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Autore: Frieda B    04/06/2020    0 recensioni
Lui, freddo, cinico, spaventato da se stesso.
L'altro lui, bel sorriso, mancino, gran rompiscatole.
Due piloti, un solo aereo.
Aviazione tedesca, ai giorni d'oggi.
Genere: Guerra, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo XIII
Sopportazione reciproca
 

            Bastian non aveva fatto che contare i giorni, le settimane, i mesi.
I primi otto mesi erano passati con un’eccezionale banalità, che era quello che cercava: una banale definizione di felicità. I baci, gli abbracci, il sesso. Un po’ di tempo per loro, un po’ per gli amici, un po’ per stare tutti insieme. Non aveva desiderato altro.
Aveva introdotto Karl nella sua famiglia, presentandogli sua sorella e, più avanti, anche ad Hector, suo cognato. Gli aveva parlato di sé, di sua madre, di suo padre, della sorellastra che aveva visto soltanto una volta. Aveva ascoltato le sue storie sulla campagna, sul suo primo amante (e amore, benché Karl si ostinasse a non definirlo così), l’aveva sentito suonare l’armonica e aveva volato con lui.
Avevano volato in maniera pericolosa, facendosi punire, facendo punire tutta la compagnia, e avevano avuto voli più tranquilli e sempre, sempre, avevano trovato una speciale sintonia sui ritmi del volo, senza neanche doversi parlare, senza guardarsi. Qualunque fosse la loro missione d’addestramento, la portavano a termine.
Ogni pasto lo passavano insieme e di questo Bastian non si stancava mai. Non gli pesava passare tanto tempo con lui e davvero erano molte le ore che trascorrevano fianco a fianco. Durante l’addestramento, le ore di volo, le ore in mensa, le ore in libera uscita.
Karl, dal canto suo, era sorpreso. Non aveva mai dato tanta importanza a nessuno prima di allora. Non si annoiava a passare del tempo insieme e non gli pesava aver ceduto un po’ della sua indipendenza e libertà com’era sempre successo invece in passato. Aveva rivelato una parte importante di se stesso a Bastian e anche ai suoi amici: non aveva mai fatto coming out prima. Bart, Rob e Achim non lo avevano giudicato. Non avevano detto proprio niente. Avevano accettato la cosa con tutta la normalità del caso.
            Era il giorno del loro primo anniversario.
Per gli undici mesi precedenti, non avevano mai davvero festeggiato. Non avevano mai avuto tempo, non avevano la libera uscita, avevano il turno di guardia, c’era questo o quello da fare.
Oggi, però, erano arrivati ad un anno.
Un anno.
Un anno volato tra le magliette sporche di gelato di Bastian, i borbottii di Karl e le sue mezze risate mal celate, un anno tra i piccoli gesti d’amore e i tanti piccoli litigi.
Quest’anno, Bastian, lo voleva festeggiare ad ogni costo.
Non era sicuro che lui sapesse che giorno fosse, gli chiese di raggiungerlo poco dopo pranzo, l’unico momento che avevano libero quel giorno. Gli diede appuntamento al solito parco lontano dalla caserma che li aveva accolti altre volte, quando avevano poco tempo, e tuttavia volevano passarlo insieme, finalmente da soli.
            Karl arrivò con mezz’ora di ritardo, con le mani nella tasca della tuta e gli occhiali da sole sul naso.
«’Stian?» lo chiamò avvicinandosi.
Bastian era seduto su una panchina. Si sollevò, vedendolo, un po’ emozionato, e andò ad abbracciarlo, con un largo sorriso. «Stavolta sei tu in ritardo.»
«Ho litigato con quel deficiente del meccanico,» borbottò lui dandogli un bacio veloce. Si tolse gli occhiali e li infilò nel taschino del giubbotto di pelle. «Insisteva che non fosse necessario disturbarlo per qualsiasi cosa, che noi piloti ci approfittiamo dei meccanici e bla bla bla.» Svariò gli occhi.
Bas rise appena e tornò a sedersi sulla panchina. Aveva un sacchetto di carta bianco accanto a sé. «I meccanici si lamentano sempre,» commentò distratto. «Non ti siedi?»
«Non voglio sedermi, sono stato seduto tutta la mattina in aereo. Mi dovevi dire qualcosa?» fece lui sbrigativo, appoggiando un piede alla panchina.
«Allora mi alzo io, dai…»
Bastian si alzò e appoggiò una mano sul suo fianco per dargli un bacio, più lungo.
«È passato un anno, sai? So che le date non le ricordi, ma… è passato un anno da quando stiamo insieme. Ed è letteralmente volato, è passato prima che me ne accorgessi. Ieri ci ho pensato e ho detto, cavolo, un anno. Ci siamo dati un bacio, abbiamo scopato, ci siamo detti che ci amiamo. È stato… un bell’anno questo, per me.» Lo guardò negli occhi.
Karl non capiva dove volesse arrivare. Ricambiò lo sguardo ed annuì. «Sì, è stato un anno lungo e pieno di sorprese. Non credevo saresti arrivato tu a soppiantare Andreas. Non credevo saresti stato in grado di stare al mio ritmo. Invece lo sei stato da subito.» Si frugò le tasche, prese una sigaretta e se l’accese. Cominciò a fumare. Gettò una nuvoletta di fumo alla sua destra, lontano dal viso dell’altro.
Bastian annuì e portò le braccia attorno al suo collo, in cerca di un suo abbraccio. «Abbiamo lo stesso ritmo. E ti ho fatto un regalo.»
«Un regalo?» chiese stupito lui. «Perché?»
«Perché ci siamo sopportati per un anno, ti pare poco?»
«No, sopportare qualcuno così a lungo non rientra nelle mie abitudini,» rispose.
Bas prese il sacchetto bianco e glielo porse. Con la sua pessima grafia, aveva anche scritto un bigliettino.
Karl sistemò la sigaretta tra le labbra e prese il bigliettino. Lesse con gli occhi: “non dico altri dieci, ma almeno per un altro.” Lo trovò molto dolce. Sistemò il bigliettino nella tasca del giubbotto per non perderlo.
«Ti sei impegnato un sacco,» borbottò imbarazzato.
«Sì, come puoi vedere sono anche incapace di impacchettare i regali,» rise l’altro.
La confezione era piccola, quadrata, e la carta rossa era davvero messa su un po’ a casaccio e con troppo nastro adesivo. La coccarda blu era scivolata in fondo al sacchetto. Karl abbandonò il sacchetto sulla panchina e scartò il regalo, reggendolo bene tra le mani. Era piuttosto pesante. La carta, scoprendosi, rivelò subito una piccola scatolina azzurra con delle nuvole bianche disegnate. Aprì il coperchio e rivelò un piccolo planisfero rotondo e blu scuro con una base in legno, tirandolo fuori non vide però città e regioni, ma stelle e costellazioni.
Non era molto bravo a manifestare le emozioni e non era granché con le parole. Quel bagliore nei suoi occhi, però, parlava da sé. «È davvero bello. Grazie,» disse soltanto. Si sporse e gli diede un bacio dritto sulle labbra.
«Guarda,» fece Bastian. «In realtà, è una lampada. Qui sotto c’è un bottoncino, cliccandolo una volta si accende e cliccandolo di nuovo si spegne. Si illuminano le stelle.» Cercò di mostrargli come fare, prendendo la scatola tra le mani, e subito gli cadde tra le mani. «Oh! Cazzo, spero non si sia rotto…»
Karl si chinò per prenderlo e sedette sulla panchina. «Siediti, dai.» Pigiò il minuscolo pulsante sotto il planisfero, ma questo non si illuminò.
«Cavolo, devo averlo rotto facendolo cadere.»
«Sicuro si accendesse?»
«Sì, l’avevo provato. Mi dispiace un sacco, era bellissimo l’effetto…»
«Dopo vedo se posso aggiustarlo. Magari si è scollegato il cavo interno. È molto bello anche così, non preoccuparti.»
Bastian sedette a sua volta, immensamente triste e col broncio. «Sono un disastro.»
Lui appoggiò la mano sul suo viso per farlo voltare al proprio indirizzo e lo baciò, socchiudendo gli occhi. «Grazie,» fece più accorto. «Mi dispiace non avere un regalo. Non mi ero reso conto fosse oggi. Pensavo fosse dopodomani.»
«Davvero? Pensavo non ne avessi proprio idea.»
«Credevo fosse giovedì, invece era oggi. Davvero. So quando ci siamo messi insieme e anche che è già passato un anno. Non tengo bene il conto come te, ma me lo ricordo.»
Allungò il braccio per sistemarlo sulla spalliera, attorno al suo corpo. Lo strinse un po’ a sé, osservando le costellazioni su quella piccola sfera.
«Comunque sei davvero un disastro.» Rise piano.
«Lo so, mi sento in colpissima. Guarda, si è scheggiato anche il supporto di legno. Che palle…»
«Non importa.»
Bastian si accoccolò un po’ al suo petto. Non sembrava molto convinto.
«Un anno,» ripeté Karl. «È un sacco di tempo. Quanto ancora potremmo stare, a sopportarci?»
«Non lo so, spero un po’. Magari un altro anno, e così di anno in anno. Finché io amo te e tu ami me, immagino.»
«Finché io sopporto te e finché tu sopporti me,» lo corresse.
   
 
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