Libri > Hunger Games
Segui la storia  |       
Autore: Ser Balzo    04/06/2020    1 recensioni
Ti hanno detto che la guerra è arte, e che Clove e Dan non potrebbero essere più diversi.
Ti hanno fatto vedere che occorre esercizio, pazienza e una certa dose di estro poetico, e che quella sadica assassina e quello stupido mandriano non sono altro che due patetiche pedine, due profili su una parete scalcinata, miserabili vittime di un gioco ben più grande di loro.
Ti hanno insegnato tutto questo e tu hai imparato. E hai fatto bene.
Fino ad oggi.
Perché i Settantaquattresimi Hunger Games hanno spazzato via tutto, e ora niente ha più importanza. E chiunque tu sia, se un umile pedone, un coraggioso cavallo, un disciplinato alfiere o un'implacabile regina… sai già cosa accadrà, quando ti ritroverai tra il fango e le bombe, a pregare qualunque cosa perché ti rimetta gli intestini nella pancia e ti conceda finalmente l'oblio.
Ora guarda quei due ragazzi, quelle due anime inseguite da eserciti di ombre, braccate da legioni di demoni, e chiediti: qual è la prima regola dell’arte della guerra, la più importante?
Vincere?
Quasi.
Vincere è fondamentale, ma non essenziale.
Dovresti saperlo: prima della regola uno viene la regola zero.
Resta vivo.
Genere: Avventura, Azione, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clove, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
20.
Fuga dal centro della Terra
 

“This is the captain. We have a little problem with our entry sequence,
so we may experience some slight turbulence and then... explode.”

– Malcom Reynolds, Serenity


 
Era ormai parecchio tempo che Ayla si trovava sulla stessa strada della Ragazza di Fuoco; eppure, quella era la prima volta che la vedeva così da vicino. A guardarla così non sembrava poi tanto diversa da qualunque altra giovane donna del Dodici: castana, non troppo alta, il fisico smunto e indurito dalla fame. Il suo sguardo  era temprato dalla guerra, ma ormai era difficile trovarne uno che non fosse così; eppure, in quegli occhi castani Ayla ci lesse anche qualcos’altro. Qualcosa che aveva una sfumatura verde come la speranza, ma anche rossa come il cuore oscuro di un incendio. Qualcosa che, Ayla ne era piuttosto convinta, la ragazza stentava a credere di possedere.
I veri eroi non sanno di esserlo.
Rendendosi conto che l’istinto le aveva tenuto sollevata la canna del fucile d’assalto, si affrettò ad abbassare l’arma. Dana, Lee e Penny fecero altrettanto.
Baeley, invece, manteneva la pistola mitragliatrice puntata contro Katniss Everdeen.
«Amici» ripeté lei, guardando Baeley dritto negli occhi.
Baeley lanciò un’occhiata ad Ayla. Per un attimo, lei ebbe la ridicola certezza che stesse chiedendo il suo permesso.
«Sì» disse infine, abbassando l’arma.
«Li avete sistemati voi?» disse Johanna, accennando alle quattro corazze viola per terra. «Ottimo lavoro. Questi stronzi sono piuttosto duri da buttare giù…»
«Non siamo stati noi» replicò Lee. «Erano già morti quando siamo arrivati.»
«Non sembrano avere ferite» osservò Gale. «Forse sono stati avvelenati.»
«Già… ma da chi?»
«Sentite» li interruppe Johanna. «Mi fa molto piacere che vi divertiate a giocare al piccolo detective…. ma possiamo gentilmente sciacquarci da questo cazzo di parco giochi dell’orrore prima che altri stronzi viola vengano a farci il culo a cubetti?»
«Mi trovo d’accordo» disse Penny. «Prendiamo uno di questi cosi e filiamo da qui.»
«A proposito di questi cosi» disse Dana. «Potrebbe esserci qualcosa che non abbiamo previsto.»
«Ossia?» le chiese Ayla.
«Qualcuno di noi sa guidare un hovercraft?»
Il silenzio calò nel gruppo.
«Merda» borbottò Johanna.
«Non ne ho mai guidato uno» disse Gale alla fine. «Ma ne ho studiato i progetti e ho visto come si fa.»
«Non c’è bisogno di grandi acrobazie» disse Ayla. «Basta che esci da questo posto e poi atterri il meno dolorosamente possibile dovunque tu riesca ad arrivare.»
Mentre Gale annuiva in risposta, Johanna stava già salendo sulla rampa dell’hovercraft più vicino.
«Siete ancora lì?» disse, voltandosi e vedendo che non si erano mossi. «Ma porco Panem, li ho visti solo io i giganti assassini che ci danno la caccia o cosa?»



L’ascensore era un montacarichi largo abbastanza da contenere un mezzo corazzato. La piattaforma però non c’era, lasciando intravedere la tromba oscura che si apriva come un pozzo senza fondo precipitando giù fino al cuore buio della Montagna.
«Qualcuno deve averla già usata» disse Cato, premendo il pulsante di richiamo.
«Non può essere stato il mio tenente» replicò Aber. «Ha usato il condotto di servizio.»
«Potrebbe essere stato qualche soldato sopravvissuto della Montagna. O qualche prigioniero. Oppure, una squadra di supersoldati è andata all’hangar per distruggere gli hovercraft e bloccarci definitivamente qui dentro.»
«Due su tre» mormorò Daniell. «Potrebbe andare peggio.»
«Già» disse Artemisia. «Potrebbe piovere.»
I due sono bravi, dovette ammettere Clove. Ares e Artemisia erano fermi a meno di sei metri di distanza da loro, entrambi armati con un fucile d’assalto e – a parte un taglio sulla guancia di Artemisia e tre piccoli crateri scavati sulla sua piastra pettorale antiproiettile – apparentemente illesi.
«Andate da qualche parte?» continuò Artemisia. Il fucile era abbassato, ma Clove poteva percepire la tensione dei muscoli delle braccia pronti a scattare.
«E secondo te dovremmo dirtelo?» replicò Dan.
Artemisia lo guardò con sprezzante sorpresa. «Incredibile, gli animali dei Distretti Fogna sanno anche parlare.» Poi i suoi occhi si spostarono verso Clove, e le sue labbra assunsero una piega crudele. «Ti accoppi con le bestie, Clove? Non pensavo ti piacessero certe cose…»
D’un tratto, il volto del capitano Aber si illuminò di una strana consapevolezza. «Voi due» disse. «Se non erro mi diceste che eravate alle dirette dipendenze del colonnello Rorke.»
Artemisia si fece guardinga. «Perché—»
«È così» la interruppe Ares.
«Stando a quanto dice il giovanotto qui» disse Aber accennando a Cato, «i soldati corazzati che stanno spargendo il terrore in questa base sono opera sua.»
Clove vide i due irrigidirsi. Fu solo questione di un attimo, però: in men che non si dica, entrambi avevano ripreso  i loro consueti atteggiamenti – impassibile lui, sprezzante lei.
«Onestamente» disse Artemisia, «non è una cosa di cui mi freghi particolarmente.»
Il cipiglio di Aber si indurì. «Questi soldati hanno aperto il fuoco contro dei membri dell’Esercito Regolare. Se quanto mi è stato detto dovesse risultare vero, condurrò personalmente il plotone di esecuzione del colonnello Rorke.»
Artemisia ghignò. «Buona fortuna.»
Alle loro spalle, la piattaforma dell’ascensore si fermò al piano con uno sbuffo idraulico. La grata di protezione si sollevò, aprendo il passaggio.
 «Ares» disse Cato. «La partita era truccata fin dall’inizio. Lo è sempre stata. Qualunque cosa credi di poter fare, non riuscirai mai a vincerla.»
Ares rimase qualche istante in silenzio. «Chiunque perda può sempre prendersela con il gioco» disse infine. «Tu hai perso, nell’Arena. Se avessi vinto, saresti forse lì dove sei adesso?»
Cato fece un lungo respiro. Sulle sue labbra si disegnò un sorriso triste.
«Due anni fa, avrei detto lo stesso.»
Poi sollevò il fucile e premette il grilletto.
Ares sobbalzò mentre i proiettili colpivano la piastra sul petto. Sbilanciato dalla forza di quei colpi, mancò il bersaglio con la sua raffica di risposta, trapassando la giubba bianca del soldato Tosky e aprendogli otto fori vermigli sul corpo. Prima che il suo cadavere potesse toccare terra, Artemisia piazzò due colpi in testa al soldato Daniell e lacerò la pelle del braccio sinistro del capitano Aber, prima che le pallottole sparate da Clove e Dan la costringessero a nascondersi dietro un cassone di rifornimenti.
«Vili marrani!» strillò Aber, sollevando la spada. «Vi percuoterò lì dove vi ergete!»
«Non faccia l’idiota» abbaiò Dan, afferrandolo per la giubba immacolata e spingendolo a forza nell’ascensore. Corse verso l’interruttore e premette il tasto corrispondente al Livello Cinque, mentre Clove e Cato indietreggiavano sparando per tenere Ares e Artemisia dietro le loro coperture. La grata di protezione scese con una lentezza esasperante, i proiettili che mandavano scintille quando si scontravano con la rete metallica; poi, finalmente, la piattaforma si mise in moto, salendo verso l’alto e lasciandosi definitivamente alle spalle i due IEROS.
«Rorke» ringhiò il capitano Aber, agitando il pugno come se ce l’avesse davanti. «Avrò la sua testa, lo giuro sul Presidente!»
«Una volta fermata l’apocalisse sarà tutto suo» disse Cato.
Clove notò una strana inflessione rigida nelle sue parole. Abbassò lo sguardo sul suo fianco, e vide che la sua giubba mimetica era umida di sangue.
«Cato» disse di getto, avvicinandosi per controllare meglio la ferita.
«Sto bene» disse lui, alzando una mano per fermarla. «Non abbiamo tempo, adesso.»
La piattaforma vibrò. Dalle profondità della Montagna, giunse il cavernoso eco di un boato.
«Temo proprio di no» disse Dan.



«Dove la metto questa?» disse Lee, tenendo tra le mani la pesante mina a disco che aveva staccato dall’hovercraft.
«Il più lontano possibile» rispose Ayla.
«Ancora una volta, sono più che d’accordo con lei, sergente.»
Mentre Lee si sbarazzava con cautela della mina, Ayla si girò verso l’hovercraft. Un brivido parve attraversare la carlinga, poi le eliche incassate nelle ali presero a girare con un mormorio sempre più acuto.
«Ce l’ha fatta» disse Dana.
«Già» rispose Penny. «Ora non resta che la parte più difficile.»
«Ok ragazzi» esclamò Johanna, sbucando dal ventre dell’hovercraft e scendendo a passi pesanti dalla rampa di carico. «Sembrava impossibile, ma siamo pronti per catapultare i nostri inestimabili culi fuori da qui.» Il suo sguardo saettò sul tenente Baeley. «Non possiamo semplicemente sparargli?»
Ayla vide le dita del tenente che stringevano la pistola mitragliatrice contrarsi.
«No» sentenziò, con tutta l’assertività di cui era capace. «Lui è con me.»
Baeley alzò gli occhi su di lei. Sembrava quasi stupito. Ayla sentì uno strano rimescolamento allo stomaco e distolse lo sguardo, sperando che lo sporco sul volto nascondesse il rossore delle sue guance.
Johanna guardò l’uno e l’altra, poi sospirò. «Come volete. Basta che vi diate una mossa, o rischiate che Gale decolli per sbaglio e vi lasci qui a crepare…»
Il pavimento dell’hangar venne attraversato da uno scossone. Un lungo e inquietante lamento metallico si propagò nell’aria, seguito da un lontano frastuono che somigliava ad un centinaio di enormi cilindri di metallo lasciati cadere giù da una scalinata.
«Forza, dentro!» gridò Johanna.
«Alziamo i tacchi, sergente!» esclamò Lee, salendo di corsa sulla rampa; a metà strada, però, si fermò di colpo. «Dan! Non possiamo partire senza di lui.»
«Dobbiamo attendere il capitano» disse Baeley. «È un imbecille, ma senza di lui non saremmo qui.»
Il pavimento diede un altro scossone. Un pezzo di roccia orrendamente grande si staccò dal soffitto e andò a schiantarsi su di un hovercraft.
«Non c’è tempo!» esclamò Ayla. «Dobbiamo andare.»
«Sergente, la prego!» la implorò Lee.
Ayla sentì lo sguardo del ragazzo pugnalarle il cuore. Odiandosi con tutta se stessa, lo afferrò e lo spinse nell’hovercraft. Penny e Dana lo presero, impedendogli di uscire di nuovo.
Ora fuori dall’hovercraft c’era solo Baeley.
«Tenente!» gli gridò Ayla, tentando di sovrastare il fragore della Montagna al collasso che si faceva sempre più forte. «Il capitano voleva che vivesse, quindi non sia stupido e salti su!»
Baeley pareva non avere sentito. Guardava dritto davanti a sé, lungo il corridoio. Sembrava concentrato su qualcosa.
Poi, d’un tratto, i suoi occhi si spalancarono.
«Arrivano!»



La Montagna si stava letteralmente disfacendo, sciogliendosi come un castello di sabbia eroso dalle onde del mare. Una pioggia di calcinacci cominciò a piovere dentro il montacarichi, rimbalzando sulla piattaforma con rumori ottusi. Un’altra scossa agitò la tromba dell’ascensore, e ancora una volta Dan pensò che non ce l’avrebbero fatta.
Troppo lenti, siamo troppo lenti…
Una striscia di luce comparve in cima alla grata di protezione. Il Livello Cinque. L’hangar. La loro via di fuga.
Avanti, avanti…
Il montacarichi si fermò sbuffando. La grata si sollevò per mezzo metro, poi si bloccò.
«Perbacco, siamo bloccati» disse il capitano Aber.
Dan lo guardò allibito. «Basta strisciare sotto» disse, indicando Clove e Cato che erano già per metà fuori dall’ascensore.
«Ma così mi sporcherò l’uniforme» protestò lui.
«Lei è… come ha fatto a sopravvivere fino a oggi?»
«Classe, figliolo. E una dieta ricca di antiossidanti.»
Dan non si diede neanche la pena di rispondere. Raggiunse la grata, si sdraiò a terra e strisciò dentro l’hangar. I suoi piedi avevano appena superato la barriera di reticolato metallico quando un paio di mani lo tirarono bruscamente su.
«Spicciati, Distretto Fogna» gli disse Clove. «Non ho alcun problema a lasciarti indietro.»
Dan fu sul punto di chiederle perché allora l’avesse aiutato a rimettersi in piedi con tanta solerzia, ma preferì non farlo. Anche perché il soffitto dell’hangar si faceva ogni secondo più instabile, e non ci sarebbe voluto molto prima che si ritrovassero tutti sepolti sotto una valanga di roccia.
«Poffarbacco» mugugnò Aber, uscendo faticosamente fuori dall’ascensore. «Strisciare per terra è proprio un affare spiacevole.»
«Non quanto rimanere sepolti vivi» replicò Dan, tirandolo su. Una volta in piedi, il viso del capitano si illuminò.
«Tenente!» esclamò, agitando le braccia come se avesse riconosciuto un amico al parco.
Dan seguì il suo sguardo. Al centro dell’hangar, un altro soldato in giubba bianca sollevò la mano per ricambiare il saluto.
«Gambe in spalla, figliolo!» disse gioioso Aber a Dan. «È ora di una cortese uscita di scena.»
E ciò detto prese a correre con lo scatto di un centometrista, lasciando gli altri tre a mordere la polvere come dei pivelli qualunque.



«Allora, Gale, ci sei o no?»
«Ho quasi fatto. Magari se non mi strillassi nell’orecchio farei anche prima…»
«Oh, scusa se sono leggermente preoccupata dalla stracazzo di Montagna che ci sta letteralmente crollando addosso…»
«Piantala e tira su l’interruttore rosso davanti a te.»
«Questo?»
Un acuto segnale d’allarme rimbalzò nella cabina di guida dell’hovercraft. Terreno, terreno, ripeteva ossessivamente una composta voce femminile.
«Non quello.»
«Ok, ok!» ringhiò Johanna alla voce insistente. Abbassò l’interruttore, e nella cabina tornò il silenzio. «Che diavolo era?»
«Con tutta probabilità, il comando di apertura del portellone ventrale. Il sistema di sicurezza ti stava gentilmente avvisando che sganciare mezza tonnellata di bombe senza essere prima decollati avrebbe potuto portare qualche spiacevole complicazione.»
«Sì beh vaffanculo. Avrebbero potuto metterci delle etichette o una cosa del genere. Stupido affare…»
«…che ci sta salvando la vita.»
Katniss si affacciò nella cabina, poggiando le mani sui due sedili. «Come procede?»
«Oh, alla grande» rispose Gale. «Johanna stava per farci saltare in aria.»
«Sei tu che mi hai detto di premere quel coso!»
«Ti avevo detto quello rosso davanti a te…»
«Sono tutti rossi e davanti a me!»
 Katniss sospirò e guardò dietro di sé, verso la stiva di carico. Vide che l’ufficiale dell’Esercito Regolare era ancora fuori dalla rampa, con il sergente dei Volontari poco vicino, e imprecò.
«Torno subito» disse. «Aspettate a decollare.»
«E chi si muove» abbaiò Johanna.
Katniss percorse a passi rapidi la stiva. «Cosa ci fate ancora lì?» gridò rivolta ai due. «Salite, adesso!»
L’ufficiale dell’Esercito Regolare indicò un punto dell’hangar a lei invisibile. «Un secondo, ci sono quasi!»
«Ci sono quasi chi?»
Qualche secondo dopo, un altro uomo dalla divisa bianca entrò di corsa nella stiva, con tanta foga che rischiò quasi di infilzare Katniss con la sciabola che stringeva in pugno.
«Tuoni e fulmini, finalmente in salvo!» esclamò Aber, ansimando pesantemente. Quando riconobbe la Ragazza di Fuoco, le sopracciglia si incurvarono in un’aria di composta sorpresa. «Toh, Miss Everdeen. Anche lei qui.»
«Capitano» borbottò lei in risposta.
«Potreste farmi la grazia di attendere qualche istante, prima di partire? I miei valenti compari dovrebbero… oh, eccoli dunque.»
«Dan!» esclamò Lee, vedendo il suo vecchio amico salire la rampa dell’hovercraft. Insieme a Dana e Penny si affrettò verso di lui; finalmente riuniti, i quattro ragazzi si strinsero in un abbraccio liberatorio.
Katniss vide il sergente dei Volontari e l’ufficiale dell’Esercito Regolare portare dentro un giovane biondo. Era ferito ad un fianco, e il volto statuario era pallido e tirato. Un volto che lei conosceva.
Non c’erano più dubbi: come la sua compagna di Distretto, a quanto pare anche Cato era tornato dall’oltretomba.
«Bene» disse il sergente dei Volontari, «direi che adesso possiamo anche levarci dai piedi.»
«Non avrei saputo dirlo meglio, tesoro!» esclamò Johanna. «Avanti, Gale, metti il turbo e sfanculaci fuori di qui!»
«Forte e chiaro.»
Gale fece scattare delle levette sopra di lui, poi strinse la manetta del gas e cominciò a spingerla in avanti. I rotori sulle ali aumentarono i giri, mentre il sibilo acuto del motore si trasformava in un rombo potente.
Due frammenti di roccia caddero sull’hovercraft, facendo risuonare la carlinga con un rumore sordo.
«Gale» disse Johanna, il tono pieno di apprensione.
«Ci sono» disse lui. «Ci sono.»
Con un sobbalzò, l’hovercraft si alzò da terra.
Johanna emise mandò un grido di gioia. «Vecchio bastardo, sapevo che ce l’avresti fatta!»
«Abbiamo appena cominciato» replicò lui, teso e concentrato. «Chiudi la rampa. Manopola vicino alla mia mano destra.»
«Ok, ce l’ho.»
«Girala verso di te.»
«Fatto.»
Nella stiva, Ayla accolse il sollevamento della rampa con gran sollievo. Guardò Dana, seduta accanto a lei, e controllò che avesse l’imbracatura ben allacciata.
«Sergente» disse Dana. «Ho visto qualcosa che non mi torna.»
Benvenuta nel club, pensò Ayla. «Che cosa?»
«Il cadavere con le spade, nell’hangar…»
«Sì?»
«…non ce le ha più.»
Ayla si girò per guardare fuori dall’hovercraft, lì dove avevano trovato i quattro guerrieri morti misteriosamente. La rampa però ormai era praticamente chiusa, e tutto quello che riuscì a vedere fu una sottile linea grigia che si spense in un paio di secondi.
«Non preoccuparti» disse a Dana. D’istinto, le prese la mano e gliela strinse. «Ora ce ne andiamo.»
 


Alle undici, ventitré minuti e cinquantotto secondi i mastodontici generatori d’energia della Montagna, lanciati a potenze dieci volte superiori le loro tolleranze massime e con i sistemi d’emergenza disattivati impossibilitati a fermarli, si annichilirono in una vampata incandescente. L’esplosione distrusse l’intero Sottolivello Cinque, incendiò il Sottolivello Quattro e scavò verso l'alto un pozzo di roccia e metallo fuso che arrivò a toccare il Sottolivello Tre, dove erano conservate le riserve idriche della base. Privo del supporto statico dei piani inferiori, il pavimento del Sottolivello Tre collassò, riversando centinaia di tonnellate d’acqua nel pozzo infuocato. L’enorme massa liquida dilagò nel Sottolivello Quattro, spegnendo gli incendi che si erano generati al suo interno, e irruppe nel Sottolivello Cinque. A contatto con la distesa di magma incandescente in cui si era trasformata la sala generatori, si vaporizzò istantaneamente trasformandosi in energia.
A quel punto, la Montagna esplose per davvero.
Il Terzo Squadrone del Cinquantunesimo Stormo da Caccia dell’Aviazione Ribelle stava passando in quel momento ad un centinaio di chilometri dalla Montagna, diretto nella fascia di territorio tra il Distretto Due e Capitol City dove l’esercito ribelle si stava preparando all’offensiva finale. I piloti credettero di soffrire di allucinazioni quando videro la base della Montagna ammantarsi di nuvole grigie e dense e l’intero massiccio sollevarsi in alto come se fosse un’astronave in procinto di abbandonare il pianeta; una frazione di secondo dopo, una luce accecante aggredì le loro retine, seguita da un’onda d’urto che mandò fuori scala tutti i sistemi e colpì gli hovercraft con la violenza di un uragano. Lo Squadrone dovette dare fondo a tutta la propria abilità di guida per restare in quota, i velivoli dispersi nell’aria come foglie secche sparpagliate da un bambino capriccioso; una volta ripreso il controllo, videro che sulle ceneri della base più imponente di tutta Panem si ergeva una gigantesca, oscura colonna di fumo, polveri e pezzi di Montagna di più di una ventina di metri di diametro lanciati a chilometri di altezza come fossero ghiaia.
A bordo dell’hovercraft di punta, il Sottotenente Terren Clyve si riscosse dallo sconcerto.
«Chiama il comando» ordinò all’Aviere Scelto Seck, seduto alla postazione di copilota. Il ragazzo fissava la torre infinita di tenebra, gli occhi vitrei e il volto tirato. «Seck, chiama il comando.»
«Signore» mormorò Seck, con un filo di voce. «Cos’era… che sta succedendo?»
La fine, pensò il Sottotenente Clyve. Della guerra. Del mondo. O di entrambe le cose.
 
 

Gradiente di vento, gradiente di vento, ripeteva ossessivamente la voce femminile. Gli allarmi e il frastuono dell’aria che martellava la carlinga dell’hovercraft accompagnavano le sue parole come una sorta di orchestra demoniaca, riempiendo la cabina di pilotaggio di un brutale e angosciante uragano di rumori.
«Stai zitta, brutta stronza!» le strillò Johanna. «Dov’è la mia ascia? Mi serve la mia ascia!»
«Dopo potrai fare a pezzi tutto quanto l’hovercraft se vuoi» le gridò di rimando Gale. «Ma ora tieni la barra dritta e piantala di litigare con il sistema d’allarme!»
Nessuno di loro aveva visto cosa fosse successo alla Montagna: ma a giudicare dall’onda d’urto che li aveva investiti doveva essere stato qualcosa di parecchio grosso. Gale era riuscito a malapena ad evitare che l’hovercraft si inabissasse in una spirale rotatoria senza via d’uscita, e ora lui e Johanna stavano dando fondo a tutte le energie per contrastare le terribili forze che si abbattevano incessanti sul velivolo.
 Fuori dal vetro della cabina, il mondo era avvolto in volute grigie e bruno chiare.
«Dove accidenti siamo?»
Gale diede una rapida occhiata ai sistemi di posizionamento. I numeri delle coordinate cambiavano senza soluzione di continuità, mentre la bussola ondeggiava come una zattera alla deriva in un mare in tempesta.
«Gli strumenti sono andati…»
«Magnifico!»
«…ma prima che entrassimo nel banco di nubi e saltasse tutto quanto eravamo diretti a Sud-Sudest, verso la nostra zona aerea.»
«E non pensi che entrare nella nostra zona aerea con un hovercraft della Montagna possa essere un minimo rischioso?»
«Basta che li avvertiamo prima che ci abbattano.»
«E con cosa, visto che non funziona un cazzo di niente qui dentro…»
Gradiente di vento, gradiente di vento
«…a parte questa intollerabile fracassapalle?»
«Ci penseremo una volta che avremo visto dove siamo. Ora stai pronta, scendiamo.»
Il più lentamente possibile, Gale mosse in avanti la barra di controllo. L’hovercraft venne attraversato da un lungo brivido, poi la pressione sulle sue tempie gli fece capire che il velivolo si stava abbassando.
«Tienilo fermo… tienilo fermo…» mormorò a Johanna. Le due barre si agitavano come cavalli imbizzarriti, cercando con tutte le sue forze di sottrarsi alla presa dei loro conduttori.
«Ha il culo pesante, questo affare» ringhiò Johanna, la fronte sudata e i denti serrati nello sforzo di tenere la barra dritta.
Gale vide le nubi farsi più rade e sfilacciate. Un rettangolo di terra comparve tra i riccioli fumosi di vapore condensato.
In quel momento, la voce cambiò argomento.
Cabrare, terreno; cabrare, terreno…
«Oh merda.»
La visione di una collina con alti alberi spogli riempì tutto il parabrezza della cabina.
«Oh merda!»
«Tira su, tira su!»
Gale e Johanna tirarono indietro le barre con tutta la forza che era rimasta loro. La carlinga vibrò mentre il muso dell’hovercraft si risollevava verso l’alto, i motori che urlavano e il metallo che gemeva sotto l’effetto dell’aria e della gravità.
Cabrare, terreno; cabrare, terreno…
Gli alberi si facevano sempre più vicini. Ora Gale poteva distinguere i loro rami secchi e contorti, le rocce alla base dei loro tronchi, la terra secca e bruna tutto intorno.
Cabrare, terreno; cabrare, terreno…
 «Avanti, avanti, avanti…»
La vibrazione della carlina era così forte da togliergli la sensibilità alle gambe. Lentamente, il cielo si stava riappropriando del parabrezza, cacciando gli alberi sempre più in giù sotto il ventre dell’hovercraft.
Con un ruggito di guerra, Johanna piantò un piede sulla plancia e inarcò la schiena all’indietro, in uno sforzo bestiale di tirare indietro la barra.
Gli alberi sparirono alla vista.
Gale lanciò un grido di gioia.
Poi uno schianto orribile si propagò dalla coda dell’hovercraft. Le barre di controllo schizzarono in avanti, sbattendo contro la plancia. L’hovercraft si tuffò in avanti, dritto contro la collina.
Caduta, terreno; caduta, terreno…
Furono le ultime parole che sentì, prima che il buio, il legno e la terra arrivassero a spegnere tutto.



Rosso. Nero. Rosso. Nero.
Non era la prima volta che l’esistenza di Clove si riduceva a quei due colori. Mentre qualcuno le toglieva l’imbracatura e la adagiava a terra, si chiese se non fosse il caso di smetterla di volare, visto che la cosa non sembrava portarle molta fortuna.
Serrò le palpebre, mentre il sangue che si era accumulato dentro la testa riprendeva a scorrere normalmente nel resto del corpo. Quando le riaprì, si rese conto di essere seduta sul soffitto dell’hovercraft. Davanti a lei, il ragazzo del Dieci che le aveva detto di chiamarsi Dan la scrutava.
«Bene, sei viva» le disse, con una voce brusca che sembrava più imposta che spontanea.
«Già» rispose lei, alzandosi in piedi con un gemito soffocato. «Restare morta è una cosa che mi riesce un po’ difficile.» Diede un rapido sguardo ai sedili vuoti. «Dov’è Cato?»
«Fuori. Insieme agli altri. Siamo stati… beh, è un po’ ridicolo da dire, ma siamo stati fortunati.»
Clove fece qualche passo in avanti. Con la coda dell’occhio vide Dan sollevare le mani per sostenerla e poi riabbassarle rapidamente, come se una bacchetta invisibile si fosse abbattatuta su di loro. Contrariamente a quanto credeva, non le venne in mente nessun commento sprezzante da fare.
Questa volta il mutevole corso degli eventi aveva deciso di risparmiarle la fatica di aprire il portellone. La cabina di pilotaggio e parte della stiva erano scomparsi; al loro posto c’era un canale di terra, rottami e brandelli di albero scavato dal velivolo lungo tutto il fianco della collina.
Nonostante il solle fosse coperto dalle nubi, la luce del giorno le fece comunque socchiudere gli occhi. Schermandosi il volto con una mano, individuò il resto dei passeggeri dell’hovercraft, riuniti in gruppo sparso ad una decina di metri del relitto. Vicino al tenente dell’Esercito Regolare e alla ragazzina dei Volontari con il vestito a fiori, Cato giaceva a terra, privo di sensi.
Clove corse verso di loro. Ad un paio di passi si bloccò, come se non riuscisse ad andare oltre.
«Come sta?»
La ragazzina dei Volontari sollevò gli occhi azzurri su di lei e la guardò con freddo distacco. «È vivo, ma ha perso parecchio sangue. Nell’hovercraft c’era un kit medico, così siamo riusciti a stabilizzarlo. La pallottola è uscita e non ha creato lesioni gravi, ma senza cure adeguate non ci vorrà molto prima che la ferita si infetti.»
«Bene» disse il sergente dei Volontari. «È il momento di decidere il da farsi.»
«Dov’è Katniss Everdeen?» chiese Dan.
«È andata a cercare i due valenti piloti» rispose il Capitano dell’Esercito Regolare. «Mi ha dato la sua parola d’onore che tornerà quanto prima.»
Clove vide l’altra ragazza bionda dei Volontari e il suo compare scambiarsi un’occhiata significativa.
Difficile dar loro torto, pensò. Con gente del genere a comandare l’Esercito Regolare, è incredibile che questa guerra non sia già finita.
«Il sergente ha ragione» disse il tenente. «Abbiamo bisogno di un piano. Innanzitutto, dobbiamo capire dove siamo.»
«E come facciamo, senza una mappa o una bussola?» chiese la bionda più grande.
«Potremmo salire in cima alla collina» disse il sergente. «Magari da lì si vede qualcosa.»
Il tenente annuì. «È un inizio. Un paio di noi possono risalire la collina, mentre il resto setaccia i rottami in cerca di qualcosa che—»
«Ha!» lo interruppe il capitano, guardando verso il canale scavato dall’hovercraft. «Ve l’avevo detto! La sua parola d’onore.»
Clove non poté fare a meno di rimanere sorpresa. La Ghiandaia Imitatrice, invece di scappare via come qualunque essere umano dotato di un minimo di cervello, stava tornando da loro, portandosi dietro i suoi malconci compari.
E lei avrebbe vinto gli Hunger Games?
Lei e il tipo alto che Clove aveva intuito venire sempre dal Dodici fecero sedere a terra la Vincitrice del Distretto Sette. La ragazza era cosciente, ma non sembrava capire molto di quello che stesse succedendo.
«Miss Everdeen» disse il capitano. «Sono lieto di vedervi sana e salva.» Con la gravità di un cerimoniale di stato, drizzò la schiena e le fece il saluto militare. «È un onore combattere con un avversario come voi.»
Katniss Everdeen lo fissò per qualche momento. «Se lo dice lei» borbottò infine.
«Avreste potuto scappare, ma non l’avete fatto. Solo una vera gentildonna si comporterebbe in tal modo.»
Le labbra della Ragazza di Fuoco si piegarono in un piccolo sorriso ironico. «Mi sono sentita chiamare in parecchi modi, ma mai gentildonna
«Questo è perché lei ha deciso di schierarsi con una masnada di selvaggi incivili e maleodoranti. Se combattesse per l’unica, vera, giusta causa, non riceverebbe altro che elogi.»
«Oh, non ho dubbi in proposito.» Katniss Everdeen passò accanto al capitano, gli diede una pacca sulla spalla e si avvicinò al sergente e al tenente. «So dove siamo.»
«Davvero?» chiese il tenente, stupito.
Lei fece un breve cenno di assenso. «Il muso dell’hovercraft era quasi in cima alla collina. Mi sono arrampicata su un albero per avere una visuale migliore.» Indicò verso Nordovest, lì dove il fianco della collina irto di tronchi continuava a scendere. «Di là c’è Capitol City. Neanche un giorno di marcia, probabilmente.» Spostò il braccio di una frazione di giro verso destra. «Lì invece ci sono i ribelli. Un po’ più lontani, ma non di molto.»
«Numi del cielo» esclamò il capitano. «Già così vicini?»
«A quanto pare.»
Il capitano Aber guardò a terra, il volto tirato e l’espressione grave. Sospirò, poi riportò gli occhi su Katniss Everdeen. «Miss Everdeen, il mio amore, la mia lealtà e il mio onore vanno a Capitol City. Il mio dovere è difenderla, e farò tutto quello che è in mio potere perché questo accada.» Indicò il volto pallido di Cato, ancora privo di sensi. «Se quello che sostiene questo ragazzo è vero, io e voi abbiamo un traditore in comune. Pertanto vi libero dalla vostra condizione di prigioniera di guerra, e vi esorto a riferire al vostro Alto Comando che il Colonnello Aelius Rorke è un nemico del genere umano, e che qualunque cosa abbia offerto loro in dono va distrutta prima che possa rivoltarsi contro di voi – e infine contro noi tutti.»
Sul gruppo cadde un silenzio pesante e teso. L’unico rumore era il sibilio della carlinga surriscaldata dell’hovercraft.
«Aspettate» disse infine il ragazzo dei Volontari dalla pelle olivastra. «Cosa?»
«Loro non lo sanno» disse Dan al capitano.
«Sapere cosa?» chiese l’amico alto di Katniss Everdeen.
«Che è in atto un piano per cancellare Panem dalla faccia della Terra» disse Clove. «Un piano folle che prevede un arsenale nucleare, supersoldati corazzati e due fazioni troppo impegnate a distruggersi a vicenda per notare che nella partita c’è un terzo giocatore che punta a rubare loro la vittoria.»
«Quegli affari che ci hanno attaccato nella Montagna» continuò Dan. «Erano una prova. Un test per verificare le loro prestazioni. Questo Rorke, chiunque egli sia, ha creato un esercito di mostri e li ha dati sia a Capitol City che al Tredici, come arma segreta da usare come ultima risorsa. Nessuno dei due sa che anche l’altro ha quest’arma. Quando verrà il momento Rorke li attiverà, prenderanno il controllo di entrambe le riserve nucleari e distruggeranno tutti i Distretti. Una volta fatto, quelli del Tredici sovraccaricheranno i generatori come hanno fatto con quelli della Montagna, e sarà tutto finito.»
«Ma… non ha senso!» esclamò la bionda più grande dei Volontari. «Senza i Distretti Capitol non può sopravvivere.»
«È quello che ho detto anche io» rispose Clove. «Ma Rorke pare avere un piano anche per quello.»
«Non è possibile» disse l’amico di Katniss.
Clove lo guardò negli occhi. «Stai parlando con una persona morta da due anni. Dovresti fare una revisione a quello che ritieni impossibile.»
«Ok, mettiamo che abbiate ragione» disse il tenente. «Se il piano prevede di prendere il controllo del Tredici e farci saltare tutti per aria, perché siamo ancora qui? Questi… supersoldati non dovrebbero aver già compiuto la missione?»
«Forse è quello che stanno facendo in questo momento» disse Clove. «O forse non sono ancora pronti per essere risvegliati. In ogni caso, non c’è tempo da perdere.»
«Io andrò a Capitol City a informare il comando» disse Aber. «Miss Everdeen farà lo stesso con i ribelli. Una volta tolto di mezzo il Colonnello Rorke, potremo tornare a decidere del destino di Panem come si deve.»
«Ci state chiedendo di fidarci di voi sulla parola» replicò il sergente dei Volontari. « Di qualcosa che avrei difficoltà a non ritenere ridicolo anche se me lo dicesse la persona di cui mi fido di più al mondo. E di cui non avete le prove, ma solo, da quanto ho capito, la testimonianza di questo sconosciuto…»
«Non è uno sconosciuto» disse Katniss Everdeen. «È il tributo maschio del Distretto Due dei Settantaquattresimi Hunger Games. Io l’ho visto morire.» Sollevò lo sguardo su Clove, e ancora una volta i loro occhi, così simili e così diversi, si incontrarono. «Tu credi che Cato abbia ragione?»
«Sì.»
Non credeva che l’avrebbe detto così velocemente. Fino a quel momento, non credeva di esserne davvero convinta. Ma a quanto pareva, era così.
A quanto pareva, Clove avrebbe voltato le spalle all’uomo che le aveva ridato la vita. E tutto per un qualcosa che non riusciva neanche a comprendere.
Sopravvivenza? Competizione? Lealtà?
Fede?

«Bene» disse Katniss Everdeen. «Allora gli credo anche io.»
«Ma—» tentò di dire il suo amico.
«Se hanno ragione salviamo il mondo, se ci sbagliamo sarà solo un falso allarme» ribatté lei. «Vale la pena tentare.»
Lui sospirò, alzando le mani. «Come vuoi.»
«La Storia ricorderà la vostra rettitudine, Miss Everdeen» disse il capitano Aber. «Infine, le nostre strade si separano. Tenente, confido che lei e la signorina riusciate a trasportare il nostro ragazzone qui a terra. Andremo un po’ lenti, ma in quattro dovremmo—»
«In cinque» lo interruppe Dan. «Vengo anche io.»
Il capitano lo fissò perplesso. «Figliolo, apprezzo il vostro entusiasmo, ma—»
«L’entusiasmo non c’entra nulla» ribatté lui. «L’esercito di supersoldati di Capitol City è nascosto in due luoghi. Uno di questi è la Piazza dei Martiri dei Giochi.» Accennò a Clove. «Essendo anche lei un giocattolo di Rorke, è la nostra chiave per entrare nella base segreta. Io devo fare in modo che ci arrivi viva.» Fece una pausa, guardò l’assassina di sua sorella e riportò lo sguardo sul capitano. «Dove va lei, andrò anche io.»
Aber rimase in silenzio, stupito dal quel discorso. «Beh, giovanotto, se siete così desideroso di infilarvi tra le fauci della bestia non sarò certo io a fermarvi. Ma c’è un problema: una volta a Capitol City, il mio dovere mi impone di catturarvi in quanto nemici di Panem.»
«Non sarà necessario» disse Dan. «Prima di entrare nella città, ci separeremo. Una volta avvisato il suo comando, potrà fare quello che riterrà più opportuno.»
 Il capitano lo scrutò con attenzione, le mani intrecciate dietro la schiena. «Si può fare» disse alla fine. «Allora anche lei verrà con noi, signor…»
«Dan. Dan Martin.»
«Ottimo, signor Martin. Lei prenderà il posto della signorina nel trasporto del nostro amico ferito. E con questo è tutto, direi.»
«Non proprio» disse il compare della ragazza bionda. «Vengo anche io.»
«Come?»
«Lee, non essere stupido» scattò Dan. «Non—»
«È inutile che parli, non ho intenzione di ascoltarti.»
«Ti servirà aiuto, lì dentro» aggiunse la ragazzina. «E poi, ormai siamo una squadra.»
«Già» mormorò l’altra bionda. Fece un respiro profondo, poi fece un cenno d’assenso con la testa, come se stesse rispondendo a una domanda che lei stessa si era posta. «Noi siamo con te, Dan. E poi, dopo il Quattro e la Montagna, il resto può solo farci il solletico.»
Dan li guardò uno dopo l’altro, non sapendo come ribattere. Alla fine, il suo sguardo cadde sul sergente. «Gli dica qualcosa» la implorò. «Non può lasciarli andare.»
«No, infatti» ribatté lei. «È per questo che verrò con loro.»
«Rassegnati, Dan» disse Lee, una smorfia divertita sul volto. «Sei fregato.»
«Voi non…» Dan provò a dire qualcosa, poi lasciò che le mani gli sbattessero sulle gambe. «E va bene. Come ha detto il capitano, non posso impedirvi di gettarvi in bocca alla bestia.»
«È la prima volta che mi capita di avere così tanti volontari in squadra» osservò il capitano, quasi divertito. «Di norma ho il problema contrario…»
Ayla si girò verso Katniss Everdeen. «Voi ce la farete ad arrivare dai nostri?»
«Non preoccupatevi» rispose lei. «Io e Gale sappiamo muoverci tra gli alberi.»
«E alle brutte posso sempre buttarne giù un paio» biascicò la Vincitrice del Sette. Tese una mano verso Gale, che si affrettò a stringergliela per aiutarla a rialzarsi in piedi.
«Come stai?» le chiese Katniss.
«Una discreta merda» rispose lei. «Ma mi posso muovere.»
Katniss Everdeen si girò verso il resto del gruppo. Clove ebbe l’impressione che le sue labbra tremassero.
Vuole dire qualcosa, ma non ne è capace.
Fu una consapevolezza che lasciò quasi stordita. Qualcosa la colpì al fianco, e per un attimo lei pensò che qualcuno l’avesse attaccata a tradimento; ma niente si era mosso intorno a lei. Era una strana fitta quella che l’aveva colta di sorpresa; un qualcosa da cui non poteva difendersi, perché centrava direttamente un luogo di cui lei non aveva mai avuto la minima cura e di cui non aveva mai sentito il bisogno. Perché, semplicemente, aveva sempre dato per scontato di non possederlo.
Il capitano Aber estrasse la sciabola e portò la lama al volto.
«Terza compagnia!» esclamò. «Onore alle armi!»
Il tenente dell’Esercito Regolare guardò il suo superiore con aperto sbigottimento; ma prima che potesse fare alcunché, anche il sergente dei volontari decise di impartire un ordine.
«Fanteria di Linea Volontaria! In-riga!»
La voce della donna agì come un interruttore dentro le teste dei quattro ragazzi. Anche Dan, che più tra tutti aveva altro a cui pensare, si ritrovò di fianco a Dana, lo sguardo dritto davanti a sé.
«Presentat-arm!»
Penny e Lee portarono il proprio fucile parallelo al proprio corpo e ad una decina di centimetri da esso, la canna dell’arma puntata verso il cielo; Dan e Dana, che erano disarmati, portarono le dita tese della mano alla tempia.
Clove vide il sergente lanciare una rapida occhiata al tenente; dopodiché, anche lui si mise in posizione.
Sarebbero dovuti essere uno spettacolo miserabile, quei sette fantaccini sporchi, smunti e quasi tutti senza neanche un’uniforme; eppure, Clove non poté fare a meno di avvertire una strana, gentile forza prenderla all’altezza del petto. Guardò verso Katniss Everdeen, impietrita e con gli occhi spalancati come un cervo sul punto di essere investito da una frana, ed ebbe la certezza che non avesse la minima idea di cosa fare.
Muovendosi senza fare alcun rumore, il tipo alto del Dodici le arrivò dietro e le mise una mano sulla spalla, facendola sussultare. Le mormorò qualcosa all’orecchio, a cui lei rispose con un piccolo assenso.
Katniss Everdeen passò in rassegna con lo sguardo un’ultima volta quell’assurdo e impossibile picchetto d’onore in riga dinanzi a lei. Clove non era abbastanza vicina da poterne essere sicura, ma le parve di vedere scintillare qualcosa di umido nei suoi occhi.
La Ragazza di Fuoco sollevò la mano, il mignolo e il pollice già pronti a toccarsi; ma quando le dita furono all’altezza del petto cambiò idea, e le poggiò strette a pugno sul cuore. Rimase lì per un lungo momento, gli occhi castani fissi in un punto imprecisato tra le spalle del sergente e quelle del tenente; poi fece un lungo respiro, voltò loro le spalle e, insieme ai suoi due compagni, si inoltrò tra gli alberi, scomparendo alla vista.


 
Dolore pulsante e uno spicchio di cielo.
Nella penombra, il corpo massiccio di lui sembrava un cumulo di sacchi di pietre. Nascondersi lì dentro era sembrata una buona idea, all’inizio. Poi era iniziata la danza, e ancora dopo la centrifuga.
Si arrampicò sopra i lunghi fusti delle bombe, e raggiunse la sottile linea di luce. Il fatto che tutto quell’esplosivo non fosse detonato dopo quell’atterraggio era semplicemente incredibile. Destino, pensò. Neanche il destino può uccidermi.
Il portello si mosse sotto la sua spinta. Quando il metallo contorto iniziò a gemere, si fermò. Non doveva fare troppo rumore. Se erano ancora lì fuori, la sorpresa era essenziale. Non tanto per motivi tattici: li avrebbe ammazzati tutti comunque, che la vedessero arrivare o meno.
Semplicemente, rendeva tutto più divertente.



«Rapporto» frusciò la voce di Rorke nell’auricolare.
«Siamo sul sito dello schianto» disse il Nero. «L’hovercraft è vuoto.»
«Nessuna vittima?»
«Affermativo.»
Qualche istante di silenzio. «Proseguite verso Capitol City. Ares e Artemisia si stanno dirigendo lì. È probabile che stiano inseguendo gli obbiettivi.»
«Sì, signore.»
Il Nero represse l’impulso di toccarsi la benda sull’occhio. Sapeva che il colonnello avrebbe potuto riempire con qualche ottica avveniristica l’orbita massacrata dal colpo del fucile di precisione che lo aveva quasi ucciso; ma Rorke non l’aveva fatto, né lui l’aveva chiesto. Era la giusta punizione per essersi lasciato sorprendere.
«Buona caccia, sergente. Passo e chiudo.»
«Passo e chiudo.»
Il Nero chiuse la comunicazione. Davanti a lui, il Bianco tratteneva a stento il nervosismo.
«Allora?»
«Si va verso Capitol.»
«Gemma di Panem, città potente…» salmodiò a bassa voce Phobos.
«Recuperiamo i nostri compagni. Uccidiamo il resto.»
Il Bianco fece un ghigno compiaciuto. «Il mio gioco preferito.»
Quelle parole fecero prudere nuovamente l’orbita vuota del Nero. Un gioco. Una parte di sé sapeva che per il colonnello il Battaglione IEROS non era altro che quello; ma qualunque cosa pensasse Rorke, per lui non aveva importanza. Quei ragazzi erano la sua squadra. E nessuno di loro sarebbe rimasto indietro.



Una volta chiusa la comunicazione, lo sguardo di Rorke si spostò sulle immagini riprese dal drone spia di cui aveva discretamente preso il controllo per qualche minuto. I tronchi nudi, il solco lasciato dall’hovercraft, i Volontari e i Regolari sull’attenti e il pugno della Ghiandaia Imitatrice sul cuore. Qualche istante, e quelle immagini sarebbero stati inviate in via estremamente confidenziale al Palazzo Presidenziale e al Distretto Tredici. Un solo video, due significati opposti e complementari.
Katniss Everdeen collabora con il nemico.
Quattro traditori delle Forze Armate di Panem collaborano con Katniss Everdeen.

I due Presidenti avrebbero tratto le loro conclusioni. Era possibile che il loro contributo non sarebbe servito; ma perché negare loro la possibilità di partecipare?
Rorke si avvicinò alla finestra panoramica del suo ufficio. Il profilo frastagliato e multiforme di Capitol City splendeva di fronte a lui.
«Per me, dico, datemi la guerra» mormorò.
Poi sollevò il bicchiere di vino che teneva in mano e brindò all'ultimo atto di Panem.








L'ANGOLO DELLA CHIACCHIERA E mentre Rorke continua con il suo strano hobby di fare cose teatrali (in questo caso letteralmente, visto che a questo giro si è messo a citare una tragedia di Shakespeare. Indovinate qual è il suo titolo...) completamente solo nella sua stanzetta, a noi non resta che renderci conto che sì, sembrava impossibile, ma siamo veramente entrati nell'ultimo atto di questa storia. I nostri sono lanciati in una missione impossibile per salvare il mondo, mentre i Ribelli sono decisi a sferrare l'ultimo, terribile attacco contro il Leviatano di Panem. Forse il destino di Capitol City è segnato; ma quel che è certo, è che non si arrenderà senza lottare.
Come sempre, se siete giunti fin qui, tutto all'infuori di "grazie" è semplicemente superfluo. Occhio agli angoli, non sprecate colpi e in bocca al lupo... ci vediamo lì dentro.  




 
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Hunger Games / Vai alla pagina dell'autore: Ser Balzo