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Autore: Nikita Danaan    06/06/2020    2 recensioni
Erika è una giovane ragazza di diciotto anni, considerata da tutti una "bulla", che incute timore ai compagni di classe e causa problemi ai genitori e agli insegnanti. Un giorno dovrà fare da babysitter alla figlia di undici anni di un'amica di famiglia, Viola. All'inizio pensa che si tratti di una scocciatura, ma poi scoprirà che la ragazzina è più simile a lei di quanto credesse.
[L'avevo scritta per un concorso di scrittura, ma non è stata presa. Spero che vi piaccia]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Non è possibile, Erika! Non sono più disposta a tollerare questo tuo atteggiamento!”. 
Erika sbuffò e roteò gli occhi. Seduti a tavola per cenare, sua madre era ancora lì che le stava urlando contro. Non la sopportava più, infatti non la stava minimamente guardando poiché la sua attenzione era rivolta al cellulare e stava messaggiando con il suo fidanzato, Christian. “Mi stai ascoltando!?” la richiamò all’attenzione sua madre. Le strappò il telefono di mano e guardò lo schermo.
“Quindi questo Christian è più importante di quello che ti sto dicendo io?” domandò retoricamente, trattenendo a stento l’ira.  
“Certo, almeno lui non mi urla in faccia a caso” le rispose per la prima volta la ragazza, alzando la testa e guardando la donna. 
A quel punto, la madre non ce la fece più ed esplose. “A caso! Mi prendi in giro?! Bene, allora non userai il cellulare per un bel po’”.  
Erika si alzò di scatto dalla sedia improvvisamente agitata “Ma perché?”. 
“Mi chiedi pure il perché? Finché imparerai a non essere maleducata e non ti metterai a studiare seriamente, sarai in punizione!” finì la conversazione la donna. Erika era sul punto di controbattere, quando il padre disse “Tesoro, ti ricordi che Elena ci aveva chiesto quel favore, ovvero di aiutarla a trovare una babysitter che badasse a Viola? Potrebbe occuparsene Erika”.
“Cos’è che dovrei fare io?!” sbottò Erika, guardando male i suoi genitori.
“Ti occuperai di Viola quando i suoi genitori saranno al lavoro. Questo ti permetterà di entrare in empatia con un’altra persona e magari imparare qualcosa, come prenderti delle responsabilità. Hai pur sempre diciotto anni” le spiegò con calma sua madre, aprendo intanto la bottiglia d’acqua e versandosela nel bicchiere.
“Ma non ci penso neanche! Io odio i ragazzini”.
“Perché tu sei una donna adulta e vissuta” le disse ironico il padre, porgendo il proprio bicchiere alla moglie per farsi versare l’acqua.
“Voi non capite che io non so come comportarmi con i mocciosi. Anzi, a dire il vero, non so farlo con nessuna persona”.
“Ottimo, questo sarà un buon metodo per imparare” chiuse il discorso sua madre, bevendo.
La ragazza tornò a sedersi, sbuffando e soffiando sopra una ciocca di capelli castani che le era caduta davanti alla faccia. Incrociò le braccia robuste al petto e non toccò più cibo per quella sera, imprecando nella sua mente contro i suoi genitori e contro quella fantomatica Viola, che presto avrebbe dovuto conoscere e a cui avrebbe dovuto badare contro la sua volontà.
Guardò per un attimo le sue cosce e le vide troppo grandi. Poi si fissò i piedi che calzavano solo le scarpe da uomo e portò le mani a toccarsi la pancia, sentendo tutta la carne flaccida nelle dita. Per un attimo provò disgusto per se stessa e si ricordò perché si comportava sempre da dura.  
 
Erika infilò la chiave nella serratura della porta e la girò in senso antiorario. La aprì e poi entrò, trovandosi subito in un soggiorno che già da come era arredato la faceva sbadigliare.  Era composto da due divani di un banale color panna, uno contro la parete di destra e l’altro al centro della stanza con il retro rivolto verso di lei, che si trovava vicino all’uscio della porta.
Sulla parete a sinistra, invece, si trovava appeso un quadro con disegnati dei fiori secchi e sinceramente non ne capiva l’utilità. Pensò che semplicemente i padroni di casa avessero dei gusti orribili. Sul divano di fronte a lei, seduta a guardare la televisione, c’era una ragazzina che non poteva avere più di undici anni che stava guardando un cartone animato. Erika sbatté la porta per far sentire che era entrata e anche perché non ne poteva già più di stare lì. La bambina si voltò verso il rumore. Aveva lunghi e lisci capelli biondi che le cadevano davanti al volto, coprendole gli occhi che a Erika sembrarono azzurri, ma poco le importava.
“Senti, mocciosa, chiariamo subito un paio di cose” disse scocciata. “Prima regola, qui comando io e se mi dai fastidio me la paghi” si mise a elencare, facendo i numeri con le dita. “Seconda regola, parla male di me ai tuoi genitori o ai miei e finisci male, terza regola non mi fare domande di alcun tipo. Sei grande abbastanza per mangiare e per andare in bagno da sola, quindi sei autosufficiente” poi indicò l’altro divano. “Io me ne starò seduta lì ad ascoltare la musica, quindi valgono la prima e la terza regola assieme”. Detto ciò non le lasciò nemmeno il tempo di replicare che si sdraiò sul divano e tirò fuori il telefono, che era riuscita a sottrarre dalla borsa della madre, prima che la lasciasse a casa di Viola, e le cuffiette e accese l’app per ascoltare la musica.
 
Passò un tempo indefinito da quando Erika era arrivata e le uniche cose rilevanti che erano accadute erano state Viola che si era alzata per andare in bagno e Christian che si era degnato di scriverle. Si era messa quindi a messaggiare con lui, avendo ritrovato un minimo di buon umore, per tutto il pomeriggio. Si fece sera senza che lei se ne rendesse conto; fu il rumore della porta che si apriva che la mise sull’attenti, facendole mettere via il telefono.
Elena, la madre di Viola, fece capolino dalla porta della sala. La ragazzina si alzò dal divano e corse felice ad abbracciare la madre. La donna le accarezzò i capelli del suo stesso colore, poi guardò Erika.
“Grazie per aver badato a Viola” le disse sorridendole riconoscente. “Ha fatto la brava?”. Erika si girò verso la ragazzina, guardandola fissa negli occhi. All’inizio aveva pensato che si sarebbe scocciata nel farle da babysitter, ma in fondo, dopo che si era calmata, non le era pesato quel pomeriggio, visto che la ragazzina non le aveva nemmeno rivolto la parola, forse troppo terrorizzata per farlo. Dopotutto capitava spesso che incutesse timore agli altri.
“Sì, è stata brava” rispose. Dentro di sé si augurò che non rivelasse alla madre le sue minacce. Viola guardò la madre, facendo per un attimo preoccupare la ragazza, poi riguardò lei e sussurrò semplicemente “Erika è gentile”.
Lei nascose un sorriso soddisfatto girandosi di nuovo verso la donna, aspettandosi un pagamento. “Oh, prima che mi scordi! Non è che domani mattina puoi portare Viola a scuola? Tua mamma mi ha detto che hai la macchina”.
Erika si trattenne con molta fatica dall’urlarle in faccia.
La donna però iniziò a giustificarsi imbarazzata “Poi ti darò i soldi domani sera per la benzina, perché non era previsto questo trasporto. Di solito la porta mio marito, ma domani deve andare al lavoro molto presto e io pure”.
La ragazza, appena sentì la parola soldi, decise di accettare la proposta della madre di Viola.
“Nessun problema” disse con un sorriso.
 
Il giorno dopo, come prestabilito, Erika andò a prendere Viola e la portò a scuola. Durante il viaggio in macchina, notò che la ragazzina era molto agitata: si dondolava sul sedile anteriore, si mordeva le unghie e torturava la cintura di sicurezza. Erika, ad un certo punto, ruppe il silenzio per dirle “Non è il tuo primo giorno di scuola. Come mai ti agiti tanto? Sei in prima media. È ancora tutto facile adesso”.
Viola la guardò con occhi sbarrati. Era un comportamento insolito, visto che la ragazzina il giorno prima le era sembrata tranquilla e anche Elena e sua madre le avevano detto che era una che non si agitava mai. “Non mi piace andare a scuola” le rispose parendo più nervosa di prima. “Nemmeno a me, ma non posso fartela saltare. Se lo scoprisse tua madre finirei nei guai e addio ai soldi”.
Tuttavia, notò che man mano che si avvicinavano alla scuola aumentava ulteriormente l’agitazione di Viola. Arrivate davanti all’istituto, Erika frenò bruscamente, si slacciò la cintura di sicurezza e si girò verso di lei. “Mi spieghi che hai? Sembra che stai per vomitare! Ho capito che ti fa schifo la scuola, ma questo-”.
Non riuscì a terminare la frase che Viola si mise a singhiozzare. Appena vide le prime lacrime cadere e bagnarle i pantaloni, la ragazza si maledisse per averla fatta piangere con i suoi modi bruschi. Non sapeva nemmeno cosa dirle, visto che non era brava a consolare le persone e se sua madre ed Elena l’avessero scoperto sarebbe stata seriamente la sua rovina.
“A scuola gli altri mi trattano male” tentò di spiegarle tra un singhiozzo e l’altro. “Dicono che sono stupida, perché quando dobbiamo leggere in classe leggo male e dicono che ho i capelli sempre davanti alla faccia, perché voglio nasconderla e faccio bene”. Il pianto si fece più disperato, tanto che la ragazzina si portò le mani al volto. “Io sono brutta e stupida”.
Quelle parole fecero ricordare ad Erika delle scene che avrebbe preferito dimenticare. Non aveva mai avuto un bel rapporto con il suo corpo, perciò, per evitare che qualcuno potesse prenderla in giro, fin dalle scuole medie aveva scelto, per farsi vedere tosta ai loro occhi, di comportarsi da bulla, di rispondere male agli adulti e ai compagni di classe con cui alle volte veniva alle mani. Alle superiori la situazione non era molto diversa: a scuola la solita solfa, i professori noiosi e i compagni di classe avevano paura di lei. Inoltre, per nascondere il fatto che faticava a capire gli argomenti spiegati in classe, aveva deciso di andare male a scuola appositamente. Però si sentiva sempre in colpa a trattare male gli altri, soprattutto chi come Viola non le aveva fatto nulla. Lei non era davvero così.
Dopo quella confessione, Erika si rese conto che si rivedeva molto in Viola, che era così insicura e che aveva il suo stesso problema a scuola, perciò decise che l’avrebbe aiutata, visto che nessuno aveva aiutato lei. Scese dalla macchina sbattendo la portiera, poi aprì quella di Viola e la strattonò fuori.
“Dove mi porti?” le chiese tirando su con il naso, mentre la ragazza più grande la tirava per un braccio. Si fermò di scatto nel cortile della scuola, dove vi era un enorme viavai di ragazzini che entravano nell’edificio. “Indicami chi sono” le disse. Viola alzò lo sguardo, stupita dal cambiamento repentino del tono di voce di Erika. All’apparenza sembrava calma, ma il suo sguardo svelava tutta la furia che sentiva dentro di sé.
Viola si guardò un attimo attorno, per poi indicare con il dito un gruppo di cinque bulli che stava spintonando un ragazzino magrolino e spaurito “Sono laggiù”. La ragazza iniziò a camminare a passo svelto verso di loro e appena li raggiunse toccò la spalla di colui che le sembrò essere il capo. Viola non capì cosa gli disse, ma vide chiaramente che gli tirò un pugno dritto in faccia. La ragazzina spalancò la bocca stupita, nel vedere Erika fare a botte con i ragazzini che non avevano smesso di tormentarla dall’inizio della scuola. Però qualcuno doveva aver chiamato i professori, dato che un uomo adulto corse sul luogo della rissa e divise Erika dai cinque.
 
Viola si ritrovò seduta nell’ufficio del preside. Accanto a lei c’era Erika che era seduta a braccia conserte e guardava male il capo dei bulletti, seduto di fianco a lei. Viola guardò prima in basso, poi verso il preside sempre lasciando che i capelli le coprissero gli occhi per via della sua timidezza. L’uomo, che si trovava dall’altra parte della scrivania, era lo stesso che li aveva separati nel cortile. Aveva i capelli brizzolati, ma aveva l’aria di una persona pacifica e questo rassicurò Viola. Guardava i ragazzi senza apparire arrabbiato, sembrava solo sconsolato.
“Erika, anche alle superiori ti cacci nei guai, vedo” le disse il preside, appoggiando i gomiti sul tavolo e unendo le mani.
“E lei sta diventando sempre più vecchio e rompiscatole”.
“Erika!” la chiamò sottovoce Viola.
“Sono abituato al suo pessimo carattere, non ti preoccupare” le rispose l’uomo “Allora, qual è il motivo della rissa?”. Il capo dei bulli iniziò a parlare a voce alta e alterata “É stata lei ad iniziare!” indicò Erika col dito. “Io me ne stavo tranquillo con i miei amici a parlare quando lei mi ha colpito senza motivo!”.
La ragazza più grande saltò su di scatto, spaventando Viola, e iniziando a urlare contro il ragazzino “Non mentire! Stavi picchiando un ragazzino indifeso, non cercare scuse e assumiti le tue responsabilità moccioso di me-”.
A quel punto il preside alzò una mano ed intervenne “Credo di aver capito com’è la situazione. Siediti, Erika” disse con voce pacata, ma riuscendo ad essere comunque autoritario. Forse fu proprio per questo che la ragazza obbedì, seppur controvoglia.
Qualcuno bussò alla porta e il preside diede il permesso di entrare. La porta si aprì ed entrarono i genitori di Erika, quelli di Viola e un’altra coppia, sicuramente i genitori del bullo.
La madre di Erika si precipitò immediatamente verso la figlia “Cos’hai combinato stavolta? È mai possibile che non riesci proprio a stare tranquilla?!”. La ragazza si girò di scatto, fulminando la donna “Stavolta non è stata colpa mia”.
“Ma hai iniziato tu!” urlò il ragazzino.
“Taci, microbo!”.
A quel punto si intromise una donna voluminosa, dai capelli corti e ricci, posando le mani perfettamente curate sulle spalle del ragazzino. “Signor preside” iniziò a parlare con voce calma e pacata “Mio figlio Tommy lo conosco molto bene e so per certo che non è un ragazzino che picchia gli altri per puro divertimento. È sempre tranquillo ed educato, può chiederlo a tutti i nostri conoscenti. Non è mia consuetudine interferire con le questioni scolastiche o con le decisioni di professori e dirigenti scolastici, tuttavia vorrei farle notare che questa ragazza” fece un cenno col capo in direzione di Erika “mi risulta creasse disagi già quando veniva nella sua scuola. Dunque mi viene da dire che lei stia mentendo e che voglia dare la colpa a mio figlio, non crede?”.
Viola pensò che quella signora non le piaceva. Per di più il fatto che Tommy non stesse più cercando di difendersi, ma se la stesse ridendo sotto i baffi la turbava ancora di più.
Allora il padre di Erika intervenne per cercare di salvare la situazione “Erika, chiedi scusa”. “Deve chiedere scusa prima lui per aver bullizzato l’altro ragazzino e per aver tormentato Viola. Io non sto mentendo” si difese la ragazza, infastidita dall’intervento di quella donna.
Elena guardò la figlia sorpresa “È vero, tesoro?”. La bambina non rispose. In quel momento volle confessare, ma quando puntò lo sguardo verso Tommy la guardò male come a volerla minacciare. Non sapeva cosa fare; guardò la madre e il padre che aspettavano una sua conferma o un diniego e lo stesso valeva per i genitori di Erika, quelli di Tommy e il preside che sembrava l’unico che poteva attendere tranquillamente anche per mesi la sua risposta. Poi le capitò di incrociare lo sguardo anche con Erika che con il labiale le disse “Non aver paura”. A quel punto la bambina non ebbe più dubbi “È la verità” disse solamente.
 
Quella mattina nell’ufficio del preside fu per Viola liberatoria. Raccontò per filo e per segno ciò che le dicevano Tommy e i compagni tutti i giorni e anche l’altro ragazzino, Filippo, che fu poi chiamato dentro l’ufficio per confermare le parole della ragazzina, rivelò che tormentavano sempre anche lui. Viola difese a spada tratta Erika, guardando i genitori di Tommy e della ragazza, dicendo loro che l’aveva picchiato solo per difendere lei e Filippo. I suoi genitori furono estremamente colpiti dalla sua sicurezza nel parlare, mentre invece Erika la guardava sorpresa che la difendesse a tal punto e con quella foga, ma allo stesso tempo fiera di lei. Alla fine il preside sospese i cinque ragazzini.
Poco dopo, i genitori di Erika, quelli di Viola e le due ragazze uscirono tutti insieme dall’ufficio.
Quando furono fuori la madre di Erika si girò verso la figlia “Sono fiera di te, tesoro”. La ragazza la guardò stupita “Davvero?”. La donna annuì e l’abbracciò di slancio e le disse “Vero, hai difeso Viola, anche se a modo tuo, ma è pur sempre un passo avanti rispetto a prima!”. La donna la lasciò andare e sorrise, guardando Erika fiduciosa del fatto che ce l’avrebbe fatta a superare ogni ostacolo. Era certa che sarebbe cresciuta e avrebbe capito che non doveva avere più paura di essere se stessa.
   
 
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