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Autore: Hi Ban    06/06/2020    0 recensioni
“Beh, immagino tu non abbia visto nessuno rospo, perciò-” il suo tentativo di mettere fine a quello spiacevole incontro fu interrotto da una voce proveniente dalle spalle di Fred. Aveva iniziato a battibeccare con lui dimenticandosi totalmente che non erano soli sul treno.
“Con chi stai parlando?” Un attimo dopo dietro di Fred comparve una faccia identica alla sua. Hermione era sconcertata: non ne esisteva solo uno così, ma due? Era finita in un mondo distopico in cui esistevano copie infinite di esseri umani capaci di irritarla a morte? Sperava seriamente che il fratello non fosse come lui o sarebbe fuggita lei dal treno in corsa.
“Con Hermione, George. È la ragazzina che sa a memoria Storia di Hogwarts.”
“Ciao Hermione che sa a memoria Storia di Hogwarts. Non sembra molto felice di vederti, però, Fred. Le hai annodato le scarpe come hai fatto con Ron prima?”
“Non tutti possono cadere di fronte al vostro fascino” si intromise un altro ragazzo – in quanti erano in quello scompartimento? – che sbucò da dietro i due gemelli stringendo tra le mani una scatola.

Cosa sarebbe successo se Fred e Hermione si fossero incontrati alla stazione di King's Cross?
Genere: Fluff, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Fred Weasley, Hermione Granger | Coppie: Fred Weasley/Hermione Granger
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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First Impressions
 
 
 
King’s Cross Station, binario 9 e ¾
 
Hermione inspirò ed espirò, esattamente come vedeva sua madre fare da anni quando la osservava fare yoga in soggiorno. In genere questo avveniva di sabato, quando lei non andava a scuola e lo studio dentistico era chiuso, perciò se ne stava compostamente seduta sul divano a leggere e di tanto in tanto buttava l’occhio verso la madre. Non aveva mai capito come qualcuno potesse trovare rilassante starsene in posizioni precarie, come ad esempio stare su due mani ed un piede, mentre il restante arto era rivolto verso il soffitto. Precariamente, appunto. Anche respirare diventava difficile così! Era molto meglio leggere qualcosa per godersi qualche momento di relax.
In quel momento, però, la ragazzina le stava provando proprio tutte per tranquillizzarsi; era appoggiata ad una spessa colonna di mattoni che usava anche come riparo e il suo cuore, la cui nuova ubicazione sembrava essere la sua gola, non era intenzionato a tornare al suo posto. Forse era per tutto il fracasso che c’era intorno a lei. Il binario era gremito di gente, dai finestrini del treno si sporgevano più persone di quelle che era certa che il mezzo potesse accogliere. E presto sarebbe dovuta salire anche lei.
Ma davvero, doveva darsi una calmata. Lei era Hermione Granger. Era una strega. O almeno così diceva la lettera che un gufo aveva recapitato a casa sua poco tempo prima. All’inizio aveva pensato fosse uno stupido scherzo dei poveri sciocchi che si prendevano gioco di lei a scuola – ogni giorno le affibbiavano nomignoli nuovi perché loro lo trovavano divertente – perciò aveva gettato la lettera nel camino. La sera però si era fatta prendere dal panico: quel che c’era scritto in quelle pergamene era troppo… forbito ed intelligente per essere opera dei buzzurri con cui doveva condividere l’ossigeno cinque giorni alla settimana. Forse aveva fatto un errore a buttarla, indirettamente aveva fatto vincere quegli stupidi bulletti perché aveva agito senza pensare. Però la lettera diceva anche che era stata accettata in una scuola di magia, cosa improbabile perché, beh, la magia non esisteva. Lei non aveva mai letto nulla di accreditato che testimoniasse il contrario. Fatto stava che quella sera non aveva chiuso occhio, intenta com’era a rigirarsi a destra e a manca nel tentativo di comprendere se avesse o no fatto la scelta giusta.
Fortunatamente tutti i suoi timori si erano dissipati il giorno dopo, quando un altro gufo aveva quasi distrutto una finestra nel tentativo di entrare in casa. Aveva anche morso il dito di suo padre, quando quest’ultimo aveva tentato di prendere per sé la lettera. Aveva lasciato la casa solo quando si era accertato che Hermione avesse preso la missiva. E dopo aver rubato una fetta di bacon. Comunque quella volta non aveva distrutto la lettera, ma ne aveva parlato con i genitori. E dopo varie peripezie erano giunti, quel mattino, al binario nove e tre quarti. Con peripezie si intende che il signor Granger aveva preso carta e penna e aveva scritto una lettera indirizzata vagamente a questa ‘Hogwarts’, chiedendo maggiori dettagli. “Se è una cosa vera in qualche modo risponderanno, no?”. Il giorno dopo la lettera doveva essere arrivata a destinazione, perché era giunto un barbagianni a consegnare nuove disposizioni.
Comunque, ora era lì. Al binario. Era una strega, nata babbana – aveva imparato già molti termini magici –, ma una strega.
E le streghe non si facevano prendere dal panico, erano calme, composte e controllate. Ovvero l’esatto opposto di quel che era lei. Perché Hermione stava sudando. Stava sudando freddo, caldo, tiepido. Stava mostrando tutti i possibili segni che un umano normale utilizzava per indicare il proprio stato di agitazione.
Hermione Granger, neo strega, era spaventata.
In quel momento si stava pentendo come non mai di aver detto ai suoi genitori di andare via. Aveva fatto la spavalda fino ad un attimo prima, non mostrandosi minimamente terrorizzata quando era stato il momento di schiantarsi contro il muro che divideva il binario nove dal binario dieci. Voleva rendere i genitori fieri di sé, non farli pentire di aver accettato per lei quello strambo destino senza pensarci due volte. Il modo migliore, secondo lei, era mostrarsi sicura di sé e assolutamente pronta ad affrontare tutto quel che le si sarebbe parato di fronte di lì in avanti. Voleva dargli delle prove concrete che lei poteva farcela da sola, ergo loro potevano andare, non c’era bisogno che aspettassero che il treno partisse. I signori Granger ogni tanto sorridevano tra di loro chiedendosi da chi avesse preso tutta quella tenacia e come facesse ad essere così integerrima a soli undici anni. Non che a otto o a cinque fosse stata diversa. La figlia non aveva fatto altro che renderli orgogliosi di lei, del suo cervello e del suo cuore. Tutta quella temerarietà però non era propriamente di casa: il signor Granger, per esempio, era uno straordinario dentista che aveva paura lui stesso del trapano e necessitava di minimo cinque giorni lavorativi per raccogliere tutto il coraggio di cui disponeva per andare da un altro dentista. Aveva escluso la moglie perché temeva di poterle staccare un dito a morsi.
Hermione chiuse gli occhi. Inspirò ed espirò. “Ce la puoi fare, Hermione. Non fare la sciocca” si sussurrò. Tenne serrate le palpebre per ancora qualche secondo, per darsi qualche altro incoraggiamento mentale. Tuttavia, tutto il suo allenamento mentale andò distrutto quando, riaprendo gli occhi, la prima cosa che vide fu ancora la locomotiva di colore rosso scarlatto e tutti i suoi futuri passeggeri.
“Datti un regolata, per l’amor del cielo!” Hermione sbuffò a se stessa e strinse i pugni, mostrando la stessa irritazione che avrebbe manifestato nei confronti di qualcun altro se avesse esibito un simile comportamento ridicolo.
Dannazione, era imbarazzante.
Era felice di non conoscere nessuno perché si sarebbe odiata per mesi se qualcuno l’avesse vista in difficoltà. Aveva imparato presto che ogni debolezza poteva essere utilizzata dagli altri come un’arma e lei si era sempre impegnata per essere impeccabile. Pure quando aveva scoperto che gli sciocchi si attaccavano comunque a qualsiasi cavillo esistente non aveva smesso di mostrarsi inappuntabile. Quello era il motivo per cui era nascosta dietro la colonna: non voleva dare nell’occhio fino a che non avesse avuto modo di riprendere controllo di sé. Non avrebbe assolutamente permesso che qualcuno la notasse così spaventata e fuori luogo per poi ricordarsi di lei anche ad Hogwarts.
Le prima impressioni erano importanti.
Presa dall’agitazione, però, Hermione non aveva notato due cose. In primis, era pieno di studenti del primo anno che sembravano in procinto di vomitarsi sui piedi, come il giovanotto che stringeva spasmodicamente un rospo alla ricerca di una vita di fuga – sia il proprietario che l’anfibio – o l’altro ragazzino mingherlino che spingeva un carrello che probabilmente pesava tre volte quanto lui. Seconda cosa, sfortunatamente per lei era impossibile passare totalmente inosservati.
Infatti qualcuno si era accorto di lei, eccome.
“Secondo me non cade” disse una voce divertita alle sue spalle, facendola sobbalzare. Non che il suo cuore avesse smesso di simulare un collasso cardiaco, ma quell’ultimo evento sicuramente aveva peggiorato la già grave situazione. Si girò di scatto, facendo ondeggiare le pieghe della gonna verde scuro che aveva scelto quel mattino. Dietro di lei trovò un ragazzo più alto di lei, con una chioma di capelli rosso fuoco e una spolverata di lentiggini sul naso e sulle guance. Per qualche strano motivo, quei tratti le parvero immediatamente come un marchio di fabbrica. Difficile da dimenticare e da ignorare, insomma. Neanche lei poteva immaginare quanto quella prima impressione si sarebbe rivelata vera. Specialmente il difficilmente ignorabile.
“Cosa?” fu la prima cosa che uscì dalla bocca di Hermione. A lei non piaceva sembrare tonta in nessuna occasione, perciò quando si rese conto del tono confuso con cui aveva posto la domanda si affrettò ad aggiungere: “Non so di cosa tu stia parlando.”
Mettersi sulla difensiva era un ottimo modo per riguadagnare il vantaggio che lei chiaramente pensava di aver perso in quella discussione appena avviata e avere il coltello dalla parte del manico era qualcosa che le dava sempre un indiscusso senso di sicurezza. Era preoccupante e allo stesso tempo affascinante che già a undici anni si fosse costruita un’armatura così ben assemblata.
“La colonna. Secondo me non cade, è fatta di mattoni e tenuta insieme con chissà quanti incantesimi, non cadrebbe neanche con delle cannonate” commentò ancora sorridendo. Dettò ciò ci diede qualche spallata, come a voler dimostrare che niente, neanche i suoi colpi ben assestati, potevano nulla contro quella colonna.
Hermione inarcò un sopracciglio, scettica. “E perché dovrebbe essere di interesse? Poi lo so benissimo come è stata costruita questa stazione. L’ho letto in Grandi Invenzioni del Mondo Magico, lì c’è scritto tutto: prima gli studenti erano costretti ad utilizzare delle Passaporte per giungere ad Hogwarts, ma oltre ad essere pericoloso era anche una soluzione scomoda, perciò è stato deciso di utilizzare il treno come mezzo di trasporto. Lo sai il numero di incantesimi di memoria che sono stati fatti per non far scoprire nulla ai babbani? Ben-”
“Certo che tu parli veramente tanto” la interruppe il ragazzo, con un’espressione esterrefatta in volto. Hermione arrossì ferocemente, perché in genere il suo sfoggio di conoscenza serviva a mettere a tacere il suo interlocutore, eppure il ragazzo davanti a lei sembrò completamente ignorare quel che aveva detto. Peggio ancora, le parlò di nuovo: “Se sai tutto su queste colonne e sai che non cadono, perché la stai abbracciando con tanto ardore?” le chiese con un sorrisetto dispettoso.
La ragazza arrossì ancora di più se possibile. Solo in quel momento, buttando velocemente l’occhio sulle sue braccia, si rese conto di essere così tanto attaccata alla colonna da sembrare che la stesse abbracciando. Il suo tentativo di passare inosservata nascondendosi dietro la pila di mattoni aveva avuto l’effetto opposto, perché aveva attirato l’attenzione di quel noioso ragazzo dai capelli rossi. Ora lui stava apertamente ridacchiando di fronte alla sua presa di consapevolezza e continuò senza timore quando Hermione si staccò velocemente dal pilastro, per assumere una postura rigida. Ora era completamente rivolta verso di lui; la locomotiva che fino ad un attimo prima l’aveva mandata nel panico ora era alle sue spalle, dimenticata. Incrociò le braccia al petto, alzando anche il mento un po’ più in su per dimostrare che lei non era intimorita né imbarazzata da quello scambio di battute. In realtà avrebbe voluto nascondersi dietro un’altra colonna, ma lei non scappava mai. Ergo, non si lasciò intimidire.
“Per tua informazione, non la stavo abbracciando, mi stavo solo appoggiando.”
“Ah, sì? Ed è comodo? Fa’ provare” suggerì lui, per poi appoggiarsi completamente con la spalla sinistra ai mattoni. “Lo trovo veramente scomodo” le riferì dopo qualche attimo, al termine della sua ispezione.
Hermione aveva ancora le guance rosse, ma questa volta era per l’irritazione. Come si permetteva quello sconosciuto invadente di prenderla in giro? Perché si stava proprio prendendo gioco di lei e a Hermione non era mai piaciuto essere il soggetto delle battute di qualcuno. Essendo costretta ad andare a scuola con dei tonti come quelli che aveva come compagni, si poteva dire che ci avesse fatto l’abitudine. Ormai sapeva rispondere a tono quando necessario e sapeva ignorare quando non valeva neanche la pena concedere loro la minima attenzione. Non capiva, però, perché quel ragazzo con i capelli rossi riuscisse ad irritarla così tanto.
Si disse che era per colpa dell’agitazione che stava cercando di combattere fino a qualche minuto prima.
Inspirò con forza dal naso. “Pensi di essere divertente?”
“Qualche volta, sì.”
Hermione sbuffò, piantando bene i piedi per terra. In quei casi la cosa migliore da fare era andarsene. “Beh, se non ti dispiace, io avrei un treno da prendere-”
Il ragazzo sorrise e piegò la testa di lato, affondando le mani nelle tasche dei pantaloni. La sua postura, a differenza di quella di Hermione, indicava che lui era totalmente a suo agio e si stava divertendo. Come poteva essere diversamente? Era interessante parlare con qualcuno che, allo stesso tempo, dava sia l’impressione di voler fuggire sia di saper tenere testa a chiunque le si fosse parato davanti.
“Come ti chiami?” le chiese allora, perché quella sera avrebbe tenuto le orecchie ben aperte per scoprire dove sarebbe finita ad Hogwarts. Una così non poteva che andare a Grifondoro. Anche se tutto il sapere che aveva iniziato a sciorinargli prima un po’ puzzava di Corvonero.
Hermione batté un paio di volte le palpebre con confusione.
“Cosa?” domandò accigliata, volendo prendersi nuovamente a calci per l’impressione che stava dando con quei continui ‘cosa’ con cui se ne usciva. Perché era la seconda volta che era costretta a rispondergli così? Non era abituata a interagire con persone che la mettevano in difficoltà.
“Ti ho chiesto se hai un nome” ripeté lui con semplicità. In effetti era una domanda poco complicata, grammaticalmente parlando, ma era fonte di grande confusione per Hermione in tutti gli altri sensi.
“Sì, ce l’ho” confermò Hermione, cercando di riprendersi in fretta.
“E qual è?”
“Ho detto che ce l’ho, non che te lo avrei detto.” Scacco matto. “Non condivido questo genere di informazioni sensibili con il primo che capita.”
Sorrisero entrambi. Lei perché aveva ripreso il coltello dalla parte del manico, lui perché aveva trovato qualcuno di interessante da irritare. Informazioni sensibili, mh? Il giovane dai capelli rossi sorrise, ripetendosi in testa quei termini forbiti. Quella ragazzina era insopportabile e spassosa allo stesso tempo, ma aveva come l’impressione che lei stessa non fosse completamente a conoscenza dell’impressione che dava al prossimo.
“Ora, come dicevo, devo-” Non fece in tempo a finire la frase perché venne richiamata da una voce alle sue spalle: “Hermione, tesoro!”
La ragazza si voltò sentendo chiamare il suo nome, per vedere i suoi genitori che si stavano dirigendo vero di lei con un pacchetto regalo tra le mani. Non se ne erano davvero andati, avevano solo concesso alla figlia il suo sentimento di indipendenza; di certo non l’avrebbero lasciata partire senza poter vedere il suo viso fino all’ultimo. Erano invece andati a comprarle un piccolo regalo di buon viaggio.
Per un attimo Hermione sorrise ai genitori, felice che non l’avessero davvero lasciata sola, ma la contentezza non ebbe vita lunga perché sentì una risata non troppo ben soffocata provenire dall’antipatico ragazzo che, chiaramente, non se n’era andato. Involontariamente aveva scoperto il suo nome.
“Hermione, eh? Beh, Hermione, io mi chiamo Fred, Hermione. Ci si vede in giro, Hermione!”
Fred le regalò un ultimo sorriso sbarazzino prima di girarsi per raggiungere un gruppetto di persone, tutte con i capelli rossi, lasciando Hermione con le mani strette a pugno e un grave caso di irritazione, mista ad imbarazzo e ammutolimento.
Sperava di non doverlo vedere mai più per tutti i seguenti sette anni, ma si sbagliava.
Oh, si sbagliava di grosso.
 
 
***
 
 
Espresso per Hogwarts, quasi in Scozia ma non ancora
 
Hermione non era il tipo di persona che se ne sapeva stare con le mani in mano. Aveva bisogno di fare qualcosa, avere le mani in pasta per così dire. Doveva rendersi utile. Caso voleva che un ragazzo avesse perso il suo rospo e lo stesse cercando disperatamente. Diceva di essere sicuro di averlo portato con sé sul treno, perciò non poteva essere andato così lontano e Hermione dubitava si fosse lanciato dal finestrino. Il suo primo istinto fu quello di aiutare Neville – il proprietario dell’anfibio –, perché stare seduta per tutto il viaggio non era qualcosa che sarebbe riuscita a fare. Certo, aveva qualche libro da leggere, ma c’erano momenti in cui anche lei non riusciva a lasciarsi andare a quel passatempo.
Ecco perché ora stava passando di scompartimento in scompartimento per chiedere se qualcuno avesse visto il rospo. Aveva già controllato metà del treno, ricevuto degli sguardi confusi e delle parole poco gentili da quelli che fin troppo presto avrebbe scoperto essere dei Serpeverde. Proprio mentre si stava apprestando a far scorrere l’ennesima porta, quest’ultima si aprì da sola. O meglio, la aprì qualcuno dall’interno e quel qualcuno aveva dei capelli rossi, delle lentiggini e, nel complesso, un volto fin troppo familiare.
Era il rosso di prima che aveva detto di chiamarsi Fred.
“Sei passata dal non volermi dire il tuo nome al cercarmi per tutto il treno?” chiese il ragazzo, cogliendo l’opportunità per irritarla un po’. Esattamente come si aspettava, la vide gonfiare un po’ le guance con fare indispettito. Quando l’aveva scorta sul binario, in disparte e aggrappata alla colonna nel chiaro tentativo di gestire l’ansia che l’attanagliava, non era riuscito a trattenere i suoi piedi dal muoversi in quella direzione.
Mai scelta si era rivelata più azzeccata.
“Ah-ah. Giusto, tu hai detto di ritenerti divertente qualche volta. Beh, ora non lo sei molto, considerando che di certo non stavo cercando te, ma-” l’irritato discorso di Hermione fu interrotto con nonchalance da Fred, che si mise in mezzo ignorando qualsiasi regola non scritta riguardante le interazioni verbali. Non era il suo turno di parlare!, protestò mentalmente lei.
“Sì, sì, stavi cercando la rana che quel ragazzo continua a perdere, lo sa tutto il treno, probabilmente anche ad Hogwarts è già arrivata la notizia. Dannata rana fedifraga” aggiunse con finto sdegno.
“È un rospo.”
“Ah. Dannato rospo fedifrago!”
Hermione alzò gli occhi al cielo, perché certe situazioni lo richiedevano e basta. Quel ragazzo era fin troppo irritante, come facevano i suoi genitori a sopportarlo? Lei voleva buttarlo giù dal treno in corso e ci aveva parlato per dieci minuti in totale.
“Beh, immagino tu non abbia visto nessuno rospo, perciò-” il suo tentativo di mettere fine a quello spiacevole incontro fu interrotto da una voce proveniente dalle spalle di Fred. Aveva iniziato a battibeccare con lui dimenticandosi totalmente che non erano soli sul treno.
“Con chi stai parlando?” Un attimo dopo dietro di Fred comparve una faccia identica alla sua. Hermione era sconcertata: non ne esisteva solo uno così, ma due? Era finita in un mondo distopico in cui esistevano copie infinite di esseri umani capaci di irritarla a morte? Sperava seriamente che il fratello non fosse come lui o sarebbe fuggita lei dal treno in corsa.
“Con Hermione, George. È la ragazzina che sa a memoria Storia di Hogwarts.”
“Ciao Hermione che sa a memoria Storia di Hogwarts. Non sembra molto felice di vederti, però, Fred. Le hai annodato le scarpe come hai fatto con Ron prima?”
“Non tutti possono cadere di fronte al vostro fascino” si intromise un altro ragazzo – in quanti erano in quello scompartimento? – che sbucò da dietro i due gemelli stringendo tra le mani una scatola.
“Tu, gemello che non irrita i futuri studenti – direi una Grifondoro a giudicare dalla faccia, benvenuta! – accompagnami a comprare qualcosa dal carrello, la tarantola ha fame ma non so cosa mangi perciò proverò un po’ di tutto.” Detto ciò, i due sparirono.
Hermione si morse il labbro nel tentativo di non rispondere, perché ovviamente lei aveva già in mente un paio di cose che una tarantola avrebbe mangiato più volentieri di uno snack per umani. A giudicare dall’espressione divertita anche Fred sapeva che la ragazza si stava trattenendo dal rivelare al mondo la risposta che aveva sulla punta della lingua.
Rimasero in silenzio per quelle che a Hermione parvero ore, ma in realtà erano stati sì e no trentacinque secondi. Alla fine lei esplose, perché era uno spreco nascondere al mondo tutta la sua irritazione.
“Per tua informazione, non so a memoria Storia di Hogwarts e il libro che ho nominato prima è Grandi Invenzioni del Mondo Magico. E smettila dire il mio nome a vanvera!” sbottò alla fine lei, incrociando le braccia al petto. Ebbe un piccolo déjà-vu del loro precedente incontro alla piattaforma, ma lo scaccio in fretta dalla sua testa.
“Ma di sicuro avrai letto anche Storia di Hogwarts, vero, Hermione?”
“Sì” ammise imbarazzata. Da quando la sua conoscenza la metteva in imbarazzo? Più i minuti passavano, più quel Fred le stava antipatico. “Ti ho detto di piantarla di dire il mio nome!”
Si rendeva conto anche lei di quanto suonasse infantile quella polemica, ma era una questione di principio. Non gli aveva rivelato volontariamente come si chiamava perciò non poteva andare in giro a sbandierarlo ai quattro venti come se ne avesse il permesso.
“E perché?” si informò Fred con finta innocenza, mostrandole quei denti bianchi che lei stava iniziando ad odiare. Non era per la violenza fisica, più per quella verbale e ben studiata, ma non le sarebbe dispiaciuto se, in quel momento, ne avesse accidentalmente persi uno o due. Quando poi lui aggiunse l’ennesimo “Hermione” fu veramente tentata di sbattergli un libro sulla faccia, così da unire la violenza fisica a quella verbale a cui era abituata – nei libri c’erano delle parole e per lei quello non era cavillare, no.
“Perché non ci conosciamo e non siamo amici” abbaiò, infelice di scoprire che la sua compostezza era nuovamente svanita, inghiottita da quel fastidioso individuo.
“Come possiamo diventarlo se non ci chiamiamo nemmeno per nome? Tipo tu puoi chiamarmi Fred, te l’ho detto prima come mi chiamo. Non la ritengo un’informazione sensibile, tranquilla.”
Le aveva appena fatto l’occhiolino.
Ma come si permetteva? Si ripromise mentalmente che si sarebbe infilzata da sola con la bacchetta se fosse finita nella sua stessa Casa.
“Sei estremamente sfacciato!” lo rimproverò Hermione, consapevole che quella critica gli sarebbe scivolata addosso, senza lasciare alcun segno. Lei non era abituata a persone così spigliatamente sfrontate e Fred ne era l’emblema. Sperava che a Hogwarts le persone così fossero una minoranza. Speranza mossa solo dal fatto che ancora non sapeva dell’esistenza dei Serpeverde.
“Ero sicuro di essermi svegliato con la faccia, stamattina, ma forse non mi sono visto bene allo specchio e sono uscito senza naso o qualcosa. Puoi confermarmi che almeno le orecchie ci sono?” Fred parlò in tono serio, ma lo scintillio nei suoi occhi tradiva tutto il divertimento che stava provando. Lo sapeva anche lui che il giochino che aveva fatto sulla parola sfacciato era più stupido del solito, ma per qualche strana ragione prendere in giro – bonariamente secondo lui, maleducatamente secondo lei – quella ragazza dava grandi soddisfazioni.
Hermione dal canto suo era tentata di smontare quel ridicolo gioco di parole, perché era quello che faceva di solito: manteneva la sua compostezza usando il suo saggio cervello. Fred però sembrava premere quel pulsante dentro di lei che metteva da parte il suo intelletto e la faceva agire in modo irrazionale, ad esempio continuando quello sciocco battibecco che stava andando avanti da fin troppo tempo. Inutile specificare quale parte vinse.
“Sei davvero irritante. Dai così tanta confidenza a tutte le persone che incontri per la prima volta?”
“In genere nessuno si lamenta delle mie abilità sociali” celiò serafico.
“In genere, appunto” lo gelò lei, non desiderosa di essere accomunata al resto della popolazione che chiaramente non ci trovava nulla di sbagliato nell’invadenza di Fred. Il suo sguardo infastidito avrebbe avuto molto più effetto se improvvisamente il treno non avesse sbandato, rischiando di farla cadere per terra.
“Attenta” avvertì lui, che doveva averci fatto il callo a quegli scossoni, a giudicare dalla perfetta stabilità. Hermione aggrottò ancora di più le sopracciglia e strinse le braccia al petto con maggiore forza, come a voler segnalare che lei non aveva bisogno dell’aiuto di nessuno. All’ennesimo colpo del treno decise però di appoggiare la schiena alla parete dietro di sé, perché era chiaro che di quel passo avrebbe incontrato presto la moquette che rivestiva il pavimento.
Il ragazzo si schiarì la voce, dopo averla guardata di nuovo con quel sorriso divertito, ma che nascondeva qualcosa che Hermione non riusciva a leggere. Ogni volta che ci pensava lui se ne usciva con qualcosa di provocatorio che le faceva perdere il filo dei pensieri.
“Ne devo dedurre che non vuoi approfondire la nostra conoscenza, Hermione?”
“Non avrei nemmeno voluto iniziarla.” Hermione stava letteralmente digrignando i denti. Non sapeva nemmeno lei quando era stata l’ultima volta che si era lasciata andare a comportamenti così poco controllati.
“Che brutalità. Forse è una Serpeverde” sussurrò lui, fingendo un brivido di freddo.
“Cosa hai detto?”
“Nulla, nulla. Perciò non mi dirai neanche il tuo cognome?”
Lei gli lanciò un’occhiataccia che diceva tutto.
“Va beh, tanto lo urlerà la McGranitt stasera a cena. Gran vocione quella donna” mormorò un’altra volta.
“Perché stai bisbigliando?”
“Perché così non sono più l’unico ad essere curioso” borbottò spudoratamente, rendendo le parole incomprensibili.
“Oh, ma smettila ti ho detto!”
Fred scoppiò a ridere. Forse avrebbe concesso un po’ di pace a Ron, perché aveva trovato qualcun altro da assillare. Poi non c’era molto divertimento con Ronnie, dopo undici anni passati assieme ancora non aveva capito che c’era poco da fidarsi dei due gemelli; eppure quel mattino a colazione era diventato verde per la nausea quando lui e George gli avevano detto che lo Smistamento consisteva in una prova dolorosissima.
‘Mamma, forse vi siete sbagliati tutti, Silente compreso, e io non sono un mago. Ripensiamoci, m-mh?’ Ron aveva provato a tirarsi indietro, ma alla fine aveva preso il treno per Hogwarts perché una Molly Weasley adirata era comunque più spaventosa di qualsiasi prova avrebbe dovuto affrontare per essere smistato.
Comunque, il piccolo incontro-scontro tra Hermione e Fred fu interrotto da una voce disperata che giunse da due scompartimenti più in giù: “Oscar? Dove sei finito? Non voglio neanche immaginare cosa dirà la nonna quando le dirò che ti ho perso. Di nuovo.” Il tono sconfortato del ragazzo ricordò a Hermione cosa stava facendo prima di mettersi a parlare con Fred. Quest’ultimo le sorrise e le fece cenno con la testa di raggiungere il giovane disperato che stava già impallidendo pensando alla lettera che avrebbe ricevuto dallo zio Algie per aver perso il suo regalo.
“Se dovessi vedere un rospo te lo farò sapere, Hermione!”
“Non ce n’è bisogno, Fred” sbottò lei prima di girare sui tacchi e sparire il più lontano possibile, irritata dall’assurdità di quella situazione.
Fred invece sorrise e rimase a guardarla scappare via.
“Ci si vede in giro, Hermione. Sarà davvero un anno divertente.”
 
 
***
 
 
[Mentre rileggevo il primo libro di Harry Potter mi sono chiesta cosa sarebbe successo se Hermione avesse incrociato Fred al binario e da lì è nata questa storiella breve. In fondo da qualche parte questi due dovevano pur cominciare, no? Ecco, nella mia testa prima è meglio è!
Non so se la Rowling abbia mai parlato di come Hermione abbia ricevuto la sua lettera, perciò mi sono presa la libertà di inventarmi una o due – facciamo tre – cose. La storia della creazione dell’Espresso per Hogwarts, invece, non me la sono inventata, ma l’ha rivelato davvero lei.
Il titolo l’ho bellamente copiato a Jane Austen, ma calzava a pennello considerando che qui l’intero incontro si basa sulle prime impressioni che lei ha di lui e viceversa.]
  
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