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Autore: N e v e r l a n d 91    05/06/2020    2 recensioni
[Dall'ultimo capitolo:]
La matita che teneva tra le mani sembrava essere una HB, lo capiva dalle strisce verdi e nere che ne dipingevano il legno. La mano che la sosteneva era più robusta della sua, pressava il polpastrello del pollice contro il legnetto e lo sfregava lentamente verso il basso, fino a toccarlo con la punta dell’unghia per poi ritornare in su, di nuovo con il polpastrello. Se non fosse stato limitato dalla sua stessa mente Dean si sarebbe permesso di giudicare quei movimenti quasi erotici, nella loro genuinità. Continuava ad osservarli con una sorta di ipnotico vincolo, dato dalla sua concentrazione e dall’assimilazione delle nozioni spiegate. Era così intensamente estraniato dal mondo che si era permesso di osservarlo senza il timore di essere beccato, fino a quel momento.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, Crack Pairing | Personaggi: Crowley, Dean Winchester, Gabriel, Michael, Sam Winchester
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Nessuna stagione
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II
Di lineamenti sovietici e feste indesiderate.

 









 


9:30 AM

“Credo che metterò quella gonna rossa che abbiamo comprato ieri. Tu evita gli orecchini di perle, che ormai neanche mia nonna li indossa più.”
La voce trillante di Rubi inneggiava per tutto il corridoio e probabilmente importunare il resto della scuola con quel fischietto che si ritrovava in gola era tra gli obiettivi mattutini della cheerleader.
Dean affiancò il gruppo di ragazze che sostavano -come ogni santo giorno- davanti al suo armadietto e lo aprì, posando il libro di algebra al suo interno.
“Di che festa parli oggi, Rub?”
Le pose quella domanda pur non essendo propriamente interessato alla risposta. Era una sorta di protocollo da seguire quando la si vedeva nei paraggi, ogni festa che si rispettasse era pubblicizzata da Rubi.
“Come, non lo sai?”
Domanda retorica, pensò Dean. Che in tutta risposta scrollò le spalle in un mezzo sorrisetto.
“Nick da una festa questo fine settimana! Sei il quarterback devi per forza saperlo.”
“E venire!”
Intervenne improvvisamente Sophie e lo sguardo smeraldo di Dean passò dalla mora alla bionda che la affiancava.
“Sapete com’è con Nick, non possiamo certo definirci buoni amici.”
“E’ anche consapevole che la tua assenza può decretare la riuscita o la disfatta della festa!”
Aggiunse Rubi, in un sorriso felino.
“Quindi non mancare, Winchester.”
“Non vi farei mai un tale torto.”
Le dedicò un occhiolino colmo di opportunismo mentre, con un gesto secco della mano, si apprestò a chiudere l’armadietto.
“Winchester, non sei ancora espatriato allora!”
Uno zaino verde lo colpì sul polpaccio, distraendolo dalla conversazione. Dean sollevò lo sguardo intercettando il resto della squadra e pensò che se si fosse trovato in una commedia americana da quattro soldi in quel momento avrebbe visto i suoi amici camminare al rallentatore.
Rafael avrebbe catturato la telecamera, vista la posizione centrale e quel sorriso perfetto da latino che possedeva la capacità di fondere ogni donna entrasse nel suo raggio d’azione. Per Nick alle sue spalle la storia era diversa, invece. Lui era un vero stronzo con tutti, non ci sapeva fare nemmeno con le ragazze e  detestava Dean Winchester con tutto se stesso.
“Vedo che hai trovato i pantaloni!”
Esclamò il biondo e Rafael rise, dando un colpo di palmo alla spalla di Dean.
“Sai fratello, la devi smettere con questi scherzi o un giorno di questi in quel cassonetto ci infilo te invece dello strambo.”
“Ma se non riesci nemmeno a sollevarmi.”
“Mi devi una polo di Ralph Lauren. Le mutande puoi tenerle, lo so che le annusi di nascosto.”
Dean scoccò la lingua contro il palato, dedicando al moro un’occhiataccia sarcastica.
“Devo capire ancora perché voi uomini troviate divertenti queste battute squallide sulla vostra sessualità.”
“Rubi, sei ancora qui? Pensavo fossi andata via tempo fa’.”
Rafael rise, incalzando il collega.
“Non l’avevo neanche vista, è al di sotto della mia soglia visiva, infatti pensavo parlassi da solo!”
“Vedete di essere puntuali a biologia, trogloditi.”
Concluse la mora, arricciando il naso con fare stizzito prima di voltarsi per svolazzare via assieme alla biondina.
“La tagli tu la mia rana oggi?”
“Taci Winchester.”
“Amano chiamarmi per cognome.”
“Forse perché il tuo sembra il nome di un cagnolino.”
La voce di Nick si interpose su quella di Rafael, annullandola completamente.
“Le tue battute si fanno più intelligenti ogni giorno Nick…”
Si limitò a rispondere il biondo, vuoto del desiderio di uno scambio di battute con l’altro. Defilarsi in quel momento gli sembrava la cosa più sensata da fare, quindi salutò il compagno di squadra con un cenno del capo e si diresse con calma verso l’aula di biologia.

Le pareti bianche dell’aula sembravano riflettesi negli attrezzi adagiati sui banchi, o quantomeno rispecchiavano sul loro lato in metallo e Dean pareva come sempre essere più interessato alle molteplici variazioni di colore piuttosto che alle parole della professoressa.
Inclinando leggermente il bisturi riusciva a vedere il volto di Anna, a qualche banco di distanza da lui e se lo scostava verso l’altro il riflesso delle spalle di Garth riempiva completamente la lama.
Prima che potesse fare qualsiasi cosa per impedirlo, il gomito di Michael gli fece perdere a tal punto l’equilibrio da farlo scivolare con il braccio in basso, causando un rumore sordo che trasferì la concentrazione dei suoi compagni dalla lavagna a lui.
Gli occhi infiammati del Winchester andarono a incatenarsi al profilo perfetto del biondo alla sua sinistra, cercando di fulminarlo nonostante il distaccato interesse dell’altro.
“Devi prestare attenzione.”
Sibilò l’ala destra, corrugando la fronte in modo quasi impercettibile.
“Lisa mi ha detto della tua insufficienza in matematica, è inammissibile Dean. Hai intenzione di abbandonarci alla finale?”
Quella domanda aveva l’amaro sapore della realtà. Il quarterback si strinse nelle spalle, schiarendosi la voce per evitare di rispondere ma l’altro allungò ancora il gomito per richiamare la sua attenzione, stavolta toccandogli appena il polso.
“Potresti anche guardarmi mentre mi parli, Mike.”
Michael aveva il carisma del leader, loro due faticavano ad andare d’accordo vista la tendenza al  comando di Dean. Era infatti quest’ultimo a decretare legge nella squadra, in un modo più semplice e infuocato, diverso da quello dell’altro. Michael sembrava essere la rappresentazione fisica del controllo e della calma. Era posato, studiato, metodico. Aveva una sicurezza quasi contagiosa.
“Non voglio che Nick prenda il tuo posto.”
Dean corrugò la fronte. Era dunque questo il problema?
Fu naturale per lui esprimere tutto il disappunto in una mezza risata sarcastica che fu nonostante tutto in grado di degnarlo dell’attenzione dell’altro, ora rivolto verso di lui, con una velata confusione a deturpargli il volto.
“Sono divertente?”
Chiese quasi innocentemente, tanto che Dean iniziò a domandarsi se quello non fosse un suo modo contorto di mostrare interesse o, in qualche modo, lasciargli capire che gli importava anche di lui oltre che della partita.
“Non sei divertente, sei solo pesante.”
“Se tu ti applicassi un minimo non dovremmo neanche parlarne.”
“Possiamo parlarne questo fine settimana, alla festa di Nick.”
“Non ci vengo.”
“Ma se è a casa tua!”
Michael scrollò le spalle, schiarendosi la voce per intimare a Dean di tacere.
“Hai problemi con il fratellino?”
Il biondo serrò appena le dita della mano destra che stringeva la matita, sfregando lentamente con l’unghia del pollice il legno che incatenava la mina.
“Non mi piacciono le feste.”
Dean pensò che in parte fosse vero e nonostante la tensione del muscolo mascellare volesse rivelare un fastidio di tutt’altra natura, decise di ignorarlo e lasciar cadere così il discorso. Gli scheletri negli armadi e i problemi di famiglia andavano lasciati a casa e quella discussione era morta nello stesso modo in cui era iniziata.
Non avevano mai parlato davvero, non erano tipi in grado di farlo.
Sollevò finalmente lo sguardo in direzione della professoressa Harvelle tanto per dare un contentino al compagno di banco, riuscendo a mantenere la concentrazione giusto i minuti necessari a trovare una nuova distrazione, distrazione che stavolta aveva un volto che non rifletteva le parti bianche dell’aula di biologia.
Il ragazzo che aveva visto il giorno prima prendeva appunti su un quaderno dalla copertina azzurra in un banco ai lati della stanza. Prestava un’attenzione quasi eccessiva, innaturale. Sembrava perso tra le varie nozioni che filtrava dal cervello alla punta dei polpastrelli. Quell’espressione concentrata al limite del disappunto portava Dean a chiedersi a cosa volesse mai opporsi. Quindi tornò con gli occhi alla lavagna per cercarne una motivazione, ma esponeva solo uno schema sull’origine e l’evoluzione delle cellule. L’unica cosa che riusciva ad assimilare era il titolo, scritto in maiuscolo con un gessetto di colore rosso. Il resto sembravano parole inventate da Tolkien e lanciate lì affinché risultassero involute.
Tornò con gli occhi al ragazzo e in quel momento realizzò che non conosceva nemmeno il suo nome.
“Michael…”
“Mh?”
Il biondino chinò appena il viso verso Dean, senza interrompere il contatto visivo con la lavagna.
“Sai come si chiama il tipo nuovo?”
La mina nera della matita 2b di Dean andò a puntare esattamente al centro del viso del ragazzo, affinché Michael capisse di chi stesse parlando. Lui Indossava una maglia verde ed una giacca di Jeans nera, difficilmente sarebbe passato inosservato e non per il suo strambo modo di vestire, quanto più per una questione di estetica.
Michael affilò lo sguardo e si strinse nelle spalle.
“L’hanno presentato alla prima ora, quella che hai saltato.”
Dean prese quell’ammonimento con un sorriso sferzante.
“Quindi?”
Chiese, e Michael continuò:
“Non ricordo il suo nome, è qualcosa come Carl o… Fassel.”
“Sono due nomi molto simili tra loro Mike, è facile confondersi.”
Rispose Dean con sarcasmo, sfregando la mina contro il banco e mantenendo il contatto visivo verso il nuovo arrivato.
“Senti non mi ricordo, so che viene dalla Russia, ne parlava stamattina Lisa.”
Russo, certo. Quei tratti somatici non potevano essere Americani.
“Tu parli troppo con la mia ragazza.”
“Tu non ci sei mai.”
“Quindi?”
Chiese ancora una volta, canzonandolo con lo sguardo. “Ciò ti autorizza a passare del tempo con lei? Eh Miky-mouse?”
Continuò e Micheal corrugò la fronte, tornando a guardare la lavagna.
“Non rientra nel mio codice morale andare a letto con le ragazze dei miei amici.”
“Dai, Mike. Ridi un po’. Ti prendevo in giro!”
“Smetti di farlo.”
Quella risposta lapidaria lasciò cadere ancora una volta la discussione in un baratro nero e Dean non poté far altro che lasciarla precipitare con una risatina compiaciuta. Tornò poi al russo, ancora concentrato sulla spiegazione, tanto concentrato da essersi trasformato nel fulcro della distrazione del quarterback, i cui occhi andavano a studiare quei lineamenti marcati e la linea precisa delle sopracciglia. La sua provenienza spiegava la durezza nella voce e l’espressione confusa probabilmente dipendeva dalla differenza culturale, forse era più concentrato degli altri perché cercava di tradurre ciò che la professoressa diceva, anche se l’ultima volta che l’aveva sentito parlare si era espresso con una spigliatezza degna di un madrelingua.
Probabilmente sarebbe stato suo rivale come re del ballo di fine anno, ne era certo. Conosceva quell’ammasso di oche che amavano sentenziare chi era cool e chi no e quel ragazzo aveva tutte le carte in regola per aggiudicarsi un posto nel loro tavolo a mensa.
La matita che teneva tra le mani sembrava essere una HB, lo capiva dalle strisce verdi e nere che ne dipingevano il legno. La mano che la sosteneva era più robusta della sua, pressava il polpastrello del pollice contro il legnetto e lo sfregava lentamente verso il basso, fino a toccarlo con la punta dell’unghia per poi ritornare in su, di nuovo con il polpastrello. Se non fosse stato limitato dalla sua stessa mente Dean si sarebbe permesso di giudicare quei movimenti quasi erotici, nella loro genuinità. Continuava ad osservarli con una sorta di ipnotico vincolo, dato dalla sua concentrazione e dall’assimilazione delle nozioni spiegate. Era così intensamente estraniato dal mondo che Dean si era permesso di osservarlo senza il timore di essere beccato, fino a quel momento.
Prima o poi uno sguardo così perituro viene percepito e anche una persona assorta finisce per tornare alla realtà. Quindi quando inevitabilmente il russo diresse lo sguardo verso di lui, Dean non poté far altro che mantenerlo nella stessa direzione per qualche secondo. Se si fosse scostato immediatamente avrebbe tradito un imbarazzo che non stava provando.
Probabilmente era solo abitudine ma in quel gioco di potere stava già perdendo.
Gli occhi del russo erano molto più intensi dei suoi, spingevano in una maniera che non era in grado di contrastare e non mollavano la presa pur non sapendo per che cosa stessero combattendo.
Dean fu il primo a cedere, con la bocca dello stomaco in fiamme e una struggente voglia di vomitare tornò con lo sguardo alla lavagna con apocrifa indifferenza, mentre la testa veniva sostenuta con il palmo della mano e il volto mascherato da una noncuranza che si obbligò a provare.
Nonostante tutto sentiva ancora gli occhi di lui sul viso ed erano perforanti. Si chiese cosa potesse pensare e si rispose che, probabilmente, non era una cosa così poco frequente per il ragazzo nuovo essere adocchiato dai compagni. Faceva parte del pacchetto, tutti erano curiosi e anche Dean meritava la sua fetta di curiosità.
Ora che il russo aveva percepito la presenza del quarterback nella stanza, Dean sapeva che non avrebbe più potuto osare tanto in futuro, né lì, né in nessun altro luogo.

***

12:05 AM

Michael sentì il rumore scuotergli i nervi, ma si trattenne dal mostrare qualunque reazione, consapevole di avere tutti gli occhi degli amici puntati addosso.

Sapeva di non essere corretto nel ritenerli invadenti, ma il mese passato in ospedale lo aveva inselvatichito e la stanchezza lo rendeva insofferente.
“Mike va tutto bene?”
Il biondo concentrò tutto il proprio autocontrollo nel non alzare gli occhi al cielo, possibile che nessuno riuscisse ad essere originale? Sarà stata la quinta volta che gli rivolgevano quella domanda ed erano solo arrivati al pranzo.
“Sì Zack, non sono più abituato a tutto questo rumore, ma sto bene.”
Benny storse il naso, quasi sicuro di averlo sentito affermare in passato di adorare il vociare disorganizzato della mensa.
“E’ per il rumore che non vuoi esserci sabato alla festa?”
Chiese, e gli occhi color ghiaccio di Michael vennero obliterati dalle palpebre mentre cercava di convogliare la calma, aspirandola in un profondo respiro.
“Smettete di parlare di questa festa, non verrà mai!”
E finalmente sentì l’irritazione abbandonarlo all’improvviso, scivolando via al suono di una voce baritona fin troppo familiare, quella di Dean.
“Hey brutto bastardo! Lo sai che ce la pagherai molto presto, vero?”
La maturità di Zack si espresse in tutta la sua completezza quando una coscia di pollo colpì la maglia nera del quarterback, lasciando un bell’alone di grasso sul centro della stessa.
“Sul serio amico? Ho un appuntamento più tardi.”
“Il pepe ce lo aggiungi tu, allora.”
Benny roteò gli occhi al cielo a quella pessima battuta, spalmando la schiena contro la sedia e tamburellando la faccia ellittica del cucchiaino sul budino alla vaniglia.
“Anche il pene.”
La servì infine, molto più sporca e spontanea di quella di Zack. Tanto stupida che perfino Michael rise e Benny tese le labbra in una soddisfazione totalitaria.
Dean si accomodò al fianco del moretto e gli rubò il budino dal vassoio.
“Tanto non lo mangi.”
Disse, leccando via dal coperchio il resto della crema.

Ed eccoli lì, a pranzare come ogni giorno in mensa e occupare il tavolino più ambito della scuola. Neanche alle ragazze era permesso di mangiare con loro, quel posto era riservato alla squadra di football e far parte di quella realtà era stata per Dean una delle cose migliori gli fossero mai capitate. Non aveva intenzione di perdere la possibilità di un buon college e nemmeno di non giocare più dopo il liceo. Non vedeva l’ora di andarsene il più lontano possibile e lasciarsi tutta la merda alle spalle.
Afferrò una coscia di pollo e la morse senza grazia, lasciando che l'olio e il grasso della cottura gli colasse dalle labbra al mento per poi tornare nel vassoio bianco.
“…noi ci terremmo davvero che tu venissi, siamo sicure che ti divertirai e sarà un ottimo modo per integrarti al meglio!”

Dean alzò gli occhi dal vassoio con la fronte corrugata e lo sguardo perso: Perché la voce di Rubi doveva disturbarlo anche a pranzo? E perché stava parlando con il sovietico?
Afferrò uno dei fazzoletti al centro del tavolo e lo utilizzò per asciugarsi le labbra, lasciando che la lingua scivolasse tra i molari per raccattare i rimasugli di cibo incastrati tra i denti.
Intanto guardava Rubi, che sorrideva al ragazzo nuovo con fare civettuolo. I nuovi pesci andavano adescati prima che chiunque altro riuscisse a farli abboccare e quel tale sembrava proprio essere un bel trofeo per il gruppo di cheerleader.
“No grazie, non mi interessa.”
Dean chinò il viso ed affilò lo sguardo. Quale pazzo rifiutava l’invito di una come Rubi? Quale folle non assecondava una tale iniziazione? L’invito ad una festa valeva dire popolarità e Dean non ci credeva che quel genere di gerarchie non fossero consuete anche nella russia sovietica.
“Io comunque ti lascio l’indirizzo! Ecco tieni… non deluderci!”
“Non deluderci!”
Scimmiottò il quarterback storcendo le labbra e quando Benny si voltò verso di lui per capire a cosa alludesse scosse il capo, simulando un imbarazzato colpo di tosse. Gli occhi però erano ancora puntati a guardare la scena, curiosi di scorgere in che punto della mensa il moro avrebbe deciso di sostare.
Si guardava attorno ed era da solo, al centro della sala grande, con il vassoio in mano. Dean puntò lo sguardo verso i suoi compagni che occupavano tutto il tavolo e poi tornò a lui, spaesato come lo era stato suo fratello il primo giorno di scuola. Rimase a fissarlo in silenzio finché quegli occhi azzurri non lo intercettarono e lo stomaco di Dean venne pervaso da una fiammata prepotente che risaliva sulla bocca dello stomaco e spingeva verso il costato. Odiava quella sensazione, lo agitava.
Si schiarì la voce, ignorando i battiti accelerati di una tachicardia forse dovuta all’eccesso di zuccheri assunti in mattinata e fece per alzarsi quando in lontananza Meg lo anticipò dal tavolo in fondo alla sala per dichiarare a lui la sua presenza.
“Castiel qui!”
Urlò e lui sconnesse i loro sguardi per dedicarsi a lei e risponderle con un sorriso. Era la prima volta che lo vedeva sorridere e quasi trovò strana quella mutazione sul volto. Castiel tornò a voltarsi ancora una volta verso di lui prima di raggiungere Meg e Dean si lasciò cadere sulla sedia, chiedendosi come avrebbe giustificato il gesto che aveva avuto in mente di fare fino a qualche secondo prima.
Grazie Meg, senza saperlo mi hai salvato la vita.

***

14:30 PM

Sam non voleva salire sulla moto.
Troppo imbarazzante per lui tornare a casa stretto al busto di suo fratello maggiore e Dean sarebbe anche stato d’accordo nel lasciarlo tornare a piedi se casa loro non si fosse trovata in periferia.
Quindi attendeva placidamente che tutti uscissero dalle aule, adagiato su una delle panche del parco scolastico mentre il braccio  dondolava mollemente sullo schienale verde.
“Come sono le lezioni?”
Chiese il maggiore, pur non essendo propriamente interessato alla risposta. Con Sam non si poteva parlare di ragazze o motori, no. A lui interessavano sul serio le materie scolastiche. Il che forse avrebbe impedito a lui un futuro da barbone, se ci si voleva concentrare sull'altro lato della medaglia.
“Non male, oggi abbiamo fatto la prima vivisezione e Charlie ha vomitato.... ma non credo fosse per lo schifo.”
Dean arricciò il naso con disgusto.
“Non avvicinarti ai perdenti, Sam. In questa scuola sono veloci a stampare i codici a barre sulla fronte.”
Sam corrugò la fronte, indeciso se rispondere o meno all’asserzione di suo fratello. Non era d’accordo e questo era ovvio, anzi lo infastidiva la facilità con cui tendeva a giudicare e catalogare una persona di cui aveva sentito solo parlare.
“Charlie è mia amica, non è una perdente.”
“Oh, è una ragazza?”
Sam scrollò le spalle, evidenziando con lo sguardo la futilità di quella domanda e Dean continuò:
“Lo chiedo perché se lo fosse e ti piacesse, dovresti proprio invitarla ad uscire."
Il minore sollevò lo sguardo sul fratello, scuotendo il capo con rassegnazione. Non rispose ancora, si limitò a scalciare lontano uno dei sassolini adagiati sull’asfalto, poi riprese a parlare:
"Magari lo farò alla festa di Nick, sabato.”
“Certo, la festa di Nick mi sembra un’ottima..."
Il volto di Dean rimase bloccato per qualche secondo, giusto il tempo necessario a permettere alle informazioni di essere elaborate, studiate e riportate nel cervello.
“Nick ti ha invitato alla festa?!”
Chiese, ma quella domanda vestiva più come un’asserzione e non sembrava concedere molte vie di fuga al minore.
“Sì, ha invitato me e Vince, ha detto che possiamo portare chi vogliamo. "
Perché Nick invitava suo fratello a party pieni di Alcol e droghe? Non poteva permettere a Sam di andarci, ma impedirglielo equivaleva a creare un nuovo nemico e in quel periodo era l’ultima cosa di cui aveva bisogno.
"Nostro padre non vorrà mai. Te lo negherà.”
“Non se tu sarai con me."
Certo, doveva fare da balia al fratellino quando avrebbe potuto scopare in camera di Michael.
“Non–– Sammy io non sono molto affidabile.”
"Lo sono io, però. Pensi che sia così stupido da finire nei guai?”
In effetti non lo era, ma Dean si conosceva e sapeva che quella situazione sarebbe finita male per entrambi, ma più per lui.
“Sono usciti tutti. Vogliamo andare?”
“Sì, lo dirai tu a papà però, ok?”
“Ovvio, Sammy. Figurati se evito di prenderle per te.”


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Fine del secondo capitolo! Spero vi stia piacendo nonostante la storia prosegua per ora con la calma che merita! Prometto tante tragedie future!!

 

  
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