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Autore: ThePrankstersPage    06/06/2020    1 recensioni
Fuggito dal suo regno attraverso la Cieca Eternità, Oko si ritrova nella regione di Galar, un mondo tutto nuovo, popolato da creature che non aveva mai visto prima - i Pokemon - e dove la magia è stata completamente sostituita dalla tecnologia e i re sono ormai diventati presidenti.
Sarà l'inizio di un'avventura bizzarra, costellata di sfide e misteri.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
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Si era fatta mattina e l'aria era umida. Dagli alberi, gocce di rugiada cadevano tranquille sul suo corpo seminudo e sul suo viso. Era sdraiato a pancia in su e gli sembrava che dita molli e fredde lo stessero dolcemente toccando per svegliarlo. Aprì lentamente gli occhi e cercò di tirarsi su a sedere; era ancora un po' stordito e mezzo addormentato, mentre la testa continuava a fargli male e dovette portarsi una mano sopra per massaggiarsela.

Voleva anche capire in che luogo si fosse svegliato, così iniziò a guardarsi intorno: si era ritrovato sotto a un albero e dintorno tutto era immerso in una fitta nebbia, ma riusciva a distinguere, anche se a malapena, sagome di altri alberi. Ce n'erano tanti, era sicuramente in mezzo a un bosco, ma era confuso, c'era qualcosa che non gli quadrava: forse non doveva trovarsi in un posto simile o forse sì, ma i suoi ricordi non erano ancora abbastanza nitidi e continuò mezzo intontito a osservare quel paesaggio.

Una debole luce rossastra , nel terreno, in mezzo alle foglie cadute, attirò improvvisamente la sua attenzione e Oko si chinò a guardarla da vicino: era una pietra, ma era molto particolare e la raccolse per osservarla meglio. Era tutta bucherellata in superficie, come un meteorite, mentre dall'interno proveniva quell'insolita luce scarlatta che gli era molto familiare, ma dove l'aveva già vista? Nella sua mente, tutto iniziò di colpo a farsi più chiaro e allora cominciò a ricordare: la fuga attraverso la Cieca Eternità, il gigante a cinque teste, la caduta in discesa, la perdita dei sensi e...quel sasso! Era stata quella roccia a colpirlo in testa dall'alto, ma in quella foresta nebbiosa non sembrava esserci niente e nessuno in grado di lanciargli addosso un simile oggetto. Forse un furfante, accortosi di quel ruzzolone, poteva averlo fatto. In effetti, il VIANDANTE ricordava di essere stato tutt'altro che silenzioso con tutto quel rotolare, ma non era del tutto sicuro di quell'ipotesi. Riflettendoci, però, notò che la pietra misteriosa e il mostro gigantesco avevano una certa somiglianza, soprattutto nella forma e nel colore, ma anche in quella strana energia che emettevano. Poteva essere una squama che, staccatasi durante l'inseguimento, doveva aver attraversato il varco, per poi cadergli in testa poco dopo il ruzzolone. A quanto pare il gigantone poteva perdere i pezzi, pensò, e decise di tenere con sé quel sasso, come ricordo e come tesoro di cui vantarsi, ma anche come mistero da risolvere, dal momento che non aveva prove a sufficienza per dimostrare che quell'oggetto potesse davvero essere un frammento di quel bestione.

Intanto si era anche ricordato di un'altra cosa: era ancora tutto sporco di terriccio e ciò lo faceva sentire non poco in imbarazzo. Che vergogna sarebbe stato, uscire dal bosco conciato in quel modo. Chiunque l'avesse guardato avrebbe riso fino a morire, pensò, e non gli sarebbe andato giù. Si mise così in cammino, alla ricerca di un laghetto, un ruscello, si sarebbe accontentato di qualsiasi fonte d'acqua pur di lavarsi di dosso quello schifo, anche se sarebbe stato molto difficile individuarla, in mezzo a tutta quella nebbia. Si affidò all'udito e continuò a camminare con le orecchie tese, facendo attenzione a ogni suono. Sotto i suoi piedi scalzi, le foglie cadute scricchiolavano e tutt'intorno a lui il bosco non era poi così silenzioso: sui rami degli alberi, Oko poteva udire gli uccelli cantare, ma erano note strane, mai sentite prima d'allora. Magari avevano pure un aspetto strano, pensò, ma non poteva vederli, nascosti com'erano dalla nebbia.

Piano piano, mentre si faceva strada, iniziò a udire quello che sembrava il suono dello scrosciare dell'acqua farsi sempre più vicino. Non poteva sbagliarsi, aveva preso la via giusta, era giunto sulla riva di un fiume che sembrava anche abbastanza profondo da poterci fare il bagno e che aveva pure una cascatella che scendeva tranquilla. Era perfetto, il VIANDANTE non desiderava di meglio. Soddisfatto di quella visuale, iniziò a togliersi in fretta i pochi vestiti che aveva addosso e li adagiò su un masso lì vicino, accertandosi che potesse tenerli sempre d'occhio, poi, completamente nudo, si immerse con leggerezza e delicatezza. L'acqua era gelida e gli arrivava ai fianchi, ma Oko non se ne curò: il suo desiderio di lavarsi e di riacquistare la sua vera bellezza era così forte da vincere persino il freddo. Si spostò lentamente verso la cascatella e, quando vi fu sotto, iniziò a passarsi con cura le mani tra i capelli e poi su tutto il corpo, lavando meticolosamente via lo sporco che gli era rimasto addosso. Non doveva rimanere neppure il minimo granello di sabbia, doveva essere tutto pulito e perfetto. Non si preoccupava per la maschera blu dipinta in volto, così come per le pitture sulle braccia e sulle mani: erano resistenti all'acqua e non ci sarebbero stati problemi. Intorno a lui, tutto era immerso nella quiete più totale e, nonostante il freddo, il VIANDANTE iniziò a sentirsi sempre più sollevato e rilassato e si abbandonò un pochino sotto lo scroscio d'acqua, la testa rivolta verso l'alto, assaporando ogni momento in cui l'acqua toccava la sua pelle. Nel mentre, fu avvolto da una sensazione di piacere e un'espressione sognante comparve sul suo viso. Si sentiva bellissimo, abbandonato in quel modo sotto la cascata e non avrebbe provato alcun imbarazzo se qualche guardone fosse stato lì a spiarlo, anzi, avrebbe ben gradito la presenza di qualcuno a osservare e ad ammirare la sua ineguagliabile e delicata bellezza, a patto che avesse avuto buone intenzioni per farlo.

Dopo essersi rilassato sotto quello scroscio, si tirò fuori da esso e si mise a guardare attentamente in acqua: era limpida e, nonostante la nebbia, si potevano intravedere i pesci che vi stavano muotando. Sembravano enormi carpe arancioni e avevano pinne bianche e gialle, lunghi baffi e grandi occhi rotondi. Non sembravano pericolosi, anzi, nuotavano intorno a lui come se non si fossero mai accorti della sua presenza. Quel posto iniziava a piacergli sempre di più, era tutto così tranquillo, poteva rimanere lì a mollo per ore, magari per sempre, ma sentiva che non poteva restare e che avrebbe apprezzato maggiormente esplorare il mondo fuori da quella foresta sopita nella nebbia. Non c'erano malocchi da fare, prima o poi si sarebbe annoiato, perciò doveva andarsene. A piccoli passi ritornò a riva, prese i vestiti dalla roccia e, con calma ed eleganza, si rivestì. Era ritornato tutto bello pulito e poteva riprendere il cammino, così si avviò tra gli alberi, stavolta alla ricerca di un'uscita. Man mano che andava avanti, però, la nebbia iniziava a farsi sempre più fitta e Oko finì per ritrovarsi in un punto dove non riusciva più nemmeno a vedere dove metteva i piedi, infatti qualche volta gli capitò di pungerseli con dei rami appuntiti, anche a sangue, ma egli era perfettamente in grado di guarirseli in fretta con i suoi poteri magici, perciò fecero presto a smettere di sanguinare.

Mentre camminava, sopra di lui, dei rami iniziarono a scuotersi, così si fermò un attimo e alzò la testa a guardare, ma la nebbia gli ostacolava la visuale, sicché non riuscì a vedere bene cosa stesse succedendo in tutto quell'agitarsi di foglie e riprese il suo cammino. A un tratto il rumore finì e Oko sentì qualcosa di soffice cadergli in testa e saltargli sulla spalla. Girò la testa a guardare di cosa si trattasse, ma il nuovo arrivato si era già arrampicato giù per il suo braccio, per poi posarsi sulla sua mano blu. Era una piccola creatura pelosa e grigia, con due occhietti neri e lucidi, due guance gonfie e paffute e una lunga coda folta di pelo. Sembrava un normale scoiattolo, finché il VIANDANTE non udì per la prima volta il suo verso: «SKWOT, SKWOT!»

«Ma che...?» fece Oko sorpreso: non aveva mai sentito uno scoiattolo squittire in un modo così bizzarro.

«SKWOV, SKWOT, SKWOT!» gli rispose lo strano roditore. Il VIANDANTE si sentiva fortunato a essere nato fatato, poteva comprendere il linguaggio di quell'esserino e aveva capito che non era pericoloso per lui. Sembrava, anzi, incuriosito dal suo aspetto: pareva che anche per lui fosse la prima volta che incontrava un simile "essere umano", che umano poi non era, e si mise ad annusargli la mano dove stava seduto.

«SKWOV!» fece un salto divertito. Oko cominciò a osservarlo, incuriosito.

«Che cosa sei, mio piccolo amico?» chiese amichevolmente «Sei molto carino, anche se io lo sono di più. Ti ruberei e ti terrei con me per tutto il viaggio!»

«SKWOV, SKWOV, SKWOT!» lo scoiattolo sembrava aver capito cosa gli era appena stato detto e pareva ancora più felice. Sorrideva. Il VIANDANTE fatato non aveva mai visto un animaletto simile sorridergli così.

«Cosa? Restare con me?» chiese in tono affettuoso e soave «Oooh, ma che tenerello, certo che puoi rimanere! Sarò il tuo migliore amico!»

«SKWOT!» gioì la creaturina e Oko la avvicinò gentilmente alla spalla.

«Mettiti pure comodo, ci sarà da divertirsi.» un sorriso beffardo comparve sulle sue labbra pallide, mentre si apprestava a pronunciare l'ultima parola: «Vedrai!»

Si incamminarono insieme, brancolando nella nebbia. Il VIANDANTE aveva preso in simpatia quella nuova conoscenza, parlavano e scherzavano insieme del più e del meno e si tenevano compagnia.

«Sai, dolcetto, non ti dà fastidio, se ti chiamo "dolcetto", vero? Sei stato davvero fortunato a incontrare un amico assai bello e intelligente. Sono convinto che ti invidieranno tutti, non si incontra tutti i giorni un esemplare tanto eccezionale quanto il sottoscritto» Oko era un gran chiacchierone e il continuo vantarsi della propria bellezza e del proprio intelletto, alle lunghe, risultava noioso per il suo amichetto, soprattutto quella sua voce costantemente melodica e gentile era quasi fastidiosa, ma qualcosa iniziò a preoccupare quel VIANDANTE: la nebbia stava divenatndo sempre più fitta e l'uscita da quel posto sembrava essere sempre più lontana. Avrebbe potuto chiedere indicazioni al suo compagno scoiattolo nel momento in cui lo aveva incontrato, ma non ci aveva minimamente pensato e in quel momento erano giunti in un punto in cui tutt'intorno a loro era diventato completamente bianco. Non riusciva a distinguere niente, sembrava così surreale.

«SKWOT, SKWOT, SKWOT!» fece il roditore.

«Persi? Ma davvero? Non lo avrei mai detto.» rispose Oko gentilmente, ma sarcastico.

«SKWOT, SKWOV, SKWOV!» squittì. Sembrava spaventato e iniziò ad annusare nervosamente l'aria. Qualcosa si stava avvicinando a loro, ma la fata sembrava non essersene minimamente accorta e gli rispose ancora soave, ma con una leggera nota di arroganza: «Davvero divertente! Credi forse che uno scherzo simile possa farmi pau...» non fece in tempo a finire la frase che un ululato spettrale e lamentoso risuonò davanti a loro.

«AWOOOOOOOOOO»

«SKWOOOOV!» il piccoletto saltò terrorizzato dalla spalla di Oko.

«EHI, ASPETTA! AMICO!» gridò il VIANDANTE girandosi di scatto, cercando di acchiapparlo, ma il roditore era già scomparso nella nebbia. «TORNA QUI! Non lasciarmi da solo, in mezzo a...»

«AWOOOOOWOOOOOO»

L'ululato agghiacciante lo interruppe di nuovo. Questa volta, la fata distinse due lamenti diversi e si paralizzò dalla paura.

«...ai lupi.» terminò la frase con un filino di voce, terrorizzato, e si girò lentamente a guardare. Le sagome di due lupi grandi quasi quanto cavalli si stavano avvicinando a lui, furenti, in mezzo a tutto quel bianco. I due animali ringhiarono. Oko non volle perdere tempo a osservarli e iniziò a scappare, correndo come un pazzo, mentre i lupi inferociti lo inseguivano. Durante la fuga, non si curò dei ramoscelli appuntiti che gli pungevano i piedi, era troppo preso dal panico per potersi fermare un attimo a controllarli.

Nonostante il terrore lo stesse assalendo, nella corsa la fata riuscì a trovare un attimo di lucidità e si ricordò che poteva usare i suoi poteri magici contro di loro, per provare a neutralizzarli. Si voltò di scatto verso le due bestie, tendendo il braccio, e dalla sua mano partì un raggio di luce colorata che andò a colpirli in un lampo, ma i lupi uscirono da quel bagliore e continuarono a inseguirlo, completamente illesi e più feroci di prima. Adesso sì che Oko era nel panico e riprese la sua folle corsa. Non riusciva a crederci: quelle creature erano a prova di malocchio, allora provò ad agire diversamente. Il suo corpo iniziò a ricoprirsi di piume nere e a farsi più piccino, mentre un becco comparve al posto della bocca: si era trasformato in corvo e iniziò a volare più veloce che poteva per distaccare gli inseguitori, ma con tutta quella nebbia non riuscva a distinguere bene gli ostacoli e andò a sbattere contro un albero. Cadde a terra, riassumendo rapidamente le sue vere sembianze; il becco sparì, così come le ali. Aveva il fiatone, non ne poteva più di correre, ma non poteva fermarsi, quei lupi stavano ancora continuando a inseguirlo. Sentiva il loro ringhio in lontananza farsi sempre più vicino e ricominciò a fuggire.

Pensandoci bene, poteva benissimamente aprire un varco per la Cieca Eternità e non farsi più vedere, ma il pensiero che avrebbe potuto di nuovo incontrare quel mostro abominevole gli fece cambiare idea e poi era troppo desideroso di conoscere a fondo quel mondo misterioso e sconosciuto, per cui non fece nulla e continuò a scappare. Magari si sarebbe salvato lo stesso.

La nebbia stava lentamente iniziando a dissolversi, man mano che correva: stava fuggendo verso l'uscita, ma era troppo terrorizzato per darvi importanza e non osò fermarsi un momento. Uscì dal bosco senza quasi accorgersene, i lupi smisero di inseguirlo. Era ormai fuori pericolo, mentre intorno a lui si estendeva la campagna. Colline verdeggianti dominavano il paesaggio, mentre casette e paesini campagnoli avevano preso il posto della nebbia e degli alberi fitti. Era giunto su un praticello in discesa e stava continuando a correre come un ubriaco, credendo di essere ancora inseguito. In fondo al sentiero vide un cancello di legno in mezzo a un muricciolo, ma sembrava chiuso e Oko era troppo in preda al panico per trasformarsi in una bestia abbastanza robusta e forte da sfondarlo. Iniziò a correre più veloce e a testa bassa, pronto a caricarlo e convinto che avrebbe potuto superarlo con le sue sole forze.

Infatti ci riuscì: si buttò con tutte le sue energie contro il cancello, che si spalancò con facilità e con violenza e sbatté contro il muro di pietra, quasi spaccandosi. Non era chiuso come credeva che fosse: gli sarebbe bastato spingerlo dolcemente e, invece, Oko fece un lungo volo sul terreno sterrato del vialetto e cadde esausto slittando con la faccia nella terra e col sedere per aria, sollevando un gran polverone.

   
 
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