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Autore: MauraLCohen    05/06/2020    1 recensioni
Di rado le temperature di Newport scendevano a tal punto da dirsi fredde e comunque Kirsten non era solita farci troppo caso. Le cose, però, erano cambiate. Dalla notte dell'incidente d'auto che le aveva quasi tolto la vita, il suo corpo era diventato estremamente recettivo al tempo climatico: più faceva freddo, più la schiena le faceva male. Quella notte, il dolore si era presentato più forte che mai e Sandy non sapeva come aiutarla.
Genere: Fluff, Hurt/Comfort, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kirsten Cohen, Sandy Cohen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'I’m not scared anymore '
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La seguente one shot è stava scritta per partecipare alla Atonement challenge del gruppo Facebook Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart.


***
{Ambientata nei primi mesi che Kirsten passa a casa dopo il ricovero alla Suriak}

***

Il prompt è di Rossella Mnemosyne, a cui spero piaccia il fill.

***

Testo del promptpersonaggio A non ha mai visto personaggio B in preda a dolori simili. Personaggio A non sa che pesci pigliare.


Kirsten era accasciata sul water del bagno della loro camera da letto, rigettando violentemente qualsiasi cosa avesse nello stomaco. Stava lì da quasi un’ora ormai, in preda a dei dolori atroci; la testa le pulsava come se si stesse preparando ad esplodere, gli occhi le bruciavano e i muscoli tra la spalla e il collo tiravano a tal punto da averle provocato la nausea.

Sandy stava accanto a lei sul pavimento, ancora assonnato e con addosso solo i boxer. Era impegnato a tenerle i capelli con una mano e ad accarezzarle la schiena con l’altra, nel tentativo di darle un po’ di sollievo. Vederla così lo uccideva: sapeva di non poter fare granché per alleviare le sue sofferenze, ma almeno poteva evitare di farla sentire sola.

Kirsten alzò la testa dalla tazza per un secondo, guardò dritta davanti a sé, ma la vista appannata non le permise di mettere a fuoco alcunché, e di nuovo una fitta terribile le provocò l’ennesimo conato. 
Dio, basta. supplicò in silenzio. Qualsiasi cosa stesse rimettendo le bruciava l’esofago, lasciandole in bocca un orribile sapore di acido.

« Tesoro, andiamo all’ospedale » le suggerì Sandy con fare premuroso, mentre le asciugava la fronte con un panno.

Kirsten ancora una volta si rifiutò. « Sto bene. Sarà qualcosa che ho mangiato. » farfugliò, poco convinta.

No, non lo era. Sandy lo sapeva bene: dopo il brutto incidente che Kirsten aveva avuto qualche mese prima a causa dell’alcol, quando le temperature di Newport iniziavano a scendere, il dolore alla schiena si trasformava in un calvario infinito che, ormai, era diventato straziante a tal punto da ridurla così.

Kirsten continuava a rifiutarsi di andare all’ospedale e Sandy, accarezzandole i capelli, si sentiva impotente. Kirsten in quel momento doveva lottare sia contro il dolore fisico sia contro il pensiero costante che quel male rappresentava il ricordo persistente del suo alcolismo. Al suo corpo non importava che lei fosse guarita, che i mesi alla Suriak avessero chiuso definitivamente quel capitolo; era caduta una volta, una soltanto, e quel fallimento l’avrebbe accompagnata per sempre. I postumi dell’incidente d’auto le avrebbero ricordato per il resto della vita cosa aveva fatto, cosa aveva rischiato di perdere, quanto in basso fosse caduta. Ad ogni fitta, oltre al dolore, arrivavano anche la sensazione di umiliazione e vergogna.
Perciò no, non sarebbe andata in ospedale né avrebbe ammesso ad alta voce che faceva male.

In ogni caso Sandy non aveva bisogno che lei dicesse nulla, conosceva Kirsten talmente bene da poterle leggere dentro agli occhi ogni singolo pensiero. Avrebbe potuto discuterci, insistere e portarla di peso al pronto soccorso, ma non era ciò di cui Kirsten aveva bisogno in quel momento; l’ospedale non avrebbe fatto altro che farla sentire peggio. Così rimase lì con lei ad aspettare che le nausee si placassero. Quando finalmente accadde, lei si girò sul pavimento, appoggiando la schiena contro il water, Sandy, al suo fianco, fu subito pronto ad accoglierla tra le braccia. Nessuno dei due disse nulla. Lui le spostò qualche ciocca di capelli che le si era appiccicata fastidiosamente al viso, per poi posarle un bacio di conforto sul capo. 
Kirsten sorrise, anche se sofferente, il viso appoggiato al petto di Sandy. Averlo lì con lei la faceva sentire protetta. Sarebbe passata anche quella notte e lei avrebbe potuto smettere di sentirsi così miserabile al ricordo di quei mesi maledetti che ora le bruciavano sotto la pelle, nelle ossa, come un marchio da bestiame.

Sandy rafforzò la stretta intorno al corpo di Kirsten per poterla raccogliere da terra e si tirò su, portandola con sé. Le braccia di Kirsten si allacciarono al suo collo mentre la testa moriva poggiata sulla sua spalla. Sandy la portò fuori dal bagno fino al letto e subito la adagiò delicatamente tra le lenzuola, mettendola al caldo. Si chinò su di lei per baciarle la fronte.

« Ti porto un po’ d’acqua » le sussurrò, prima di lasciarla nella stanza illuminata solo dall’abat jour sistemata sul comodino accanto a lei.

Quando Sandy scese le scale, si fermò prima di entrare in cucina, varcando, invece, la soglia del proprio studio.
Voleva fare il massimo per la moglie, riuscire a farla stare meglio in qualche modo; quella era l’unica cosa che importava in quel momento. 
Sandy si sedette alla scrivania, frugando tra i cassetti alla ricerca di una piccola rubrica. Quando la ebbe tra le mani, sfogliò qualche pagina prima di individuare il numero che gli serviva, lo compose rapidamente sul telefono e aspettò di prendere la linea.

« Pronto? » Una voce femminile, chiaramente assonnata, rispose dopo pochi squilli.

« Dottoressa Harris? Salve! Sono Sandy Cohen. Perdoni l’orario, mi rendo conto che sia davvero tardi, ma è un’emergenza. » Il tono di Sandy era un misto di desolazione e preoccupazione, cosa che la dottoressa non poté ignorare.

« Sandy, salve. Che succede? »

« La chiamo per Kirsten. Sta di nuovo male. Ha iniziato ad accusare dolori lancinanti alla spalla mentre dormiva, si lamentava nel sonno, contorcendosi. L’ho dovuta svegliare ed ha iniziato quasi subito a vomitare. »

« Non vuole ancora andare in ospedale? » domandò la donna, conscia del fatto che si trattasse di una domanda retorica. 
Prevedibilmente Sandy confermò il suo pensiero.

« Continua a rifiutarsi ed io non me la sento di insistere. Ogni volta che il dolore alla schiena si ripresenta, le ci vogliono giorni per riuscire a scacciare il ricordo dell’incidente. Ma così non può continuare. Sta peggiorando, ora è a letto, cosa mi suggerisce di fare? »

Dall’altro capo del telefono ci fu un momento di silenzio, segno che la Harris stava riflettendo sul da farsi.

« Mmh! Capisco. Purtroppo a distanza non posso fare granché. Per ora le suggerisco di darle un protettivo gastrico e un antidolorifico, almeno per farle superare la notte. Deve restare al caldo e alleviare la tensione sulla spalla sicuramente le gioverebbe, perciò può provare con un massaggio e dell’olio canforato. Domattina mi premurerò di incontrare Kirsten e fare qualche accertamento per vedere come risolvere il problema. »

« Grazie dottoressa, davvero. » Sandy era sinceramente grato alla donna per la sua disponibilità.

« Nessun problema, è il mio lavoro. Mi faccia sapere se ci sono novità. In ogni caso, ci vediamo domani. »

« Perfetto. A domani. »

Dopo essersi congedato, l’uomo riagganciò la cornetta, per poi affrettarsi a recuperare tutto il necessario utile a seguire le istruzioni della Harris. 
Tornò da Kirsten qualche minuto dopo, trovandola con gli occhi chiusi e le mani strette all’orlo del lenzuolo che la copriva. Per un attimo Sandy pensò che si fosse addormentata e rimase sulla soglia della porta a guardarla. Erano passati più di vent’anni dal loro primo incontro e lei restava la cosa più bella che i suoi occhi potessero desiderare di guardare. Era bellissima, anche in quel momento. 
Si avvicinò piano al letto cercando di non svegliarla, ma quando fu in prossimità del comodino Sandy poté rendersi conto che Kirsten non dormiva, nonostante fosse visibilmente stanca.

« Come va? » le chiese dolcemente, rivolgendole il sorriso più amorevole che aveva.

Kirsten cercò di tirarsi su, ma una fitta la costrinse a sdraiarsi di nuovo. « Sono stata meglio » provò a scherzare, mente si portava due dita sulle tempie per massaggiarle. « Questo non è sicuramente il mio momento più sexy. »

Sandy ridacchiò bonariamente, stappando la bottiglietta d’acqua che le aveva portato. 
« E va bene così. In salute e in malattia, no? Anche questo è parte del gioco. » Sandy si zittì per un secondo, passandole la bottiglietta e chinandosi su di lei per accarezzarle una guancia. « E poi, se posso essere l’unico a prendermi cura di te, cosa posso volere di più? »

Kirsten tenne gli occhi puntati in quelli di Sandy. Dio, se amava quell'uomo. Dopo tutti quegli anni ancora non capiva cosa avesse fatto per meritarsi di avere accanto una persona come Sandy Cohen. 
Prese la bottiglietta, portando la propria mano su quella che lui aveva appoggiato sul suo viso. « Ti amo tanto, lo sai vero? » gli disse, stringendosi nella sua carezza.

Sandy si sedette accanto a lei sul bordo del letto, avvicinando il proprio viso al suo e lasciando che i loro nasi si sfiorassero.

« Ti amo anch’io, piccola. »

Poggiò le labbra sulla punta di quel nasino a bottoncino per cui andava matto, spostandole piano sulla fronte, poi ancora sulla tempie, proseguendo sulle guance ed arrivando fino alle labbra.

L’ennesima fitta di dolore contrasse il viso di Kirsten in un’espressione di dolore, mentre dalla sua bocca scappò un flebile lamento. 
Sandy si allontanò da lei di poco, continuando a guardarla preoccupato.

« Non migliora, eh? » constatò, allungando una mano sul comodino per prendere due pastiglie: erano entrambe bianche e di forma circolare, distinguibili solo grazie alla diversa dimensione. Sandy porse a Kirsten prima quella più piccola, ovvero il protettore gastrico; dopo che l’ebbe presa, fu il turno dell’antidolorifico.

« Grazie » mormorò Kirsten, prima di buttare giù la seconda pastiglia con un abbondante sorso d’acqua.

Prese le medicine, come suggerito dalla Harris, Sandy aiutò Kirsten a voltarsi per mettersi a pancia in giù, scostò le lenzuola per scoprirle la schiena, che la sottile veste con cui era solita dormire lasciava nuda. Sandy immerse l’indice e il medio nella ciotola in cui vi era l’olio canforato e si assicurò che non fosse eccessivamente caldo. Lo spalmò con movimenti circolari sulla zona che le faceva male, quest’ultima divenne subito rossa. Con cura, poi, posò entrambi i pollici proprio sul punto arrossato e lì iniziò ad esercitare una pressione sempre crescente, muovendo le dita dal basso verso l’alto e poi ancora in brevi semicerchi. 
Kirsten poté subito avvertire il sollievo che le mani del marito cercavano di darle e un gemito le sfuggì dalle labbra. Nessuno poteva prendersi cura di lei come faceva Sandy, nessuno era mai riuscito a farla sentire così tanto amata e al sicuro come aveva fatto lui sin dalla loro prima notte insieme a Berkeley.

« Sei incredibile » mormorò Kirsten tenendo gli occhi chiusi.

« Davvero? » Sandy ridacchiò, chinandosi su di lei per baciarle il punto del collo non coperto dai lunghi capelli biondi.

« Il migliore » replicò ancora lei, in un sospiro.

   
 
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