, Sara ed io siamo sul divano in sala. Abbiamo deciso di far vedere un cartone animato a suo fratello e dopo un bel po' -finalmente- sembra essere crollato fra noi due.
Susanne ci passa dietro diretta in cucina, ma prima di arrivarci si sporge verso noi.
«Perché non lo portate sopra?» dice e poi guarda me «Può vero?»
«Ma certo. C'è una stanza libera con un letto matrimoniale, non c'è nemmeno il pericolo che cada dal materasso»
Mi sorride affettuosamente «Grazie Gabriel» e raggiunge la cucina.
Prendo in braccio il piccolo e accompagnato da Sara, raggiungo la porta in legno bianco accanto a quella della mia stanza.
Lei mi abbassa la maniglia ed entra prima di me.
Appoggio delicatamente suo fratello al centro del materasso ed accendo l'abat-jour sul comodino affianco.
Mimo di far piano facendo finta di sgattaiolare dalla camera e lei si tappa la bocca con una mano per non ridere ad alta voce.
«Torniamo dagli altri» dico.
Sto per allungare un piede verso il gradino quando mi afferra un braccio. Mi volto e la vedo mimare un no con la testa.
Aggrotto la fronte confuso. Allaccia le dita di una mano a quelle della mia e mi conduce verso la mia stanza.
Mi chiedo se abbia dimenticato qualcosa li? O se voglia riprendersi qualche regalo che mi ha fatto.
Apre la porta ed aspetta che entri anch'io.
«Devi prendere qualcosa?» Mi aggiro per la stanza guardando un po' ovunque perché proprio non ho idea di cosa possa essersi dimenticata.
Mia madre ha lasciato una piccola lucetta da notte, arancione, accesa e ci vedo poco e niente.
«Dammi un momento che accendo la luce e-» Faccio un passo distratto verso l'interruttore affianco alla porta e mi blocco all'istante.
Sara si è scesa la zip del vestito e le spalline larghe e pompose le sono scese sotto le spalle lasciando visibili quelle del reggiseno chiaro.
Le mie palpebre si spalancano lentamente. Sono totalmente spiazzato.
«Sara...Che...».
Non mi guarda come lo farebbe Cécile, ma allo stesso modo vedo, nel bagliore dei suoi occhi appena colpiti dalla luce fioca, la voglia.
Fa un passo verso me mantenendosi il vestito schiacciato al seno con le mani.
«Voglio...» le trema la voce «Voglio...» 
Non è obbligata a dirlo. Non voglio renderla inerme.
Le prendo il viso fra le mani e la bacio.
Ho aspettato per così tanto tempo questo momento, che non solo, non ci avevo sperato più, ma adesso proprio sono travolto.
«Sei sicura?» le sussurro staccando le labbra dalle sue.
Annuisce in fretta.
Ho l'opportunità di dimenticare i due mesi passati e di far uscire dalla mia testa Cécile e sono convinto che questo cambierà tutto. Deve. Per forza.
Abbassa le braccia e l'abito le scivola di dosso.
E' la prima volta che vedo Sara nuda ed è stupenda: alta, slanciata.
La bacio perché la vedo tremare per un istante. A differenza di Cécile, lei tende a coprirsi, esita, avvampa di colpo.
Fa un passo verso me e sento la sua pelle bollente, oltre il maglioncino.
Voglio veramente dimenticarla?
Mi sfilo il maglione e la T-shirt. Gli occhi di Sara viaggiando su di me. Non posso vedere tutte le sfumature sul suo viso, ma sono certo che sia arrossita. Ciò che vedo, però, sono le sue labbra gonfie per i baci che ci siamo dati e mi viene voglia di massacrarle ancora.
Le afferro un polso e  la porto fra le mie ginocchia quando mi siedo a bordo del letto.
Lei mi guarda giocherellando con il ciondolo a forma di G che le ho regalato il primo anno di fidanzamento.
E' strano che non dica qualcosa come "mi sei mancato", ma in questo momento, ci faccio caso si e no.
La fisso per un altro istante: voglio esserne certo della sua sicurezza.
Non vorrei che poi se ne pentisse o peggio si ammalasse per chissà che cosa.
Le accarezzo una gamba fino a che, arrivato al ginocchio, non le faccio capire che deve sollevarla così che io possa liberarla dagli stivaletti.
Lo fa, osservando ogni movimento delle mie dita.
Forse doveva essere tutto proprio così. Sara doveva essere la mia ragazza, Cécile la mia sbandata e nuovamente Sara la mia prima volta.
E' impacciata e devo guidarla, ma non mi pesa.
Mi sale a cavalcioni sopra e mentre le sbottono il reggiseno, la bacio così da non farle sentire il peso di essere nuda davanti ad un ragazzo.
Forse, c'è una piccola parte di me che quando sdraia Sara sul materasso, quando si sbottona la cinta del pantalone,quando si infila sotto le coperte e quando tira fuori un preservativo dal comodino; è pentita.
Quella parte di me che continua a ripetermi che non è qui che dovrei stare.
«Dimmi se ti faccio male» sussurro mentre cerco di farmi spazio dentro di lei.
Sara mi stringe le spalle senza premere troppo sulla mia pelle e mantiene lo sguardo su di me. E' leggermente spaventata. Quando avanzo un po' di più, caccia un gemito e ho l'impulso di fermarmi.
«Male?»
«No, no. Continua...»
E mi chiedo: con Cécile sarebbe stato lo stesso? 
Forse la prima volta deve essere fatta con una persona...speciale.
Forse, Sara è quella persona.
Allaccia le gambe alla mia schiena e finalmente, sembra non provare più dolore. Mi stringe la schiena con più vigore mentre muovo il bacino verso lei e gli ansimi che fa sono così delicati che quasi non li sento.
«Sto per venire» ansima. Sollevo lo sguardo solo quando la sento tremare. «Anche io» Si stringe una mano sulla bocca per non gridare e vederla così bella e sconvolta fa cedere anche me.
Le stringo la vita travolto dalla sensazione più bella che abbia mai provato.

Chissà se sarebbe stato lo stesso con lei?
   
 
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