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Autore: Soul Mancini    07/06/2020    7 recensioni
Al piccolo Ethan piacciono i temi scolastici, gli piace scrivere e non gli costa niente riempire pagine intere di inchiostro e pensieri.
Ma una mattina il maestro Redding assegna alla sua classe una traccia che al bambino proprio non va giù: "Racconta la tua nascita e i primi anni della tua infanzia, fino all’ingresso alle scuole elementari".
Semplicemente Ethan non vuole ricordare e vuole custodire gelosamente il suo passato, ma si ritroverà ad affrontare un insegnante che non vuole lasciargliela passare liscia.
DAL TESTO:
«Leggo ancora quella dannata frase che ho ricopiato dalla lavagna e picchietto la punta della penna sul banco. Forse sarebbe stato meglio se oggi me ne fossi rimasto a casa.
Ma del resto non potevo sapere che il maestro Redding ci avrebbe fatto fare un tema così idiota: prima di tutto non posso raccontare la mia storia ai quattro venti col rischio che mandino via la mia famiglia dall’America a calci in culo – o, peggio ancora, che mettano i miei fratelli in galera –, e poi che senso ha raccontare qualcosa che non possiamo ricordarci? E se un alunno fosse orfano e non sapesse nulla della sua nascita?»
Genere: Comico, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Kidfic | Avvertimenti: Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'Needles'
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Ink memories
 

 
 
 
Racconta la tua nascita e i primi anni della tua infanzia, fino all’ingresso alle scuole elementari.
 
Leggo ancora quella dannata frase che ho ricopiato dalla lavagna e picchietto la punta della penna sul banco. Forse sarebbe stato meglio se oggi me ne fossi rimasto a casa.
Ma del resto non potevo sapere che il maestro Redding ci avrebbe fatto fare un tema così idiota: prima di tutto non posso raccontare la mia storia ai quattro venti col rischio che mandino via la mia famiglia dall’America a calci in culo – o, peggio ancora, che mettano i miei fratelli in galera –, e poi che senso ha raccontare qualcosa che non possiamo ricordarci? E se un alunno fosse orfano e non sapesse nulla della sua nascita?
Faccio giocare la lingua col dentino che mi si sta per staccare – forse è un incisivo o un canino, non lo so, questi nomi mi confondono sempre – e lo sento dondolare sempre più forte, sta cominciando a darmi sui nervi. Fa un po’ schifo che ai bambini della mia età cadano i denti.
Sbircio ancora una volta il mio foglio, poi ci poggio sopra la penna con un sospiro; basta, ci rinuncio. Detesto l’idea che, siccome siamo bambini, dobbiamo per forza sputtanare i fatti nostri agli insegnanti, cosa gliene frega del mio passato? Consegnerò il compito in bianco, pazienza.
Con la coda dell’occhio osservo Sammy, il mio compagno di banco, che ha già cominciato a scrivere veloce sul suo foglio con la testa bassa e una cascata di capelli ricci e rosso acceso che gli copre il viso. Sammy mi fa ridere perché durante i temi si concentra e si impegna tantissimo, ma non riesce a mettere in fila due parole senza fare qualche errore di grammatica e si becca un’insufficienza tutte le volte.
È più probabile che io prenda un voto più alto di lui, anche se consegno il foglio vuoto.
Anzi, chi lo dice che rimarrà del tutto in bianco? Potrei sempre decorarlo, almeno il maestro Redding avrebbe qualcosa da guardare.
Sposto lo sguardo sull’insegnante, impegnato a sfogliare un libro – forse sta preparando qualche lezione – e poi lo porto nuovamente sul mio foglio. Afferro la penna nera e comincio a disegnare la prima cosa che mi viene in mente: un drago.
I draghi sono fighi, mi fanno pensare a qualcosa di potente e mi piace il fatto che sputino fuoco. Non che io sia un grande esperto, ma mi è capitato di vederne qualcuno in qualche stupido cartone animato. Comunque sono belli da disegnare.
Traccio con attenzione la testa, il corpo ricoperto di squame, le ali, le zampe… e tante fiamme tutte intorno, deve proprio andare a fuoco. Peccato che il maestro non ci permetta di prendere i colori o la penna rossa, altrimenti sarebbe un capolavoro!
A ben pensarci potrei fare un disegno del genere sul mio skate, che è troppo anonimo e per niente figo. Oh sì, in stile graffito, magari anche un po’ impreciso…
Smetto di giocherellare col dentino che dondola e mi volto appena verso destra. “Sammy?”
Il mio compagno di banco sobbalza sorpreso, poi mi guarda stralunato, come se fosse appena tornato alla realtà. “Dimmi” bisbiglia.
“Questo pomeriggio mi servirebbe della vernice… ce la procuriamo?”
Lui sgrana gli occhi. “Vernice? A cosa ti serve? E dove pensi di prenderla?”
“Voglio fare un disegno sul mio skate. Però non so ancora di preciso che colori mi servono…”
“Ethan, Samuel! Vi sembra questo il momento di chiacchierare? Vi ricordo che siamo nel bel mezzo di un tema per cui riceverete un voto!” ci interrompe Redding cercando di usare il suo tono più autoritario.
Ma la verità è che non ce la fa proprio a rimproverarci.
Il maestro Redding è un uomo sulla quarantina troppo buono e dolce per essere finito a insegnare nel ghetto, si vede che è una persona perbene e non capisco proprio cosa ci faccia nella nostra scuola. A differenza degli altri maestri e delle altre maestre, che sono tutti pervertiti e puttane, lui ci tiene davvero a noi e si impegna per fare le lezioni, per coinvolgerci e insegnarci le cose. Per esempio a me dice sempre che sono molto bravo a scrivere e disegnare, che imparo in fretta e sono un ragazzino sveglio.
Pure troppo, visto quanto lo faccio dannare.
Lo guardo dritto nei suoi occhi grigi e paterni e metto su un sorrisetto innocente. “Lo sappiamo, maestro. Ma veramente io avrei finito.”
“Non prendermi in giro, Ethan: sono passati solo venti minuti” ribatte lui aggrottando le sopracciglia.
“Non sto scherzando.” Passo la mano per l’ultima volta sul disegno del mio bellissimo drago, poi mi alzo e lo porto alla cattedra; lo poggio sul piano ancora vuoto e incrocio le braccia al petto con orgoglio.
Redding strabuzza gli occhi per un istante e impallidisce, poi mi regala un’occhiata severa e per niente divertita.
Chiunque abbasserebbe il capo e smetterebbe di sorridere sotto i baffi a questo punto, ma non io: sostengo il suo sguardo senza battere ciglio.
“E questo cosa dovrebbe significare? Vuoi essere per caso sospeso, ragazzino?” sbotta il maestro. Magari questa è la volta buona che lo faccio incazzare davvero.
“Non ho niente da scrivere per questo tema” mi giustifico.
“Sai cos’è questo?” Indica il foglio con un ampio gesto della mano. Sta cercando di mantenere la calma, ma mi rendo conto che sta facendo fatica per via della vena del collo che ha cominciato a pulsargli.
“Un drago” affermo senza esitazione.
“Un’insufficienza! Anzi, questo compito non è nemmeno qualificabile! Siamo solo a ottobre e tu stai cominciando l’anno nel modo sbagliato, ma non pensare di poterla passare liscia…”
Ma io ho smesso di ascoltarlo: a furia di torturare quel dentino, ha finito per staccarsi e adesso me lo sono ritrovato in bocca insieme a un disgustoso sapore di sangue. Cazzo, è successo proprio nel momento peggiore…
O forse no?
Senza nessun preavviso sputo il dente proprio sopra il foglio, macchiandolo di sangue e saliva, poi mi lascio sfuggire un sorriso.
Intorno a me si scatena il finimondo: alcuni miei compagni urlano disgustati, altri scoppiano a ridere e il maestro Redding batte con forza un pugno sulla cattedra per riportare la classe all’ordine; dopo qualche secondo, vedendo che i suoi sforzi non servono a niente, torna a concentrarsi su di me e mi incenerisce con un’occhiata ostile, come non aveva mai fatto prima.
Forse stavolta ho esagerato un po’. Ah, fanculo, è troppo divertente!
“Ethan AraÚjo, io non so nemmeno con che parole definirti” ringhia, la voce gelida.
“Ehm… maestro, posso andare a sciacquarmi la bocca?” gli chiedo con fare da finto tonto, senza smettere di sorridere.
“Esci da questa stanza e non tornarci fino alla fine dell’ora! E non credere che sia finita qui, stavolta mi vedrò costretto a prendere provvedimenti seri. Hai tirato troppo la corda, signorino!”
Mi avvio tranquillo verso l’uscita: in un modo o nell’altro alla fine sono riuscito a saltare questo compito.
“Ehi, Ethan!” mi richiama la voce di Mitchell – un mio amico del quartiere – in mezzo a tutto il casino della classe.
Mi volto verso di lui, seduto all’ultimo banco, e gli faccio segno di parlare.
“Posso prendere io il tuo dente? Magari la fatina dei denti mi porta qualcosa!” sputacchia lui col suo solito atteggiamento impertinente. Non per niente è uno dei miei compagni di scorribande preferiti.
Gli strizzo l’occhio. “Per i miei denti non passano fatine, soltanto fattoni!”
“Ho detto fuori!” sbraita Redding sempre più incazzato.
Va bene, è il caso che la pianti.
Esco in corridoio e mi dirigo in bagno continuando a ridacchiare tra me.
 
 
La campanella suona, annunciando la fine delle lezioni.
Getto a casaccio dentro il mio zaino sudicio e stracciato quelle due cose che avevo sul banco e me lo getto in spalla, pronto a uscire. Io e Sammy dobbiamo andare a cercare della vernice per il mio skate.
“Io però non ho tantissimi soldi, questa settimana papà mi ha dato giusto il tanto per comprare la merenda” afferma Sammy mentre ci avviamo fuori dalla classe, frugandosi nelle tasche dei pantaloni e portando fuori solo qualche spicciolo.
“Dovrei avere qualcosa io. E se non basta, possiamo sempre rubarla.” Mi stringo nelle spalle.
“Vuoi disegnare lo stesso drago di oggi?” mi chiede il mio amico curioso, mettendo su il suo solito sorrisone entusiasta.
“Sì. E ho anche scelto i colori, quello schizzo di sangue mi ha ispirato molto.”
“Non così in fretta, Ethan.”
Stiamo per lasciare l’aula quando la voce del maestro Redding mi giunge alle orecchie. Ecco, un po’ me l’aspettavo.
Mi volto e lo osservo, lasciandomi sfuggire un sospiro. Non vedo l’ora di uscire da questa gabbia, ci manca solo che mi trattenga ancora.
“E non fare quella faccia, se c’è una persona che dovrebbe essere infastidita qui sono io. Vieni qui, dobbiamo fare una bella chiacchierata.” È in piedi accanto alla cattedra, tiene le braccia incrociate al petto e le sopracciglia aggrottate.
“Aspettami fuori” borbotto rivolto a Sammy, poi raggiungo il maestro e mi piazzo davanti a lui a testa alta.
“Ragazzo mio, tu ti devi ritenere molto fortunato. Il gesto di stamattina è stato talmente oltraggioso che, se al mio posto ci fosse stato qualsiasi altro insegnante, saresti già finito dal preside, i tuoi genitori sarebbero stati convocati e probabilmente rischieresti l’espulsione. Non solo hai pasticciato e consegnato un compito in classe, un documento ufficiale, ma ci hai pure sputato sopra, mancando di rispetto a me, ai tuoi compagni e all’intera scuola. Del resto questa non è nemmeno la prima volta che ti rendi protagonista di qualche azione illecita e ingiustificabile, nonostante gli sforzi della scuola non accenni a cambiare e a riconoscere i tuoi errori.”
Evito di sbadigliargli in faccia solo perché sono già abbastanza nei casini. Tutto molto interessante, ma quand’è che arriva al punto? Io voglio tornarmene a casa.
“Tuttavia io ti conosco da tre anni e so che c’è del potenziale in te: i tuoi temi sono sempre eccellenti, hai un gran talento per la scrittura e per l’inglese e voglio sperare che quello di oggi sia un evento isolato. Perciò, al solo scopo di incoraggiarti, voglio darti una seconda possibilità, fiducioso che stavolta non la sprecherai.” Fa una pausa a effetto e il suo viso si illumina appena, sembra quasi che stia per sorridere ma non lo fa. “Entro domani voglio il tuo tema sulla traccia che ho dato oggi in classe. Domani, non un giorno di più.”
Sgrano gli occhi. “Ma, maestro…”
“Senza se e senza ma!” mi interrompe. “Se entro domattina non avrò il tuo tema, convocherò i tuoi genitori e racconterò il fatto di oggi al preside. Rischi la sospensione, Ethan.”
Ecco, ora sto cominciando a incazzarmi.
“Io non ho nessuna intenzione di fare un compito così stupido e raccontare i cazzi miei a tutto il mondo” ruggisco, mantenendo comunque una certa calma. Non è da me strillare e pestare i piedi.
“Innanzitutto modera i termini: un’altra parolaccia e ti spedisco dal preside seduta stante, senza seconde possibilità” mi rimprovera.
“Io non ho niente da scrivere” ribatto.
“Bene, la scelta sta a te. io ti ho dato le mie condizioni, ora è tutto nelle tue mani” conclude, recuperando la sua cartella da sopra la cattedra.
“Questa è un’ingiustizia. Ma dico, si rende conto delle tracce idiote che ci porta? Non poteva inventarsi qualcosa tipo descrivi il tuo compagno di banco o cose così?” protesto ancora, ma lui sembra non ascoltarmi più.
“Ciao Ethan, a domani. Puoi andare. E, mi raccomando, pensaci.” Detto questo, indica la porta con un cenno.
Ah, ma che cazzo! Tanto è impossibile negoziare con lui, è un pezzo di merda.
E io mi sono messo nei casini.
Sbuffo e mi dirigo verso il cortile della scuola, dove Sammy mi sta ancora aspettando appollaiato su un gradino. Non appena mi vede arrivare, si mette in piedi e mi sorride.
Invece io vorrei soltanto prendere a pugni qualcuno. Che giornata di merda.
“Allora, andiamo dal signor Jeffries a comprare la vernice?”
“Col cazzo. Devo tornare a casa e fare questo fottuto compito.”
Vorrei solo salire sul mio skate e correre per la strada come un matto, liberare la testa da tutto.
Oppure suonare la mia adorata chitarra fino a farmi sanguinare le dita.
 
 
Entro in casa e il solito odore di umidità mi entra fin nelle ossa. Quando comincia la stagione fresca, in questa topaia c’è sempre puzza di umidità.
Vado in camera mia come una furia e scaravento lo zaino sul letto, poi mi sposto in cucina. La rabbia mi fa sempre venire fame, se ho fortuna trovo qualche pacco di biscotti o qualche altra cosa in frigo.
Quando entro nella stanza, quasi vado a sbattere contro Olivia, che sta mettendo a posto la spesa nel frigo e nella credenza. Lei sobbalza e lancia un piccolo grido, poi si rende conto che sono io e si rilassa.
“Ethan! Non si avvisa quando si rientra? Mi hai fatto spaventare!” esclama con una risata, ma quando mi osserva meglio si rende conto della mia espressione e allora anche lei si acciglia. “Come mai quella faccia? E come mai sei già rientrato?”
“Non è successo niente” rispondo in tono piatto, sbirciando dentro una busta della spesa ancora piena poggiata sul tavolo.
“Puoi raccontare balle a tutti, ma non a me.”
“E lasciami in pace!” sbotto.
Dentro questa busta c’è solo verdura, che palle. Io voglio mangiare.
“Ethan.” Sento Olivia afferrarmi per un braccio; mi trascina fino al divano mezzo sfondato, mi ci fa sedere e si accomoda accanto a me.
Cerco di liberarmi dalla sua presa per potermene andare, ma lei non molla nemmeno per un secondo.
“Guardami, dai” mormora mia sorella con dolcezza, posandomi due dita sotto il mento per farmi sollevare la testa.
Ah, Olivia… è sempre così paziente. Meno male che c’è lei.
“Il maestro Redding è uno stronzo” ammetto infine.
“Non è vero, l’ho conosciuto ed è pure troppo buono. Cosa è successo?”
“Oggi avevamo un compito in classe, il tema chiedeva di raccontare la nostra nascita e la nostra infanzia fino alle elementari. Io ho consegnato il foglio in bianco, anzi, veramente ci ho disegnato un drago, perché non sapevo che cosa scrivere. Non posso raccontare la mia storia vera, altrimenti finiamo tutti a marcire in prigione! Ho cercato di spiegargli che non mi va di sputtanare i fatti miei, ma mi ha detto che se non gli porto il tema finito entro domani mi manda dal preside e convocherà anche i miei genitori… cioè, insomma, te e Davi. Quindi io adesso dovrei fare questo merdoso tema, e cosa cazzo dovrei scrivere?”
Olivia mi ascolta assorta, mi osserva con attenzione con i suoi grandi e dolci occhi neri e ogni tanto giocherella con una ciocca di capelli mossi.
Alla fine del mio discorso, piega la testa di lato e sorride. “Apri la bocca.”
“Perché?”
“Ti è caduto un dentino, vero?”
Cazzo, mi ero dimenticato dell’enorme e orribile buco nella mia dentatura. Annuisco.
“E dove è andato a finire?”
“Stai cambiando discorso! Cosa scrivo io nel tema?” sbotto, liberandomi finalmente dalle sue dita e incrociando le braccia al petto.
“Okay… non è necessario raccontare tutta la verità. Inventati qualcosa, l’importante è che consegni un tema. Come può il maestro sapere se dici la verità?” mi consiglia in tono calmo.
“Ma io non ne ho voglia! Oggi volevo uscire, avevo altri programmi…”
“Stai in giro tutti i giorni, cosa cambia se fai un’eccezione?”
“Cambia per me!”
“Ethan, per favore.” Olivia si fa di colpo seria e mi guarda dritto negli occhi. “Lo sai che io e Davi non possiamo essere convocati, abbiamo altro da fare durante il giorno e non è il caso che il preside o l’insegnante conoscano nel dettaglio la nostra famiglia. Ti prego, fallo per me…” mi supplica.
In fondo lo so che ha ragione, ho promesso loro che non avrei combinato casini e non devono correre rischi per colpa mia.
“Dai, fratellino…” Olivia mi prende per mano e mi trascina fuori dalla cucina, fino in camera mia. La osservo mentre libera la scrivania dal casino che ho lasciato, recupera un foglio e una penna dal mio zaino e li appoggia sul piano di legno.
Io rimango fermo sulla porta finché lei non mi rivolge un’occhiata speranzosa. “Vuoi almeno provarci?”
Sospiro e mi siedo davanti al foglio bianco, guardo quelle maledette righe che non so come riempire. Prendo la penna in mano e sono quasi tentato di disegnare un altro drago, ma sento ancora gli occhi di Olivia su di me e allora mi trattengo.
Scrivo il mio nome, la data e la traccia del tema – l’ho letta e riletta talmente tante volte quando ero in classe che l’ho imparata a memoria.
“Passo a trovarti più tardi. Buon lavoro!” cinguetta mia sorella con la sua voce dolce, mi lascia una carezza sulla testa e poi esce dalla stanza, lasciandomi solo col mio stupido tema.
Accendo la radio e metto un po’ di musica di sottofondo, spalanco la finestra, poi torno a sedermi e faccio girare un paio di volte il mappamondo che sta accanto a me. Che palle.
Basta, ho deciso: scriverò e basta. Quello che mi viene, che sia la verità o no, e vediamo che ne salta fuori.
Riprendo in mano la penna e abbasso il capo, raccogliendo tutta la concentrazione.
 
 
Penso che questo compito sia molto stupido, perché nessuno si ricorda della sua nascita e quindi non la può raccontare. Non capisco proprio cosa passa per la mente dei maestri quando portano fuori queste stronzate!
Ma va bene, lo faccio lo stesso, giusto per non essere buttato fuori dalla scuola. Anche se è una scuola merdosa e per poveri, ma mio fratello e mia sorella vogliono che io ci vada perché nel frattempo loro devono fare un sacco di cose e non potrebbero restare con me. Quindi lo faccio per loro, anche se non sono molto convinto.
Allora!
Mi chiamo Ethan AraÚjo e sono nato il 23 giugno 1967 a Bahia, in Brasile.
Quando sono nato io, c’erano già altri quattro fratelli: Davi, che è il più grande, poi Arthur che ha due anni in meno di lui, poi Olivia che è stata la prima femmina e poi Thiago, che aveva solo due anni in più di me. Poi quando avevo tre anni è nata anche Lília, la mia sorellina minore, e quando ne avevo quattro mia mamma era di nuovo incinta, ma non so se poi è uscito un maschio o una femmina e se ci sono altri fratelli venuti dopo.
Il mio nome, Ethan, è un nome inglese anche se io sono del tutto brasiliano. L’ha scelto mio fratello Davi per me, perché quando sono nato mia mamma era troppo impegnata a seguire tutti i figli e mio padre era troppo impegnato a lavorare e ubriacarsi e scopare per pensarci. Davi voleva che avessi un nome diverso dagli altri, così ha scelto Ethan.
Anche se quando ero in Brasile tutti lo pronunciavano ‘etan’ con la ‘e’ e questa cosa mi faceva incazzare tantissimo. Per fortuna adesso che sono a Los Angeles lo pronunciano bene.
Mio padre era un pezzo di merda. O forse lo è ancora, ma io spero che sia morto perché faceva troppo schifo. Beveva sempre tantissimo e quando tornava a casa era molto violento, insultava mamma e la picchiava, poi la portava nella loro camera e la scopava fino a farle male.
Io queste cose le so perché a casa mia nessuno nascondeva niente, ai miei genitori non gliene fregava niente se eravamo solo bambini.
Una volta mio padre ha fatto sesso con mia madre davanti ai miei occhi, io me lo ricordo perché avevo già quattro anni e penso che quella volta sia rimasta incinta del fratellino o della sorellina che non ho fatto in tempo a conoscere. C’ero solo io a casa con loro quel giorno, non hanno nemmeno chiuso la porta e io ero troppo paralizzato e spaventato per chiuderla. Quella volta ho pianto tantissimo ed è stata l’ultima volta che ho pianto.
Io non piango mai. Olivia a volte mi dice che non sono un bambino normale.
Comunque, mio padre era talmente un pezzo di merda che qualche volta picchiava anche noi. Io veramente non mi sono mai fatto picchiare e nemmeno Davi, perché io e lui avevamo due caratteri simili e lo sfidavamo, ci incazzavamo e non lo rispettavamo. Tutti nella mia famiglia si stupivano quando lui mi sgridava e io per risposta ridevo e gli sputavo in faccia.
Non mi faceva paura, era soltanto uno stronzo.
Una sola volta mi sono fatto picchiare, sempre quando avevo quattro anni, perché lui stava picchiando Lília troppo forte per farla smettere di piangere e io l’ho difesa. Lília era piccola, aveva solo un anno, non si picchiano i bambini così piccoli.
Poi io mi incazzo tantissimo quando fanno del male alla mia sorellina. È da almeno tre anni che non la vedo e non so come sta, mi manca tanto.
Comunque lui se la prendeva soprattutto con Arthur perché lui era il più timido e debole di tutti e allora lo riempiva di botte e gli tirava i capelli, a volte lo faceva sanguinare. Qualche volta Davi cercava di difenderlo, ma non è che Davi poteva esserci per tutti. Molto spesso era in giro e certe volte portava Arthur con lui, ma quando Arthur era in casa insieme a papà era il finimondo.
Picchiava anche Olivia, anche se lei un po’ meno perché era una brava bambina e cercava sempre di non farlo incazzare. Olivia è davvero brava e dolce, mi fa da mamma adesso che ce ne siamo andati dal Brasile e ha tantissima pazienza. È la sorella migliore del mondo.
Thiago invece non lo toccava nemmeno con un dito. Era il suo figlio preferito. Thiago infatti era un pezzo di merda come suo padre.
Mamma invece non faceva niente, era completamente… c’era una parola per dirlo, ma non me la ricordo, insomma quando uno non riesce a ribellarsi… ecco, lei faceva tutto quello che voleva papà e a volte sembrava che non ci volesse bene. Non riusciva mai a difenderci quando lui se la prendeva con noi, piangeva e basta.
Piangeva, cucinava, puliva e faceva figli. Tutto il giorno e tutti i giorni.
Davi comunque non stava con le mani in mano, non usciva soltanto per divertirsi. È stato quando eravamo ancora a Bahia che è diventato uno spacciatore e ha cominciato a conoscere gente importante e a fare soldi, poi ha coinvolto Arthur che era già abbastanza grande per capire e fare lo stesso.
Anche io ero sempre fuori di casa, anche se ero molto piccolo e le strade di Bahia erano pericolose. Ma tanto non mi controllava nessuno quindi facevo ciò che mi pareva. Stando in strada ho imparato un sacco di cose, sono diventato furbo e anche cattivo quando serviva, non mi sono mai lasciato fregare e mettere i piedi in testa da nessuno.
Una volta sono finito in mezzo a una sparatoria ma sono riuscito a nascondermi e sopravvivere.
Un’altra volta un uomo pieno di tatuaggi mi ha fatto prendere un tiro dal suo sigaro che mi ha un po’ sballato per qualche ora, ma poi è tornato tutto normale.
Si potevano trovare tutte queste cose nel mio quartiere.
Però odiavo tornare a casa e stavo pensando di vivere in strada come i barboni o gli artisti di strada, tanto se fossi scappato di casa non se ne sarebbe accorto nessuno.
Una sera ho sentito Davi, Arthur e Olivia che parlavano per i fatti loro, come se stessero parlando di un piano super segreto, allora mi sono messo a spiarli. Ho scoperto che volevano scappare via, che Davi aveva i contatti con questa persona molto importante a Los Angeles che li avrebbe aiutati a scappare e Davi poi avrebbe lavorato per lui per sdebitarsi. Forse c’entrava la Mafia o forse no, ma era gente potente della droga, di quella piena di soldi che non viene mai scoperta.
Allora mi sono incazzato tantissimo perché non mi avevano detto niente. Sono entrato nella stanza tutto incazzato e ho gridato “eh no però! Col cazzo che voi ve ne andate e mi lasciate qui con questi stronzi di papà, mamma e Thiago!”
“Sei troppo piccolo per questo viaggio” mi ha detto Davi e mi ha promesso che sarebbe tornato dopo qualche anno per prendermi.
Ma io non volevo andare via tra qualche anno, volevo andare via in quel momento! Gli ho detto che tanto li avrei seguiti, che sono molto più furbo e forte di tutti loro messi insieme e che avrei detto tutto a papà. Penso di non aver mai urlato così tanto.
Allora si sono convinti, ma prima Davi mi ha fatto fare una prova per capire se davvero ero pronto. Mi ha chiesto di consegnare una dose di cocaina per lui.
Ovviamente io ci sono riuscito senza farmi beccare, nessuno sospetta mai dei bambini. E poi io lo so come comportarmi con la gente.
Se dovevano lasciare uno a casa, era Arthur. È lui quello debole di noi. Io gli voglio molto bene e sono contento che sia venuto, però non avrei sopportato se lui fosse partito e io no.
Quindi nell’estate del 1972 siamo scappati da Bahia, io avevo appena compiuto cinque anni. Davi ne aveva diciotto, Arthur ne aveva quindici (ma quell’anno doveva compierne sedici) e Olivia ne aveva undici. Lei era quella incaricata di badare a me, che ero il piccolo. Infatti, prima di darmi il permesso di partire, Davi ha chiesto a lei se se la sentiva di accudirmi.
Certo che Olivia ha detto di sì. È troppo dolce, Olivia! Non mi avrebbe mai lasciato a casa.
Siamo usciti di casa di notte e Thiago ci ha visti. Lui lo sapeva di questo piano, ma non ha detto niente a papà perché non ci voleva più tra i piedi, diceva che senza di noi aveva più spazio in casa e stava meglio.
Certo, tanto lui era il figlio preferito e stronzo. Mica gliene fotteva qualcosa che quattro dei suoi fratelli se ne andavano!
Del viaggio non mi ricordo quasi niente, abbiamo viaggiato su camion e altri mezzi scassati e puzzolenti. Non avevamo quasi mai da mangiare e faceva caldissimo. Io mi chiedevo sempre quanto cazzo era lontana questa Los Angeles, ma non mi lamentavo mai.
Però avevamo un bottiglione di vino e una volta ne ho assaggiato un sorso. Mi è bastato quello per sbronzarmi per la mia prima volta… e anche ultima per adesso. Non sono stupido, lo so che l’alcol fa male ai bambini.
Quando siamo arrivati a Los Angeles, l’amico di Davi ci ha dato una casa piccola in questo quartiere e adesso ci siamo ancora. Ci ha dato anche dei permessi contraffatti che però sembrano veri, perché siamo scappati clandestinamente (che difficile scrivere questa parola) e altrimenti non potevamo stare qui.
Davi andava a lavorare per questo tizio e anche Arthur, mentre invece io e Olivia andavamo a scuola e Olivia si occupava anche della casa e tutte quelle cose. Poi l’anno scorso Arthur ci ha traditi, cioè se n’è andato e si è allontanato per sempre perché non ce la faceva più e voleva una vita migliore. Che si fotta, traditore! Lo sapevo io che era un cagasotto e non poteva sopportare tutto questo.
Però a volte ci penso perché comunque è mio fratello e gli voglio bene. Non è colpa sua se è così debole.
Quindi siamo rimasti solo io, Olivia e Davi. Però va bene lo stesso, perché Davi sta salendo di livello e fa sempre più soldi.
Io non lo so bene come funziona questa cosa della droga e dello spaccio. A volte la coca e l’ero le ho anche viste, ma Davi vuole tenermi fuori per proteggermi.
Che stronzata, io sono abbastanza sveglio per capire. Forse non ha ancora capito con chi ha a che fare.
Quando siamo arrivati a Los Angeles, io non parlavo molto bene l’inglese. Lo conoscevo perché Davi e Arthur avevano molti dischi rock in inglese, ma a parte quello quasi niente. Infatti Davi mi ha detto di non uscire e di non andare per la strada, che era un quartiere malfamato e che era pericoloso per un bambino di cinque anni che non capiva un cazzo e non poteva rispondere, ma io me ne sono fregato e ho passato tutto il tempo in strada. Ho conosciuto un sacco di bambini del quartiere e ho imparato benissimo l’inglese.
Anche grazie alla scuola ho imparato l’inglese.
Poi quando ho imparato a leggere, ho cominciato a leggere tantissimo per imparare ancora meglio e perché leggere mi piace. Ma non le fiabe o quelle altre stronzate dei bambini! Mi piacciono i libri per adulti, quelli dove ci sono le puttane e il traffico di droga e i drogati. Così imparo un sacco di cose che mi servono per vivere.
E adesso sono qui e ho otto anni.
E ho finito.
Però adesso che ho scritto tutta la verità non posso consegnare il compito al maestro, così ci sbattono in galera. Che palle, cosa gli dico domani?
 
 
Quando sollevo lo sguardo dal foglio, fuori dalla finestra il sole è già tramontato. Mi fa male il polso per quanto ho scritto.
Mi viene quasi da sbattere la testa al muro quando mi rendo conto che non è servito a niente, è fuori discussione che io consegni questo tema al maestro Redding.
Ho sprecato un pomeriggio che avrei potuto trascorrere fuori insieme a Sammy, Mitchell e gli altri ragazzini a divertirmi.
In preda alla rabbia, prendo il foglio – che ormai è diventato un mucchio di fogli – e lo straccio, lo appallottolo, lo trasformo in mille coriandoli bianchi che cadono sul pavimento.
Mi fa incazzare pure tutto quello che ci ho scritto. Io non volevo nemmeno ricordarmi tutto quello che ho vissuto a Bahia, forse è anche per questo che stamattina non ho nemmeno iniziato il tema. Sono cose che voglio dimenticarmi e tenere per me, nessuno dovrebbe leggere questo schifo.
Prendo l’ennesimo foglio bianco, ci scarabocchio data e nome e poi mi invento qualche stronzata giusto per riempirlo.
 
 
Mi ha portato la cicogna, come tutti i bambini del mondo. La mia cicogna era brasiliana e volava a ritmo di samba, per quello sono venuto fuori così.
Da piccolo ero uguale a come sono adesso, solo un po’ più piccolo. Mi mettevo le dita nel naso, mangiavo solo latte e piangevo tutto il giorno come tutti i poppanti. Poi ho cominciato a fare scherzi, a distruggere i giocattoli e dire parolacce.
Una volta ho avuto la febbre alta, talmente tanto che avevo le allucinazioni e mi è apparso Elvis Prestley sul soffitto che mi salutava ridendo.
Poi sono entrato a scuola, ho imparato l’alfabeto e sono diventato molto intelligente, anche se non mi ricordo di preciso i nomi dei denti. Infatti ho ancora il dubbio se quello che ho sputato stamattina era un molare o un incisivo o quell’altro tipo di dente che non mi ricordo. Comunque adesso ho il sorriso bucato e sembro uno di quei tossici che perdono i denti.
Adesso è soddisfatto, maestro Redding?
 
 
Infilo tutto dentro lo zaino, spengo la radio e prendo finalmente la mia chitarra tra le braccia. Ho aspettato questo momento per tutto il giorno.
Ho proprio bisogno di suonare per sfogarmi un po’, oggi mi sento molto nervoso e non so nemmeno io perché.
E così suono e suono, anche se le dita mi fanno male perché la penna mi ha fatto venire i calli sui polpastrelli. Ma non fa niente: anche le corde della chitarra li fanno venire.
E domani finalmente potrò verniciare il mio skate!
 
 
 
 

 
 
Ragazziiiii, voi non avete idea di quanto sono CONTENTA di essere riuscita ad approfondire il passato di Ethan *___*
MI piaceva troppo l’idea di scrivere una shot di lui da bambino e che fosse lui stesso a raccontare il suo passato, proprio con gli occhi dell’Ethan bambino!

Il tema dell’immigrazione clandestina negli Stati Uniti da parte dei sudamericani è un tema ancora attuale e piuttosto delicato, su cui – lo ammetto candidamente – non so tantissimo, ma ho cercato di trattarlo nel modo più credibile e corretto possibile; mi scuso se ci sono delle imprecisioni e vi invito a farmelo eventualmente notare ^^
Comunque il tutto è filtrato dagli occhi di un bimbo di otto anni, che ovviamente capisce ciò che gli sta intorno ed è anche molto sveglio, ma che comunque non sa tutto, anche perché i fratelli maggiori cercano di proteggerlo e tenerlo all’oscuro di alcuni fatti ^^
Inoltre spero che la numerosissima famiglia di Ethan non vi abbia confuso XD
Ho da fare due piccolissime note, poi vi lascio in pace!
Ovviamente il fatto che ci siano delle imprecisioni nel tema di Ethan è voluto, essendo un bambino di terza elementare. Tuttavia mi piace l’idea che sappia scrivere bene (perché legge anche tanto) e non gli ho fatto fare chissà quali obbrobri letterari XD
Poi, riguardo al posto in cui è nato… Bahia è una città del Brasile che però ufficialmente si chiama Salvador, capitale dello Stato di Bahia; è però chiamata così da tutti i suoi abitanti ^^ ed è anche vero che è un posto in cui bisogna tenere gli occhi ben aperti, soprattutto in certe zone!
E niente, credo sia tutto. Penso che la storia sia comprensibile anche senza aver letto l’intera serie di cui fa parte, ma se manca qualcosa fatemelo pure notare :)
Grazie di cuore a tutti coloro che sono giunti fin qui, spero di non avervi turbato troppo e che questo nuovo tassello della vita di Ethan vi sia piaciuto :3
Alla prossima!!!
 
 
   
 
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