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Autore: paige95    06/06/2020    9 recensioni
La guerra in Afghanistan è il filo rosso che lega il destino di due uomini e due famiglie, due mondi distanti che non sanno di essere molto vicini tra loro.
Nell'estate del 2018, in pieno conflitto, il tenente comandante dei Navy SEALs Christian Richardson e l'inviato speciale del Los Angeles Times Samuel Clark verranno chiamati al fronte, lasciandosi alle spalle vissuti, affetti e i vasti territori californiani.
[Questa storia partecipa al contest "Chi ben comincia è a metà del prologo" indetto da BessieB sul forum di EFP]
Genere: Angst, Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Destino'
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Tour tra la cultura d’Oriente

 


Nota: ho introdotto un breve passo tratto dal Corano, tradotto in italiano, in nota a pié pagina troverete i riferimenti.


 
Periferia Ovest di Kabul, 23 agosto 2018
 
 
L’anima di Samuel era infiammata dalle intenzioni più nobili. Il giovane giornalista aveva cercato Maryam in ogni angolo del villaggio, avventurandosi per ogni centimetro di terra battuta calpestabile senza incorrere nel pericolo; in assenza della fidata guida del medico la prudenza non era mai in eccesso.
Era prima mattina, l’alba era sopraggiunta da poco, eppure il ragazzo sentiva l’energia scorrere nelle sue vene; l’età giocava a suo favore, ma anche una buona dose di curiosità verso quelle terre sconosciute. Karim aveva promesso a Samuel che lo avrebbe accompagnato all’interno di una Moschea, dopo diverse suppliche da parte del giornalista; l’afghano era stato trasparente con l’ospite, da anni ormai visitare una Moschea poteva condurre ad una morte orribile a seguito di un attentato; Karim si sentiva in debito verso l’americano, aveva salvato Hassan e loro erano riusciti ad offrire a lui solo un po’ di ospitalità nelle loro povere dimore, non avevano perciò ricambiato in modo opportuno. A loro rischio e pericolo, il medico aveva accettato e aveva chiesto a Samuel di partire all’alba per raggiungere la grande Moschea Pul-e Khishti, situata nel centro della vecchia Kabul, una posizione che avrebbe potuto donare loro una piccola percentuale di sicurezza in più, lontano dal trambusto della città e delle vie principali. Se avessero posseduto un’auto, in poco più di un quarto d’ora sarebbero giunti a destinazione, ma in mancanza di essa Karim aveva stimato quasi un’ora e mezza a piedi, salvo imprevisti. Azzardare quel viaggio all’alba avrebbe giovato all’arsura di cui era perennemente impregnata l’atmosfera e sarebbero riusciti a visitare la Moschea prima della preghiera di mezzogiorno.
Samuel si era perciò svegliato all’albeggiare emozionato, aveva indossato la sua kurta e persino il copricapo, forniti da Karim, per affrontare il difficile percorso. Era reduce da notti non particolarmente comode su un giaciglio costruito con asse di legno, ma poteva ritenersi fortunato di essere stato accolto dal rigido mullà e per avergli concesso di mangiare alla sua tavola. Karim e Maryam non avevano affatto esagerato enfatizzando la durezza del capo del villaggio; quella mattina, come d’altronde accadeva dall’arrivo dello straniero, alla giovane afghana era stato vietato consumare i pasti alla stessa tavola e alla medesima ora del resto dei commensali. Era quello il motivo per il quale Samuel si era lanciato alla sua ricerca, non aveva ancora avuto modo di darle il suo buongiorno, o, come si usava fare laggiù, salam. Il giornalista aveva colto quel breve frangente, in cui Karim era impegnato nella sua prima preghiera della giornata, per parlarle; il medico gli aveva chiesto una decina di minuti prima della loro partenza, ma lui dopo cinque non aveva ancora scorto la ragazza da alcuna parte. Stava iniziando ad arrendersi rimandando il saluto al loro ritorno nel villaggio, quando intravide una giovane nei pressi di una piccola sorgente d’acqua, un’oasi in mezzo al deserto. Impiegò qualche istante a riconoscerla e non fu nemmeno certo fino in fondo che si trattasse di lei. Il niqāb era appositamente calato dal suo capo e rivelava una magnifica chioma color rame. Era rivolta verso di lui, ma era concentrata su altro per accorgersi della sua presenza: con entrambi i palmi stava sciacquando il suo viso scoperto dalla stoffa. Samuel non l’aveva mai vista in assenza del velo, ebbe la strana sensazione di violarla, come se si fosse privata dei vestiti davanti a lui. Allo stesso tempo però non riusciva a scollarle gli occhi da addosso, nonostante l’imbarazzo, era per lui molto simile ad un primo incontro che richiedesse qualche istante di conoscenza silenziosa. Il giovane ebbe il privilegio unico - all’infuori della famiglia e di pochi altri che la conoscevano fin da bambina - di scorgere i lineamenti di Maryam, delicati e poco più che infantili; le aveva forse attribuito troppi anni, era sicuro ne avesse almeno diciotto, aveva usato la maturità della ragazza come metro di misura insieme alla sua altezza, ma doveva purtroppo ricredersi. Era poco più di una bambina di quindici anni, massimo sedici e forse non ancora compiuti.
Misericordia. L’imprecazione morì sulle labbra. Da ciò che sapeva, quella giovane era prossima alle nozze con il beneplacito del padre, il quale, data la povertà in cui riversava il villaggio, necessitava di affidare la figlia ad un marito che se ne prendesse cura. Samuel aveva sottolineato solo poche ore prima, durante un servizio per la tv americana, la disperata situazione in cui riversavano i bambini-soldato e quelli che potevano ancora godere della propria infanzia, finché una bomba non la rubava prepotentemente; doveva tristemente ammettere e ricordare che anche la condizione del mondo femminile fosse drammatica.
«Samuel!»
Il ragazzo udì il suo nome nitido senza il filtro del velo, per la prima volta; la sua presenza la spaventò, benché avesse ancora il viso umido non indugiò a voltarsi e a cercare di ricomporsi. Il giornalista le lasciò lo spazio per raccogliere i lunghi capelli e coprire i tre quarti del suo volto.
«Maryam, tranquilla. Non ho visto nulla, sono appena arrivato»
L’istinto di Samuel fu quello di tenere lo sguardo rivolto al suolo, temeva di mancarle di rispetto incrociando i suoi occhi. Era davvero strana la sensazione che quelle terre infondevano ad un occidentale. Era naturale per le donne d’Occidente mostrare il capo, le fattezze, la propria identità, anzi, non era inusuale che ostentassero la loro bellezza. Samuel non era esperto di Medio Oriente, ma erano risaputi i dogmi che pesavano sulle spalle di quelle donne; ciò che lo spiazzò fu lo spontaneo rispetto verso la discrezione che a Maryam veniva imposta; era nata e cresciuta con quella convinzione, tradirla avrebbe equivalso a tradire il suo pudore. Samuel aveva riconosciuto il rossore sulle gote della ragazza, appena prima che venissero celate ad occhi indiscreti.
«C-cosa fai qui?»
«Io e Karim stiamo per partire. L’ho pregato di accompagnarmi a visitare una Moschea, ci tengo. Ti volevo chiedere se ti andasse di venire con noi»
«Non posso entrare in un luogo di preghiera accanto a due uomini, è severamente vietato per una donna. Come lo è entrare dalla porta principale»
Come lo è parlare con te ed inoltre senza la presenza di mio padre. Gli occhi di Maryam erano severi, traspariva rigore e obbedienza; a Samuel sembrò di scorgere anche un chiaro rimprovero per il suo comportamento invadente; fu proprio quest’ultima nota stonata a spazientire il giovane americano.
«Ne hai tutto il diritto! Sei una donna, ma non sei certo meno degna di un uomo»
«Da voi tutti i diritti vengono rispettati?»
Non sapeva cosa risponderle senza tradire il proprio patriottismo. Nel XXI secolo era già tanto che venisse rispettata almeno la metà dei diritti umani degli uomini e delle donne. Non era scontato e quelle terre rappresentavano solo la cassa di risonanza più lontana da quei diritti.
«Maryam, la guerra vi toglie già abbastanza. Non lasciare che ti venga tolta anche la voce»
«La voce mi sarebbe tolta insieme alla vita se osassi ribellarmi. Non pensare che io non conosca l’Occidente, Karim mi istruisce fin da bambina. Tra una frase americana e l’altra, mi ha raccontato degli Stati Uniti d’America, mi ha trasmesso tutto ciò che ha imparato in università senza che mio padre capisse una parola, anzi senza che mio padre sapesse l’apprendimento della nuova lingua»
La catturò una dolce malinconia, la sua anima era imprigionata dal ricordo dei racconti dell’amico; era grata al niqāb che in parte contenesse le sue emozioni.
«Karim mi ha anche detto che le vostre donne non indossano il velo»
«No, le nostre donne sono …»
Non osò dire libere. Non osava ferirla e umiliarla, stavolta per davvero, facendola sentire inferiore rispetto al resto dell’universo femminile che viveva in altre zone del mondo. Non voleva accentuare il fatto che lei non fosse libera. Libera di parlare, libera di mostrarsi, libera di amare. Libera di essere semplicemente se stessa. L’aveva ferita e umiliata scrutando il suo volto, ciò non aveva il sapore della normalità, ma di una costrizione.
«Tuo padre esagera, avresti potuto sederti a tavola con noi stamattina»
«Sei un forestiero. Mi è consentito banchettare solo con mio padre, mio fratello e un marito, quando lo avrò»
Maryam spiegò con pazienza all’americano che il mondo orientale girava in modo diverso; lei conosceva bene le differenze tra i loro mondi, Karim l’aveva istruita, aveva osato ciò che solo lui e pochi altri avrebbero fatto, con il rischio reale di essere additati come blasfemi. Il mullà non avrebbe mai approvato una promiscuità tra lei e il continente americano. Da quando la madre era morta temeva ancor più di tradire gli insegnamenti del padre e i suoi comandamenti. Maryam aveva permesso che il capo del villaggio la promettesse in sposa al capo del villaggio accanto per motivi di sostentamento e per far sì che tutto il villaggio potesse beneficiare della sorgente di acqua fresca che si trovava al confine tra le due comunità. Il mullà aveva scelto sua figlia come pegno e merce di scambio. In seguito ai racconti di Karim sugli Stati Uniti, non riusciva a rimanere indifferente al sentimento che accompagnava ogni nuova unione; anche Samuel si stava sposando per amore, un’attrazione fisica e mentale che lei sentiva di non provare per alcuno, men che meno per un uomo che aveva quasi il triplo dei suoi anni. Se avesse potuto scegliere, Karim sarebbe stato il candidato perfetto, ma lui non era parte di un altro villaggio e tanto meno il loro matrimonio avrebbe portato qualche vantaggio. Era certa che Karim, benché potesse essere suo padre, l’avrebbe trattata con rispetto; avrebbe potuto offrirle solo quello, nulla di materiale, e lui per primo si sarebbe rifiutato di celebrare il loro matrimonio; era troppo paterno, troppo rispettoso e si prodigava ad arricchire la sua anima, vedeva in lei sempre e solo quella.
«Dovresti parlare con tuo padre. Dovresti obbligarlo ad ascoltarti»
«I genitori esigono rispetto, lo dice il Corano, non mi è concesso contraddirlo»
La buon’anima della madre le aveva insegnato la lettura e la scrittura attraverso le frasi del testo sacro, la sua cultura si sarebbe ridotta ad una magra eredità di madre in figlia se non fosse stato per l’impegno che Karim si era assunto. Maryam conosceva a memoria il Corano, era fermamente convinta dei principi che affermava, nella sua mente era impresso il passo che riguardava l’argomento che stavano affrontando:
Il tuo Signore ha decretato di non adorare altri che Lui e di trattare bene i vostri genitori. (…). O Signore, sii misericordioso nei loro confronti, come essi lo sono stati nei miei, allevandomi quando ero piccolo[1].
«Devi seguire il tuo cuore e il cuore non ha alcuna religione»
Aveva socchiuso le labbra per rispondere a quell’americano saccente che credeva di possedere la verità assoluta. Samuel non poteva immaginare cosa serbasse il suo cuore, la guerra che stava devastando la sua terra natìa era nulla in confronto al conflitto che il suo petto ospitava. Le parole della giovane si spensero in silenzio oltre il niqāb, la voce cordiale di Karim interruppe la conversazione.
«Salam, Maryam. Buongiorno, Samuel»
«Salam, Karim»
«Maryam. Come sta Hassan?»
Il medico per rispetto allo straniero presente in mezzo a loro aveva deciso di rivolgersi a lei in americano.
«Sta bene, grazie a voi»
Sul volto del ragazzo si dipinse uno sbuffo di rossore, perdendo così la determinazione con cui poco prima avvalorava la sua opinione.
«Molto bene. Allora meriti un piccolo tour tra i meravigliosi colori dell’Afghanistan»
Nella voce di Karim trasparirono passione ed orgoglio nazionale in abbondanza.
 
~
 
La vecchia Kabul – come lo stesso aggettivo indicava – rappresentava la città tradizionale, uno tra gli angoli più silenziosi della periferia del centro moderno di Kabul, a parte qualche area che fungeva da confine. In quel luogo isolato le possibilità di essere coinvolti in un attacco terroristico si riducevano drasticamente, l’affluenza non era degna di nota, così come non lo sarebbe stato il numero delle vittime.
Per Samuel fu un graduale addentrarsi nell’atmosfera orientale. Il giornalista e la sua guida raggiunsero quella zona già in preda alla sete, al sudore e alla stanchezza, eppure era proprio da lì che partiva l’itinerario più emozionante della giornata. All’incrocio di Minar-e Maiwand con la vecchia arteria commerciale di Jad-e Maiwand recuperarono le forze perse durante il tragitto e si rinfrescarono il volto accaldato; non mancavano sorgenti di acqua fresca, era uno dei punti più trafficati situato al confine con la città vecchia, un luogo di intenso traffico per i commercianti, in particolare per gli ambulanti. Poco distante infatti si estendeva il Ka Faroshi, l’antico mercato degli uccelli, che resisteva alla minaccia della guerra grazie ai pochi venditori superstiti.
L’attenzione di Samuel venne del tutto catturata; ciò che lo stupì fu l’inaspettata potenzialità dell’indigenza di quei luoghi, la stessa del villaggio che si erano lasciati alle spalle. Era proprio dall’essenziale che ripartiva la popolazione e offriva ad essa la forza di salutare un nuovo giorno carico di incertezza. I suoni – da quelli più dolci a quelli più gutturali – rappresentavano una concentrazione di emozioni che colpivano l’udito dei visitatori, spogliando il contorno dall’inutile sfarzo. Era un’immersione nella natura umana e animale. A Samuel sembrò di intraprendere un tuffo nel passato, quando a scuola studiava sui libri attraverso foto e immagini i territori antichi e moderni della Palestina, c’erano tutti i presupposti in ciò che stava vivendo in prima persona ed era affascinante. Karim aveva spiegato al ragazzo che il pennuto più pregiato in quei territori era la pernice rossa, in afghano kowk[2], e veniva custodita all’interno di gabbie intagliate nel legno; si trovavano in vendita anche piccioni e uccelli canori da cui provenivano suoni melodiosi e piacevoli.
Percorsero qualche metro verso la Moschea e si imbatterono nel Bazar dei Tappeti. Samuel non credeva di aver mai visto così tanti colori e forme nel medesimo istante; era una sensazione che estraniava, ma allo stesso tempo faceva sentire di essere nel posto giusto al momento giusto. Il giornalista aveva scrutato le opere d’artigianato da vicino; una trama in particolare colpì il suo cuore: su uno sfondo rosso sangue erano state cucite le sagome di elicotteri e carri armati, per ricordare a tutti il clima di terrore che vivevano ogni giorno da quasi diciassette anni. L’ambulante rivolse al reporter qualche parola incomprensibile in lingua locale; con rammarico Samuel gli fece cenno di non capire, fu Karim allora ad andare in suo soccorso.
«Ha domandato se ti piace e se sei intenzionato ad acquistarlo»
«Non mi piace per niente»
Il ragazzo passò oltre per evitare che lo sconforto avesse una pessima influenza su di lui. La macchia di morte raffigurata sulla stoffa stonava con i colori caldi e freddi che abbellivano il banco e l’intero bazar; era masochista da parte di quel popolo ostentare ovunque la drammatica attualità dell’Afghanistan, sarebbe stato più saggio riservare un angolo ai sogni e quale miglior modo se non quello di dipingerli su quei tappeti al posto di figure regolari e anonime? Per ricordare a sé stessi e agli altri, a tutto il mondo, che odio e sofferenza non avrebbero mai potuto e dovuto spezzare le ali della speranza. Samuel preferì soffermarsi su un’antica costruzione, restaurata nel XVIII secolo, a forma romboidale con all’apice un paio di cupole concentriche che si confondevano nell’azzurro del cielo; era il Mausoleo Timur Shah[3], un importante simbolo per il popolo afghano, ma lo sguardo triste del ragazzo ne apprezzò solo le mura esterne, non percepì il desiderio di approfondire il significato grazie alla sua guida.
Finalmente la cupola della grande Moschea entrò nel campo visivo dei due uomini; essa non era il punto più alto della costruzione, un obelisco si protendeva verso il cielo e sfoggiava gli stessi colori della costruzione principale. Ogni passo che Samuel e Karim intraprendevano li conduceva in un’atmosfera più raccolta, intrinsecamente solenne, dove la folla si diradava. Persino l’americano, non praticante di quella religione, ebbe l’istinto di accarezzare il suolo con passo felpato e non di pestarlo con un’andatura svelta, benché il piazzale antistante fosse ampio e sgombro.
Mancavano pochi metri per raggiungere l’ingresso principale. Samuel, come era solito fare ogni volta che si avventurava su terreni sconosciuti, rimase un passo indietro a Karim; l’afghano non avvertì il ragazzo dell’atteggiamento rispettoso che dovesse essere tenuto all’interno, era abbastanza pudico di sua sponte. Il giovane osservò il religioso portamento che veniva raccomandato in una qualsiasi chiesa cristiana cattolica occidentale. Karim bloccò i passi del forestiero sulla soglia, i colori avevano tramortito i sensi di un occidentale abituato ad ambienti più sobri, era prevedibile l’impatto che ebbe su di lui il luogo. Il medico indicò i suoi sandali e li sfilò per riporli poi sullo scaffale accanto a loro; attese che l’altro compisse il medesimo gesto. Samuel rimase scalzo e gettò uno sguardo ai ripiani stracolmi di calzari, appartenenti principalmente a uomini. A sinistra un dispenser di caffettani[4] e copricapi – accompagnati da cestini di vimini che custodivano offerte – invitava i fedeli e i viaggiatori ad inoltrarsi nel luogo di preghiera con abiti decorosi. Davanti a loro si estendeva uno spazio vasto, sovraccaricato dalle tinte più disparate, archi e colonne; la conformazione e l’architettura interna impattavano prepotentemente sulla percezione; il grigio della polvere delle macerie e il nero della morte erano solo puntini indefiniti che si perdevano e sparivano nella trasparenza delle vetrate variopinte. I raggi del sole, alti in cielo ai primi chiarori dell’alba, filtravano e produceva giochi di luce, incrociando i colori delle vetrate diametralmente opposte e inondando così l’intero ambiente.
Quando Karim iniziò ad avanzare e Samuel lo seguì, la morbidezza dei tappeti che sfilavano sotto la pianta dei loro piedi mise il ragazzo a proprio agio, infondendogli familiarità. L’ampia sala era mezza deserta; erano presenti solo un paio di uomini impegnati nella preghiera che rimbombava con parole misteriose contro le mura e il soffitto – Karim con i gesti suggeriva a Samuel di non fissarli e di non passare loro accanto – e una donna che attendeva a testa china nei pressi di un ingresso marginale. Capì che era una donna dalle movenze e dal portamento delicati, ogni dettaglio era nascosto con rigore. Era la seconda volta in un giorno che il giovane toccava con mano la sottomissione del genere femminile; non era abituato, pensava alle donne della sua vita – la madre, la sorella e la fidanzata –, ognuna di loro aveva una propria personalità, in Afghanistan invece sembrava che le donne ne fossero prive, contenevano forzatamente la propria identità e lasciavano che esplodesse dentro di loro – l’unica via di fuga concessa. L’unica fonte di espressione era rappresentata dagli occhi, quando essi non erano rivolti al pavimento, nel pieno rispetto verso chi le circondava. Samuel si accostò al dottore e sussurrò, ispirato dai suoi pensieri, desiderava condividere la sua opinione a riguardo.
«Karim»
Quest’ultimo lo rimproverò in silenzio, non era né il luogo né il momento per conversare. L’afghano afferrò un lembo della stoffa della kurta all’altezza dell’avambraccio di Samuel e lo intimò a seguirlo con discrezione verso l’uscita secondaria. Passarono accanto alla donna misteriosa che si nascondeva con timidezza sotto un burka[5] scuro; lei alzò lo sguardo su di loro, fu un gesto utile solo a scostarsi un po’ più in là per rispettare le distanze tra l’uomo e la donna, in quel luogo sacro vigeva la massima severità sulle regole tradizionali; oltre ad una fitta rete di stoffa, i suoi occhi chiari fissarono l’uomo dalla pelle troppo chiara per essere un nativo. Karim lo tirò nella sua direzione con uno strattone; era stato preso alla sprovvista, aveva sfiorato il rischio di provocargli uno strappo muscolare. I piedi nudi di Samuel incontrarono bruscamente la dura e bollente pietra, provocandogli una smorfia di dolore; l’amico invece doveva essere temprato alle alte temperature, non fece una piega alla durezza che il tatto gli restituiva.
«Karim …»
«Samuel, non ti deve interessare. Non puoi fare nulla per loro, non puoi salvare tutte le donne di un intero Paese e vincere contro la tradizione, perché sarà sempre e solo Lei a vincere su di te. Non puoi nemmeno salvare Maryam, come non posso fare nulla io per lei. So che vorresti, voi americani state già facendo abbastanza per noi, nel bene e nel male. Non ti è consentito soggiornare qui da una manciata di giorni, criticare la nostra cultura e giudicarci. Non ne hai alcun diritto. Non intrometterti, Samuel. Se lo farai, sappi che io non ti aiuterò. Mi hai sentito?»
Karim aveva interpretato i suoi pensieri, non era stato capace di nascondere i suoi dubbi a riguardo della condizione in cui il popolo natio riversava. Erano parole ambigue però quelle del medico, avrebbe voluto agire, Samuel ne erano sicuro, ma si sentiva pressato dal mondo in cui viveva, da solo – o anche insieme – non avrebbe potuto scatenare alcuna rivoluzione; era più probabile venissero messi a tacere, sarebbe stato un sacrificio inutile, Karim preferiva servire il suo Paese in modo lecito, curando gli infermi e assistendo i moribondi.
«Karim, come puoi guardare senza fare nulla, senza lottare per lei? Non per tutte, solo per lei. Sai bene il destino che l’attende»
«Non sono suo padre, non ho alcun diritto sulla sua vita. Posso solo restarle vicino con discrezione – non potrei nemmeno farlo – e asciugare le sue lacrime senza sfiorarla»
La voce dell’uomo si era incrinata, Samuel senza proferire parola sull’argomento dall’inizio del loro viaggio aveva riaperto un cruccio nel cuore.
«Non voglio cambiare qualcosa, Karim. Non è la mia cultura a scandalizzarsi per la vita che trascorrono le vostre donne, è solo il mio cuore, ma in fondo io sono niente in confronto al resto del mondo. Però se soffri per lei significa che anche il tuo cuore ti sta urlando di aiutarla a riscoprire se stessa. Non può farcela da sola»
Un violento boato li interruppe, la terra tremò per una frazione di secondo e la confusione si impossessò di loro. Samuel trasalì, ma fu sollevato di scoprire che fosse ancora vivo e alcuna parte del suo corpo fosse dolorante; Karim chiuse gli occhi, non aveva temuto per loro, era abbastanza esperto da capire che la carneficina si era consumata a chilometri di distanza, temeva però di scoprire da quale direzione provenisse il denso fumo della morte e della distruzione. L’afghano si voltò e fece convergere il suo sguardo con quello di Samuel, entrambi avevano puntato le loro iridi sul medesimo angolo d’orizzonte; i soccorsi americani sorvolano già la zona sventrata ormai innumerevoli volte, buona parte del territorio era già un cumulo di rovine. Karim soffriva in egual misura ogni volta che il fragore delle esplosioni usciva dai suoi incubi e diventava reale, come quella mattina, così come accadeva ogni giorno; prese un respiro e mosse qualche passo verso il luogo dell’attentato, avevano con ogni probabilità a questo giro risparmiato il suo villaggio, ma non conosceva ancora il nome delle vittime, potevano essere amici, non poteva rimanere inerme.
«Karim, aspetta, non puoi andare laggiù, potrebbe esserci un secondo attentato. Gli americani staranno cercando di fermare il nemico, ci sarà una guerriglia»
«Non c’è alcuna guerriglia laggiù, Samuel, non c’è alcun nemico da punire, è saltato in aria insieme a poveri innocenti. Benvenuto in Afghanistan. Ti renderai presto conto che il velo addosso ad una donna è l’ultimo dei nostri problemi».
 


 


 


Ciao ragazzi!
Fosse per me vi riporterei tutte le foto in cui mi imbatto durante le mie ricerche, ma, onde evitare di riempirvi di riferimenti fotografici – ci pensano già le note – vi posto la più suggestiva che mi ha ispirata, la cui descrizione è inserita nel corso del capitolo.
Ho voluto intervallare con qualche descrizione più lieta, anche se è invitabile per me escludere la drammaticità da questa storia.
Ci stiamo addentrando nel vivo della trama, nel prossimo capitolo ritroveremo il capitano, l’ho accantonato per troppo tempo e attendevo solo il momento per farlo entrare in azione (azione secondaria per la sua missione, ma comunque molto importante).
Vi ringrazio davvero di cuore per il supporto, in particolare quello delle adorate fanciulle che mi dedicano parole bellissime! <3
A presto!
Un grande abbraccio
-Vale
 
 
[1] Versetti 23/24 – Sura 17.
[2] Tipo di pernice utilizzato per i combattimenti.
[3] Timur Shah è stato il fondatore della dinastia afghana Durrani, l’ultima che riuscì ad unire il Paese e a creare un impero in Asia centrale.
[4] Veste maschile lunga, di stoffa colorata spesso a righe, aperta sul davanti e con maniche molto ampie, tipica del Medio Oriente musulmano.
[5] Nella tradizione islamica, indumento femminile che copre tutto il corpo, lasciando solo una grata di tessuto a trama rada all’altezza degli occhi.
   
 
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