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Autore: Exentia_dream2    07/06/2020    9 recensioni
Storia partecipante al contest "Merlino li fa e poi li accoppia" indetto da Shellcott sul Forum di EFP.
Dalla storia:
Si fermò con la mano a mezz'aria, i polmoni contratti, gli occhi inchiodati a quel mare di ghiaccio che si stagliava poco sopra di lei.
Immobile, Draco sembrava aver affondato i piedi nel pavimento dal momento in cui l'aveva vista giocare tra la polvere, come radici di rosa bianca incastonate nelle profondità della terra dai cui petali era scivolata via la colpa come pioggia di temporale e fulmini.
Rimasero così il tempo necessario a capire chi fosse la persona di fronte, come se non si fossero mai visti prima di allora: fu una conoscenza lenta, estenuante quella che fecero i loro sguardi scivolando senza espressioni lungo quei corpi.
Hermione sentì il bisogno doloroso di correre via, di girargli le spalle; lo sentì mentre afferrava i muscoli e li stringeva per portarla indietro, nella cabina.
Invece mosse un passo in avanti, il mento alto ma senza presunzione e sperò di una speranza quasi palpabile che lui non la sfiorasse nemmeno con la stoffa dei suoi abiti, sperò che si spostasse, che rientrasse nella sua cabina e che le togliesse
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger, Neville Paciock, Rose Weasley | Coppie: Draco/Hermione
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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Storia partecipante al contest "Merlino li fa e poi li accoppia" indetto da Shellcott sul Forum di EFP.

 

Pacchetto scelto: Beta.

 

Note: Sì, anche questa è una storia d'amore che nasce dopo la Guerra Magica e viene raccontata tanti anni dopo. 

Ci sarà, perciò, un piccolo salto temporale. 

Il titolo è una declinazione in latino della parola rosa, singolare e plurale.

Spero vi piaccia. 

 

Rosa, rosae. 

 

<< È davvero bellissimo, Neville. >> Hermione guardava il braccialetto che l'amico le aveva legato al polso, un sottile nastro di velluto verde che al tatto le ricordava i prati di settembre e da cui pendevano piccolissimi boccioli di rosa dai petali trasparenti. 

<< Non so se funzioni davvero, insomma… È soltanto che vorrei funzionasse, ci tengo particolarmente. Ne ho regalato uno anche alla nonna, ma le sue rose sono rimaste blu per tutto il tempo che ha indossato il bracciale. La nonna è una donna molto saggia. >> disse con un sorriso timido, le guance lievemente arrossate come a voler giustificare quell'episodio che lui vedeva come un fallimento. << Ci ho lavorato su per tutta l'estate e vorrei… vorrei… >>

<< Come funziona questo incantesimo? >>

<< Beh, i petali dovrebbero colorarsi a seconda delle tue emozioni… solo che… Devi toccarlo solo tu. >>

<< Cosa succede se lo tocca qualcun altro? >>

<< Non lo so, credo che i colori potrebbero variare… come se le tue emozioni venissero contaminate, come se si mescolassero a quelle dell'altra persona. >>

<< Va bene. Verrò da te appena le rose cambieranno colore. >>

Gli aveva sorriso con le lacrime agli occhi, le tornarono in mente le chiacchiere che avevano riempito quei vagoni qualche anno prima, bisbigli e grida di parole di quelli che sarebbero diventati poi i suoi migliori amici. 

Si sentì terribilmente sola: Harry e Ron avevano deciso di non tornare a Hogwarts, mentre lei non si sentiva pronta ad affrontare il mondo fuori da quelle mura. 

E non aveva più donato la memoria ai propri genitori, perché li aveva visti felici ed aveva avvertito un senso di vuoto immenso che però era stato compensato dai loro sorrisi colorati di tramonti australiani.

Si lasciò cullare per un po' da quel mosaico di paesaggi che fluiva sotto i binari, accarezzando con dita pigre l'orlo di pizzo della maglia, persa tra i ricordi del passato e le speranze per il futuro. 

Neville, nel frattempo, si era appisolato. 

Poi il suo stomaco aveva brontolato con un suono profondo, affamato e Hermione ricordò di non aver toccato cibo, che l'emozione di tornare a casa le aveva attorcigliato le viscere. 

Si era alzata piano, senza rumori, aveva attraversato lentamente i corridoi del treno, illuminati dalla luce fioca della luna che entrava dalle piccole vetrate e creava un gioco di luci ed ombre riempito dalle risate e i brusii provenienti dalle altre cabine. 

Il pulviscolo quasi trasparente che aleggiava bagnato dai raggi della notte, le dita che giocavano a trattenerlo o ad allontanarlo, seguendo la traiettoria di un granello più luminoso degli altri. 

Hermione non lo sentì. Non sentì il rumore finissimo che si era intrufolato in quella quiete, un odore e una forma. 

Poi lo vide. 

Si fermò con la mano a mezz'aria, i polmoni contratti, gli occhi inchiodati a quel mare di ghiaccio che si stagliava poco sopra di lei. 

Immobile, Draco sembrava aver affondato i piedi nel pavimento dal momento in cui l'aveva vista giocare tra la polvere, come radici di rosa bianca incastonate nelle profondità della terra dai cui petali era scivolata via la colpa come pioggia di temporale e fulmini. 

Rimasero così il tempo necessario a capire chi fosse la persona di fronte, come se non si fossero mai visti prima di allora: fu una conoscenza lenta, estenuante quella che fecero i loro sguardi scivolando senza espressioni lungo quei corpi. 

Hermione sentì il bisogno doloroso di correre via, di girargli le spalle; lo sentì mentre afferrava i muscoli e li stringeva per portarla indietro, nella cabina. 

Invece mosse un passo in avanti, il mento alto ma senza presunzione e sperò di una speranza quasi palpabile che lui non la sfiorasse nemmeno con la stoffa dei suoi abiti, sperò che si spostasse, che rientrasse nella sua cabina e che le togliesse gli occhi di dosso, perché lei li sentiva, li sentiva come trapunte di neve posarsi su di lei. 

E lei avanzava, fissando un punto alle spalle di lui ancora metà nascosto nel buio, avanzava e sperava. 

Ma Draco rimase inerte, fermo ad osservare ogni movimento, ogni gesto che lei aveva compiuto fino a quasi annullare la distanza che li aveva separati fino ad un momento prima. 

Hermione fu costretta a fermarsi, a posare cautamente lo sguardo su quella figura che le impediva il passaggio: le linee perfette del collo, della mascella, quasi fossero state scolpite nel marmo, quell'aria aristocratica e ostinata cucita sul viso. 

E lui si lasciò guardare, senza muoversi, seguendo con lo sguardo il percorso immaginario che gli occhi di Hermione avevano disegnato sulla sua pelle pallida, priva di qualsiasi macchia, priva di qualsiasi altra cosa che non fosse sfacciata e bianca bellezza. 

E, in quella consapevolezza, lei sentì il cuore attecchire in un silenzio quasi straziante, si ritrovò ad urtare contro a quelle iridi che non lasciavano trasparenze sull'anima. 

Lo vide irrigidirsi per un attimo e per un attimo abbassò lo sguardo, prima di rialzarlo senza nessuna traccia di smarrimento ed attese. 

Attese che lui la attaccasse, si sentì pronta a ricambiare i suoi insulti, la sua cattiveria, ma si scoprì meravigliata quando di fronte ai suoi occhi vide il buio che inghiottiva il corridoio stretto. 

Perchè Draco si era spostato. 

Aveva fatto un passo indietro, si era appoggiato con la schiena contro la parete ed aveva aspettato che lei avanzasse. 

Poi, il silenzio intorno si riempì del suono dei suoi passi e nient'altro, perché lui non si era più mosso se non con lo sguardo che Hermione sentiva addosso. 

 

Hogwarts profumava ancora di casa e il cielo stellato del soffitto nella Sala Grande l'aveva accolta con quelle braccia di blu intenso a stringersi attorno al suo corpo, come una figlia venuta da un lungo viaggio, che finalmente poggiava i piedi sull'uscio della porta e camminava. 

Non per correre, né per combattere o per avere paura. 

Hermione camminava per tornare e fu strano, quasi inappropriato quel pensiero di sentirsi sola, fuori luogo.

 << Che faccia tosta! >> aveva detto Neville a colazione, qualche giorno dopo. << Stare qui, come se tutto quello che è successo non fosse colpa loro, ad infangare la memoria di chi ha combattuto dalla parte giusta. >>

<< Credo che ci sia una ragione a tutto. >>

<< Ma guardali. Guardali come ancora credono di essere migliori di noi. >>

E lei li guardò, uno ad uno, fermandosi a metà, dove Draco sembrava assente, scivolato in altri giorni, con il mento poggiato sul palmo della mano. 

E gli occhi ghiacciati a fissare un viso dall'altra parte della sala. 

E quando arrivò alla fine di quel percorso, Hermione si trovò a guardare la stoffa della sua divisa, in un punto indefinito dove non c'era nessuno stemma, nessuna cucitura. Soltanto i suoi capelli. 

E lo guardò con quella curiosità che la spinse a chiedersi cosa ci vedesse lui in quei fili dorati; lo guardò quasi senza pudore, con il corpo leggermente sporto sul tavolo nella sua direzione e lui era così lontano, così chiuso nei suoi pensieri che sembrava non accorgersi di quello che succedeva intorno. 

Sembrava non accorgersi di lei che aveva fatto la strada a ritroso dai suoi capelli, saltando le figure di chi sedeva tra loro. 

<< Ma cosa guardi, Hermione? >>

Sussultò e, a quel movimento, Draco inchiodò gli occhi a suoi. 

Lei spostò lo sguardo, scuotendo la testa. 

<< Niente. >> sorrise appena. 

E, ancora, il peso di quelle iridi su di lei.

 

Aveva passato giorni interi ad aspettare la risposta di Harry alla lettera che gli aveva spedito, in cui si era prodigata nel racconto di quello che le stava succedendo e in raccomandazioni sull'importanza degli esami per diventare Auror. 

Ma Harry non aveva ancora risposto. 

Si era stesa sul letto, passando le dita sottili nei lunghi capelli e ripensò a quando da bambina li teneva spesso legati in una treccia disordinata e scomposta e, ad ogni carezza, si sentiva scivolare nel profondo della sua anima, dove teneva custoditi i suoi sogni, le sue paure, come diamanti modellati perfettamente sui suoi pensieri.

Si lasciò andare ad occhi chiusi a quei ricordi di passato, bolle di sapone che sembravano esplodere solo a guardarle. 

E, finalmente, un grosso gufo le recapitò la posta. 

Hermione sciolse il nastro legato alla zampa dell'animale e gli diede tempo di riposare sul trespolo: lo guardò beccare dalla ciotola dell'acqua, scuotere leggermente le ali. 

Sulla lettera, la scrittura frettolosa di Harry le raccontava che tutto andava per il meglio, che la notte riusciva quasi a dormire bene. Le aveva scritto anche che durante una delle esercitazioni di soccorso un volontario era stato leggermente avvelenato e, il suo compito era quello di trovare un incantesimo che potesse contrastare gli effetti del veleno. 

"Stai attenta, però: non dipende da te…" così c'era scritto, infine, su quella pergamena ingiallita. Era stata quella la risposta che lui le aveva dato riguardo quello che era successo con Malfoy. 

In quel silenzio apparentemente assoluto, Hermione si chiese cosa le fosse sfuggito, perché continuasse a non saper interpretare quegli sguardi?

Domande che sembravano mordicchiarle i pensieri, sporcandoli di un bianco pallido che le faceva bruciare gli occhi. 

 

Durante la prima lezione di Pozioni, per la prima volta, lo vide di spalle; si fermò a riempire i polmoni d'aria ed osservare il ritmo del respiro che gli muoveva la schiena: profondo, tranquillo. 

Si muoveva pigramente, con movimenti precisi, sporgendosi di tanto in tanto sul calderone. 

Hermione lo vide andare all'armadio delle scorte e, al contrario di come aveva creduto, sentì il bisogno di avvicinarsi a lui, di guardarlo e di capire.

Si mosse piano, la testa bassa, come a voler nascondere persino a se stessa quello che stava facendo e lo vide lì, i muscoli delle braccia tesi verso l'alto, perfettamente visibili sotto il cotone sottile della camicia. 

Lo vide irrigidirsi, girando leggermente il capo verso di lei e lasciò cadere una fialetta di vetro dall'enorme scaffale. 

Una frazione di secondo ed entrambi si trovarono in ginocchio, le mani di Draco strette attorno al bracciale. 

Le osservò a lungo, quelle dita che sembravano riflettere la luce della luna, forti ma così delicate, vellutate come petali di rosa. 

Spalancò gli occhi. No, no. 

Ritrasse i polsi, portando le mani chiuse a pugno sul petto, in un battere incessante che sembrava volergli rompere la cassa toracica e lo guardò, come lo aveva guardato nel treno: vide la mascella serrarsi, uno strano fremito ad animargli gli occhi. Soltanto per un secondo. 

Poi i suoi tratti si distesero nella solita fredda bellezza. 

 

Se ne stava lì, con le braccia incrociate sul legno del tavolo, il bracciale poco distante da lei; il piatto pieno di cibo che non aveva nemmeno assaggiato e gli occhi persi in intarsi di pensieri che mescolavano senza senso passato e presente.

E lei lo sentiva, quello sguardo che sembrava voler bucare le sue corazze come se fossero strati di cartapesta, troppo fragili persino per essere sfiorati. 

E non si sentì pronta a sollevare il capo, a guardarlo di rimando per impedirgli ogni entrata; non si sentì pronta ad uscire dal dolore che ancora provava sulle ferite della guerra, sul tatuaggio che Bellatrix le aveva impresso sul braccio: si vedevano a stento, ma a lei quelle lettere sembravano ancora ricoperte di sangue, riusciva ancora a sentire la lama del coltello graffiarle la carne, le sue urla ancora troppo forti. 

Alzò lo sguardo e seguì le traiettorie di quello di Draco, così perso, così freddo… ancora fermo sulla divisa, dove cadevano i suoi capelli. 

E accadde: i boccioli di rosa emanarono una luce flebile e si tinsero di bianco. 

Bianco, come il suo viso, il suo collo… 

Hermione li guardò a lungo, la bocca schiusa di stupore e di nuovo alzò gli occhi e li ritrovò incatenati ai suoi, per un tempo che sembrò dilatarsi e diventare immenso come il cielo di notte. 

Prese il bracciale tra le mani e lo strinse: sentiva il velluto accarezzare le dita, le rose deformarsi in quella stretta e i petali spezzarsi e cadere. 

Ne raccolse uno, ne assaporò il profumo e lo piegò nel palmo della mano: profumava di lui, di quell'odore che aveva sentito nel corridoio del treno quando gli era passata accanto. 

Fu un pugno nello stomaco, un male quasi fisico trovare la sua essenza su di lei.  

 

Draco non faceva altro che rivivere quella scena: quel candore che aveva attirato la sua attenzione, quel pugno stretto attorno al bracciale, come a volerlo distruggere o almeno renderlo invisibile. 

E i suoi occhi. I suoi occhi grandi che lo guardavano, che sembravano voler andare oltre quelle lastre di ghiaccio. 

E lui imprecava, ogni volta, contro quel cuore che sembrava battere più forte quando il suo sguardo si posava su di lei. 

Rivederla su quel treno gli era sembrato soltanto un brutto scherzo del destino, eppure aveva sentito chiaramente il tremore all'altezza del petto, respiro mozzato che lo aveva immobilizzato e gli aveva incrinato qualcosa dentro e si era sentito nudo, con un'anima che lui stesso aveva faticato a spogliare. 

A lei era bastato uno sguardo. 

Lo stesso che gli aveva rivolto nel treno, carezza di primavera inoltrata. 

E, senza che se ne accorgesse, tra quelle crepe stava mettendo radici qualcosa che non sarebbe mai stato in grado di spiegare.

E quei petali che sembravano quasi volteggiare intorno alle sue mani, come lucciole in una notte buia. 

 

<< Ha funzionato , allora? >> le chiese Neville con gli occhi lucidi. 

<< Sì, però… I-io credo che… >>

<< Oh, non preoccuparti per le rose: ricresceranno. >>

<< Davvero? >>

<< Sì: è un bracciale incantato.>>

<< Già… Neville, le rose bianche… >>

<< L'innocenza. Nel caso dei sentimenti, questi fiori esprimono un amore puro, quasi spirituale. Platonico, ecco: qualcosa che c'è e allo stesso tempo non è destinato ad essere. >>

Hermione rise, rise forte, fino alle lacrime. 

Neville la guardava quasi intimidito e lei si scusò inclinando leggermente la testa, mentre asciugava gli occhi, ma lui non poteva sapere e non poteva capire che di innocente, in quei fiori, non c'era niente. 

E non c'era nemmeno l'ombra di un soffio di purezza, era tutto un inganno, come gli occhi di Draco che sembravano sempre essere sul punto di sciogliersi e poi restavano ghiacciati. 

<< Ho detto qualcosa che non va? >> chiese Neville. 

<< Oh, no… É solo che, insomma, lo ha toccato Malfoy e non è possibile… >>

<< Chi lo ha toccato? >>

<< Malfoy. >>

E accadde di nuovo: quel lieve bagliore e le rose che pendevano dal braccio di Hermione si schiusero bianche e rilucevano orgogliose e bellissime  alla luce delle candele. 

E Neville le guardava con rabbia perché il suo incantesimo era stato sporcato, avvelenato e si sentì tradito da Hermione che si era lasciata toccare, che aveva permesso a lui, proprio a lui, di posare le mani sulle sue vene. << Non me lo aspettavo da te… Malfoy? Davvero? >>

<< Neville, no, io non… >>

<< Lascia perdere. Forse ho regalato il mio incantesimo alla persona sbagliata. >>

<< No, no… Tu non capisci. >>

<< Non c'è molto da capire. Sono soltanto deluso, ecco tutto. Scusami, ora devo andare… >>

Si trovò sola nella Sala Comune, con un peso sul cuore e quei fiori bianchi a ricordarle la pelle di Draco. 

 

Dopo quel litigio, Hermione aveva provato ad avvicinarsi a Neville che però inventava qualsiasi scusa per evitarla e lei sentiva ogni volta le lacrime inumidire gli occhi, le stringeva tra le ciglia morbide per non lasciarle andare, per tenere stretto a sé quel sentimento di amicizia che li legava. 

Si sentiva incatenata in una spirale di emozioni che però non davano nessun colore alle rose del suo bracciale. 

Forse, era vero. Forse lei non era la persona giusta per far esplodere quell'incantesimo. 

O, forse, erano state le mani di Draco a spezzarlo, con le sue dita pallide e quella stretta morbida che l'aveva ferita come gocce rabbiose e dure di un temporale improvviso. 

Si era mossa in un fruscio di mantello, con la bacchetta nella tasca dei pantaloni e il ritratto della Signora Grassa si era spostato per chiudere l'entrata della Torre. Hermione se ne stava lì, nel buio dei corridoi, muovendo passi lenti che sembrava non le appartenessero. 

 

Si era lasciato scivolare nell'acqua con la speranza di alleviare la sensazione di malessere che provava ogni volta che la vedeva: la sentiva dentro come sangue nelle arterie, come aria nei polmoni e, quando aveva capito che non ci sarebbe riuscito, che gli odori del Bagno dei Prefetti non avrebbero portato via dalle narici quello di Hermione, si era rivestito. 

Non dormiva sonni tranquilli, dietro le pupille erano disegnate con precisione le labbra di Hermione, i suoi lunghi capelli che si posavano sulle spalle ad ogni suo movimento e le incorniciavano il viso come un quadro astratto. 

La camicia aderiva perfettamente al petto bagnato, impregnandosi quasi subito di quell'acqua che gli accarezzava il corpo, in quel buio infinito di fiammelle di fuoco e luna nascosta. 

Poi la vide, avvolta dalle tenebre, a guardarlo come se lui fosse la sua più grande paura: gli occhi sgranati che risalivano lungo il suo corpo, soffermandosi all'altezza del viso. 

 

La stoffa evidenziava perfettamente il disegno dei nervi tesi, dei tendini pronti e ancora il candore di quella pelle la sorprese.

Avvertì il respiro incastrarsi nella gola, in ansiti di parole che facevano paura anche solo a pensarle. E quel cuore, quel maledetto cuore che sembrava risvegliarsi solo di fronte a lui, in una riviviscenza di fiati e di vita. 

Il ricordo di quell'unico tocco a foderarle il polso sottile di brividi invisibili che si infilavano sotto pelle, negli anfratti più nascosti della sua anima, come serpenti nel sottobosco della foresta: strisciando in silenzio per prendere spazio, perché spettava loro quell'angolo di natura. 

Qualcosa che c'è e le vene sembravano gallerie senza fine in cui le parole di Neville rimbombavano come eco tra le montagne; e allo stesso tempo non è destinato ad essere, mentre i muscoli tremavano di fronte a quel silenzio che squarciava i muri, perdendosi oltre i confini di quella magia con cui tutto era possibile. 

Tutto, ma non quello. Non è destinato ad essere. 

Vide i suoi occhi navigare in quel mare di capelli e pelle, li sentì diventare mani, stringersi intorno ai polsi e poi si posarono sulle sue iridi, in quel mescolarsi di colori ed emozioni. 

Poi si sentì avvolgere da quel grigio che credeva fosse impenetrabile, in quelle acque d'anima in cui si scoprì brava a nuotare, come se per tutta la vita non avesse fatto altro. 

E si sentì morire quando si rese conto di aver gettato l'ancora per sostare in quel porto di dubbi e paure a guardare il panorama, a fissare l'orizzonte di nuvole che Draco nascondeva dentro. 

Qualcosa che c'è… in fondo ad ogni battito che le aveva riempito le costole, senza che lei se ne accorgesse.

<< Stammi lontano. >> gli disse in un filo di voce, in quel primo suono di coraggio che gli aveva dedicato.

Sentì le forze sfumare fuori dal corpo, come se quelle parole gli fossero costate gli ultimi brandelli di energia, e il vuoto occupare la distanza tra le ossa. 

 

Lo fece: si allontanò da lei senza mai distogliere lo sguardo in una muta preghiera che il suo cuore smettesse di battere alla sua vista e che quelle radici che si erano inerpicate in lui non fossero quel sentimento che gli faceva bruciare le corde vocali costrette al silenzio davanti alla consapevolezza di poter perdere l'equilibrio soltanto a respirare in sua presenza, come se fosse stato in bilico tra quello che era stato e quello che non sarebbe mai diventato. 

Portò con sé un bocciolo di rosa, stretto tra le dita e lo guardò mentre le stelle si spegnevano e si abbandonavano all'alba. 

Rossa, piena, bellissima, come la bocca che lo aveva mandato via con la voce ma che sembrava essersi posata sulla sua in quel labirinto di immenso, mentre le parole creavano barriere di sabbia ad un soffio dal mare in tempesta. 

 

Si avvicinò a lui nella serra, poco prima dell'inizio della lezione di Erbologia. 

<< Neville, ciao. >>

<< Ciao. >>

<< Io vorrei spiegarti… >>

<< Davvero, non importa: i sentimenti non sono un gioco e noi non abbiamo nessun potere su di loro. Poi, beh, ho capito che le rose sul bracciale hanno preso il colore dei suoi sentimenti nei tuoi confronti quindi, sì… Mi dispiace averti trattato male. >>

Hermione non rispose: ancora una volta, le parole di Neville scavavano nelle sue profondità e la spaventavano, la spogliavano fino a lasciarle addosso soltanto quei petali di rosa come neve sui prati di settembre. 

Le sembrò di essere diventata sorda durante tutta la spiegazione sulle proprietà della Tentacula Velenosa e le sembrò di tornare a sentire soltanto quando la risata di Draco le giunse come una melodia dolce e conosciuta, come una ninna nanna che da bambina la accompagnava nei suoi sogni più belli. 

Lo odiò con ogni fibra del suo essere, come se non ci fosse sangue nelle vene o aria nei polmoni, come se ogni sua cellula fosse fatta di quel sentimento che provava per lui.

Poi lo vide alzare la mano per attirare l'attenzione della professoressa. << Posso fare una domanda un po'... strana? >>

E se la sua risata le aveva ricordato una ninna nanna, la sua voce le sembrò il suono più bello del mondo, cancellando come fosse un errore su un foglio il ricordo di quella voce che la insultava: leggermente roca, così profonda, morbida che le fece pensare alla rugiada sull'erba a catturare le sfumature del crepuscolo; la sentì vibrare nel grembo come corde di arpe e violini.

Fu soltanto lei e la voce di lui che le grattava i timpani, come una carezza che avrebbe voluto allontanare, ma che poi aveva lasciato sulla pelle fino ad innamorarsene. 

<< Cosa rappresenta una rosa rossa? >>

Hermione guardò istintivamente il bracciale, come a voler dare a se stessa la conferma che quella domanda non riguardasse lei né i petali di rosa che Draco aveva visto mentre lei impediva loro di fiorire e sospirò di sollievo. 

<< La rosa rossa è il simbolo della passione, dell'amore viscerale, irrazionale. Dell'amore che supera ogni pregiudizio. >> aveva risposto Neville. 

Furono minuti lunghissimi, minuti di domande e morsi sul cuore che lei aveva lasciato sanguinare perché medicarlo avrebbe significato spegnere quei battiti troppo veloci, che la facevano sentire più che una semplice sopravvissuta. 

<< Devo cercare una persona. >> aveva detto uscendo dalla serra. 

<< C'è qualcosa che non va? Sembri turbata. >>

<< No, >> con il passo veloce. Poi si era voltata a guardare Neville. << devo solo… io devo… >>

<< Allora vai. Va a cercare la tua persona. >>

 

<< Granger. >> l'aveva chiamata e di nuovo quel tremito di cuore: alla fine l'aveva trovata lui. << Credo che questo sia tuo. >>

Aveva aperto la mano, disegno perfetto di ossa e pelle lattea macchiata soltanto dal rosso ardente e violento di quel piccolo bocciolo di rosa. 

Un sussulto violento le spostò i capelli, sferzando gli zigomi e posandosi con forza intorno al collo, come onde di mare mosse dal temporale. 

La vide spostare gli occhi sul polso, contare i pendenti e spalancarli subito dopo in un misto di rancore e consapevolezza, in quel caos di domande che sembravano finalmente aver trovato una risposta. 

La guardò mentre le guance si coloravano di imbarazzo tenue, delicato che donava al viso quel velo di innocenza che su di lei sembrava essere stato cucito e ricucito troppe volte: era cresciuta, era sbocciata proprio come le rose che pendevano dal suo polso di colori sbiaditi che si erano mescolati a quelli di Draco in un lento fluire di emozioni taciute e sussurate solo con gli occhi, in attimi di silenzio che soltanto in quel momento sembravano dare un senso al mondo e all'universo intero. 

Di fronte a quel viso, davanti a quelle labbra, Draco aveva trovato un motivo per spiegare quella smania di rimediare ai propri errori. 

Gli occhi di Hermione ancora legati a quei petali morbidi e pieni. 

<< Come lo hai avuto? >>

<< Non lo so. Credo si sia staccato dal tuo bracciale. >>

 

Rosso come la passione, il sangue, le ciliegie. Come il suo colore preferito, il cielo che promette pioggia, come l'amore. 

Quell'amore che l'aveva svuotata, che era entrato in lei come vento d'estate dopo mesi di inverno, dolce, senza far rumore, prendendo tutto lo spazio necessario ad incastrarsi e non dare a lei modo di scappare. 

Hermione si sentiva così: senza via d'uscita, senza la possibilità di negare ciò che vedeva. 

E, persa nei ricordi di quei copioni che si erano ripetuti negli anni e mai visti in quei giorni, lei staccò un'altra rosa e la poggiò accanto a quella che Draco teneva nel palmo: sembrava custodirla come un miracolo che si era dipinto di sentimenti. 

Non smise mai quel tocco a contatto con la  pelle morbida, calda di Draco. 

La rosa schiuse lentamente i petali, disegnando su essi arabeschi meravigliosi: striature bianche e rosse che si intrecciavano tra loro, amore essenziale e istintivo.

Per un attimo fu come sentirsi in apnea, la consapevolezza di essere circondata da altre persone e al tempo stesso non sentirle; non riuscire a percepire niente che non fosse se stessa, che non fosse lui. 

Le iridi umide di lacrime, la certezza che non era possibile tornare indietro: un'opera d'arte di una bellezza sconcertante, illogica, come se anche quel fiore non capisse la natura di quel sentimento che lei sentiva muovere dentro e che lui avvertiva quasi come un obbligo da vivere, come se da esso dipendesse lo scandire del tempo. 

Draco si sporse leggermente sul suo viso, senza mai nascondere la rosa screziata, con gli occhi ad incastrarsi nelle ciglia di lei. Così vicino da respirarle quasi addosso. 

<< Hermione… >>

<< Non con te. >> le sentì dire in un fiato di arresa, con la sorpresa che aveva provato quando il suo nome aveva sfiorato le labbra di Draco. 

Era lì, la sentiva, la vedeva come se ci fosse un vetro di infinito a dividerli. Irraggiungibile, ma presente. Era lì. 

Le aveva toccato il polso in punta di dita, come a non volerla rompere e lei lo sentì forte, di quella delicatezza che sembrava frantumarle le ossa. 

La sentì tremare e si avvicinò ancora fino a chiudere il mondo fuori da quell'abbraccio. 

Il vento, le voci, la magia. Tutto fuori, eccetto lei. 

 

°°° °°° °°°

<< Ed è così che comincia una storia d'amore scritta a metà, perché nessuno riesce a trovare le parole per finirla. >>

<< Perché? >>

<< Oh, beh… perché probabilmente non ci sono. O forse perché quella storia non deve finire. >>

<< È la favola più bellissima e dolcissima di tutto il mondo, mamma. E poi è la mia preferita perché c'è il nome della nonna, lo sai? >>

<< Adesso però è davvero ora di dormire, Evelin. >>

<< Rose? >> l'aveva chiamata Hermione. 

<< Sì? >>

<< Dobbiamo andare. >>

<< Dove vai, mamma? >> aveva chiesto Evelin, con le coperte rimboccate fino al mento.

<< Torno presto, bimba mia. >>

Da quando nelle mani aveva avuto quel diario di parole ordinate e di verità che non erano mai state svelate, Rose aveva trovato il modo di raccontare quella storia come se fosse stata una favola inventata, che viveva soltanto nelle fantasie di una bambina di cinque anni. 

Si era sentita persa tra quelle righe, le aveva lette con le lacrime agli occhi, un'emozione nel cuore che faceva a pugni con la consapevolezza di quell'amore che si era arreso ai pregiudizi, al peso della storia: qualcosa che c'è e allo stesso tempo non è destinato ad essere. 

   
 
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