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Autore: Ai_1978    04/06/2020    0 recensioni
Dal testo:
La donna lo osservò incuriosita: «Sei cristiano, soldato?»
Lui la fissò, quasi con disprezzo: «Sì, credo nell'Unico e Vero Dio: Nostro Signore Gesù Cristo.»
«Amen.» ironizzò lei con un ghigno, cercando di ignorare la velata offesa alla sua Dea.
Il soldato aggiunse, quasi con aria di sfida: «E ho un nome, donna. Io sono Pádraig ap Breandán.»
Genere: Avventura, Fantasy, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Medioevo
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CAPITOLO I
 
“Il guerriero sa che è libero di scegliere ciò che desidera: le sue decisioni sono prese con coraggio, distacco e, talvolta, con una certa dose di follia.”
P. Coelho
 
L’anziana donna giaceva nel letto esanime.
I capelli ormai candidi sparsi sul cuscino e intrisi di sudore, la pelle giallastra e cadente tipica di un malato terminale. Il corpo gonfio per l’idropisia.
L’edema le aveva deformato i lineamenti e nulla rimaneva dell’antica avvenenza.
Il corpo della donna venne scosso da uno spasmo violentissimo di tosse, dovuto alla febbre polmonare che la stava uccidendo.
Due candide mani fresche le si posarono sul viso. La vecchia aprì gli occhi e vide la giovane che da giorni la accudiva amorevolmente.
«Ma … Máirín …» rantolò l’anziana donna.
La ragazza sorrise dolcemente: «Stai giù, nonna. Non ti sforzare. Io sono qui con te.»
Così dicendo prese un panno bagnato e lo passò delicatamente sulla fronte febbricitante della malata.
La vecchia, con lentezza estenuante, sollevò un braccio scheletrico e con la mano deformata dall’artrosi, accarezzò il viso liscio e rosato della nipote.
Era bella Máirín, coi lunghi capelli castani boccoluti e quegli occhi straordinariamente espressivi.
Gli occhi di sua nipote…
Le avevano sempre tanto ricordato lui. Non nel colore: gli occhi di lui erano verdi, quelli della ragazza di un vivace color nocciola. Ma il taglio era quello, così come la forma delle labbra, lievemente asimmetrica.
L’anziana donna sussurrò: «Assomigli davvero molto a tuo nonno, piccola mia.»
La fanciulla sussultò: « Al nonno Domhnall? Dici sul serio? Non lo avevo mai notato…»
Un velo di tristezza passò negli occhi cisposi della vecchia. Un tempo erano stati verdi ma ormai risultavano grigiastri e spenti. L’anziana donna aprì la bocca per parlare, ma fu colta da un altro accesso di tosse.
«Nonna, ti prego! Ti stai affaticando troppo…»
«No!» la protesta della malata giunse violenta ed inaspettata e fece trasalire la ragazza.
«Ma… tu stai male!»
«Sì, sto molto male…» la voce rauca della nonna sembrava raddolcita «Sto morendo, non mi rimane molto da vivere. E proprio per questo c’è qualcosa che devi sapere…»
Máirín strabuzzò gli occhi. L’anziana parente sembrava molto risoluta. Cercò di opporsi: «Non ora, sei troppo stanca.»
«Ora invece è il momento adatto: non so se supererò la notte.» tossì di nuovo «Aiutami a tirarmi a sedere, per favore.»
La ragazza sollevò la nonna e le sistemò dietro la schiena due guanciali. Premurosamente le domandò: «Sei comoda?»
La vecchia annuì.
«Siediti qui accanto a me, mia cara. C’è qualcosa che tu devi sapere.»
La giovane ubbidì e si sistemò accanto alla nonna nel letto e prese tra le sue le mani deformi dell’anziana parente.
La vecchia tentò di sorridere, mostrando le gengive. La malattia e la debilitazione le avevano fatto perdere tutti i denti. Non riusciva più ad ingurgitare cibi solidi da tempo.
Viveva in quella casa con la nipote diciottenne, la figlia di Gearalt il figlio avuto da...
« Domhnall … il mio defunto marito … » l’anziana esitò e accarezzò la testa ricciuta e serica della ragazza «… Non era tuo nonno…»
Máirín sobbalzò per lo stupore, ma non disse nulla lasciando che la nonna continuasse a parlare.
«… Moltissimi anni fa, quando vivevo alla corte di Lord Cerdic io amai un uomo, con una tale intensità che il suo volto mi appare ancora nei sogni.»
La fanciulla, a questo punto intervenne: «Ma io credevo che tu e il nonn… e Domhnall, vi foste conosciuti proprio quando vivevi da Lord Cerdic…»
La bocca sdentata della vecchia si contrasse in un sorriso: «Sì, Domhnall era il capitano delle guardie… ma avvenne dopo. Un altro soldato rubò la mia anima qualche tempo prima… e non me la restituì mai più.»
Máirín era sconvolta: per anni aveva creduto che il marito della donna fosse il padre di suo padre ed ora, quando ormai era orfana da tempo di entrambi i genitori, apprendeva che tutto era stato solo una menzogna. Tutti le avevano sempre mentito.
Provò un istintivo moto di rabbia, ma la curiosità prevalse.
Perciò si accoccolò contro la nonna, con gli occhi che si colmavano di lacrime, si mise ad ascoltare in silenzio il racconto della vecchia che con voce interrotta da rantolii e colpi di tosse, narrava una storia avvenuta mezzo secolo prima…
 
*******
 
Camminava sorretto dai due commilitoni, in uno stato di semi incoscienza.
Non vedeva quasi più nulla, il dolore lancinante della ferita gli ottenebrava i sensi. La febbre lo stava divorando.
Il cuoio della cotta penetrava la carne martoriata della ferita in suppurazione che, dalla clavicola, si estendeva per tutto il lato sinistro del costato. Dalla lacerazione proveniva un odore malsano, dolciastro.
Con gli ultimi barlumi di ragione giunse ad una conclusione: era gangrena. Non sarebbe vissuto a lungo. Sentiva l’essudato purulento colare lungo il fianco.
I compagni al suo fianco lo osservavano preoccupati: il viso esanime, le labbra livide e tirate. Le profonde occhiaie bluastre incorniciavano due occhi vacui, annebbiati dalla febbre altissima.
«Pádraig! Non mollare proprio ora!»
Di chi era quella voce? Eoghan, Nollaig?
Ma che importanza aveva, dopotutto? La Morte sarebbe sopraggiunta presto e avrebbe posto fine a tutta quella sofferenza inutile. Una vita passata lontano da casa, a combattere Sassoni per un Signore che non sentiva suo. Aveva dovuto privarsi di tutto: del calore del corpo di sua moglie, dell’abbraccio dei suoi figli, della tranquillità della sua casa e di un campo coltivato. Della sua terra oltre il mare: l’Irlanda.
Per cosa? Per morire come un ratto, marcendo in seguito ad una ferita procurata dalla lama di un cane sassone. Qual porco! Se solo fosse stato più attento!
Ma il verme l’aveva colto di sorpresa, con la sua enorme mole. Puzzava come un maiale e si muoveva lento come un bue, ma a nulla era servita la sua agilità. L’enorme spada del nemico gli aveva trapassato la carne come un coltello caldo taglia il burro.
Che schifo di morte … ma soprattutto: che schifo di vita!
«Pádraig, guardami. Non perdere conoscenza, in nome di Dio! Non lo fare! Siamo quasi arrivati. Siamo nel cortile della fortezza di Lord Cerdic. Guarda là in fondo: ecco le donne di corte che ci portano idromele e pane, per darci il benvenuto!»
Ancora la voce del compagno che non riusciva a riconoscere. Gli pareva di scorgere una punta di entusiasmo nel tono del soldato al suo fianco.
Le donne! Certo… le donne.
Da quanto non toccava una donna? Le lunghe notti solitarie nelle quali aveva dovuto placare da solo il desiderio incontenibile, pensando a morbide forme da abbracciare e calde cosce da penetrare.
Non avrebbe più goduto di quel piacere.
Peccato.
Anche nella debolezza e lo stato febbrile, le sue labbra si piegarono in un sorriso ironico.
Con le ultime forze rimaste alzò lo sguardo: non vedeva nulla, stava troppo male.
Di fronte a lui c’era qualcuno, vestito di rosso.
Un prete?
Non riusciva a mettere a fuoco.
Poi giunse una voce, sconosciuta: «Questo uomo sta morendo! Presto, consegnatelo a me. Proverò a curarlo.»
 
*******
 
«Mio Signore, ti scongiuro! Lascia che io tenti di guarirlo!» La donna era inginocchiata ai piedi di Lord Cerdic a capo chino, con la lunga treccia corvina che le ricadeva da un lato e le vesti di velluto rosso che lambivano i piedi del suo padrone.
Non osava sollevare lo sguardo, poiché temeva che l’uomo si accorgesse che il suo tono sottomesso era solo una finzione. Lei era una Figlia della Dea e da anni fingeva di sottomettersi al volere di quel nobile che l’aveva rapita dalla sua comunità di sacerdotesse nei boschi della Britannia Minore, per farne una schiava cortigiana.
Non poteva fare altrimenti. L’aveva presa sedicenne, ancora vergine e votata alla Dea. Ricordava ancora le percosse che le avevano rotto le costole quando aveva tentato di opporsi alla lussuria del suo carnefice.
Lord Cerdic ora era un uomo anziano, ma all’epoca era un valente guerriero dalla lunga barba rossiccia e i capelli intrecciati con anelli di ferro ottenuti dalle spade dei nemici sconfitti.
Alto e massiccio, puzzava di cuoio e di alcool. Non poteva dimenticare quando il suo membro eccitato aveva violato la sua femminilità ancora intatta, strappandole un grido acuto di dolore.
Aveva fatto i suoi comodi, ansando e toccandola con lascivia e violenza, fino a farle male, per poi lasciarla lì, rannicchiata in un pagliericcio, tremante e in lacrime, mentre il sangue della sua verginità perduta le colava tra le cosce.
Aveva pregato la Dea che la portasse via con sé per sempre, ma i suoi accorati appelli non erano stati ascoltati.
Gli unici vaghi ricordi del viaggio in mare riguardavano la nausea dovuta al figlio che quel mostro aveva concepito nel suo ventre.
Appena giunta sulla terra ferma e alla corte del Lord, aveva immediatamente saputo cosa fare.
Il suo addestramento sacerdotale le aveva insegnato anche come liberarsi di un figlio indesiderato. E il frutto di una violenza non poteva vedere la luce. Era un abominio, un oltraggio alla Dea della Vita che lei serviva.
Aveva abortito, bevendo un infuso di segale cornuta. Era stata male per giorni, rischiando l’ergotismo. L’anziana nutrice l’aveva accudita, dandole della sciocca e dicendole che, con quella bravata, probabilmente si era resa sterile per sempre.
A lei poco importava. Se d’ora in poi la sua vita avrebbe dovuto essere quella della cortigiana, anzi, della puttana di un Lord, tanto valeva non poter più concepire.
Si sarebbe risparmiata solo ulteriori angosce.
Erano passati nove inverni da quel triste giorno.
Si era quasi abituata a tutto: al sesso forzato con il Signore o i nobili ospiti, agli insulti, alle mani che si infilavano ovunque.
Solo una cosa non riusciva ad accettare: il dover sempre e comunque implorare.
Per qualche strana ragione Lord Cerdic le voleva bene: a modo suo le era affezionato. Le concedeva sempre tutto. Ma ogni volta, per ottenere qualcosa, lei doveva inginocchiarsi e chiedere.
Non lo tollerava.
Ma stavolta era necessario.
Sempre a capo chino, ripeté la propria accorata preghiera: «Mio Lord, consentimi di portare quell’uomo in una delle stanze libere dell’ala ovest e curarlo. Altrimenti morirà! L’infezione è molto avanzata.»
La grande mano possente e callosa di Cerdic le afferrò il viso con poca delicatezza, costringendola a guardarlo. Poi il Lord parlò: «Olwen, mia cara… mi stai chiedendo molto. Portare un semplice soldato in una stanza privata e curalo. Perché? Non puoi farlo negli alloggi comuni dei soldati?»
Olwen strinse i denti: «Mio Signore, il soldato è molto grave. Ha bisogno di tranquillità. Il continuo via vai degli alloggi dei soldati non è adatto alle sue condizioni. Potrebbe morire!»
Il nobile esplose in una fragorosa risata sguaiata: «E cosa credi che me ne importi, donna, della vita di un semplice soldato? Fosse un ufficiale, capirei! Ma di soldati ne trovo a valanghe. Quando voglio.»
Uomo indegno.
Non capiva che la vita di qualsiasi essere umano era sacra alla Dea?
La donna respinse mentalmente la repulsione e cercando di modulare il tono di voce, sfoderò la sua arma migliore: il fascino. Aggrappandosi alle ginocchia del suo signore lo guardò fisso negli occhi e disse: «Mio Lord, ti prego, fallo per me.»
La lussuria è un sentimento che può annientare il più valoroso degli uomini. Lord Cerdic trovava la sua schiava irresistibile da anni e la preferiva tutt’ora ad altre cortigiane più giovani. Quella femmina l’aveva stregato fin dal primo momento. Non per la bellezza: la sua corte era piena di belle donne. Ma per lo sguardo fiero e di sfida.
Dovette cedere: «Va bene, donna. Consideralo un compenso per tutte le volte che hai scaldato il mio letto.»
«Grazie, mio Signore.» sussurrò Olwen.
La fece alzare e prendendola per la vita se la tirò sulle ginocchia. Palpeggiandole sgraziatamente il seno incominciò a leccarle il collo e le catturò la bocca in un bacio viscido.
Sapeva di alcool, come sempre. Inoltre quel bacio era sporco, tutt’altro che piacevole.
«Fammi divertire, donna.» ordinò il lord.
Lei non oppose resistenza: aveva sopportato altre volte, lo avrebbe fatto anche questa.
Dopotutto aveva ottenuto ciò che desiderava.
Aveva vinto lei, in un certo senso.
   
 
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