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Autore: shatiaslove    08/06/2020    1 recensioni
In cui Min Yoongi, un ragazzo, è convinto di essere etero, e in cui Park Jimin, un ragazzo, è la sua anima gemella. O forse no?
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Min Yoongi/ Suga, Park Jimin
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Seoulmates

Alle persone che mi sono state vicine,
in quest'ultimo anno.
E a me stessa, che ho lottato.

Min Yoongi, ventidue anni, capelli neri, forse da tagliare di un centimetro o due, occhi taglienti, a mandorla, e labbra carnose, sorriso gengivale, capace di spezzarti il cuore alla sua sola vista, non particolarmente alto e dalla pelle particolarmente chiara; Min Yoongi, proprio questo Min Yoongi, è sicuro, al 100%, di essere eterosessuale.
Non è che viva in una società in cui sia realmente importante essere a conoscenza del proprio orientamento sessuale, considerando che si tratti di una società in cui pochi cercano l’amore, tanto lo stato fa per loro.
Tuttavia, lui sa di essere eterosessuale, ma proprio lo sa, lo sente, ne è convintissimo. Nato eterosessuale, cresciuto eterosessuale, ancora eterosessuale.
Non è che se fosse stato omosessuale, avrebbe avuto problemi. Forse ad accettarsi, all’inizio, ma nemmeno tanto. È giusto ripetere e ricordare che la società in cui Yoongi è cresciuto non ha interesse in queste cose, non dà peso, tanto che il coming out ha smesso di esistere, tanto che portare a casa un uomo, una donna, una persona non-binary, o transgender, non conta, non importa.
È che semplicemente sa di non esserlo, Yoongi, tutto qui.
È per questo che, quando viene infilato in una casa con Park Jimin, un ragazzo, un uomo, un maschio, Min Yoongi perde per un attimo il respiro e si ritrova a doversi domandare chi sia per davvero, in cosa creda per davvero, cosa voglia per davvero. E, soprattutto, a chi sia attratto per davvero. Perché può anche non contare, per la società, il tuo orientamento sessuale; e puoi anche fingere che non conti, per te, il tuo orientamento sessuale. Ma è davvero così?
 

 
Sono le sette del mattino del 1° Settembre, il giorno in cui, in tutto il mondo, vengono create delle coppie perfette, le cosiddette coppie di anime gemelle. Che poi non è nemmeno detto si tratti di coppie, alla fine; non è detto si tratti di una sola persona, non è detto che manchi solo un pezzo al nostro puzzle. A volte, una persona si può trovare con due o più anime gemelle, e va benissimo così. Perché il mondo in cui ci troviamo, il mondo di cui stiamo parlando, è un mondo avanzato, che si è staccato dalle tradizioni, che si è staccato dalle vecchie credenze. Non è che non esistano più, è che è difficile che le persone ci credano, che le persone le seguano. Nessuno crede più che un uomo e un uomo non possano stare insieme e adottare dei bambini, nessuno crede più che una donna non possa abortire, nessuno crede più nella famiglia tradizionale, fatta di madre, padre e figli. Addirittura poca gente crede nel Dio che le varie religioni hanno proposto negli anni. C’è gente che crede in Dio, certamente, ma non si tratta del solito Dio. È un Dio diverso, un’entità superiore che esiste, ma non si insinua nella vita sulla terra, nella condizione della terra. È un Dio che ha creato tutto, ma che non è né bene né male, perché è semplicemente in ogni singola cosa, quindi è realmente sia bene che male. Qualcuno ci crede, sì, in questo tipo di Dio.
Comunque. Ritornando al discorso precedente.
Sono le sette del mattino del 1° Settembre, Youngblood dei 5 Seconds of Summer risuona nell’aria, Min Yoongi sta rigirandosi nel letto, nascondendo la testa sotto al cuscino, nella speranza di non sentire la canzone che gli fa da sveglia. Sì, okay, Luke Hemmings è bellissimo e ha una voce strepitosa, ma questo non implica che sia piacevole che sia proprio la sua voce a risvegliare Yoongi dal suo sonno. Nonostante a Yoongi non dispiacerebbe passare una notte o due in compagnia di Luke Hemmings e nonostante Yoongi ami Youngblood con tutto se stesso, la mattina non è assolutamente il momento adatto. Tuttavia, è stato lui a scegliere questa canzone come sveglia; tuttavia, deve alzarsi ugualmente, sa che deve farlo, a prescindere che voglia o meno, a prescindere che abbia sonno o meno.
Oggi è il grande giorno e la Corea del Sud, come tutti gli altri Stati, si aspetta che i suoi cittadini, dai 18 anni in su, si facciano trovare nella sede centrale, in cui solitamente avvengono gli esami per trovare la propria anima gemella. Eccetto il 1° Settembre. Il 1° Settembre è il giorno in cui, appunto, i cittadini maggiorenni si ammassano nelle varie sedi della città in cui vivono – in base al proprio indirizzo, ci si deve rivolgere ad una sede specifica, per rendere il tutto più fluido e veloce – e scoprono se è stata trovata la loro anima gemella, o se ancora no. O ancora, se è il momento adatto per incontrarla, o ancora no. Perché non è tanto questione di trovare due o più persone che siano perfette per stare insieme. Alla fine i dottori fanno domande, inseriscono le risposte in un database e poi fa tutto la tecnologia. Quindi non è così difficile. Ma non sempre le persone sono pronte, a iniziare una relazione, a trasferirsi, a lasciare la casa dei genitori e a cambiare la loro vita. E sta ai dottori capire se le persone siano o non siano pronte; e sta ai dottori, in caso non fossero pronte, a prepararle, adeguatamente, gradualmente, a questo grande cambiamento.
Yoongi non s’è mai interessato realmente alla questione. Ma ormai sono quattro anni che il 1° Settembre torna a casa e si ritrova con la faccia delusa – o con le parole dal tono deluso – dei suoi genitori di fronte. E un po’ non ne può più.
Non è che pensino che lui non abbia un’anima gemella, o che sia una persona terribile incapace di amare ed essere amata. Ciò che realmente pensano è che lui non si stia impegnando abbastanza per convincere i dottori che sia pronto. Per convincere se stesso che sia pronto.
Yoongi realmente non lo sa, se sia pronto o se non lo sia. Non è che non ci abbia mai pensato, ma non è mai arrivato ad una sua conclusione. Segue ciò che gli dicono i medici, perciò; ovvero che lui, e la sua anima gemella, non sono pronti.
Ciò che Yoongi sa, è che i dottori hanno iniziato a citare la sua anima gemella due anni fa. Questo significa che la sua anima gemella abbia due anni in meno di lui.
Vedete, per quanto sia possibile scoprire chi sia l’anima gemella prima dei 18 anni, è sempre meglio aspettare che raggiunga la maggiore età prima di dirlo con certezza, considerando che gli anni dell’adolescenza sono gli anni coi più grandi cambiamenti, fisici e psichici.
Dal momento in cui i dottori hanno iniziato a mettere in mezzo alle conversazioni l’anima gemella di Yoongi, Yoongi ha compreso che ha due anni in meno.
E nei due anni dalla prima volta in cui è stata citata, Yoongi ha anche compreso di non essere l’unico a non essere pronto.
E questo lo fa stare sicuramente più tranquillo, e ha anche zittito i suoi genitori, perché adesso non possono più essere certi sia colpa di Yoongi.
Comunque. Ritornando al discorso precedente.
Sono le sette del mattino del 1° Settembre, Yoongi ha appena accettato la dura e triste realtà, perciò si mette a sedere sul letto, si stira e sbadiglia – contemporaneamente – e infine recupera i suoi occhiali da vista e il suo cellulare dal comodino. Indossa gli occhiali, e inizia a scorrere le notifiche che ha ricevuto durante la notte, alzando gli occhi al cielo quando trova alcuni messaggi non letti da parte di Seokjin e Namjoon, nella chat di gruppo che hanno in comune.
 
namjoon
Penso di aver appena perso le chiavi di casa
 
seokjin-hyung
Pensi? O sei sicuro di averle perse?
 
namjoon
Decisamente perse
 
seokjin-hyung
Va’ da Yoongi per oggi.
 
namjoon
Ma oggi è 1 Settembre
 
seokjin-hyung
Vacci lo stesso, Namjoon.
 
namjoon
Hyung?
 
Yoongi sospira, scuotendo leggermente la testa. Non riesce a credere che, tra tutte le persone, proprio queste siano i suoi amici, proprio queste abbia deciso di tenere accanto a sé, proprio a queste abbia deciso di dare fiducia e rivelare i suoi più oscuri segreti. Non riesce a credere che proprio a Namjoon, a quindici anni, abbia detto di voler divenire uno scrittore, da grande – tantomeno riesce a credere che Namjoon gli abbia risposto, e qui cito: “Figo, anche io”, con le fossette in evidenza e gli occhi lucidi ben evidenti nello schermo del suo computer portatile. Non riesce a credere che proprio a Seokjin, a diciannove anni, abbia detto di aver paura di non avere un’anima gemella, di essere solo al mondo. Non capisce come sia giunto al punto da creare un legame indissolubile coi due, e non capisce nemmeno perché ancora non se ne sia pentito amaramente, perché, davvero, questi due…
 
yoongi
puoi venire a casa mia
 
Non sa come sia possibile che Namjoon abbia perso le chiavi di casa – realmente lo sa, dal momento in cui Namjoon perde qualsiasi cosa gli venga riposta tra le mani –, però sa che Seokjin al momento non si trovi a Seoul – e Yoongi non sa precisamente dove si trovi, poiché il suo migliore amico viaggia sempre e lui ha smesso di chiedergli la meta –, perciò non è possibile entrare nella casa che condividono. E questo implica che Namjoon è, per una notte, un senzatetto. E questo implica anche che sta a Yoongi, da buon migliore amico quale preferirebbe non essere, ospitarlo.
Il suo cellulare risuona un paio di volte nel silenzio della sua stanza, ma Yoongi non gli dà attenzione, sapendo si tratti delle risposte di Namjoon e Seokjin – non perché i due abbiano una suoneria personalizzata, affatto, per nulla, assolutamente no.
Yoongi si rifugia in bagno, lontano dalla luce accecante del sole che si infila prepotente nella sua stanza e dalla voglia sfrenata di rimettersi a letto, si fa una doccia veloce, lava i denti, il viso e si impegna a passare la crema idratante e la protezione solare – non importa che sia estate o inverno, la protezione solare è un must. Indossa un paio di pantaloni neri e una maglietta bianca semplice, due lettere nere stampate al centro. Non il suo outfit migliore, ma neppure il peggiore. Recupera le sue solite scarpe da tennis bianche, le indossa velocemente e poi si dà un’occhiata allo specchio, cercando di sistemare la sua frangia leggermente ai lati del viso, sfilando gli occhiali subito dopo, per poi riporli nuovamente sul comodino.
La realtà è che Yoongi non ci vede particolarmente bene. Un’altra realtà è che non è che apprezzi poi così tanto gli occhiali da vista, o gli occhiali in generale. L’ultima realtà è che non gli piace usare le lenti a contatto. Perciò si muove quasi ad intuito, la maggior parte delle volte, nella speranza di non scambiare un palo per una persona e non chiedergli scusa nel momento esatto in cui gli sbatte contro. E non è che sia mai successo, non sta assolutamente parlando per esperienza personale, non sta assolutamente raccontando di quel giorno in cui si è poi ritrovato con un bernoccolo nel bel mezzo della fronte e le guance completamente rosse dall’imbarazzo dopo che una persona gli ha chiesto con chi diamine si stesse scusando.
Dà un’occhiata veloce all’orologio: 7:55. Tra trentacinque minuti esatti deve farsi trovare alla sede centrale, mettersi in fila e attendere che chiamino il suo nome, per comunicargli se lui e la sua anima gemella siano pronti o per comunicargli che non lo siano affatto.
Non è agitato, ma è agitato. Finge di non esserlo, però, fino al punto in cui non lo è per davvero.
Prende il cellulare, lo ripone in tasca, così come il suo portafoglio e le chiavi di casa.
E finalmente esce dal suo piccolo appartamentino composto da una stanza da letto, un bagno e una cucina, e fa per dirigersi verso la fermata dell’autobus più vicina; prima, però, lascia sotto lo zerbino una copia della chiave di casa, così che, in caso Namjoon arrivasse prima di lui, potesse entrare senza problemi, anziché aspettare sulla soglia di casa sua come un disperato – quale Yoongi pensa che sia, ma non si permetterebbe mai di esprimere questo pensiero ad alta voce, con la certezza che, se lo sentisse, Seokjin lo spedirebbe all’inferno con un’occhiataccia e una semplice parola.
I giovani adulti, i neodiciottenni, i neomaggiorenni, possono decidere se proseguire nel vivere con la famiglia o trasferirsi in un’altra casa, perlomeno fino a che non è stata trovata la loro anima gemella. Tuttavia, essendo le case costruite esclusivamente per le anime gemelle, essendo esse messe a disposizione dallo stesso Stato, è difficile trovare una vera e propria casa in cui trasferirsi. Però esistono tante vecchie costruzioni che ancora non sono state distrutte o rinnovate, in cui i piccoli appartamenti – o, meglio, le stanze con contorno di cucina e bagno – vengono messi in affitto dallo Stato stesso. Perché le anime gemelle hanno, per forza di cose, un ottimo rapporto, ma questo non implica che anche i figli abbiano un ottimo rapporto coi genitori. Solitamente sì, ma capita anche che no.
Yoongi crede di avere un buon rapporto coi suoi genitori, ma l’aria stava divenendo troppo fitta in casa, troppe aspettative, troppi sguardi delusi. Perciò ha deciso, a diciannove anni, poco dopo la sua rivelazione a Seokjin, di andarsene di casa, trovandosi un lavoro momentaneo, fino al trovamento di un lavoro che corrisponda effettivamente ai suoi interessi e fino a che, soprattutto, non gli fosse stata rivelata la sua anima gemella e non gli fosse stata fornita una casa vera e propria.
Yoongi si appresta a salire sul bus, trovando immediatamente – e fortuntamente, considerato che oggi sia il primo di Settembre e siano tutti costretti a dirigersi verso le varie sedi – un posto a sedere libero. Sospira, pesca il cellulare dalla tasca dei pantaloni e legge gli ultimi messaggi da parte di Namjoon e Seokjin. Diversi grazie, da parte di Namjoon, e diversi insulti, da parte di Seokjin nei confronti di Namjoon. Fortunatamente, poi, hanno ben pensato di trasferire la loro conversazione in una chat privata, così da non invadere il cellulare di Yoongi con notifiche irrilevanti. Lo conoscono bene, non c’è che dire.
Yoongi non sa cosa sperare, non sa se sperare che finalmente sia lui che la sua anima gemella siano pronti per incontrarsi, vivere insieme, condividere la loro vita, passo per passo. Non sa se sperare in una nuova vita, o se per il momento preferisca tenersi stretta la sua attuale. Certo, pensieri simili parrebbero più indicare la seconda opzione, ma lo psicologo del quartiere di Mapo-gu, Jung Hoseok, ha più e più volte rassicurato Yoongi che sì, i suoi pensieri condizionano i risultati, ma non sono l’unico aspetto preso in considerazione. È possibile che Yoongi pensi una cosa, ma realmente, nell’inconscio, ne voglia un’altra, e che ancora non sia arrivato a questa conclusione. Tuttavia, tramite i vari test, è facilmente scopribile una cosa simile. Ed è il motivo per cui i giovani vengono seguiti da psicologi e devono fare certi tipi di test, all’apparenza inutili e senza senso.
A Yoongi piace Jung Hoseok, a differenza del vecchio psicologo che aveva quando abitava a Daegu. Quell’uomo aveva lo stesso sguardo spazientito e deluso dei suoi genitori.
Viene distratto dai suoi pensieri nel momento in cui il bus si interrompe alla fermata Hongik University, nonché la sua fermata, essendo la sede vicina all’università. Si appresta a scendere dal mezzo, attento a non scontrarsi contro le persone che stanno cercando di salire, e punta lo sguardo sul cielo limpido di Seoul. Chissà, forse oggi, più tardi, alzerà gli occhi al cielo e vedrà un cielo differente. Con più speranza. Con l’ansia nello stomaco e il prospetto di una nuova vita.
Si dirige verso la sede, un paio di minuti a piedi. Si ferma un attimo in un café, ordina il suo solito e amato caffè americano, e con bicchiere riciclabile e riutilizzabile tra le mani e cannuccia riciclabile e riutilizzabile tra le sue carnose labbra, prosegue il suo cammino, con passo tranquillo e sole negli occhi.
Quando si ritrova di fronte alla sede, punta il suo sguardo sul grande edificio grigiastro, tante finestre che riflettono la luce del sole e fin troppa gente che va e viene dall’entrata principale.
Yoongi assapora il gusto amarognolo del suo caffè, portando i suoi occhi sulla scritta “Sede Seoulmate” e, nell’angolo in basso, in piccolo, “Mapo-gu”. Nel resto delle città, nel resto del mondo, le sedi sono semplicemente chiamate “Sede Soulmate”. Ma ovviamente, ovviamente, a Seoul dovevano fare questa terribile battuta. E ovviamente, ovviamente, Seokjin ama questa stessa battuta.
Alza gli occhi al cielo, finisce il suo caffè, butta il bicchiere nel cestino specifico, così che poi venga riciclato ancora una volta, e si appresta ad entrare nella sede.
Non ci vuole molto, prima che lo facciano entrare nello studio di Jung Hoseok, e ringrazia il cielo, perché non aveva questa particolare voglia di attendere, seduto su quelle sedie in plastica scomode, troppa gente attorno a lui, il caldo ancora ad impregnare l’aria.
«Buongiorno, Yoongi-ssi» lo saluta lo psicologo, porgendogli un sorriso, che fa invidia al sole, e un veloce inchino.
«Puoi chiamarmi hyung, Hoseok» lo informa Yoongi, salutandolo con un piccolo inchino a sua volta, e si mette a sedere, nel frattempo, sulla sedia decisamente scomoda riposta di fronte alla scrivania in mogano di Hoseok, mentre quest’ultimo sta seduto dalla parte opposta, nella sua comoda e morbida e grande sedia in finta pelle, con le ruote ai piedi e i braccioli ai lati. Yoongi, stanco com’è, in questo momento è terribilmente geloso.
Osserva Hoseok, i suoi capelli neri che ricadono in delicate onde ai lati del viso, i suoi occhi lucidi per la gioia che ripongono, il suo naso dalle linee perfette, la punta leggermente all’insù, che sembra quasi rifatto – ma Yoongi sa che non è così, Hoseok si è lamentato, una volta, di tutte le persone che credono sia rifatto, ma no, non lo è –, le labbra rosee, il labbro superiore che sembra un cuoricino, vista la sua forma. Osserva Hoseok, la maglietta nera, a maniche corte, un paio di pantaloni dello stesso colore, il camice bianco, a fare da contrasto, che gli ricade sulle spalle come se fosse stato fatto proprio per lui, per seguire perfettamente le sue forme.
Osserva Hoseok e aspetta che prenda la parola.
«Come stai?» gli chiede, cliccando un paio di volte sul mouse collegato al computer, facendo chissà cosa, cercando chissà che.
«Hoseok, passiamo alle cose importanti, non ho tempo da perdere» gli fa sapere Yoongi, sbuffando sonoramente e assottigliando gli occhi.
Hoseok scuote la testa, accennando un sorriso divertito, e poi punta gli occhi scuri in quelli di Yoongi. «Siete pronti, tu e la tua anima gemella. Potrai incontrarla questo pomeriggio, alla vostra nuova casa» gli rivela Hoseok, porgendogli un vero e proprio sorriso felice, di quelli estremamente luminosi, a tal punto da costringerti a chiudere gli occhi un attimo, per non perdere la vista.
E Yoongi non sa bene quello che prova. Gli manca il respiro, per un attimo. E poi gli si chiude lo stomaco. E poi gli pizzicano le dita, dalla voglia di sapere. E poi gli tremano le gambe, dalla voglia di dirigersi all’appartamento. E aspettare, aspettare, aspettare, fino all’arrivo della sua anima gemella.
Non è che sia mai stato convinto, di questa cosa dell’anima gemella. Yoongi è sempre stato un tipo realista, ha sognato, sì, ma tenendo i piedi ben attaccati sul pavimento. È sempre stato un tipo realista e non ha mai capito tutta questa positività attorno all’anima gemella. Ma crescendo, suppone, ha iniziato ad averne bisogno. Ad avere bisogno di qualcuno accanto a sé. Una persona che sia amica, ma anche di più, molto di più. Perché di amici ne ha, ma non sono la stessa cosa. Non è la stessa cosa.
Non è che non si possano avere relazioni, prima che venga rivelata la propria anima gemella. Ma sono un po’ inutili, un po’ create giusto per passare il tempo fino a che.
E Yoongi, dal suo canto, non ha mai trovato qualcuno che gli interessasse al punto di. Dal suo canto, è rimasto single, per tutto questo tempo.
Non è che non abbia mai baciato qualcuno. Ha avuto i suoi interessi, le sue prime volte – non quella prima volta, però, non ha mai trovato nessuno a cui dare abbastanza della sua fiducia per farci sesso. Ma non si è mai trattato di relazioni. Si è sempre trattato di voler provare, di voler fare, togliersi il peso di dosso, dimenticare i propri problemi.
Questo che sente, queste sorta di farfalle nello stomaco, gli è nuovo. Quest’ansia, questa speranza. Sono sentimenti nuovi.
«Posso almeno sapere il suo nome?»
«Park Jimin, si chiama Park Jimin.»
 
 

Questo è il problema, pensa Yoongi, mentre si dirige verso un piccolo ristorante giapponese per consumare il suo pranzo, prima di poter finalmente andare nella sua nuova casa, le chiavi che fanno rumore e occupano spazio nella tasca dei suoi pantaloni, fredde contro la sua pelle, nonostante lo strato di tessuto che le separa da essa.
Questo è il problema, di tutta questa situazione riguardante le anime gemelle – e non è che sia l’unico problema, ce ne sono tanti da discutere, da affrontare, da risolvere. Ma, in questo preciso momento, questo è il problema: non ti dicono nulla, sulla tua anima gemella. Ti danno un nome, ti dicono “questa persona, InserireNomeQui, è la tua anima gemella” e poi ti sbattono fuori dalla sede, un paio di chiavi – quella del cancello all’esterno e quella della porta principale – e null’altro tra le mani. E poi ti danno l’indirizzo della casa, una stanza da letto, un bagno, un salotto, e una cucina. Non c’è neppure la stanza degli ospiti, per la prima casa che viene fornita dallo Stato – ne vengono date di diverse, nel corso della vita, in base al punto in cui la coppia si trova nella relazione. Gli abitanti ripagano lo Stato lavorando e pagando le tasse, ovviamente.
Questo è il problema, che ti sbattono in questa casa, con questa stanze, con questo nome nella testa e queste chiavi in tasca, e devi condividere questo posto, questa vita, con una persona che per te, per il momento, è una sconosciuta.
E quindi Yoongi sa che la sua anima gemella si chiama Park Jimin. E basta, non sa altro.
È convinto che sia femmina. Perché Yoongi è eterosessuale, come già detto e sottolineato, più e più volte.
Ma per il resto?
Quanto è alta, Park Jimin? Cosa le piace fare? Dove le piacerebbe andare? Quali sono i suoi posti preferiti a Seoul? Le piace Seoul? Che sogni ha? Cosa pensa le serbi il futuro? Come le piacciono le uova al mattino? Di che colore vorrebbe le pareti della stanza da letto?
Yoongi deve scoprire tutte queste cose da sé, giorno per giorno, tramite la, inizialmente forzata, convivenza.
E si rende conto che è realmente estasiato, all’idea. Di scoprire e conoscere in tutte le sue piccole sfumature una persona a cui sembrerebbe essere destinato, che sembrerebbe essere perfetta per lui, per i suoi pregi e per i suoi difetti.
È come mettersi all’opera di un puzzle di cui già si sa il risultato finale, in cui si è già a conoscenza della sua meraviglia.
 
 

Sono le 17 in punto, il sole decisamente meno caldo, le strade decisamente più affollate, il chiacchiericcio della gente in lontananza. Non è una zona particolarmente turistica questa; tuttavia Seoul è una Città, con la C maiuscola, e, come ogni Città che si rispetti, è sovrappopolata e rumorosa.
Yoongi si trova in casa, nella sua nuova casa, e aspetta.
Hoseok gli ha detto di presentarsi lì verso le 17, facendogli sapere che, ovviamente, la stessa cosa era stata comunicata a Jimin.
E adesso sono le 17 in punto e Yoongi aspetta, l’ansia che gli logora lo stomaco, il respiro bloccato in gola, le mani tremolanti. È indeciso, non capisce se si senta come se stesse soffocando o come se si trovasse sottosopra. In entrambi i casi, si sente male. Ma non può permettersi di stare realmente male, visto che Park Jimin dovrebbe arrivare tra pochissimo. E non è che voglia che il loro primo incontro sia ricordato con lui che le vomita addosso a causa dell’ansia.
Quindi Yoongi aspetta, tiene i denti stretti per evitare di vomitare, e osserva la porta di casa, sbattendo a malapena le palpebre.
Smette di respirare quando sente il cancello venire aperto e chiuso, e poi dei passi lenti sul ciottolato, e poi una chiave inserita nella serratura. Smette di respirare, per un minuto, fino a che i suoi polmoni non implorano pietà e respira per riflesso involontario.
Quando la porta si apre, Yoongi… Yoongi non sa realmente che dire.
«Oh» dice la persona ancora sulla soglia della porta, le labbra che si aprono in un sorriso amichevole. «Ciao.»
«Chi sei?» chiede confuso Yoongi, aggrottando la fronte. «Ah!» esclama Yoongi, non lasciando il tempo alla persona davanti a sé di rispondere alla sua prima domanda. «Sei stato mandato dalla sede per controllare che fosse tutto a posto?» chiede ancora, annuendo tra sé e sé. Non sapeva avrebbero mandato qualcuno, ma suppone che queste cose funzionino così.
«No, io-» fa per dire il giovane adulto, ancora immobile sulla soglia della porta, il sorriso non più sulle labbra. Sembra confuso.
Ma Yoongi è delirante, a causa dell’ansia accumulata, quindi non gli dà tempo di proseguire, per una seconda volta. «Oh, capisco, ti hanno dato le chiavi sbagliate? Hm, sì, ho sentito alcune persone parlare di questa cosa. Capita, sfortunatamente» borbotta Yoongi, offeso che forse oggi non riuscirà ad incontrare Park Jimin.
«Sei Min Yoongi-ssi?» chiede il giovane adulto, facendo un passo in casa, chiudendosi la porta alle spalle, attento a non fare troppo rumore.
«Sì, come-»
«Sono Park Jimin, la tua anima gemella» gli rivela il ragazzo. Ragazzo. Con la o. Maschio. Uomo. Un pene, probabilmente, ma non necessariamente, tra le gambe.
«Ti identifichi come un ragazzo o come una ragazza? O come entrambi? O come nessuno dei due?» gli domanda Yoongi, non nel più gentile dei modi. Non perché voglia essere maleducato, ma perché sia intenzionato a capire, in una maniera quasi disperata, quasi come se, inconsciamente, si stesse arrampicando su degli specchi.
Il giovane adulto che, apparentemente, è Park Jimin, l’anima gemella di Min Yoongi, aggrotta la fronte, ancora più confuso. «Come un uomo? Sono nato nel corpo di un uomo e mi identifico come un uomo» risponde, un velo di incertezza nella voce altrimenti soave.
«Allora non sei la mia anima gemella.»
«Cosa? Perché?» esclama Jimin, sbarrando gli occhi e facendo un altro passo in direzione di Yoongi, questa volta più affrettato, ma senza avvicinarsi troppo, lasciando comunque una certa distanza tra di loro. «No-non ti piaccio?»
Yoongi si rende conto finalmente di quanto male siano risuonate le sue parole e scuote velocemente la testa, cercando di rassicurare Jimin. «No, no, no-non è quello il problema. Sei un bel ragazzo e sembri pure gentile, però…»
«Però…?»
«Sei un uomo.»
La realizzazione di quale sia il problema si propaga per tutto il corpo di Jimin, consumandogli un po’ della sua energia. «Ah
«Mi dispiace, Park Jimin­-ssi, che siamo finiti in questa situazione. Suppongo abbiano confuso il tuo profilo con quello di una ragazza, dal momento in cui il tuo nome è neutro» dice Yoongi, trattenendosi dal sospirare rumorosamente, non intenzionato a far sentire peggio il ragazzo di fronte a sé. Alla fine, non è colpa di nessuno dei due se si trovano in una situazione simile. Sarà difficile da gestire anche per Jimin, alla fine della giornata. Jimin che, come Yoongi, si aspettava di incontrare finalmente la sua anima gemella. E invece no.
«Sei…» fa per dire Jimin, ma poi prende un respiro profondo prima di proseguire. «Sei sicuro si tratti di un errore?»
«Be’, sono etero» risponde semplicemente Yoongi.
 
 

Min Yoongi non è mai stato il tipo da correre dai suoi migliori amici per sfogarsi con loro e farsi dare consigli o farsi semplicemente sostenere. Ha sempre preferito gestire i drammi della sua vita da sé, analizzarli con attenzione e cercando di essere il più neutro possibile. E ci è sempre riuscito, realmente. Sono state solo due le volte in cui Yoongi ha deciso fosse necessario discuterne con qualcun altro, quando ha rivelato a Namjoon di voler divenire uno scrittore da grande – che poi, adesso è grande, e ancora non è nell’effettivo uno scrittore, ma questo problema è meglio rimandarlo ad un altro giorno – e quando ha rivelato a Seokjin di aver paura per il suo futuro. Ma, in entrambi i casi, era convinto di ciò che stesse provando, aveva semplicemente bisogno di parlarne con qualcun altro e farsi rassicurare, perché, da essere umano quale era ed è, ogni tanto le paure prendono il sopravvento.
Ma adesso, adesso sta per avvenire la terza volta – e c’è una strana tensione nell’aria, come se non sarà l’ultima. Sta per essere segnato in rosso, sottolineato ed evidenziato, nella storia di Min Yoongi, questo giorno. Perché Min Yoongi sta infilandosi di fretta sul bus, in tempo prima che le porte si chiudano – e per poco non gli si chiudono addosso –, e si sta dirigendo verso il suo appartamento, il respiro affannato e la mente in confusione. Sente di non essere capace di ragionare, sente di non essere capace di prendere il sopravvento dei suoi pensieri e gestirli ordinatamente, uno per uno, metterli in fila, analizzare la situazione, accettare il problema, visualizzare la soluzione. Non è capace. Non ne è capace. Il suo unico pensiero costante, al momento, è che Park Jimin, un uomo, è la sua anima gemella. Park Jimin. Un uomo. Un giovane adulto. Stessa altezza di Yoongi. Capelli scuri spettinati, e Yoongi si è chiesto, per un attimo, perché quando lui ha i capelli spettinati sembra essere coi postumi di una sbornia, mentre Park Jimin sembra essere pronto per un servizio fotografico per Vogue. Occhi sottili, a mandorla. Labbra carnose.
Yoongi ha notato il suo sorriso, prima che la situazione si capovolgesse.
E basta, basta, basta.
Non vuole pensare.
Non vuole pensare a Park Jimin, un giovane adulto, un uomo, un maschio, la sua anima gemella. La sua anima gemella. La persona con cui dovrebbe passare il resto della sua vita.  Che dovrebbe amare e accudire e proteggere. Con cui dovrebbe formare un legame talmente forte da essere indistruttibile. La persona che dovrebbe essere la sua esatta metà, che dovrebbe completare perfettamente il suo corpo e la sua mente.
Ed è impossibile. Impossibile. Che si tratti di Park Jimin, un essere umano, un giovane adulto, un uomo, un maschio.
Yoongi percepisce il suo respiro affannarsi un po’ di più, tuttavia non riesce a percepire gli sguardi un po’ confusi e un po’ preoccupati su di sé delle persone attorno a sé, troppo preso da se stesso e dal fatto che si senta svenire e non può permettersi di svenire sul bus, soprattutto perché sarebbe fin troppo antigienico per i suoi gusti.
Quando viene annunciata la sua fermata, Yoongi si infila tra le due porte quasi di forza, volenteroso di uscire il prima possibile, alla ricerca di aria fresca, alla ricerca di pace. Si sente soffocare, sopraffare. Ma prosegue, continua, imperterrito. E con non poca fatica, giunge al suo appartamento. E con molta fatica, infila la chiave nella serratura, le mani tremanti, le labbra tremanti, gli occhi tremanti. Quasi sospira di sollievo – quasi, perché respira così male che un sospiro non è capace a farlo – quando la porta si apre e riesce ad infilarsi nel suo appartamento, che, a suo modo, sa di casa.
«Hyung?» chiede immediatamente la voce di Namjoon, la sua dannata voce, profonda e rassicurante, che, a suo modo, anch’essa sa di casa. Namjoon, Namjoon, Namjoon, grazie al cielo Namjoon è arrivato prima di lui. «Hyung» ripete Namjoon, ma questa volta non si legge confusione nella sua voce, è più ferma, più stabile, come se si fosse reso conto della situazione e avesse già deciso di agire a sua volta. «Hyung, incrocia il mio sguardo» comanda Namjoon e Yoongi è troppo andato per rendersi conto di starlo facendo. In un’altra situazione, Yoongi non avrebbe mai incrociato la sguardo di Namjoon. Non è che non lo faccia mai, eh, durante una conversazione faccia a faccia, capita, che gli sguardi si incrocino, è un’azione intrinseca nell’essere umano. Ma volontariamente? No. Yoongi non incrocia sguardi volontariamente. Non si sente a suo agio a farlo. E anche se e quando ci prova, abbassa poco dopo lo sguardo. Perché non gli piace, non gli piace, non gli piace. Ma adesso lo fa, lo incrocia, lo mantiene, pur non rendendosene conto. «Respira con me, hyung. Inspira» gli dice Namjoon e Yoongi lo fa. «Trattieni il respiro» prosegue Namjoon e Yoongi lo fa. «Espira» mormora infine Namjoon e Yoongi lo fa. E così, ancora, ancora, e ancora. Fino a che il respiro di Yoongi non ritorna normale, fino a che la sua mente non è serena, fino a che il suo corpo non è più un ammasso di tremori. «Hyung, vuoi parlarne?»
Yoongi annuisce, portando lo sguardo sulle sue mani sudaticce e si alza in piedi – senza rendersene realmente conto, era finito per sedersi per terra, a farsi più piccolo possibile, appena entrato in casa, in preda all’attacco di panico.
Si dirige verso la sua stanza, senza dire nulla, sapendo che Namjoon lo seguirà con passi il più possibile delicati, capaci di non farlo sussultare o spaventare.
Si siede sul suo letto, abbastanza alto da costringerlo a tenere le gambe a penzoloni. Se punta i piedi, però, tocca terra. Ma li tiene a penzoloni, per questa volta, perché non ha da dimostrare a Namjoon, o a Seokjin, che è abbastanza alto, che è alto e basta, anche se non quanto loro. La realtà è che sono loro dei giganti, è un dato di fatto.
Si siede, schiena leggermente piegata, perché la sua postura è un po’ pessima, mani sudaticce sulle cosce, dita a giocherellare tra di loro, occhi puntati sulle stesse dita, sulle stesse mani, la pelle bianca, la pallida luce del sole che si infila dalla finestra che la illumina in maniera lieve.
Si siede, stringe le labbra in una linea sottile, poi le lascia andare, riportandole alla loro forma originale; sono carnose, le labbra di Yoongi, piccole e carnose e rosee, morbide, sembrano morbide. Le tiene aperte per un po’, respirando e cercando le parole, disperatamente; si sente come un bambino con una rete da pesca, che cerca di catturare pesci che neppure ci sono sulla riva del mare.
«Hoseok, il mio psicologo, mi ha rivelato, questa mattina, di esser pronto, che la mia anima gemella è pronta. E ha organizzato subito l’incontro, mi ha dato le chiavi di casa, e ci sono andato» inizia a dire e Namjoon lo ascolta, attento a non fare movimenti strani, seduto accanto a lui, i piedi che toccano terra senza problemi; Namjoon lo ascolta e vorrebbe parlare, vorrebbe dire che è una bella cosa, ma lo stato del suo migliore amico gli fa sapere che è successo qualcosa, quindi sta zitto, e attende. «Alle 17 e un minuto, penso, o giù di lì, la porta di casa si è aperta e ha rivelato un…» Yoongi si interrompe, prende un respiro profondo, sbatte le palpebre un paio di volte, «un ragazzo.»
Namjoon aggrotta la fronte e vorrebbe continuare a tenere la bocca chiusa, ma comunque, insieme ad un sospiro, rilascia le parole «Un ragazzo?».
Yoongi annuisce e Namjoon quasi non se ne rende conto, tanto piano lo fa. «Sì, un ragazzo, un giovane adulto, un uomo, un maschio, che si identifica come un maschio» elenca Yoongi, al limite dell’isteria. Ma stavolta Namjoon non rilascia nessuna parola, tra lo sbuffo di un sospiro, e lascia che Yoongi si sfoghi, non importa stia in parte delirando. «Si chiama Park Jimin. Non so altro di lui. So solo che sa il mio nome e che è la mia anima gemella.»
«Credi-» Namjoon si ritrova senza voce, per un attimo, ed è costretto a tossire, per poter parlare e proseguire. «Credi che sia davvero così? Sia davvero la tua anima gemella?»
Yoongi alza lo sguardo, ma non lo punta su quello di Namjoon e Namjoon non si aspettava lo facesse. «No. Non lo so. Spero di no. Ma… non lo so, Joon-ah, non lo so.»
«Va bene, sai? Non saperlo, intendo» lo rassicura Namjoon. «Ascoltami, hyung. Non sei costretto a saperlo, adesso. So che sembra ci sia fretta, ma non c’è fretta» prosegue Namjoon, tenendo un tono calmo e basso, per rassicurare fino al midollo il suo migliore amico. Yoongi non è mai stato così piccolo, così indifeso, così insicuro. Nemmeno quando gli ha rivelato di voler fare lo scrittore, da grande; nemmeno quando gli è stata diagnosticata la depressione; nemmeno quando ha dovuto far fronte agli sguardi delusi dei suoi genitori. «Per oggi riposati, prova a dormire un po’, mangia qualcosina. Domattina, come prima cosa, chiama il tuo psicologo e chiedi un incontro. Vedi cosa può fare. Vedi se ci sia stato qualche errore. Sono certo che lui saprà aiutarti.»
Yoongi non dice nulla, perché non c’è nient’altro da dire. Semplicemente annuisce.
E Namjoon non dice altro, perché, anche se avrebbe altro da dire e da chiedere, sa che Yoongi non ha bisogno di farsi certe domande al momento. Semplicemente annuisce a sua volta.
«C’è un nuovo ristorante, non molto distante dal mio appartamento, che, a detta dell’internet, serve ottima carne e ottimo alcol. Ti offro una cena?» chiede Yoongi, cambiando argomento, alleggerendo l’atmosfera attorno a loro.
Namjoon accenna un sorriso, sa che questo è il modo silenzioso di Yoongi di ringraziarlo e va bene così, non hanno bisogno di parole, loro due, non hanno bisogno di futili grazie e di futili parole, non dopo anni di amicizia, non dopo anni in cui Namjoon ha dovuto accettare che Yoongi non apprezza incrociare il suo sguardo e ancora meno condividere i suoi pensieri, non dopo anni in cui Yoongi ha dovuto accettare che Namjoon ama parlare fin troppo, anche se questo include chiamarlo nel bel mezzo della notte, ed è incapace di mantenere anche una sola cosa integra, eccetto la sua vita amorosa e la sua impressionante intelligenza. Si vanno bene così, nonostante le differenze.
Namjoon accenna un sorriso, quindi, e le sue fossette ai lati della bocca si fanno finalmente vedere, rendendolo l’essere più adorabile sulla faccia della terra. «Sì, hyung, va bene.»
 
 

«Com’è che finiamo sempre per guardare Inception, io e te?» chiede Namjoon a Yoongi, porgendogli un sorriso veloce, per poi riportare l’attenzione su Leonardo di Caprio ed Ellen Page e Parigi che viene deformata in una maniera che lascia ogni volta Namjoon a bocca aperta.
«Perché è il nostro film preferito?» domanda a sua volta Yoongi, ma entrambi sanno si tratti di una domanda retorica (e anche con un filo di sarcasmo).
«Ho sempre voluto andare a Parigi» ammette Namjoon, stringendosi nelle spalle e pescando dalla ciotola di fronte a sé qualche popcorn – è importante specificare che non li hanno preparati loro, hanno semplicemente aperto il pacco e hanno riversato il suo contenuto in una ciotola gialla; be’, due ciotole gialle, perché hanno comprato due pacchi, visto che non sono capaci a condividere, visto che entrambi amano troppo i popcorn, più della loro amicizia, molto più della loro amicizia.
«Lo dici ogni volta che Cobb e Ariadne “si trovano” a Parigi» borbotta Yoongi, tenendo lo sguardo incollato sullo schermo del suo televisore, ma alzando le mani per fare il segno delle virgolette alte nel momento in cui dice “si trovano”, perché nel film non si trovano realmente a Parigi. Sono in un sogno.
«E continuerò a dirlo fino a che non mi regalerai un biglietto sola andata per Parigi» risponde, con lo stesso tono annoiato di Yoongi, Namjoon, decidendosi poi a poggiare la ciotola sul suo grembo così da mangiare meglio. Stare seduto con la schiena dritta e allungare ogni volta il braccio stava iniziando a seccarlo.
«E Jin-hyung?» gli chiede Yoongi, mentre osserva Ariadne che piega praticamente in due Parigi. E wow, Inception è davvero il suo film preferito.  
«Jin-hyung ce la farà» lo rassicura Namjoon, ingozzandosi di popcorn, parlando con la bocca piena e costringendo Yoongi a fare una smorfia schifata prima di decidersi a replicare.
«Oh, non vedo l’ora di metterlo al corrente di questa conversazione!» mormora quasi con tono eccitato Yoongi.
Namjoon si mette a sedere un po’ più dritto e distacca lo sguardo dalla televisione, portandolo su Yoongi con stupore e terrore. «Non osa–»
«Credi che sarebbe possibile, mettere un’idea nella testa di una persona?» chiede improvvisamente Yoongi, interrompendo Namjoon, che si ritrova solo con lo stupore negli occhi, per un momento. Poi si rimette a sedere e sta in silenzio per un po’.
«Be’, Inception mi sembra la chiara prova che è possibile» dice infine Namjoon, incerto su dove Yoongi voglia andare a parare, motivo per cui ci ha pensato un attimo su prima di dargli una risposta, probabilmente terribile. Ma almeno ci ha provato.
«E nella vita reale? Credi sarebbe possibile?»
«Hyung, di cosa-?»
Ma Namjoon viene interrotto di nuovo, da Yoongi che sospira sonoramente, si mette a sedere come si deve, e poggia la sua ciotola piena di popcorn sul tavolino di fronte a loro, per poi mettere in pausa il film, ripescando il telecomando della televisione da sotto il cuscino del divano. «Credi sarebbe possibile far credere ad una persona che il suo orientamento sessuale sia un altro?» Yoongi chiede, e sembra quasi gli faccia male, dire le parole ad alta voce, metterle una di seguito all’altra per formare una frase di senso compiuto e per esporle, soprattutto, anziché rinchiuderle in un baule sperduto tra i suoi mille pensieri e non ripescarle mai più.
Namjoon si zittisce di nuovo, e lascia che il suo cervello funzioni come si deve, calcolando e ragionando, cercando la risposta giusta da dare a Yoongi. Ma il punto è questo: esiste una risposta giusta? Qual è la risposta giusta? Qual è la cosa giusta da fare? Perché Namjoon è convinto che nulla soddisferà Yoongi, eccetto quella singola cosa. Ma qual è quella singola cosa? E Namjoon, in caso non concordasse con essa, dovrebbe comunque dirgliela per soddisfare qualche meccanismo nella testa di Yoongi? Per ottenere la giusta reazione?
Si è sempre chiesto queste cose, Namjoon. Ha sempre pensato e pensato e pensato.
E, alla fine, non è che sia proprio arrivato ad una conclusione.
Ha deciso, semplicemente, che avrebbe condiviso la sua opinione, quando richiesta; avrebbe ragionato a lungo ed esposto la sua idea, con pro e contro, seguendo un discorso logico. Niente risposte affrettate, niente risposte create per accontentare. Solo ciò in cui crede, quando richiesto.
«Credo che sia possibile far credere ad una persona che ciò che sente sia sbagliato e non dovrebbe sentirlo, e credo, quindi, sia possibile che questa persona finisca per rimuovere da sé le sue stesse emozioni» gli dice Namjoon e, prima che Yoongi lo interrompa – e sa che sta per farlo –, alza una mano, e riapre la bocca. «Tuttavia, non so se, al di fuori di un certo tipo di situazioni, quali un trauma, mentale e/o fisico, e quei rimasugli che esistono nella nostra società dei vecchi modi di pensare e delle vecchie aspettative che esistono sulle donne e sugli uomini basate sul patriarcato e sull’eteronormatività, sia effettivamente possibile questa cosa» ammette Namjoon, trattenendo un sospiro che vorrebbe davvero lasciar andare. Ma non può farlo, ha bisogno di tenere Yoongi concentrato sul loro discorso e far sì che si apra con lui. Non può fargli capire quanto realmente gli pesi sul petto e sulla schiena e ovunque questo discorso.
Yoongi annuisce, e poi è lui quello a rilasciare il sospiro. «Pensi che sia gay?»
Namjoon fa spallucce e si lascia andare sul divano. Ma è tutta apparenza, è tutta apparenza. «Questo non te lo posso dire io.»
«Va bene» quasi sussurra Yoongi, ripescando il telecomando e facendo ripartire il film, concentrandosi completamente su di esso. E Namjoon non può far altro che seguirlo a ruota, sperando che il suo hyung riesca ad uscire da questa situazione il prima possibile.
 
 

Yoongi finisce per far visita allo studio di Jung Hoseok e allo stesso Jung Hoseok il 2 Settembre, nonché la mattina successiva al Grande E Quasi Terribile Giorno.
Ha le mani sudaticce, non riesce a star fermo ed è quasi certo di apparire come uno degli zombies in Train To Busan.
Ma non importa.
Perché ha bisogno di parlare con Hoseok e il suo aspetto è davvero l’ultimo dei suoi pensieri – no, realmente l’ultimo dei suoi pensieri è la foto che gli ha mandato Namjoon poco fa, ritraente lui e Seokjin insieme a letto, nuovamente insieme, le coperte a ricoprire i loro corpi palesemente nudi; non avrebbe davvero voluto avere un’immagine simile nella sua testa.
«Yoongi-ss–» fa per chiamarlo Hoseok, ma poi si interrompe da sé. «Hyung?» dice lo psicologo, piegando la testa di lato, espressione palesemente confusa sul viso.
Le anime gemelle, dopo esser state inserite insieme in una casa, vengono seguite da volontari – comunque esperti in relazioni –, giusto per avere la certezza vada tutto bene e non ci siano problemi. Non rivedono i loro psicologi fino a tre mesi dopo. Motivo per cui Hoseok è confuso alla vista di Min Yoongi nel suo studio.
«Hoseok, perché la mia anima gemella è un maschio?» chiede Yoongi senza giri di parole.
E Hoseok sussulta, nel notare lo stato in cui si trova il suo paziente – che non è più solo un paziente, ma dovrebbe essere solo un paziente –, nel percepire la nota roca nella sua voce, nell’osservare gli occhi lucidi e persi. E sussulta, anche, per la domanda che gli viene posta.
«Ti aspettavi una donna?» chiede a sua volta Hoseok, poggiando i gomiti sulla scrivania, tenendo alzati gli avanbracci, appoggiando il mento sui pugni chiusi, e portando il suo sguardo sulla figura di Yoongi dall’altra parte della scrivania, gli occhi che non ne vogliono sapere di incontrare i suoi.
«Be’, sì?» quasi borbotta Yoongi, mentre le labbra carnose si imbronciano senza che lui se ne renda conto. «Sono eterosessuale, certo che mi aspettavo una donna.»
«Sei… eterosessuale?»
La testa di Yoongi scatta, come una molla, e per un nanosecondo il suo sguardo incrocia quello di Hoseok, ma poi lo sposta sui suoi pugni ancora stretti sotto al suo mento. «Sì. Perché? Pensavi di no?»
«Sei sicuro che Park Jimin non sia la tua anima gemella?» domanda Hoseok, cambiando argomento. Perché non può davvero rispondere alle domande di Yoongi, perché non può dirgli che era convinto fosse bisessuale, che tutti i dati dimostravano fosse bisessuale, che i test di un piccolo Yoongi, prima di essere colpito dall’adolescenza, o persino dalla preadolescenza, dimostravano fosse bisessuale. Non glielo può dire perché sta a Yoongi rendersene conto, sta a Yoongi seguire un percorso di accettazione di se stesso. Certo, sta anche ad Hoseok aiutare Yoongi a comprendere in quale momento la sua mente si sia protetta e lo abbia protetto e gli abbia nascosto quest’informazione. Ma non può farlo così, non può dirglielo apertamente. «Perché, anche se molto complicata, esiste una procedura per richiedere che venga ripresa la ricerca e si cerchi e trovi un’altra anima gemella.»
«Vorrei… vorrei fare questa procedura.»
«Tuttavia» dice Hoseok, sospirando e cambiando posizione, poggiando la schiena sullo schienale in pelle e morbido della sua sedia, e poggiando i gomiti sui due braccioli in plastica ai lati, «Ci vogliono tre mesi di prova con la prima anima gemella prima che sia possibile avviare la pratica. E sia tu che la tua anima gemella dovete attendere sedute da soli e insieme una volta alla settimana.»
Yoongi ha ancora il broncio fisso sulle labbra e, se non fosse un adulto e non fosse nello studio di uno psicologo, si metterebbe a frignare, a sbattere i piedi per terra e ad urlare che tutto ciò è ingiusto e complicato e che tre mesi sono fin troppi e che non può vivere per tre mesi con la faccia di Park Jimin davanti. «Non ci sono altre soluzioni?»
«No» gli fa sapere Hoseok, scuotendo la testa e sospirando ancora una volta.
«Va bene, allora.»
«Prima ho bisogno di contattare lo psicologo di Jimin e far sì che ne discuta con lui, però» lo informa Hoseok, cercando immediatamente la cartella medica di Park Jimin nel suo computer, trovando in men che non si dica il nome e il numero di quella che sembrerebbe essere una donna. Park Jihyo, si chiama, la psicologa di Jimin.
«Questo cosa significa?»
«Significa che se Jimin non accetta, la situazione diventa ben più complicata.»
«Ah, fantastico» bofonchia Yoongi, sbuffando sonoramente e cercando una posizione più comoda sulla sedia che è troppo, troppo, troppo scomoda. Lo è sempre stata, ma oggi un po’ di più, molto di più.
«Farò il più possibile.»
«Va bene. Grazie, Hoseok.»
 
 

Yoongi riceve una chiamata da parte di Hoseok un paio di ore dopo, nel momento in cui si sta impegnando a preparare il suo pranzo – del ramen istantaneo. Si affretta a rispondere, sperando per il meglio.
«Pronto?» dice, mentre aspetta che il suo bollitore dia segni di vita e gli comunichi che l’acqua è finalmente bollente.
«Hyung, sono Hoseok. La dottoressa Park Jihyo mi ha finalmente richiamato, facendomi sapere l’opinione di Jimin riguardo a tutta la situazione» gli fa sapere il suo psicologo e Yoongi inizia mentalmente a pregare il Dio in cui non crede di fargli un favore, solo uno, solo questo.
«E…?»
«Park Jimin ha accettato.»
Yoongi rilascia un sospiro di sollievo e, allo stesso tempo, il suo bollitore lo avverte che l’acqua è bollente, perciò si affretta a inserirla fino alla linea segnata all’interno del bicchiere di ramen istantaneo. «Quindi adesso che si fa?»
«Dovete entrambi trasferirvi nella casa a cui siete stati ieri e viverci per tre mesi. Dalla settimana prossima, ci saranno due sedute a settimana. Una la farete insieme, sia con me che con la dottoressa Jihyo, un’altra la farete da soli, tu con me e Jimin con lei, ovviamente.»
Hoseok gliene aveva già parlato stamattina e, nonostante a Yoongi non faccia particolarmente piacere la cosa, comprende il motivo per cui sia necessaria, perciò non osa lamentarsi. È già tanto che Jimin abbia accettato una situazione simile.
«Capisco. Devo trasferirmi già da oggi o va bene domani?»
«Entro domani, ma sarebbe preferibile da oggi, e sicuramente ti farebbe apparire come più propenso a seguire lo Stato, cosa che, per il momento, ti potrebbe sembrare inutile, ma che ti sarà d’aiuto tra tre mesi a questa parte, quando avvieremo la richiesta per il cambio di anima gemella e tutti i documenti verranno analizzati» lo informa Hoseok, il tono della voce rilassato, che aiuta Yoongi a rilassarsi a sua volta.
«Allora mi trasferirò pomeriggio» dice Yoongi, rendendosi conto che sono passati cinque minuti e può finalmente darsi al suo prelibato e ricercato pranzo.
«Va bene» dice Hoseok e Yoongi fa per ringraziarlo e terminare la chiamata, ma lo psicologo riprende a parlare prima che possa aprire bocca. «Ah! Se pensi di avere una memoria abbastanza buona non hai bisogno di farlo, ma se così non è, allora annotati sul cellulare o su un quadernino i tuoi pensieri su Jimin e sulla situazione, le tue emozioni, i tuoi sentimenti, tutto ciò che provi o senti da solo e, soprattutto, quando sei con Jimin. Ci serviranno durante le sedute.»
«Okay, okay. C’è bisogno che faccia altro?»
«Sii gentile con Jimin.»
«Ovvio» borbotta Yoongi, prima di ringraziare e terminare la chiamata, buttandosi immediatamente sui suoi noodles ancora caldi, bruciandosi la lingua, in piedi appoggiato al bancone della sua piccola cucina – se cucina si può definire.
 
 

Yoongi osserva la casa, nuovamente, come ha fatto l’altro ieri; osserva i suoi muri bianchi, i suoi mobili nuovi, il pavimento lucido, osserva l’arredamento moderno, il divano al centro del piccolo salotto, che sta proprio di fianco all’entrata, e la stanza opposta al salotto, che sa essere la stanza matrimoniale, in cui, per il momento, non osa mettere piede. Lascia la valigia con le sue cose – vestiti essenziali, un paio di scarpe, il computer portatile e i vari caricatori – all’entrata, e si costringe a spostarsi, dirigendosi verso la cucina, semplice ma efficace. Apre il frigorifero, non molto grande, ma abbastanza per due persone, e nota con piacere che è stato riempito dallo Stato con l’essenziale: frutta, verdura, qualche fetta di carne, acqua e un barattolo in plastica con dentro del kimchi, preparato solitamente come segno di benvenuto. Chiude lo sportello del frigorifero, si guarda attorno e infine si siede sullo sgabello alto ben sistemato di fronte all’isola che si trova al centro della stanza. Si siede, quindi, schiena piegata, gambe in costante movimento, per la costante ansia, e porta il suo sguardo verso l’esterno. La cucina si affaccia su un piccolo giardinetto sul retro, a cui si può arrivare dalla porta del salotto.
Non sa realmente che fare, Yoongi, o cosa pensare. Vorrebbe prendersela con qualcuno, ma non avrebbe nessuno con cui prendersela. Perché non è colpa di nessuno se, per un errore del sistema, Yoongi e Jimin sono finiti insieme. Non è colpa di Hoseok, né della psicologa di Jimin, Park Jihyo. Non è colpa neppure degli psicologi del passato, tra quello che ha seguito Yoongi nella sua fase della crescita, nonostante Yoongi avrebbe molto da dire su di lui. Tantomeno è colpa di Yoongi o Jimin. È il motivo per cui si rende conto che l’altro ieri abbia sbagliato, a porsi in quei modi sgarbati nei confronti di Jimin; così come abbia sbagliato a scappare, a lasciarlo solo in casa, senza dargli altre spiegazioni, senza dirgli altre cose. Forse da una parte è meglio, perché, se ci pensa bene, probabilmente avrebbe continuato a trattarlo in malo modo. Involontariamente, ma sempre e comunque in malo modo.
Viene distratto dai suoi pensieri – sussultando dalla sorpresa – quando la porta di casa viene aperta e poi chiusa. Yoongi, dalla cucina, non può vedere di chi si tratti, nonostante sia certo si tratti di Jimin, ma sa che quest’ultimo può vedere la sua valigia lasciata all’entrata, dando per scontato che lui sia già arrivato. Perciò non rimane sorpreso quando si sente chiamare.
«Min Yoongi­-ssi?» la voce di Jimin è esattamente come la ricorda. Dolce. Melodica. Gli ricorda il miele.
Yoongi si rimette in piedi, con un sospiro che non riesce ad evitarsi, e si dirige verso l’entrata, senza realmente rispondere a voce a Jimin. Si interrompe nei suoi passi quando incrocia, per sbaglio, lo sguardo del ragazzo. E mille pensieri e nessun pensiero e tutto e nulla gli passa per la mente.
«Puoi prendere il letto, io dormirò sul divano» è ciò che dice alla fine. E okay, è il momento peggiore in cui avrebbe potuto dirlo. Avrebbe dovuto aspettare, il tempo che entrambi si abituassero alla presenza dell’altro. Ma no, ovviamente Yoongi non è mai capace ad entrare in sintonia col tempo. Sempre troppo prima. Sempre troppo dopo. A volte anche mai.
Jimin sembra rimanere sbalordito per le sue parole, ma non solo, c’è altro, è palese sul suo viso ci sia altro. E infatti… «No, no, no!» si affretta a rispondere, sbarrando gli occhi e scuotendo le mani tra il suo corpo e quello di Yoongi. «No, non esiste. Dormirò io sul divano» dice con certezza, la voce meno dolce, più sicura, più profonda, un broncio che inizia a stamparglisi sulla faccia, una risolutezza che inizia a stamparglisi sul corpo.
«In quanto hyung, sta a me prendere certe decisioni» borbotta in risposta Yoongi, alzando gli occhi al cielo.
«In quanto nam dong-saeng, sta a me dormire sul divano» risponde Jimin, incrociando le braccia sul petto e stampandosi un’espressione seria sul viso, eliminando il broncio per dare spazio ad un viso a cui sia difficile dire di no.
Yoongi vorrebbe sbuffare e sbattere i piedi per terra e fare i capricci. Non è del tutto abituato a persone più giovani, non sa come comportarsi. E sì, Namjoon è più piccolo, ma si comporta come se fosse più grande di Yoongi la maggior parte delle volte, escludendo quando perde più oggetti che capelli al giorno. Se proprio dovesse pensare ad una persona più piccola da badare, si tratterebbe di Seokjin, e sì, Seokjin è più grande, ma si comporta come se fosse più piccolo sia di Yoongi che di Namjoon la maggior parte delle volte, escludendo quando si accerta che i due stiano bene, fisicamente e mentalmente.
Fatto sta che Yoongi vorrebbe urlare, perché Jimin sembrerebbe una causa persa, più testardo di quanto lui sia mai stato.
«Allora dormiremo entrambi sul letto» finisce per dire, inaspettatamente sia per se stesso che per Jimin.
Entrambi sbarrano gli occhi e boccheggiano in cerca di parole da dire per riempire il silenzio e per cambiare argomento e per cancellare ciò che è stato detto e non può essere dimenticato. Ma non trovano niente, nulla, il vuoto totale.
E quindi stanno in silenzio, accettano la condizione in cui hanno finito per trovarsi, trasferiscono la valigia di Yoongi – che poi va be’, non è sua, ma di Seokjin – e il borsone di Jimin – nemmeno suo, ma del suo migliore amico –  nella stanza matrimoniale che, a quanto pare, condivideranno e cercano di non incontrarsi per il resto della giornata. E in una casa con letteralmente quattro stanze è più facile a dirsi che a farsi.
 
 

Quando arriva l’ora di cena, Yoongi, che già si trovava in cucina, non sapendo in quale altra stanza rinchiudersi – Jimin aveva optato per la stanza da letto, dopo essersi fatto una doccia veloce –, decide che potrebbe anche provare a preparare la cena. Ora, Yoongi non è un grande cuoco, però ha vissuto da solo abbastanza tempo da aver appreso le basi della cucina. Opta per preparare il dakgalbi, avendo prima notato il pollo riposto in un cassetto del congelatore, le patate, le cipolle e i peperoni nel frigorifero, e, curiosando tra gli armadietti sparsi qua e là e la piccola dispensa – e realmente è una scarpiera proposta come una sorta di dispensa –, il curry, la salsa di soia, la pasta di chili e il sesamo. Gli ingredienti ci sono, le nozioni di base per cucinare un po’ meno, ma può accontentarsi. E quindi si dà da fare, canticchiando tra sé e sé una vecchia canzone delle Red Velvet.  
Gli occhiali da vista, che ha deciso di indossare per non tagliarsi un dito durante la preparazione del piatto, si appannano quando si mette a cuocere carne e verdure e ingredienti vari nella padella, ma Yoongi fa finta di nulla e prosegue, cucinando la carne per una decina di minuti, canticchiando altre canzoni delle Red Velvet, mentre l’aria da duro che ogni tanto gli piace mostrare sparisce a poco a poco, lasciando un normale ragazzo sulla ventina, una maglietta bianca con un piccolo buco in basso a destra e in alto a sinistra una macchia di sugo, che non è mai riuscito a rimuovere, – in ricordo di quel giorno che Yoongi ha avuto voglia di cibo italiano e ha ordinato la pasta al sugo –, gli occhiali bassi sul naso, che hanno iniziato a scivolare giù tra il vapore che spunta dalla padella e il suo tenere la testa abbassata, le canzoni di un famoso gruppo femminile k-pop sulle sue labbra. È una persona normale, con le sue paure, con le sue avversioni, con i suoi difetti. È una persona normale. Ed è così, come una persona normale, che lo trova Jimin, quando, con le sue narici inondate dal buon profumo di cibo, ha camminato un paio di passi in direzione della cucina della sua nuova casa, fermandosi sulla soglia per godersi il viso rilassato di Yoongi, gli occhi ricoperti dalla frangia nera, gli occhiali a ricadergli sul naso, a cui vorrebbe dare un colpetto, tanto è carino, e le labbra, le labbra carnose, rosee, in un broncio involontario, che si muovono seguendo le parole della canzone che sta risuonando dallo speaker, che suppone essere di Yoongi stesso, riposto in un angolo della cucina.
Jimin sospira e Yoongi lo sente.
E il ragazzo normale sparisce per far sì che l’immagine con cui Yoongi ha bisogno di presentarsi riprenda il suo solito posto, i muri attorno a sé si inspessiscono nuovamente, l’aura si appesantisce.
Jimin finge di non notare il cambiamento e punta il suo sguardo sulla padella che Yoongi sta tenendo in mano. «Dakgalbi?» chiede, puntando un dito sulla stessa padella e leccandosi le labbra quando il buon profumo gli invade nuovamente le radici. Ah, sta seriamente morendo di fame.
«Sì» mormora Yoongi, un leggero rossore sulle guance. E vorrebbe dire che sia dovuto al vapore che gli è finito tutto sul viso, prima di finire nella cappa. Ma la realtà è che è imbarazzato che Jimin l’abbia trovato nella sua condizione peggiore, a cantare una canzone delle Red Velvet – anche se di questo non riesce ad imbarazzarsi, perché le Red Velvet sono eccezionali.
«Hai preparato la cena? Anche per me?» domanda Jimin, cauto, rimanendo fisso sulla soglia della porta.
«Certo» dice in tutta risposta, con tono ovvio, Yoongi, poggiando la padella al centro dell’isola, sopra ad un sottopentola in legno che ha recuperato da uno degli armadietti della cucina – sì, li ha aperti uno per uno –, per poi prendere due piatti piani, bianchi e in ceramica, e due bicchieri in vetro trasparente e riporli ai due lati dell’isola. Avrebbero anche un tavolino per quattro, sistemato all’angolo della cucina, vicino alla sua entrata, ma l’isola sembra più adatta a loro due, meno Yoongi ha preparato la cena per due persone e adesso sia lui che Jimin devono sedersi insieme per mangiarla e provare a conversare e. No.
Jimin accenna un sorriso e si siede sul lato esterno dell’isola, mentre Yoongi prende posto in quello interno, dando la schiena ai fornelli.
«Buon appetito» mormora Jimin, prendendo le bacchette in metallo che Yoongi gli sta porgendo e accennando un altro sorriso di ringraziamento. Sente lo sguardo di Yoongi mentre porta il suo primo pezzo di pollo in bocca, mentre si appresta a masticarlo, mentre gli occhi gli si sbarrano dallo stupore. Attende di ingoiare il suo boccone prima di dire qualsiasi cosa. «È buonissimo, Yoongi­-ssi» dice, facendo i complimenti al ragazzo seduto di fronte a lui, che sembrerebbe arrossire leggermente.
«Buon appetito» dice in risposta Yoongi, non riuscendo a dire altro – non sapendo che altro dire – e iniziando a mangiare a sua volta. Effettivamente il piatto non gli è uscito male, anche se avrebbe potuto fare decisamente di meglio, avesse avuto più conoscenza sul piatto stesso. Ma non può lamentarsi, perché nell’ultimo periodo è andato avanti a ramen istantaneo, perciò era da tempo che non cucinava come si deve e non mangiava come si deve, eccetto ieri, quando ha mangiato al ristorante con Namjoon. «Mi spiace che non ci sia il riso. Non so ancora come si usi il cuociriso che abbiamo in casa, troppo abituato a comprare il riso da preparare in microonde» ammette Yoongi, corrugando la fronte, perché non è che gli piaccia molto ammettere ad uno sconosciuto che non sia capace di fare, o in questo caso usare, qualcosa.
«Stai tranquillo, va bene così!» lo rassicura Jimin. «Poi posso dargli un’occhiata io. La mia famiglia ne ha cambiati almeno sette solo quest’anno» gli fa sapere Jimin ridacchiando, ripensando al padre che, in una maniera o in un’altra, è stato capace di rompere i vari cuociriso che hanno comprato.
«Vivevi con la tua famiglia?» gli chiede Yoongi, e non sa perché stia provando a fare conversazione. Sa solo che la stia facendo e che non gli importi molto di interrompersi, come è abituato a fare.
Jimin annuisce, prima di rispondere a voce. «Sì. Tu no?»
«No, vivevo da solo in un piccolo appartamento a Mapo-gu» ammette Yoongi, notando con dispiacere che ha finito il cibo nel suo piatto, e, con ancora più dispiacere, che anche quello in padella è finito. Avevano fame, decisamente. Lo ricorderà per la prossima volta – probabilmente domani – e preparerà porzioni più grandi.
«Come mai vivevi da solo?» gli chiede Jimin. E si maledice mentalmente quando lo fa, perché sa che non è educato, fare domande personali alle persone che non conosce. Ma è più forte di lui, la sua curiosità.
Yoongi si stringe nelle spalle. «A volte anche dei buoni genitori non sono capaci a trattare bene i propri figli.»
«Oh» dice Jimin, maledicendosi un po’ di più mentalmente. «Mi dispiace, Yoongi-ssi
«Tranquillo» lo rassicura Yoongi, alzandosi e sgranchendosi le gambe. «Penso che andrò a fare una doccia, prima di mettermi a letto. Domani devo andare a lavorare. Oh, e spero non sia un problema la mia sveglia domattina?» Jimin scuote la testa e Yoongi annuisce. «Bene» mormora, leccandosi le labbra, azione che è abituato a fare ogni volta che si sente agitato. «I piatti puoi lasciarli nel lavello, li laverò io dopo» aggiunge, e fa per andarsene, lasciando Jimin da solo in cucina.
«Non preoccuparti, li laverò io. Buona doccia e grazie per il pasto» dice Jimin, facendo interrompere nei suoi passi Yoongi, costringendolo a girare il viso nella sua direzione, facendolo scontrare con un sorriso eccessivamente luminoso, occhi praticamente chiusi, trasformatisi in una mezza luna, e leggero inchino rivolto a lui.
«Sì» è l’unica cosa che riesce a dire Yoongi, prima di dirigersi verso il bagno, chiudersi a chiave e rilasciare un sospiro che non sapeva di star trattenendo. Saranno tre lunghi mesi e il peggio ancora non è arrivato. Perché arriverà quando Jimin si metterà a letto con lui e dormiranno insieme.
Notte dopo notte dopo notte.  
 
 

Con un respiro profondo, incapace di calmare i frenetici battiti del suo cuore, incapace di calmare il subbuglio presente nella sua mente, Jimin poggia la piccola e delicata mano sulla maniglia della porta. Basta un semplice sforzo, basta un’azione talmente naturale che ormai non viene più registrata dalla mente, basta abbassare la maniglia, per entrare nella stanza matrimoniale, un grande letto a due piazze sistemato al suo centro, lenzuola bianche a ricoprire lo spesso, ma morbido materasso. Basta un piccolo sforzo e Jimin decide di farlo, nonostante l’ansia.
È che è una situazione strana, questa. Dover dormire nello stesso letto della sua anima gemella che sembrerebbe essere convinta non sia la sua anima gemella. Dover condividere una casa, dover condividere tre mesi. Sembrano pochi, tre mesi. Ma in tre mesi può accadere di tutto, nella vita di una persona. Basta un secondo, figuriamoci tre mesi.
Jimin scaccia via i suoi pensieri, deciso a non farsi sopraffare da essi, e poi mette piede nella stanza buia, riuscendo, grazie alla luce che si insinua dalla porta, a scorgere la figura di Yoongi sdraiata sul letto. Sembra che stia dormendo, in posizione fetale, rannicchiato su se stesso.
Yoongi non è molto alto, Jimin lo sa bene. Per quanto gli sia dura ammetterlo, considerando i suoi paio di centimetri in meno, Jimin sa bene che Yoongi non è molto alto. Nonostante ciò, nonostante l’altezza non sia il suo forte, c’è una certa aura, attorno a Yoongi, che lo fa sembrare immenso, intoccabile, irraggiungibile.  
E adesso Jimin dovrà dormire con lui, nello stesso letto, condividere lo stesso ossigeno, lo stesso respiro.
Ingoia il groppo che si ritrova in gola, chiude la porta alle sue spalle e si avvia verso il letto, passi il più delicati e silenziosi possibili, respiro il più delicato e silenzioso possibile. Vorrebbe zittire il suo cuore, non farlo battere così prepotentemente contro la sua cassa toracica. Ma non gli è possibile. Quindi spera di non svegliare Yoongi, semplicemente.
Alza le lenzuola e ci si infila dentro, trattenendo un respiro quando Yoongi si muove. Ma non si sveglia, grazie al cielo.
Jimin trova una posizione comoda, il viso rivolto verso la schiena di Yoongi. E chiude gli occhi e spera che Morfeo lo accolga al più presto tra le sue braccia.
E Jimin non se ne accorge, e Yoongi, che dorme, non lo sa, ma i due sembrano proprio due stelle di un sistema binario. Vicine, ma non troppo vicine. Vicine, ma realmente lontane. Ma le leggi dell’universo hanno sempre delle eccezioni.
 

 
Le loro vite iniziano a fluire, ogni tanto si scontrano, ogni tanto si allontanano. Ma fluiscono nello stesso fiume, rapide, insaziabili. Non è facile comprendere, adesso, nella prima settimana di convivenza, se finiranno per separarsi, nella creazione di due foci, o scorreranno insieme fino a giungere nello stesso mare e diventare qualcosa di più grande, molto più grande.
Yoongi scopre un po’ di cose su Jimin, come il fatto che sia costantemente in ritardo, che abbia l’abitudine di buttarsi addosso a qualcosa – o qualcuno; solitamente lui, visto che sono da soli, quando parlano – quando ride, che sia eccessivamente affettuoso e che creda non solo nelle anime gemelle, ma anche nelle anime gemelle platoniche – il suo migliore amico, Kim Taehyung, è la sua anima gemella platonica, Jimin dice di sentirlo nella parte più nascosta e magica del suo corpo, tra cuore e testa, dove sia convinto si trovi l’anima.
Jimin scopre un po’ di cose su Yoongi, come il fatto che apprezzi la solitudine tanto quanto la compagnia, che gli piaccia sedersi nel giardinetto della loro casa e scrivere chissà cosa – Jimin vorrebbe saperlo – in un taccuino nero dalla copertina rovinata, che non apprezzi particolarmente il suo attuale lavoro e abbia due migliori amici che, il più delle volte, gli fanno da genitori e a cui, il più delle volte, fa da genitore.
Non parlano mai di cose private, non discutono sulla loro famiglia, sulle insicurezze di Jimin e sulla depressione di Yoongi, non parlano di argomenti sensibili, non si insinuano nelle complesse stradine della loro mente.
Ma parlano. Troppo per Yoongi, poco per Jimin. Ma parlano.
E Yoongi, segretamente, inizia a sperare che, concluse le pratiche, rimarranno amici.
E Jimin, segretamente, inizia a sperare che Yoongi, prima della fine dei tre mesi, si renda conto che siano anime gemelle.
La speranza è l’ultima a morire, ma anche la prima ad andarsene.
 
 

«Hyung» sussurra Jimin, uscendo nel piccolo giardinetto, attirando l’attenzione di Yoongi, che alza lo sguardo dal suo taccuino su cui era concentrato e lo ripone sul viso incerto di Jimin.
È stato giusto ieri, che Yoongi ha chiesto a Jimin di chiamarlo hyung. L’estrema formalità iniziava a seccarlo e, visto e considerato che condividono il letto, iniziava a non avere senso.
Fa strano, sentire Jimin chiamarlo hyung. Il modo in cui fuoriesce, in un sussurro, a causa della timidezza, dalle labbra carnose di Jimin. Il modo in cui risuona nell’aria, un gusto dolce al suo seguito. Il modo in cui attraversa tutto il corpo di Yoongi, lo distrugge e lo ricompone.
«Sì?»
«Sarebbe un problema se invitassi i miei migliori amici questa sera?» gli chiede, mordicchiandosi il labbro inferiore. «Non per cena, ovviamente, dal momento che la prepari sempre tu e non ti chiederei mai una cosa simile» si affretta ad aggiungere Jimin, gli occhi sbarrati e il respiro veloce. «Ma dopo cena, per vedere un film e parlare del più e del meno» gli spiega.
«Jimin» dice Yoongi, richiudendo il suo taccuino, riponendolo al suo fianco, nella panca che hanno e che solo lui tende ad utilizzare.
«Cosa?»
«Non devi darmi spiegazioni. Questa casa è mia quanto tua per il momento, per cui non devi chiedermi il permesso. E puoi invitarli anche per cena, non è un problema per me cucinare per tutti. Ma, se ti pesa che lo faccia, possiamo ordinare del cibo d’asporto?» gli propone Yoongi, la voce profonda e pacata, delicata, come se stesse parlando con un soffice soffione, con la paura di distruggerlo e farlo volare via.
Il cuore di Jimin fa una capriola all’indietro e si riempie di dolcezza, mentre il suo viso arrossisce e si apre in un timido sorriso. «Va bene, li inviterò per cena, allora. E ordinerò del cibo d’asporto» dice, annuendo tra sé e sé, soddisfatto, contento.
«Perfetto» mormora Yoongi, annuendo a sua volta.
«Il cibo giapponese è uno dei tuoi preferiti, giusto?» chiede Jimin, per accertarsi che la sua memoria non gli stia facendo brutti scherzi.
Yoongi si sorprende, nel vedere che Jimin si ricordi quale sia il suo cibo preferito, considerando glielo abbia accennato solo durante il loro secondo giorno di convivenza, mentre lavavano i piatti insieme. «Sì.»
«Okay» e, detto ciò, Jimin rientra in casa, lasciando un Yoongi annaspante, in cerca d’aria e rassicurazioni. Chiama Seokjin, ovviamente, qualche secondo dopo.
 
 

Jeongguk e Taehyung non sono il tipo di persone che Yoongi immaginava fossero. Ma realmente Yoongi non sapeva neppure cosa aspettarsi. L’unica informazione che aveva sui due riguardava Taehyung e il suo essere l’anima gemella platonica di Jimin e, vedendoli insieme, Taehyung decisamente più alto, Jimin decisamente più tranquillo, comprende perché i due si definiscano anime gemelle. Non si completano, perché non si tratta di quel tipo di anime gemelle, perché Jimin non è dove Taehyung è e Taehyung non è dove Jimin è. Ma si comprendono, con un solo sguardo, ma si capiscono, con un semplice tocco. Sono insieme e la loro aura triplica, come se vicini divenissero un’altra essenza ancora.
Jeongguk, invece, è silenzioso, ma non serve molto a Yoongi per comprendere quanto ami Taehyung e quanto voglia bene a Jimin. Si percepisce nel suo sguardo, il suo amore. È un libro aperto, è come se avesse preso il suo cuore e lo avesse esposto a chiunque per vederlo, senza vergogna, senza imbarazzo.
Yoongi è perso, non abituato ad avere a che fare con tre persone che non conosce contemporaneamente. Solitamente conosce le persone una per volta, introverso com’è, incapace a mantenere la batteria del suo corpo alta mentre interagisce con la gente. Si scarica subito, lui, e già gli basta poco tempo per farlo con una singola persona che non conosce. Non ha proprio idea di come sopravvivrà a questa serata.
«E quindi tu sei la famosa anima gemella di Jimin?» gli chiede Taehyung, un grande sorriso quasi rettangolare ad aprirglisi sul volto. Yoongi non aveva idea esistessero sorrisi simili e adesso si chiede perché non ne avesse idea, visto che Taehyung sembrerebbe essere una delle persone più adorabili a questo mondo quando sorride in questo modo, come se i mali non esistessero e le fate volassero in giro libere e la magia bianca fosse intrisa in ogni singolo essere.
«Famosa?» domanda Yoongi, inarcando un sopracciglio e puntando il suo sguardo su Jimin, che fa spallucce e alza gli occhi al cielo, prima di sospirare e intromettersi.
«Taehyung, cosa avevamo detto?» borbotta Jimin, puntando uno sguardo accusatorio verso il suo migliore amico.
Taehyung mette il broncio e letteralmente un secondo dopo Jeongguk gli è attaccato addosso, un braccio attorno alla sua vita, protettivo. «Yoongi-ssi, sei di Daegu, vero?» dice Taehyung, non rispondendo né a Jimin né all’abbraccio di Jeongguk, anche se inconsciamente si lascia attrarre dal suo corpo. Sembrano due magneti dai poli opposti. E palesemente non hanno idea di cosa sia lo spazio personale. Che se qualcuno glielo presentasse, ne rimarrebbero stupiti e direbbero “sì, grazie, ma non ne abbiamo bisogno”.
«Sì» risponde Yoongi, annuendo, preso alla sprovvista dal carattere di Taehyung. «Anche tu, vero?»
«Sì!» esclama Taehyung, districandosi dall’abbraccio di Jeongguk per sorridere con ancora più foga e avvicinarsi a Yoongi, fin troppo, sinceramente fin troppo. E non sa se la cosa faccia meno piacere a lui o a Jeongguk. «Come lo sai? Te lo ha detto Jimin?»
«Uh, no. Me lo ha detto il tuo accento» ammette Yoongi. Riconoscerebbe l’accento di Daegu ovunque ed è bello conoscere qualcuno che gli ricordi casa, la parte bella della casa, perlomeno. Quella fatta di bei ricordi e bei momenti e sorrisi e gioia e amore e pomeriggi passati a scrivere oppure a mandare messaggi a Namjoon.
«Non ho mai conosciuto una persona di Daegu» ammette Taehyung.
Sono ancora fermi all’entrata, perché Taehyung ha iniziato a fargli domande dal momento in cui ha messo piede nella loro casa e non hanno ancora avuto modo di spostarsi.
«Sei di Daegu…?» chiede Yoongi, confuso, non capendo come sia possibile che Taehyung non abbia mai conosciuto una persona di Daegu avendo vissuto nella città stessa.
«Oh, giusto» borbotta Taehyung, per poi scoppiare a ridere.
Yoongi vorrebbe concentrarsi sulla risata di Taehyung, o su quella di Jimin, ma realmente i suoi occhi si puntano su Jeongguk, sul modo in cui il suo viso si apre in un sorriso e i suoi occhi iniziano a brillare, osservando Taehyung. Come se Taehyung avesse l’universo tra le sue mani e fosse il motivo per cui esistono le stelle e per cui esiste la vita. Come se Taehyung avesse preso la luna dal cielo e gliel’avesse donata. Come se Taehyung fosse l’unica persona su questo mondo.
E Yoongi sente l’invidia incanalarsi nel suo sangue, scorrere in tutto il suo corpo, rendere verde la sua pelle.
Perché un amore così. È un amore così che ha sempre voluto, è un amore così che ha sempre desiderato. Senza mai ammetterlo, a se stesso e agli altri. Ma è un amore così. Sincero, puro, senza vergogna né imbarazzo. È un amore così.
E poi il suo sguardo si sposta su Jimin, Jimin che sta ancora ridendo, il suo corpo buttato su quello di Taehyung, gli occhi a forma di mezzaluna, la bocca aperta, i denti bianchi esposti, le guance arrossate. Jimin e le sue piccole mani appoggiate sul braccio sinistro di Taehyung. Jimin e la sua risata argentina. Jimin e il suo poter essere ma non poter essere. Perché non può essere l’amore di Yoongi. Non può essere quel suo tipo di amore. Perché non importa cosa un database abbia stabilito. Yoongi sa di essere etero e in questo momento maledice la sua stessa natura, perché avrebbe potuto avere Jimin, avrebbe potuto averlo in tutto e per tutto. Avrebbe potuto essere lui quello a sostenerlo nelle sue risate, quello a conoscere i suoi segreti, quello a comprendere i suoi sguardi, i suoi tocchi, le sue parole.
Seokjin non ha saputo cosa dirgli, questo pomeriggio, quando Yoongi lo ha chiamato in panico perché Jimin ha ricordato il suo cibo preferito, perché Jimin si è interessato alla sua opinione, perché Jimin è diventato suo amico, e non va bene. Perché Yoongi non potrà mai amarlo, neanche se lo volesse.
Si distrae dai suoi pensieri quando le risate si placano e Jimin propone di spostarsi in cucina, dove il cibo d’asporto è già pronto, e sta raffreddandosi, col tempo che passa.
Lo fanno. Recuperano le buste ripiene di cibo che rilascia un ottimo odore, se non fosse che Yoongi non ha più molta fame. E tra un e quindi come stai Jiminie e sorrisi a trentadue denti, poggiano tutto sul tavolino quadrato a quattro posti che si trova all’angolo della cucina, e iniziano a rimuovere i contenuti delle buste, cercando il piatto che hanno ordinato, i contorni che hanno ordinato, le bevande che hanno ordinato.
Quando tutto è pronto, quando ognuno ha il suo piatto davanti a sé, iniziano a mangiare.
Yoongi non dice molto e Jeongguk non dice molto, ma Taehyung e Jimin fanno per loro, discutendo della qualsiasi. Dal nuovo gruppo femminile di idol che ha debuttato, agli esami universitari che mancano prima di finalmente ottenere la laurea. Sono allo stesso anno, Jimin e Taehyung, hanno la stessa età, ma frequentano due università differenti. Jimin sta studiando per divenire insegnante alla scuola elementare, Taehyung sta studiando fotografia – a detta di Jimin è un fotografo, e, in generale, un artista, eccezionale, e Yoongi non può che crederci, notando la creatività e la passione che in ogni piccola cosa Taehyung dimostra di avere, coi suoi capelli grigi e la sua giacca con fatti sopra disegni originali. Non gli ci vuole molto per credere che abbia anche tanto talento.
Yoongi, quindi, non dice molto. Semplicemente osserva. Osserva Jimin e gli si stringe il cuore, mentre parla liberamente delle piccole cose quotidiane. Osserva Taehyung e la sincerità nei suoi occhi e la dolcezza nel suo sorriso. Osserva Jeongguk e l’amore che davvero non riesce a contenere. E si sente un pesce fuor d’acqua. Si sente di non appartenere. Si sente di star disturbando. Ed è lì lì per alzarsi, per scusarsi e per chiudersi in camera da letto. Quando l’attenzione di Jeongguk si ripone su di lui.
«Yoongi­-ssi» dice e Yoongi si immobilizza, un cerbiatto bloccato in mezzo alla strada, i fari della macchina che lo ha quasi investito puntati sul suo corpo tremante e i suoi occhi sbarrati. «Tu credi nelle anime gemelle?» gli chiede, prendendolo alla sprovvista.
Yoongi tossisce, schiarendosi la voce e poi «Sì, ci credo» mormora. Perché come potrebbe dire di non crederci, dopo aver osservato lo stesso Jeongguk con Taehyung. Perché come potrebbe parlare con voce certa e sicura, anziché mormorare, dopo non averci dato peso per una vita, alle anime gemelle. Come.
«E allora perché…» fa per dire, ma Taehyung lo interrompe, portando una mano sul suo braccio, senza dire nulla, senza neppure guardarlo. Basta quello, a Jeongguk, basta un gesto, per tapparsi la bocca.
«Quello che Jeongguk voleva chiederti» dice Taehyung, la voce profonda, lo sguardo serio, «È perché non ci abbia chiesto se siamo anime gemelle.»
«Perché è palese?» risponde Yoongi, nonostante sappia che Jeongguk volesse dire altro.
Il viso di Taehyung si apre in un sorriso e tutte le persone nella stanza sembrano rilassarsi. Jeongguk che è stato interrotto e ha reso l’aria pesante, Jimin che si è zittito, non sapendo cosa dire, Yoongi che si è sentito puntare il dito addosso, senza aver fatto realmente nulla.  Ma il viso di Taehyung si apre in un sorriso e tutto passa tanto velocemente quanto è arrivato. «Gli psicologi ci hanno detto che non vedevano l’ora che Jeongguk raggiungesse la maggiore età, perché per anni, dai suoi quattordici anni, il database ha sempre dato lo stesso risultato. Kim Taehyung e Jeon Jeongguk» gli racconta e non sembra voglia andare a parare a nulla, sembra solo apprezzi condividere questa storia. «Non so quanto ne sappia, di anime gemelle, perché non a tutti interessa informarsi su come funzioni il database…»
«Ne so abbastanza da sapere che una percentuale bassissima di anime gemelle è stata unita dal database anni prima della maggiore età» lo interrompe Yoongi. «Poiché nell’adolescenza i gusti cambiano e le persone cambiano e le anime gemelle cambiano.»
«Esatto» Taehyung acconsente, porgendogli un sorriso. «Invece io e Jeongguk siamo sempre stati io e Jeongguk.»
L’invidia torna a propagarsi nel corpo di Yoongi, ma la scaccia via, per il momento. «È bello saperlo, no?» dice Yoongi, non sapendo realmente cosa dire.
«Yoongi-ssi» richiama la sua attenzione Taehyung. «Credi nelle anime gemelle?» gli chiede, così come Jeongguk gli ha chiesto poco fa.
«Sì, ci credo» risponde nuovamente Yoongi, incerto, incerto, incerto. Non perché non ci creda, ma perché non capisce, non comprende, cosa vogliano Taehyung e Jeongguk da lui.
«Taehyung, adesso basta» mette finalmente parola Jimin, poggiando una mano sul ginocchio di Yoongi, provocandogli una scossa d’elettricità che parte dal punto esatto in cui la mano di Jimin incontra il suo ginocchio e si propaga per tutto il suo corpo, arrivando alla testa solo per fargli provare dolore. Yoongi tiene lo sguardo basso, ma suppone che Jimin osservi il tavolo, prima di dire. «È meglio che andiate a casa, adesso.»
«Jimin–»
«Taehyung. Ci vediamo domani» replica Jimin, senza lasciargli il tempo di parlare. «Vi accompagno all’uscita.»
Yoongi li sente parlare, sente i bisbigli che gli provocano brividi giù per la schiena, sente le parole sibilanti di Jimin, sente le mezze scuse di Jeongguk e le scuse sincere di Taehyung. Vorrebbe tapparsi le orecchie, ma non ha la forza di alzare le mani tremanti per coprirsele.
Yoongi li sente parlare e poi non li sente più.
Perché i suoi pensieri sono altrove. Sono nello sguardo accusatorio di Jeongguk, sono nelle parole accusatorie di Taehyung. Sono nei loro sguardi amorevoli l’uno nei confronti dell’altro. Sono nelle parole di Taehyung, sul database che sapeva da anni. Sono in ogni respiro che ha occupato la stanza questa sera. Sono nell’amore che non proverà mai, perché, apparentemente, non lo merita. Sono nell’anima gemella che per tutti sta perdendo e che per lui non ha mai avuto. Sono nel suo sentirsi completamente sbagliato in un mondo fatto di persone giuste. Sono nel sentirsi un pesce fuor d’acqua, annaspare in cerca di acqua. Un pesce che, però, non fa parte dell’acqua e non fa parte della terra. Uno straniero ovunque vada.
Non se ne rende conto, fino a che la voce preoccupata, ma che sembra lontana, di Jimin non gli chiede se stia bene. Non se ne rende conto, di star avendo un attacco di panico. Fino a che se ne rende conto. Fino a che non percepisce il suo corpo tremare, il suo respiro affannato, la sua testa girare. Fino a che non si rende conto che ogni cosa sembri lontana, che il suo corpo non sembri toccare la sedia sotto di lui, nonostante sia seduto su di essa. Fino a che non si sente fluttuare e non ha voglia di vomitare. Fino a che non pensa di star morendo, perché è un pesce fuor d’acqua e fuori dall’acqua non può che morire. E respira e respira, ma l’ossigeno non sembra funzionare.
E poi.
«Hyung» sente la voce di Jimin dire, da qualche parte accanto a lui, ma non troppo vicino. «Sai, sono nato e cresciuto a Busan» inizia a dirgli. «Però non vivevo vicino al mare, e devo dirti la verità, la cosa mi pesava tantissimo da piccolo. Perché ero di Busan, ma mi sembrava di non essere di Busan. Perché non vivevo vicino al mare e che senso aveva essere di Busan e non vivere vicino al mare?» Jimin sospira. «Fatto sta che un giorno mia madre portò al mare me e il mio nam dong-saeng. E improvvisamente mi sono reso conto che il mare era il mio posto. Davvero, il mio posto. Non scherzo» continua, e continua, e continua, e Yoongi si ritrova sempre più concentrato nelle sue parole. «Ho sentito finalmente di essere di Busan e ho iniziato ad andarne fiero. Perché non vivevo sul mare, ma il mare era abbastanza vicino perché mia madre mi ci potesse portare almeno una volta a settimana. E per me, quel giorno a settimana, era il giorno più bello della mia intera vita. Perché mi son sempre sentito libero, di fronte al mare. Ho sempre sentito come se avessi potuto buttarmici dentro e nuotare, nuotare e nuotare e raggiungere qualunque posto volessi in qualsiasi momento volessi. E crescendo, ogni volta che le cose andavano male, andavo al mare e mi ricordavo che potevo sempre andarmene, se sentivo di non voler stare» Yoongi non sa il discorso di Jimin a cosa sia dovuto, non lo sa, non lo sa, non lo sa. «Hyung, va un po’ meglio?» gli chiede, la voce soffice, gentile, dolce. E Yoongi si rende conto che non sta più annaspando in cerca d’aria, che non si trova più nel bel mezzo di un attacco di panico, che la voce di Jimin lo ha distratto abbastanza da fargli dimenticare che non stava bene. Jimin ha fatto sì che Yoongi si concentrasse sulla sua voce, ha fatto sì che il suo corpo riprendesse a respirare regolarmente da sé. Jimin ha saputo gestire il suo attacco di panico. E nessuno, eccetto Namjoon e Seokjin e Hoseok, c’era mai riuscito. Nessuno, eccetto le persone che più lo conoscono a questo mondo.
«Sì, grazie» mormora Yoongi, la voce roca.
«È meglio andare a letto, hm
Yoongi annuisce e si alza, facendo una smorfia quando la stanza gli gira attorno e la nausea si fa nuovamente sentire. Ma non permette a Jimin di aiutarlo. «Grazie» gli dice solo, ancora una volta.
«Scusami» sente Jimin dirgli, in un sospiro triste, ma non si gira, ma non gli dice altro. Si dirige verso la loro stanza, indossa il pigiama e si butta a letto, fingendo di dormire, persino quando Jimin, poco più tardi, lo raggiunge. Finge di dormire, per tutta la notte.
 
 

Yoongi non sa come si senta, il mattino successivo.
Riesce a malapena ad alzarsi dal letto, il corpo pesante, la testa svuotata da ogni singolo dannato pensiero e, allo stesso tempo, piena di pensieri. È come se si stesse dissociando dal suo stesso corpo per evitare di pensare e di avere a che fare con i pensieri che si accumulano e si accumulano e si accumulano, come i vestiti sporchi abbandonati su una sedia all’angolo della stanza.
Riesce a malapena a farsi una doccia, mentre gli occhi gli si chiudono da soli. Vorrebbe solo chiuderli, chiudere tutto fuori, e non esistere per un attimo, un solo attimo.
Riesce a malapena ad ingoiare la colazione, anche se ogni singola cellula del suo corpo sembrerebbe essere contro all’idea, e la nausea prende facilmente il sopravvento su tutto.
Yoongi non è mai stato tipo da colazione, ha sempre avuto difficoltà a digerire qualsiasi cosa e, quando è diventato abbastanza adulto da bere caffeina, si è dato al caffè senza pensarci due volte. Tuttavia, Jimin ha provato a riabituarlo alla colazione coreana, con riso, zuppa, carne o pesce e verdure varie. Oggi, però, oggi Yoongi si ferma al riso in bianco, che comunque lascia quasi tutto. E decide di prendere un caffè in un bar qualsiasi nella strada verso il lavoro, tanto conosce il quartiere di Mapo-gu abbastanza bene, ormai.
Riesce a malapena a vestirsi, a indossare qualcosa di semi-decente, pensa un paio di jeans scuri sbiaditi e una camicia bianca, più larga di quanto dovrebbe, le maniche che gli coprono le nocche delle mani, prima di uscire di casa, senza salutare Jimin, che sembrerebbe essere ancora a letto.
È stanco, è davvero troppo stanco.
L’aria fresca si scontra col suo intero corpo e Yoongi prende un respiro profondo, apprezzando l’arrivo dell’autunno. È una delle sue stagioni preferite, coi suoi colori caldi e la sua aria fresca. Seoul è splendida, in autunno. Quel giusto tocco di malinconia, quel giusto tocco di meraviglia.
In cinque minuti circa, Yoongi raggiunge la fermata della metro più vicina alla casa in cui si è trasferito. Si appresta a salire sulla linea 2, e dopo circa quindici estenuanti minuti, la metro si ferma alla fermata Hongik University, quella in cui Yoongi deve scendere. E lo fa, insieme alla calca di studenti diretti all’università e adulti diretti al lavoro. E lo fa, col peso del mondo sulle spalle e le palpebre pesanti e un mal di testa lancinante.
Yoongi sospira e poi decide che, anziché prendere il bus, come al solito, preferisce camminare, godersi la fresca aria dell’arrivo dell’autunno e le strade affollate.
Yoongi non ama la folla e le persone, questo è chiaro. Tuttavia c’è qualcosa nelle folle, in momenti come questi, che Yoongi ritiene necessario infilarcisi in mezzo e godersi l’anonimato.
Vivere in una grande città ha questo pregio, non ti riconosce praticamente nessuno, se non sei nessuno. Le probabilità di incontrare un conoscente nel bel mezzo della strada sono minime, le probabilità che lo sguardo di un passante qualsiasi si posi sulla tua figura sono minime. È difficile attirare l’attenzione, in una grande città, soprattutto a Seoul, dove le persone sono troppo impegnate a correre e a tenere la testa bassa e a pensare alla loro vita incasinata.
Yoongi non ama la folla. Ma oggi ne ha bisogno.
Ha bisogno di sentirsi il più anonimo possibile, amalgamarsi con le persone di qualsiasi età, provenienza e genere, confondersi tra i palazzi e le stradine.
Ha bisogno di non essere e di non pensare.
E quindi cammina tra la folla, attento a non sbagliare strada, perché non si può realmente permettere di fare tardi.
Tra un paio di giorni c’è il Chuseok, e Yoongi sa che tra oggi e domani riceverà una chiamata dai suoi genitori, chiedendogli di tornare a casa, di festeggiare con loro. Ancora non gli ha neppure detto di Jimin e non pensa abbia intenzione di dirglielo. Perciò ha ancora meno voglia di prendere un treno per Daegu e stare in una casa in cui si sente un estraneo e in cui ogni sguardo gli ricorda quanto fallito sia. Ventidue anni, senza anima gemella, con un lavoro con una bassa entrata e che si distanzia da ciò che avrebbe voluto fare, nella vita. È tutto ciò che i suoi genitori non avrebbero voluto.
Fa una smorfia, perché stava meglio quando non riusciva a concentrarsi sui suoi pensieri, quando erano solo un cumulo di ceneri bruciate nella sua mente altrimenti svuotata.
Sospira, quando si rende conto che è arrivato.
Yoongi lavora in una libreria. Che di per sé non è terribile, perché ha costantemente attorno a sé libri e persone che parlano e chiedono di libri. E, davvero, non è terribile. Ma è un lavoro come commesso in una libreria, il che implica che il suo stipendio non sia questo granché. Ed è un lavoro che fa da troppo tempo, per esserne realmente soddisfatto.
Yoongi pesca dalla tasca dei pantaloni le chiavi per aprire il negozio, sapendo già che oggi sarà da solo perché il suo capo la maggior parte delle volte è fuori dalla Corea.
Sospira, mentre accende le luci, chiude la porta alle sue spalle e si dirige verso la cassa, apprestandosi ad accendere il computer. Recupera i soldi che sono stati lasciati da parte ieri dalla sua collega e li ripone in cassa, contandoli per sicurezza. Annuisce tra sé e sé, quando si rende conto che sono corretti, e poi dà una pulita veloce al bancone della cassa, una spazzata al pavimento e una sistemata veloce a qualche libro messo fuori posto.
Dieci minuti dopo è pronto ad aprire il negozio, in orario come sempre.
Non entrano molti clienti, nel negozio in cui lavora. Poca gente, ormai, legge libri, poca gente, ormai, decide di perdersi nelle storie scritte da altre persone. La maggior parte, ormai, preferisce lasciarsi andare perdendosi nei social network. Quale modo migliore per dimenticare i propri problemi se non usando un social network che può solo portare altri problemi? Non che Yoongi creda che i social network non possano essere positivi. È più facile informarsi su ciò che sta accadendo nel mondo, è più facile conoscere persone con interessi simili, è più facile farsi conoscere e far conoscere la propria arte o qualsiasi sia il proprio campo di lavoro. I social network hanno reso molte cose più facili, hanno reso persino la vita più facile. Ma sotto altri aspetti sono un ammasso di insicurezze e tossicità e pessimismo. Che sostanzialmente racchiudono molto bene la vita di Yoongi e quella di tutte le persone emarginate nella società.
Yoongi, invece, ha sempre amato leggere e sempre amerà leggere. Nonostante non riesca più a farlo come un tempo, nonostante il suo livello di concentrazione sia calato di parecchio, nonostante sia troppo impegnato per mettersi a leggere, Yoongi amerà sempre perdersi nelle storie dei vari personaggi.
Ha conosciuto l’amore, grazie ad Amore di Isabel Allende; ha conosciuto la vita e la fede, o la mancanza di essa, tramite Siddhartha di Herman Hesse; ha compreso il suo infinito amore per la scrittura tramite Il libro dell’inquietudine di Fernando Pessoa; e poi le avventure, tramite i libri di Harry Potter di J.K. Rowling e i libri di Percy Jackson di Rick Riordan. Ha letto di tutto, è passato da Orgoglio e Pregiudizio di Jane Austen a Città di Carta di John Green.
E tanto quanto la lettura, Yoongi amerà sempre la scrittura. Porterà sempre con sé il quadernino dalla copertina rovinata, a causa della pioggia e delle unghie affilate del gatto di Seokjin e Namjoon e di tutte le volte che ci ha versato per sbaglio del tè o del caffè di sopra. Condividerà sempre con se stesso i suoi pensieri e condividerà sempre le sue emozioni. Perché è l’unico modo in cui è capace a farlo. E si è sempre sentito incompreso, da giovane, perché non era capace ad esprimere quello che sentiva apertamente, perché non gli piaceva aprirsi con gli altri, perché dire le cose come stavano sentiva non facesse per lui. Si è sempre sentito incompreso e si è sempre ritrovato da solo all’angolo, alla fine della giornata, sentendosi così diverso e così solo e così senza speranza. Fino a che non ha incontrato i suoi due migliori amici, che gli hanno chiesto di leggere i suoi stupidi pensieri e le sue stupide storie, la grammatica terribile e la trama piena di buchi e i personaggi vuoti. Ma hanno letto tutte le sue storie, e le hanno apprezzate tutte, e lo hanno spronato a proseguire, a proseguire, a proseguire sempre a scrivere. E hanno capito cosa provasse senza che lui glielo dicesse apertamente, e hanno accettato che, per sapere, per capirlo, avrebbero dovuto leggerlo. Non che Yoongi non parli apertamente con loro, adesso, perché lo fa, adesso lo fa, la maggior parte dei giorni. Ma una volta era difficile, una volta era complicato, quando tutti avevano distrutto la sua fiducia e tutti lo avevano abbandonato. Quando era stato dimenticato in un angolo, dimenticandosi di vivere la sua vita, troppo preso a sentirsi sbagliato.
Sussulta quando sente la porta del negozio aprirsi e poi chiudersi, e sussulta quando si trova di fronte a Kim Taehyung, cui sguardo è sbarrato, fisso sulla sua figura dietro alla cassa.
«Yoongi-ssi?» chiede Taehyung e sembra sinceramente sorpreso, del trovarselo davanti.
Almeno ciò rassicura Yoongi, poiché significa che Taehyung non sia venuto al negozio di proposito, per incontrarlo.
«Buongiorno» dice solamente Yoongi, un leggero inchino in segno di saluto.
Taehyung ricambia l’inchino e poi torna a puntare lo sguardo sulla sua figura. «Lavori qui?» chiede.
«Sì.»
«È la prima volta che ti vedo qui.»
«Lo stesso vale per me» risponde Yoongi, inarcando un sopracciglio, non comprendendo dove Taehyung voglia andare a parare. Lavora in questo negozio da un anno, dopo aver provato a lavorare in un bar – è incapace a preparare bevande, sinceramente –, come cameriere in un ristorante – ha fatto cadere tre piatti il suo primo giorno di lavoro –, come dog-sitter – apparentemente i cani non lo apprezzano –, come babysitter – stessa cosa vale per i bambini –, e, infine, come cassiere in un 7-11 – aveva il turno notturno e una volta si è addormentato per sbaglio.
«Vengo qui almeno una volta a settimana da quando ho trovato il negozio un paio di mesi fa. Ci sono un sacco di libri che nelle catene è difficile trovare, perché troppo impegnate a vendere libri che vanno di moda» gli spiega Taehyung, e adesso ha un po’ più senso, la sua sorpresa e le sue parole. Tuttavia non cambia che Yoongi lavori qui da un anno e non lo abbia mai visto. «È la prima volta che vengo di lunedì mattina, però.»
«Capisco» mormora Yoongi. «Avevi bisogno di qualche libro nello specifico?»
«Oh, sì, sto cercando La favola di Amore e Psiche di Apuleio, in inglese.»
«Te lo recupero subito» dice Yoongi, senza neppure il bisogno di controllare se ce l’abbiano in negozio, perché sa per certo che ce l’abbiano. Taehyung annuisce semplicemente e aspetta, ancora fermo all’entrata del negozio, le mani ai lati del corpo, rilassate, gli occhi non più sbarrati, adesso sembrano quasi felini, quelli di un predatore che controlla la sua preda. Yoongi rabbrividisce, quando fa il giro del bancone, gli occhi di Taehyung fissi su di sé. Recupera il libro dove sa che lo ha sistemato giusto questa mattina e lo porta con sé alla cassa, facendo cenno a Taehyung di avvicinarsi così da pagare. «Sono ₩17,000» lo informa Yoongi, passando il codice a barre nella cassa. Taehyung gli dà due banconote da ₩10,000 e Yoongi si appresta a chiudere il conto, per dargli resto e scontrino, passandogli anche il libro già infilato nella busta di carta. «Grazie mille e arrivederci» dice, un po’ per abitudine ed educazione, un po’ perché non sa realmente come comportarsi.
«Grazie mille, Yoongi-ssi» dice Taehyung, recuperando la busta, infilandoci dentro sia resto che scontrino. «Ah, e ti chiedo scusa, da parte mia e di Jeongguk, per ieri sera. Anche se nessuno dei due è intenzionato a rimangiarsi ciò che ha detto» gli rivela Taehyung, porgendogli un sorriso.
«Siete protettivi nei confronti del vostro migliore amico, va bene così» mormora Yoongi, facendo spallucce e puntando lo sguardo sullo schermo della cassa, non sapendo dove altro puntarlo.
«Spero diverremo amici anche noi» ammette Taehyung, al che Yoongi si sente costretto ad alzare lo sguardo e puntarlo, sorpreso, sul viso tranquillo di Taehyung. Non sui suoi occhi felini, solo sul suo viso.
«Potremmo, sì.»
«A presto, Yoongi-ssi, e buona giornata» dice, per poi lasciarlo da solo nel negozio.
Yoongi ci pensa a lungo, a Taehyung e ai suoi modi strani di fare, a Jeongguk e al suo sguardo nero come la pece. Ci pensa a lungo, fino a che non si rende conto che non ne vale davvero la pena, perché non pensa che riuscirà mai a capirli, fino a che Jimin farà parte della sua vita come ufficiale anima gemella senza essere la sua anima gemella. Non pensa neppure che riusciranno a divenire amici, a causa dell’iperprotettività e del rancore. Forse poi, quando le cose cambieranno, quando le pratiche inizieranno, quando nulla li legherà più. Forse, poi.
Yoongi sospira, tra sé e sé, e poi respira un po’ più forte, quando ricorda che nel tardo pomeriggio lui e Jimin avranno il primo appuntamento con Jung Hoseok e Park Jihyo, i loro psicologi.
Di bene in meglio, sta andando questa vita.
 
 

Yoongi e Jimin si incontrano fuori dalla sede di Mapo-gu, nonostante la dottoressa Park Jihyo e Jimin facciano parte di un’altra sede. Tuttavia, considerando che la nuova casa delle due apparenti anime gemelle si trovi più vicina a Mapo-gu, tutti e quattro hanno deciso di riunirsi proprio qui, dove lavora Jung Hoseok, che ha seguito Yoongi negli anni in cui ha abitato a Seoul ed è riuscito a salvarlo dalla sua stessa mente, in più di una situazione.
Yoongi è imbarazzato, decisamente imbarazzato, dopo l’accaduto della sera precedente, e Jimin è silenzioso, decisamente silenzioso, probabilmente per lo stesso identico motivo.
Appena entrano nello studio di Hoseok, Yoongi sente il cuore stringersi in una morsa. È abituato ad andare dallo psicologo, tutti sono abituati ad andare dagli psicologi, psicologi inclusi. Ma questa situazione è differente. Qui è in compagnia di Park Jimin, che dovrebbe essere la sua anima gemella ma non è la sua anima gemella, e la dottoressa Park Jihyo, cui sguardo attento si posa su Yoongi e Yoongi già sa che avrà difficoltà a parlare, perché uno sguardo simile, occhi larghi, palesemente intelligenti, gli mette ansia e lo fa sentire inferiore sotto ogni singolo aspetto.
Si mettono a sedere, Yoongi e Jimin, rispettivamente di fronte a Hoseok e Jihyo, che porgono loro un sorriso e un saluto.
«Buon pomeriggio, Yoongi­-ssi, Jimin-ssi» dice Hoseok e Yoongi fa per dirgli di chiamarlo hyung, ma poi si rende conto che non è il momento adatto, che ci sono altre persone, che non è professionale.
«Buon pomeriggio» borbotta Yoongi, stringendo le mani sudaticce tra le ginocchia.
«Buon pomeriggio» ripete Jimin, il tono un po’ più leggero, la voce un po’ più soave. Yoongi crede quasi che sia un’ingiustizia, che Jimin si ritrovi con una voce simile, dolce come il miele.
«Come state quest’oggi?» chiede Jihyo, tenendo la sua cartellina sulla ginocchia, stando attenta a non far leggere ai due pazienti cosa scriverà durante il corso della seduta.
Yoongi apre la bocca, ma la richiude. Aggrotta la fronte, mettendosi realmente a pensare a come stia quest’oggi.
Com’è che sta? Dopo l’accaduto di ieri? Dopo Jeongguk e Taehyung e le loro domande scomode? Dopo l’attacco di panico? Dopo l’aiuto di Jimin? Com’è che sta? Dopo l’incontro di stamattina con Taehyung? Dopo il suo misero pranzo? Com’è che sta, realmente?
Yoongi si rende conto che ha smesso di pensarci, a com’è che sta. Non è che non abbia mai risposto ad una domanda simile, ma è sempre stato molto evasivo, persino quando era Hoseok a chiedergliela. E invece adesso, con gli occhi di Jihyo sulla sua figura, sente di dover dire la verità. Ma non la vuole dire, la verità.
Decide di aspettare che sia Jimin, a rispondere. È meglio che sia Jimin, a rispondere.
«Sono un po’ stanco» ammette Jimin. «Ma sto bene. Non alla grande, non meravigliosamente. Ma bene.»
«E tu, Yoongi-ssi?» chiede Jihyo e Yoongi è convinto che lei nemmeno volesse chiedere a Jimin, come stesse, è convinto che la domanda fosse rivolta esclusivamente a lui. E il modo in cui Hoseok scuote la testa, in maniera involontaria, conferma solo la sua ipotesi.
«Sto bene» dice solamente, il tono della voce leggermente forzato, lo sguardo rivolto verso il basso, verso le mani ancora strette tra le ginocchia.
«Com’è andato il primo giorno di convivenza?» chiede Hoseok, mentre Jihyo si appresta a inserire note nella sua cartellina, la penna a gel che scorre veloce sulla carta bianca. Sono pochi gli psicologi che tuttora proseguono e inseriscono le loro note in cartelle, su fogli bianchi. La maggior parte le inseriscono direttamente su un documento sul computer. Tuttavia, ad alcuni, come, Yoongi suppone, a Jihyo e come, Yoongi sa per certo, a Hoseok, sembra di distaccarsi dal cliente, sembra di inserire un vetro trasparente tra i due. Ci si vede, si può ancora parlare, ma c’è un netto distacco, che provoca al cliente la perdita di fiducia, di sicurezza.
«Bene!» esclama Jimin, e sembra sincero, nei suoi occhi accesi d’una strana luce e nel suo piccolo sorriso sulle labbra, al punto da stupire Yoongi. «Hyung ha preparato una deliziosa cena e abbiamo parlato un po’.»
Jimin, troppo perso nel suo imbarazzo nel raccontare il primo giorno, non si rende conto dello sguardo che si scambiano Hoseok e Jihyo al suo “hyung”, ma Yoongi se ne rende conto, eccome se se ne rende conto. E si ritrova quasi a sbuffare e ad alzare gli occhi al cielo. Insomma, cosa si aspettavano i due? Che non si parlassero affatto? Che parlassero in maniera estremamente formale per i prossimi tre mesi? “Ehi, Yoongi-ssi, andiamo a dormire nello stesso letto e conviviamo per tre mesi?” “Certo, Jimin-ssi!”?
«Vi va di parlarmi un po’ della cena? Com’è andata? Cosa avete mangiato?» chiede Jihyo, ma Yoongi smette di ascoltare nel momento in cui Jimin si appresta a rispondere, puntando il suo sguardo su Hoseok, che già lo sta guardando ed ha un sopracciglio inarcato. Yoongi copia la sua espressione, inarcando a sua volta un sopracciglio. Cosa, prova a dirgli, a malapena muovendo le labbra. Niente, gli risponde Hoseok, scuotendo leggermente la testa e puntando la sua attenzione su Jimin. E Yoongi fa altrettanto, osservando il ragazzo accanto a sé, osservando le sue spalle dritte, le braccia che si muovono per descrivere meglio ciò che vuole dire, i gesti delle mani, gli occhi ancora illuminati di quella strana luce che Yoongi non sa descrivere, non sa spiegare e spiegarsi, le labbra leggermente inumidite dalla saliva, perché Jimin passa spesso la lingua su di esse – un vizio che ha preso da Taehyung, gli ha raccontato un paio di giorni fa –, le labbra carnose e probabilmente morbide, che lasciano andare la sua melodiosa voce mentre racconta dell’ottimo dakgalbi e dell’ottima cucina di Yoongi e del cuociriso che adesso Yoongi sa finalmente utilizzare. Poi si interrompe, quando Jihyo gli fa una domanda, che Yoongi si lascia sfuggire, troppo distratto dal ragazzo accanto a sé. Non capisce, quindi, a cosa sia dovuto il cambiamento d’espressione di Jimin, non capisce perché le sue spalle si siano abbassate, non capisce perché i suoi occhi siano persi, le sue guance siano rosse, non capisce perché stia passando la lingua tra le labbra carnose e poi stia addentando il labbro inferiore, non capisce davvero, e vorrebbe sinceramente capire. Sente gli sguardi dei due psicologi su di loro, ma li lascia perdere, nel momento esatto in cui quello di Jimin si incrocia col suo, ed è imbarazzato, è dannatamente imbarazzato, con le guance rosse sulla pelle lattea.
«Yoongi­-ssi, vuoi rispondere tu?»
«Cosa?»
«Vuoi rispondere tu?»
«A cosa?»
«Alla domanda che ho fatto a Jimin-ssi
«Quale domanda?»
«Se dormite nella stessa stanza.»
E solo allora, solo in quel momento, Yoongi distacca il suo sguardo da quello di Jimin, e lo punta sugli psicologi di fronte a sé.
Be’, adesso capisce, perlomeno, l’imbarazzo di Jimin, perché lo percepisce scorrere anche nel suo corpo. E fa caldo, wow, fa davvero caldo nello studio di Hoseok.
«Dormiamo nello stesso letto» ammette, e gli esce quasi straniata, la frase, perché ha trattenuto il respiro, prima di rispondere. E non sa se può riprendere a respirare come si deve, non sa se ci riesce, non sa se ne sia capace.
«Volete raccontarci il resto dei giorni, fino ad oggi?» chiede Hoseok, alleggerendo l’atmosfera, cambiando argomento. Grazie a Dio esiste Jung Hoseok.
E raccontano, quindi, di come siano andati i giorni successivi al primo. Ma non raccontano, invece, di come sia andato il giorno precedente. O, meglio, raccontano della visita di Taehyung e Jeongguk, ma evitano di raccontare dell’attacco di panico e della distanza che hanno palesemente sentito nel loro rapporto che sembrava starsi costruendo.
Yoongi non sa bene dove vogliano arrivare con certe domande, e non sa bene cosa si senta di condividere con Park Jihyo. O cosa si senta di condividere con Jimin.
E perciò ogni tanto sta in silenzio – per la maggior parte del tempo –, e ogni tanto parla – quasi mai. Osserva più che può, le tre persone attorno a sé. Memorizza le domande, si dice che dovrà discuterne con Hoseok di alcune quando avverrà la loro seduta in settimana, si dice che dovrà discuterne con Seokjin e Namjoon, quando finalmente li rivedrà e passerà del tempo in loro compagnia, si dice che dovrà discuterne con se stesso, nel suo vecchio taccuino in cui condivide i pensieri o frasi che gli passano per la testa, frasi che sarebbero ottime da inserire in una storia, che probabilmente non scriverà mai.
Quando termina la seduta, quando si salutano, Yoongi e Jimin decidono di tornare a casa, troppo stanchi per mangiare fuori.
E lo fanno, camminando fianco a fianco, sedendosi vicini sulla metro, le spalle a sfiorarsi di tanto in tanto, fino a giungere a casa, sempre in silenzio, costantemente in silenzio. Preparano la cena insieme, si mettono a sedere sugli sgabelli di fronte all’isola, ai lati opposti, e riprendono a parlare, a poco a poco, lasciandosi alle spalle la sera precedente, come se non fosse successa. Non è forse l’idea migliore di tutti, Yoongi lo sa, Yoongi ha convissuto abbastanza con se stesso da sapere che evitare i problemi non li risolve affatto, ma prosegue lo stesso col far finta di nulla, perché è fatto così, perché sapere che una cosa sia sbagliata non significa necessariamente prendere provvedimenti e renderla giusta. Yoongi non è tipo da prendere provvedimenti e rendere giuste le cose.
Mangiano, parlano, ridono. E poi lavano i piatti, li asciugano, si lavano, si cambiano nel pigiama comodo, e si mettono a letto. E dormono, vicini, due stelle di un sistema binario.
 
 

È venerdì 13 Settembre, un piatto di songpyeon, comprati in un supermercato non molto distante da casa loro, tra Min Yoongi e Park Jimin, seduti sul divano, faccia a faccia.
Jimin si appresta a prendere uno gnocco, apprezzando che sia ancora caldo e che sia dolce. Poiché Jimin ama le cose dolci e Yoongi lo sa bene, per questo ha comprato i songpyeon, nonostante non apprezzi, da un paio di anni a questa parte, festeggiare il Chuseok. La festività gli ricorda solo che ha praticamente perso i contatti con la sua famiglia e che è diventato un lupo solitario. Poiché, per quanto apprezzi Seokjin e Namjoon, sa bene che non sono un trio, loro. Ma sono un duo, Seokjin e Namjoon. Più Yoongi. È un estraneo, lui, e lo sa, lo sa, Dio se lo sa.
Sospira, Yoongi, e osserva Jimin che mastica, gli occhi chiusi per assaporare bene i songpyeon, le labbra lucide e carnose, strette l’una con l’altra, le guance paffute. Cosa darebbe, per essere come lui.
«Posti in cui ti piacerebbe andare?» gli chiede all’improvviso, facendo sussultare il ragazzo, l’uomo, di fronte a sé.
Jimin apre gli occhi, mastica velocemente, ingoia, alza un sopracciglio e poi «Che intendi?» chiede.
«Quali posti ti piacerebbe visitare? Va bene qualsiasi posto, qualsiasi città, ovunque nel mondo» gli spiega Yoongi, mettendosi a sedere un po’ più comodo, poggiandosi lateralmente sul divano, piegando le gambe e portandole strette al busto, la testa appoggiata sulla mano destra.
«Parigi» risponde Jimin, senza neppure pensarci su troppo.
«Parigi?»
«Parigi.»
«Ti ci vedo, a Parigi» gli dice Yoongi e pensa che per un attimo, un solo attimo, Jimin voglia chiedergli cosa diamine intenda, e Yoongi non sa se possa dirglielo, cosa diamine intenda. Non sa nemmeno se sappia, cosa diamine intenda. Ma Jimin non glielo chiede, perché è Jimin, e ha imparato a capire Yoongi in quasi due settimane di convivenza. Yoongi, che tutti hanno sempre considerato difficile da leggere.
«E a te? Dove piacerebbe andare?»
«Londra.»
«Ti ci vedo, a Londra.»
E Yoongi non risponde, accenna semplicemente un sorriso e poi decide di mangiare uno gnocco, facendo una leggera smorfia quando si rende conto di quanto sia dolce, troppo per lui. Ma non dice nulla, arrossisce semplicemente quando Jimin, occhi due mezzelune, guance rosse, scoppia a ridere. Così, Jimin dovrebbe essere sempre così. Sorridente. Felice. Decide Yoongi, che lo vuole vedere sempre così.
 
 

Fuori piove e Yoongi è di cattivo umore, mentre si dirige verso la libreria, un ombrello stretto tra le mani che prova a proteggerlo dalla pioggia senza riuscirci, una felpa nera che prova a proteggerlo dal freddo senza riuscirci. Sbuffa tra sé e sé, mentre si appresta ad infilare la chiave nella serratura e si infila nel negozio, le scarpe da tennis zuppe e le mani congelate. Lascia l’ombrello nel portaombrelli all’entrata e si appresta ad accendere le luci – e il riscaldamento –, per poi avviare la cassa e contare i soldi, assicurandosi che siano giusti.
Dopodiché, comincia le sue solite pulizie mattutine, spazzando e dando una veloce lavata per terra, per poi spolverare i ripiani e riordinare i libri, cercando di perdere il più possibile tempo.
Infine, si siede dietro al bancone della cassa e si rende conto che non ha null’altro da fare e che ci sono fin troppe ore di fronte a lui.
Sospira e pesca il suo cellulare dalla tasca dei pantaloni, sorprendendosi quando trova un messaggio da parte di Seokjin, che difficilmente si ritrova a mandare messaggi, preferendo le chiamate o le chiacchierate a voce. È Namjoon, quello che preferisce i messaggi. Mentre Yoongi preferisce rimanere da solo, la maggior parte delle volte (perlomeno lui crede così, ma la realtà è che apprezza ogni forma di dialogo coi suoi migliori amici).
 
seokjin-hyung
Buongiorno (*ω)
Sei al lavoro?
 
yoongi
 
Ripone il cellulare di fronte a sé, sul bancone della cassa, senza neppure domandarsi il motivo della domanda di Seokjin – ha imparato, negli anni, che è meglio non chiedersi i motivi dietro a qualsiasi cosa Kim Seokjin faccia –, e poi recupera uno dei libri che aveva iniziato prima di conoscere Jimin e che poi, tra una cosa e l’altra, aveva abbandonato, nonché La ragazza di carta di Guillaume Musso, seguendo le vicende dello scrittore in crisi d’ispirazione Tom Boyde e della misteriosa Billie. E si concentra così tanto sul libro che quasi – e sottolineo quasi – non si rende conto della porta del negozio che viene aperta. Tuttavia, Yoongi è abituato a leggere al lavoro e a perdersi nei libri, perciò non gli è difficile deconcentrarsi e spostare l’attenzione sulla porta, di fronte a cui si trova la figura di Kim Seokjin, il suo migliore amico.
Aggrotta la fronte e osserva Seokjin che, con un sorriso stampato sul volto dai lineamenti fin troppo perfetti e decisamente scorretti nei confronti dei comuni esseri umani, si avvicina al bancone della cassa, su cui ripone una bustina, da cui arriva decisamente un buon profumo.
«Hyung? Che ci fai qui?» chiede Yoongi confuso, osservando prima Seokjin e poi la busta che gli è stata riposta di fronte.
«Ti ho portato dei mochi, vari gusti» gli dice solamente, appoggiando i gomiti sul bancone, per poi appoggiare il suo viso tra le sue mani, lo sguardo puntato sul viso di Yoongi.
Yoongi apprezza Seokjin, lo apprezza per davvero. Nonostante finga di no, apprezza il suo essere scherzoso e il suo essere amichevole e il suo essere gentile, ma ancora, e soprattutto, il suo essere estremamente intelligente. Tuttavia, nonostante lo apprezzi come persona, Yoongi detesta il modo in cui Seokjin sia in grado di leggerlo, di comprenderlo, di gestirlo.
C’è un motivo, d’altronde, se proprio Seokjin e Namjoon sono anime gemelle.
«I migliori amici di Jimin mi odiano» si lascia sfuggire Yoongi, per poi fare una smorfia tra sé e sé perché gli è davvero troppo facile sfogarsi con Seokjin, ed è il motivo per cui passa meno tempo con lui, quando è in crisi, rispetto a quanto ne passa con Namjoon, che, con la sua aura calma, ma anche un po’ caotica, gli lascia i suoi spazi e i suoi tempi.
«Perché credi che ti odino?»
«Perché non penso che Jimin, il loro migliore amico, sia la mia anima gemella» borbotta. Realmente ne aveva già parlato, con Seokjin e Namjoon, però non era entrato nei dettagli, riguardo a quella serata, a quelle strani frasi, a quegli strani sguardi, a quell’attacco di panico.
«Perché lo pensi?»
Yoongi aggrotta la fronte, ancora una volta, e incrocia involontariamente lo sguardo di Seokjin, per poi rilasciare la sua frase, che dall’intonazione sembra quasi una domanda, insieme alle sopracciglia inarcate e ad un’espressione annoiata sul viso. «Perché non sono attratto dagli uomini?!»
Seokjin, in tutta la sua bellezza, di fronte a Yoongi, sbuffa. Osa sbuffare. Di fronte a Yoongi. Nel modo più rumoroso e teatrale possibile. «E allora perché hai una cotta per Baekhyun?»
«Io non ho una cotta per-» ma Yoongi si interrompe, perché okay, Byun Baekhyun è bellissimo, non può negarlo. «Il fatto che sia un uomo non vuol dire che non possa ammirare la bellezza degli altri uomini» decide di dire, incrociando le braccia sul petto.
«Non mi hai mai detto che sono bello, però, tantomeno hai mai salvato mie foto sul cellulare» gli dice Seokjin, quasi come se le sue parole volessero provare le sue assurde teorie.
«Seokjin-hyung, di che diamine stai parlando?»
«Ti sto semplicemente dicendo che dovresti rivalutare te stesso. E anche rivalutare i tuoi gusti, perché il fatto che io non ti piaccia quanto ti piaccia Baekhyun è offensivo!»
Yoongi vorrebbe realmente buttare Seokjin fuori dalla libreria e riprendere a leggere in santa pace il suo libro, ma no, apparentemente Seokjin non ha alcuna intenzione di andarsene, apparentemente ha altri piani, e Yoongi non può far altro che accettare la terribile situazione in cui si è ritrovato, solo perché ha risposto ad un maledetto messaggio.
«Puoi essere serio, per un momento?»
«Io sono sempre serio, sei tu che non mi prendi sul serio» contrattacca immediatamente Seokjin, facendogli l’occhiolino, costringendo un disperato Yoongi ad alzare gli occhi al cielo.
«Credo che i migliori amici di Jimin pensino che stia facendo soffrire Jimin. Però il punto è: se Jimin non è la mia anima gemella, allora neppure io sono la sua. Quindi perché chiedermi se credo nelle anime gemelle? Perché raccontarmi la loro storia in quel modo? Cosa volevano provare? Cosa volevano che facessi? Speravano che cambiassi? Speravano che il mattino dopo mi sarei svegliato e avrei detto “be’, sì, mi piace Jimin, è la mia anima gemella, anche se sono eterosessuale”?» si sfoga Yoongi, andando quasi in iperventilazione, dal momento in cui si dimentica di respirare tra una frase e l’altra e si agita fin troppo per la sua salute fisica e mentale.
Seokjin osserva Yoongi, mentre si alza in piedi e fa il giro del bancone, mentre si rifugia di fronte ai libri, accarezzandone le copertine, aprendoli e annusandone, di nascosto, le pagine, leggendo di sfuggita le parole che nascondono dentro di loro. Seokjin osserva Yoongi e si chiede come possa essere così ottuso – almeno per quanto riguarda se stesso – da non rendersi conto che le cose non stanno realmente come crede, che le persone realmente non lo odino, che tutti abbiano notato i suoi occhi, tranne lui. Ma non glielo può dire, perché se lo sono promesso, lui e Namjoon, di non interferire troppo nell’ammasso di pensieri che Yoongi ha per la testa. Perché anche se a Yoongi piace credere di no, Yoongi è un essere umano sensibile e delicato, che ha bisogno degli altri tanto quanto gli altri hanno bisogno di lui, che prova fin troppa empatia e che ragiona fin troppo su ogni sua singola azione. E non è giusto, che Namjoon e Seokjin, distruggano l’equilibrio che finalmente è riuscito a trovare. Deve rivalutarsi da sé, deve capirlo da sé.
Il punto è che, a differenza di Namjoon, che è paziente e silenzioso, Seokjin ha l’abitudine di dire la sua, soprattutto quando si tratta delle persone a cui vuole bene, che si fanno del male senza motivo, che si distruggono senza motivo.
Seokjin non riesce a vederli soffrire, è più forte di lui.
«Yoongi» dice, interrompendo Yoongi sui suoi passi, evitando che continui a muoversi nella piccola libreria, cercando di allontanarsi dai suoi problemi, dai suoi pensieri. Ma dove te ne vai, quando è tutto nella tua testa. Yoongi alza lo sguardo, lo punta per un attimo in quello di Seokjin, che gli si avvicina, sovrastandolo, con le sue spalle larghe e i suoi centimetri d’altezza in più, i suoi capelli scuri, la frangia quasi a coprire gli occhi a mandorla, e con la sua aura piena di sicurezza e intelligenza. «Credo che Taehyung e Jeongguk volessero solo ricordarti che ci sono tanti tipi di anime gemelle, che si conoscono in maniera diversa, che sono fatte l’una per l’altra molto prima che compiano diciotto anni, che capiscono di essere anime gemelle molto prima che un database glielo confermi. Credo che volessero farti ragionare sulle anime gemelle e sul database stesso, su come funzioni. È tutto nella nostra testa, Yoongi, ma noi non sempre sappiamo tutto ciò che è nella nostra testa.»
«Che… che intendi?»
«Intendo che dovresti sinceramente pensarci bene» gli dice Seokjin, con voce gentile, con occhi gentili, con viso gentile. Ha quella tenerezza sul viso, Seokjin, quella tenerezza di un adulto che è capace di godersi la vita e le persone attorno a sé e l’amore che lo circonda, quella tenerezza che quando i bambini crescono solitamente sparisce, se ne va via lasciando dietro maturità e sfiducia nei confronti di chiunque e qualunque cosa. Ma Seokjin non se l’è lasciata scappare, Seokjin l’ha tenuta stretta a sé, la sua tenerezza. «Comunque adesso devo andare, prima che Namjoon faccia scoppiare la nostra casa in aria, dal momento che mi aveva fatto sapere che aveva intenzione di cucinare lui oggi.»
«Jin-hyung» lo richiama Yoongi, prima che superi la soglia della porta del negozio e lo lasci da solo nella libreria.
«Sì?»
«Grazie.»
E così Yoongi rimane solo, con più parole nella testa che quelle che sono state scritte in tutti i libri presenti nella libreria, e con un paio di mochi da mangiucchiare e un libro da continuare.
 
 

«Non ti fa strano pensare che noi esistiamo solo per una serie di coincidenze?» è la prima cosa che Yoongi dice ad Hoseok quando si mette a sedere sulla scomoda sedia di fronte alla scrivania di mogano nello studio dello psicologo.
Hoseok aggrotta la fronte, confuso da una frase tanto inattesa. «Cosa?»
«Anni e anni fa non esisteva il database, giusto?» chiede Yoongi per conferma.
«Giusto» gli dà conferma Hoseok, non intuendo dove il suo hyung voglia andare a parare.
«Ciò significa che i genitori dei genitori dei nostri genitori si sono incontrati per caso» prosegue Yoongi, convinto delle sue stesse parole.
«Sì?»
«Se non si fossero incontrati, se lui si fosse svegliato più tardi quella mattina, se lei avesse deciso di fare tutt’altra cosa quel giorno, noi non saremmo mai esistiti» dice Yoongi, passandosi la lingua sulle labbra carnose per inumidirle e scrocchiandosi le ossa delle dita delle mani, facendo rumore nel silenzioso studio.
«Con questo dove vuoi andare a parare?» gli chiede infine Hoseok.
«Che se non fosse avvenuta questa serie di coincidenze, io non sarei stato qui, oggi, seduto di fronte a te, lontano dalla mia città, spaventato per il mio futuro» ammette Yoongi, sospirando sonoramente e appoggiando la schiena allo schienale della sedia. È davvero, incredibilmente scomoda.
Hoseok cerca di mantenere un’espressione neutra sul viso, mentre osserva Yoongi e si chiede come sia arrivato a conclusioni simili, da dove siano partiti i suoi pensieri, cosa l’abbia portato a farsi domande sulla sua vita. «È successo qualcosa con Jimin?»
Yoongi aggrotta la fronte, ci pensa persino su, ma poi scuote la testa. «Seokjin-hyung» dice solamente, come se bastasse pronunciare il nome di Kim Seokjin per rendere la situazione più chiara. E il punto è che è proprio così, perché Seokjin ha instillato così tanti pensieri nella testa di Yoongi nel corso degli anni, pensieri che poi Hoseok ha dovuto gestire e aiutare Yoongi a rimettere in ordine, che non servono altre parole, non servono vere e proprie spiegazioni.
«Come va con Jimin?» decide, perciò, di chiedere Hoseok, perché se i pensieri di Yoongi si sono affollati, allora anche le sue azioni sono cambiate.
«Pensi che un database sia necessario per comprendere chi sia la persona con cui vuoi passare il resto della tua vita?» gli chiede però Yoongi, neppure ascoltando la domanda del suo psicologo, neppure provando a rispondere.
«Il database non è necessariamente nato per dirti con chi passerai il resto della tua vita, il database è nato per evitare che le persone scegliessero le persone sbagliate e ne rimanessero ferite» gli spiega Hoseok, il tono serio, la voce ferma. «Esisteva così tanta violenza domestica, una volta, Yoongi. Le persone più forti prendevano il controllo delle persone più deboli. Uomini adulti si mettevano con giovani ragazze e le manipolavano, a loro gusto. Ci si sposava perché la società si aspettava che ci si sposasse. Si facevano figli per salvare i matrimoni, uno degli atti più egoistici al mondo. C’erano davvero fin troppi problemi, nella società del passato, Yoongi. E il database è nato per evitare quei problemi, per evitare quelle violenze, per evitare quelle morti e per evitare quelle nascite, quei bambini che sarebbero cresciuti in una famiglia tossica e malsana e sarebbero finiti per odiare persino loro stessi e molto probabilmente sarebbero diventati tossici e malsani a loro volta, creando un circolo vizioso.»
«Però… però se non sbagliamo, come facciamo a capire che abbiamo preso la scelta giusta? Se non viviamo amori sbagliati, come facciamo a sapere ciò di cui abbiamo bisogno? Se non viviamo cose brutte, come facciamo ad apprezzare quelle belle?» gli chiede, e si chiede, Yoongi.
E realmente, Hoseok non lo sa. Non lo sa nemmeno lui. Si è posto queste domande così tante volte, le ha poste ai suoi psicologi e le ha poste a colleghi e amici psicologi. Ma non c’è una risposta vera e propria, nessuno la sa. Nessuno realmente sa se si stesse meglio senza database o se si stia meglio adesso, con il database.
«Non lo so, Yoongi, non lo so» ammette Hoseok e si sente sconfitto, perché non può aiutare quello che è non solo un suo paziente, ma anche un suo amico.
«A volte penso che si sia passati da un estremo all’altro. Dal non proteggere le persone al proteggerle fin troppo» mormora Yoongi, un leggero broncio sul volto, rivolto verso il basso, verso le sue mani, le unghie mangiucchiate per lo stress e l’ansia e una pellicina sanguinante. Fa una smorfia, quando nota il sangue rosso sul suo dito medio, e poi lo porta tra le labbra, risucchiando il sangue e assaporandolo sulla sua lingua. Amaro.
«Ti penti di essertene andato di casa?»
«No.»
«Ti penti di non esserti iscritto all’università, pur di non chiedere aiuto ai tuoi genitori?»
«No.»
«Ti penti di aver incontrato Jimin?»
«No.
«Però tutte queste cose ti hanno fatto del male.»
«Sì.»
«Hyung, è vero che persino il database ha i suoi difetti, però non ti vieta di fare errori e di stare male e di superare sfide, con te stesso e con gli altri. Sono situazioni differenti, rispetto a quelle che vivevano le persone nel passato. C’è meno violenza, sia fisica che psicologica, è meno probabile che le persone cadano in depressione o subiscano traumi. Ma tu stesso sai che succede» gli dice Hoseok, trattenendo un sospiro tra le labbra rosee.
«Sì. E non capisco. Perché mi manca la mia famiglia, perché penso di aver sbagliato, perché ci sto così male, per le decisioni che ho preso. Se non me ne pento, perché sto così?»
«Perché i ricordi belli superano sempre quelli brutti. E non importa quanto una cosa, o una persona, ci abbia traumatizzato, finiamo sempre per pensare ai sorrisi, mai alle lacrime. Però è importante che tu non ti penta delle decisioni che hai preso, perché ne sei uscito più forte, ne sei uscito più empatico, più gentile, più pieno. È difficile ricordarci chi eravamo, i ricordi ci fregano e ci lasciano credere che stavamo meglio prima, che tutto quel dolore, tutte quelle sfide, non fossero poi così terribili e alla fine ci sentiamo come se fossimo finiti nel nulla. Ma non è così. Siamo cambiati, siamo cresciuti, abbiamo deciso chi vogliamo nelle nostre vite-»
«Però non possiamo decidere quella specifica persona che vogliamo accanto per il resto della nostra vita» lo interrompe Yoongi.
«No, non possiamo» e stavolta Hoseok il sospiro se lo lascia sfuggire. «Ma Yoongi-hyung, molte persone le scelgono, le proprie anime gemelle, prima che lo faccia il database. Hai persone al tuo fianco che si sono scelte, non sono state scelte.»
«Con Jimin va bene, comunque» dice Yoongi, rispondendo alla domanda che Hoseok gli aveva posto prima, cambiando argomento e chiudendo definitivamente la conversazione.
Hoseok accetta il suo cambio repentino di argomento e accetta i suoi silenzi, e gli domanda di Jimin e della loro convivenza per il resto della seduta.
 
 

«Credo che il ramen sia stata la miglior invenzione al mondo» dice Jimin, tra una boccata di noodles e un’altra, le labbra lucide, bagnate dal brodo, le guance paffute piene di cibo, gli occhi stanchi, ma accesi di gioia, per il delizioso pasto.
«È stato inventato in Francia, sai?» gli risponde Yoongi.
«Non è vero, non ci credo» esclama stupito Jimin, e per poco non apre la bocca per mostrare il suo stupore, ma grazie al cielo si ricorda di averla ancora mezza piena e si appresta a masticare ed ingoiare prima di aprirla effettivamente. È teatrale, nelle sue espressioni, Jimin, se non si era capito.
«No? Cerca su Naver, allora, ti sfido» borbotta in risposta Yoongi, accennando un sorriso dietro alle sue bacchette, che tengono strette tra loro fin troppi noodles rispetto a quelli che gli entrano effettivamente in bocca.
«Guarda che lo faccio» borbotta a sua volta Jimin, mandandogli un’occhiataccia.
«Su, fallo» risponde Yoongi, masticando con fatica il suo boccone e ingoiando poco dopo, mentre Jimin pesca il suo cellulare dalla tasca dei pantaloni che sta indossando e, con l’uso di entrambe le mani, che sono davvero troppo piccole per il modello del suo cellulare, e davvero troppo piccole in generale, fa la sua ricerca, mentre Yoongi lo osserva con sguardo divertito.
Gli occhi di Jimin si sbarrano, mentre legge la storia di come sia nato. «Ma non è vero!» urla, letteralmente urla, alzandosi in piedi e sbattendo i piedi per terra, per poi sbattere in faccia a Yoongi lo schermo del suo cellulare, che quasi lo acceca a causa della luminosità fin troppo alta. «È stato inventato in Cina!» urla ancora una volta, decisamente fin troppo offeso.
Yoongi sorride, nel vedere Jimin così. Occhi assottigliati, labbra in un broncio offeso, guance paffute, mentre sbuffa con ritmo costante. «Lo sapevo» ammette Yoongi, facendogli l’occhiolino.
E Jimin ne rimane ancora più sorpreso. Non sembrava possibile, eppure. «Che vuol dire che lo sapevi? Allora perché mi hai detto fosse stato inventato in Francia?»
«Volevo vedere la tua reazione» ammette Yoongi, rigirando con le bacchette i noodles che sono rimasti nella sua ciotola, accompagnati da fettine di carne di maiale e nori. Ci aveva messo pure un uovo sodo, ma lo ha già mangiato. «Perché sei carino quando ti offendi.»
«Cosa?»
Yoongi sbarra gli occhi e la sua mano, che stava continuando a rigirare i noodles nella ciotola, si interrompe. Si immobilizza ogni parte di sé, persino il suo cuore. «Cosa?» dice a sua volta, perché non ha davvero altro da dire.
«Cos’hai appena detto?»
«Niente»
«Yoongi-hyu–»
«Niente, Jimin, continua a mangiare» lo implora quasi Yoongi, mentre sente le guance surriscaldarsi e l’imbarazzo prendere il sopravvento.
Jimin sospira e per un attimo non si muove, fermo, in piedi, di fronte ad uno Yoongi fermo, seduto. Ma poi si rimette a sedere anche lui e riprende a mangiare, in silenzio.
Questo stesso silenzio viene interrotto un paio di minuti dopo, quando squilla il cellulare di Yoongi, facendo sussultare entrambi.
Yoongi si alza per recuperare il cellulare dal tavolino del salotto, su cui lo aveva lasciato. E si immobilizza, per la seconda volta nel corso della serata, nel corso di pochi minuti.
«Hyung? Chi è al telefono?» chiede Jimin, spuntando dalla cucina, confuso dal fatto che la suoneria ancora risuoni nell’aria, nonostante Yoongi già si trovi in salotto, già abbia il cellulare tra le mani.
«Mia madre.»
«Oh» dice Jimin, insicuro su cos’altro dire.
Yoongi torna in cucina, lasciando che il cellulare squilli, squilli e squilli, fino a che la suoneria non gli entra nella testa e non lo molla più, eco dopo eco dopo eco.
«Il ramen potrebbe benissimo essere stato inventato in Francia» dice Yoongi, per distrarsi, per distrarre Jimin, che sta in piedi, sulla soglia della porta della cucina, confuso, dal comportamento di Yoongi, indeciso, su cosa fare.
«Yoongi-hyung, non rispondi?» chiede Jimin, catturando il labbro inferiore tra i denti bianchi. Jimin sa che Yoongi non ha un buon rapporto coi suoi genitori, lo sa bene, ma Yoongi non aveva mai detto fosse a tal punto da non parlarsi neppure al telefono.
«No, perché so quello che vuole chiedermi e io non voglio darle una risposta, per il momento» ammette Yoongi, sospirando e abbandonando la sua ciotola di ramen, la fame decisamente passata, l’ansia che si fa sentire, ancora una volta.
Jimin rimane fermo dov’è, cercando di dare più spazio possibile a Yoongi. «Cosa vuole chiederti?»
«Se ho trovato la mia anima gemella» rivela, trattenendosi dal sospirare sonoramente. «E poi perché non mi sono fatto sentire per il Chuseok
«Oh» dice Jimin, e sembra l’unica cosa che sia in grado di dire, ripetutamente, ancora ed ancora ed ancora.
Yoongi sospira, questa volta, ancora una volta, l’ennesima, e si alza in piedi, si dirige verso Jimin, che si fa un pochino più piccolo, un pochino più insicuro, e poi lo supera, andandosi a sedere sul divano al centro del salotto, il cellulare che sembra fissarlo con disappunto dal tavolino. «Vieni» mormora, battendo una mano un paio di volte sul cuscino morbido del divano, facendo segno a Jimin di sedersi al suo fianco, proprio lì, in quel punto specifico, distante, ma non troppo, da lui.
Yoongi non sa realmente cosa stia facendo, cosa gli passi per la testa, sa solo che ha bisogno di parlare e che di Jimin ha iniziato sinceramente a fidarsi.
Jimin annuisce e, a piccoli passi, si avvicina al divano, a Yoongi, fino a sedersi, diversi centimetri a separarli, che sembrano nulli quando Jimin sente la presenza di Yoongi così tanto, così viva, così grande, che sembrano nulli quando Yoongi sente la presenza di Jimin in questo dannato modo, che non importa quanto distante sia, è lì, è lì, è lì, lo percepisce sulla sua pelle.
«Cos’è successo realmente con la tua famiglia?» chiede Jimin, quasi in un sussurro, spaventato che Yoongi potrebbe allontanarsi, di nuovo, per l’ennesima volta.
«Niente, non è successo niente» mormora Yoongi, portando lo sguardo sulle sue mani, poggiate sulle gambe, strette tra di loro.
Jimin quasi ci rimane male, sentendo la risposta di Yoongi. Quasi, perché sa di non poter pretendere nulla. Quasi, perché sa che ci vuole del tempo. «Niente?» chiede quindi, inclinando la testa di lato.
«Sto dicendo la verità» borbotta Yoongi, alzando lo sguardo, puntandolo in quello di Jimin. Yoongi, che non ama il contatto visivo. Yoongi, che evita di incrociare gli sguardi. Punta il suo sguardo in quello di Jimin. Perché Jimin deve vedere, che sta dicendo la verità. «Non è davvero successo niente, è tutto dentro» gli spiega Yoongi, scuotendo leggermente la testa, sovrappensiero.
«E cos’è successo, dentro, allora?»
«È successo che soffro di depressione e d’ansia e la mia famiglia non mi ha mai realmente capito. E io nemmeno chiedevo, che mi capisse. Chiedevo solo che mi ascoltasse, quando sentivo il bisogno di parlare. Chiedevo solo che mi sostenesse, quando sentivo di star crollando. Non chiedevo molto. Non chiedevo molto, vero?»
«No, non penso che chiedessi molto» lo rassicura Jimin, e lo fa perché ci crede, nelle sue parole, perché crede davvero che non ci sia nulla di sbagliato, nel chiedere un po’ di sostegno, un po’ d’amore, nel chiedere di essere ascoltati quando si vuole parlare, nel chiedere privacy quando si vuole del tempo per sé, nel chiedere tempo quando la propria mente è confusione pura e le parole non si vogliono lasciar andare, non si possono lasciar andare.
«A loro non stava bene, che non me la sentissi di condividere certi pensieri. Non gli stava bene. Non gli stava assolutamente bene» mormora Yoongi, e sembra piccolo, sembra proprio piccolo, mentre guarda Jimin, gli occhi leggermente lucidi, le labbra carnose posizionate in un piccolo broncio, le guance un poco arrossate, forse per l’imbarazzo di essere così esposto, forse perché sta lottando con tutto se stesso per evitare di mettersi a  piangere. «Sembrava quasi che ciò che sentissi non valesse nulla, perché non era palpabile. Perché i sentimenti non sono palpabili, non sono concreti. Perché la depressione sta tutta nella testa e, anche se condiziona la vita di tutti i giorni, rimane tutta nella testa. E quando una cosa è nella testa, sembra essere meno importante. Non importa quanto avanti siamo, non importa quanto la società sia migliorata, non importa quanto gli studi dimostrino, non importano la progressione e le lotte e tutte le persone che hanno marciato per strada e hanno chiesto di essere viste, di essere guardate ed accettate, le malattie mentali saranno sempre, verranno sempre, stigmatizzate.»
«È per questo che te ne sei andato di casa?»
«Sì, anche. Ho iniziato a soffrire di depressione e ansia molto prima che la questione della mia anima gemella fosse parte della conversazione. Ma, appena compiuti i diciotto anni, hanno iniziato, a sperare e sperare e sperare. Speravano trovassi un’anima gemella. Speravano che questa persona mi curasse, mi salvasse» racconta Yoongi, a denti stretti, lo sguardo sempre puntato su Jimin, come se fosse l’ancora che lo tiene fermo, che lo tiene coi piedi ben piantati per terra, con la testa fissa su un unico punto.
«Però non basta l’amore, per stare bene. Non è nemmeno ciò a cui serve, realmente» mormora Jimin, mordicchiandosi il labbro inferiore, al punto di staccarsi una pellicina e farsi un po’ di sangue.
«Al mio secondo anno senza anima gemella, ho deciso di andarmene di casa, perché avevano iniziato a pensare che fosse colpa mia, che ancora non mi avessero assegnato un’anima gemella. Credevano fosse per il mio stato mentale. Non lo dicevano apertamente, non dicevano nulla apertamente, ma sottintendevano tutto.»
«Sei stato coraggioso, ad andartene da Daegu, da solo, per venire qui a Seoul» gli dice Jimin, facendo per poggiare una mano sulla coscia di Yoongi, per sostenerlo, per apprezzarlo, per ricordargli che è lì. Ma poi la ritira, prima anche solo di riuscirci, a sfiorarlo.
Yoongi fa finta di non rendersene conto, e invece scuote la testa, in risposta a ciò che Jimin gli ha detto. «Per nulla. Se non ci fossero stati Seokjin-hyung e Namjoon non ce l’avrei mai fatta» ammette, stringendosi nelle spalle.
«Loro vivevano già qui?»
«Sì, si erano trasferiti proprio quell’anno, dopo esser stati assegnati l’uno all’altro. Realmente già si conoscevano, li avevo fatti conoscere io» gli rivela Yoongi, accennando un sorriso. E basta quel piccolo sorriso, a Jimin, per rilassarsi, per eliminare il peso che sentiva sul petto, per smettere di distruggersi il labbro inferiore.
«Come li hai conosciuti?»
«Twitter. Li ho conosciuti su Twitter. Namjoon scriveva un sacco di tweet filosofici, ero convinto fossero citazioni di qualche persona famosa, che pescava qua e là. Solo dopo ho scoperto fossero i suoi pensieri. Era un tredicenne estremamente intelligente. Se conoscessi adesso un tredicenne simile, penso scapperei a gambe levate» borbotta Yoongi, soprattutto l’ultima frase, e Jimin ridacchia, divertito. «Mentre Seokjin-hyung era una di quelle persone famose su Twitter per nessun motivo specifico. Penso la sua bella faccia aiutasse molto, però. E il fatto che riuscisse a zittire tutti quelli che provavano ad andargli contro» ammette Yoongi, corrugando la fronte, in pensiero.
«Anche io ho conosciuto Taehyung su Twitter» gli rivela Jimin, accennando un sorriso. «Avevamo entrambi quindici anni e ci è bastato un solo e semplice tweet per capire che saremmo stati amici per sempre. Eravamo convinti che saremmo diventati anime gemelle. Questo fino a che non ho costretto Jeongguk, che già conoscevo, essendo entrambi di Busan, ad iscriversi sul social network.»
«Suppongo che sia stato triste.»
«Che cosa?» chiede Jimin, confuso.
«Vedere i tuoi due migliori amici amarsi e finire per essere anime gemelle, quando eri convinto che uno dei due fosse la tua anima gemella.»
«Oh, no, non proprio. Ammetto che in un primo momento ci rimasi male, perché ero pur sempre un adolescente, ma più perché avevo paura mi avrebbero lasciato indietro e dimenticato e non perché fossero fatti l’uno per l’altro. Anche perché te l’ho detto, Taehyung è la mia anima gemella, solo che platonica» gli spiega Jimin, ed è così sincero, così puro, che Yoongi si sente sporco in sua presenza.
«Io sono stato davvero male, quando Seokjin-hyung e Namjoon sono stati messi insieme. Me lo aspettavo, ma ci sono stato male lo stesso» confessa Yoongi, ed è la prima volta che lo dice a qualcuno, è la prima volta che rivela questa parte di se stesso, questa parte che sente essere terribile, questa parte che sente essere così cattiva che si vergogna di averla.
«Però sei stato loro vicino lo stesso, hai voluto loro bene lo stesso e li hai sostenuti lo stesso. Il fatto che abbia provato un po’ d’invidia non implica nulla, se poi non l’hai messa in atto» lo rassicura Jimin. «I pensieri non sono nulla, Yoongi-hyung. Sono gli atti quelli che contano. In situazioni simili.»
«Lo pensi davvero?»
«Sì.»
«Jimin?»
«Dimmi.»
«Cosa dovrei fare con mia madre?»
«Semplicemente scrivile un messaggio, dille che la richiamerai appena ti sentirai di farlo. Non sforzarti a fare le cose, non costringerti a parlare a voce se non te la senti. Va bene così, hyung
«Grazie.»
 
 

Jimin non avrebbe immaginato che lui e Yoongi sarebbero finiti per parlare così tanto. Non avrebbe mai immaginato che sarebbero finiti per creare un vero e proprio rapporto d’amicizia e di fiducia. Non avrebbe mai immaginato, soprattutto, sarebbero finiti a visitare il Seoul Museum Of Art – meglio conosciuto come SeMA – nel giorno libero dal lavoro di Yoongi e nel giorno di riposo dallo studio e dalle lezioni di Jimin.
Il Seoul Museum Of Art è un museo dedicato all’arte moderna, in cui sono presenti artisti coreani e internazionali.
Non sanno bene quali mostre troveranno, non è venuto loro in mente neppure di fare una veloce ricerca sul sito ufficiale. Hanno deciso di venirci, semplicemente, per passare una giornata differente, per darsi a qualcosa di differente, e anche scoprire qualcosa di nuovo, ampliare i loro interessi e la loro visione del mondo. D’altronde l’arte serve anche a questo: a scoprire cose nuove, a conoscere cose nuove. Non sempre, sicuramente non sempre. Yoongi sa bene non serva sempre a ciò. Ad esempio, per Yoongi l’arte è un appoggio, è una spalla su cui piangere, è ciò che lo fa andare avanti, nonostante tutto. Per Yoongi l’arte è quel primo amore che non si scorda mai, quel primo cuore spezzato e quel primo sorriso sincero. Per Yoongi l’arte è tutto e più di tutto.
E Yoongi sa, o, perlomeno, ha intuito, che l’arte valga qualcosa anche per Jimin. Non gli ha ancora chiesto, ma lo sa. Lo percepisce nel modo in cui Jimin osserva le opere di Chun Kyung-ja, nel modo in cui fa un sorriso quasi amaro quando scopre che la donna una volta disse che i suoi dipinti fossero il suo alter-ego, a prescindere che raffigurassero un essere umano, una bestia o una pianta. Per lei i dipinti erano il suo specchio, riflettevano ciò che era dentro, ciò che sentiva. E Yoongi capisce, perché ha sempre ributtato tutto nella scrittura e nei suoi chissà quanti taccuini. E Yoongi sa, o, perlomeno, ha intuito, che Jimin capisce. Che Jimin l’arte l’ha sentita e vissuta sulla sua pelle, che Jimin con l’arte si è sfogato, si è rifatto, si è riflesso.
E quindi glielo chiede, alla fine.
«Cos’è l’arte per te?» gli chiede, mentre osservano i vari dipinti, quelli esposti nella prima sezione dell’esibizione, ovvero The Story Of My Sorrowful Legend.
Jimin sposta il suo sguardo, di scatto, dal dipinto, che al momento hanno di fronte, al viso serio di Yoongi. «Cosa?»
«Cos’è l’arte per te?» ripete Yoongi, con la sua voce profonda e le sue labbra rosee e il suo broncio onnipresente.
«Cos’è l’arte per me?» chiede Jimin, forse perché pensa di aver sentito male, forse perché non capisce come mai Yoongi gli stia facendo una domanda simile proprio adesso, così, a caso.
«Sì. Cos’è l’arte per te?»
«Non so se sia qualcosa per me, l’arte» risponde Jimin, assottigliando gli occhi, spostando nuovamente lo sguardo.
«Stai mentendo» mormora Yoongi, inumidendosi le labbra, trattenendosi dal sospirare sonoramente. Jimin sta mentendo e gli dà fastidio lo stia facendo.
«Cosa ti fa pensare stia mentendo?» ribatte Jimin, quasi offeso, le guance gonfie, gli occhi ancora assottigliati.
«Non lo so, ma so che stai mentendo.»
«Sto mentendo» ammette Jimin, perché non ha senso, sa benissimo anche lui che non abbia senso, mentire, o iniziare una discussione per una cosa simile. Non sa neppure perché abbia mentito, realmente. Forse perché ha paura, forse perché non sa cosa dire, forse perché Yoongi è troppo vicino e la sua voce è troppo profonda e le sue labbra troppo… no. No, assolutamente no.
«Quindi?»
«Non lo so. Non so cosa sia per me l’arte.»
«Ma è qualcosa.»
«Ma è qualcosa» conferma Jimin, finendo per mordicchiarsi il labbro inferiore. «Sai, volevo fare il ballerino, volevo diventare un ballerino professionista, fare della danza il mio lavoro» rivela, evitando di incrociare lo sguardo di Yoongi.
«Quando?»
«Fino ai miei sedici anni.»
«Poi che è successo?»
«La vita si è messa in mezzo, la realtà ha preso il sopravvento sulla fantasia, i miei castelli in aria sono crollati, ho bruciato il comodino in cui, in uno dei cassetti, nascondevo quel sogno, troppo grande per me. Ho incollato i miei piedi per terra e mi son detto che i sogni non mi avrebbero portato da nessuna parte.»
«Hai mollato, insomma.»
«Non ho mollato, io-»
«Hai rinunciato al tuo sogno perché avevi paura di uscirne sconfitto, se avessi lottato e ci avessi sinceramente provato» lo interrompe Yoongi, con la sua dannata, dannata, dannata voce profonda.
Le guance di Jimin diventano rosse, un po’ per l’imbarazzo, un po’ per il fastidio. «Non sai di cosa stai parlando, non hai alcun diritto di-»
«Non so di cosa sto parlando?» lo interrompe nuovamente Yoongi, inarcando un sopracciglio, sentendo anche lui il fastidio prendere possesso del suo corpo e della sua mente. Delle sue parole. «Lavoro in una libreria più ore di quanto sia legale solo perché amo la scrittura e i libri così tanto che non voglio trovarmi a fare altro solo per il dovere di farlo» risponde Yoongi, il tono di voce ancora più basso, che costringe Jimin a rabbrividire e a fare un passo indietro.
«Non… non tutti abbiamo la tua stessa forza, hyung. Alcuni di noi hanno dovuto abbandonare i propri sogni, perché non erano bravi abbastanza, perché non erano forti e sicuri abbastanza.»
«Io non sono sicuro, Jimin, tantomeno forte, tantomeno bravo. Io so solo che non voglio passare il resto della mia vita a pentirmi di non averci provato, con la mia arte, se si può chiamare arte ciò che faccio. So solo che non voglio arrivare a ottant’anni, guardarmi indietro e pentirmi di non avere nemmeno, anche solo per un attimo, sinceramente e seriamente lottato. E non ti sto facendo una colpa, non m’importa se tu abbia deciso di farlo o di non farlo. Ma non mentirmi e, soprattutto, non mentire a te stesso.»
«Hyung…» mormora Jimin. «La realtà è che era troppo, era diventato tutto troppo. C’erano troppe aspettative e io avevo troppa ansia. Ho dovuto lasciarla andare, la danza, per il mio bene» ammette, sguardo basso, mani tremanti.
«Vorresti riprendere a ballare? Senza il peso delle aspettative, solo per il gusto di farlo?» gli chiede Yoongi, che adesso ha capito, ha capito perché Jimin ha mollato. Ha voluto farlo pure lui, in passato, per il peso delle aspettative, per l’ansia che esse portavano con sé, per i suoi costanti paragoni, per la sua mania di leggere i testi di Namjoon e non sentirsi all’altezza. Ha voluto farlo, Yoongi, mollare l’arte, mollare la scrittura, lasciarsi tutto alle spalle. Fino a che non ha imparato a gestire il tutto in maniera differente. Realmente sta ancora imparando.
Sa che non avrebbe dovuto dire quelle cose a Jimin, non in quel modo. Sa che non avrebbe dovuto dare nulla per scontato, sa che avrebbe dovuto essere più gentile. Sa che avrebbe dovuto fare domande e attendere le risposte.
E quindi aspetta che Jimin risponda, prima di porgergli le sue scuse.
«Sì, mi piacerebbe.»
«Conosco le persone perfette per te, allora» gli fa sapere Yoongi, accennando un sorriso, per alleggerire l’aria attorno a loro due, per eliminare la tensione che si era creata. «E Jimin?»
«Sì?»
«Scusami.»
«Accetto le tue scuse, ma evita di farlo una seconda volta.»
«Hm, va bene. Ti sta piacendo l’esposizione?»
«Sì.»
 
 

Yoongi, alla fine, porta Jimin ad una scuola di danza. L’unica che conosce a Seoul e l’unica che realmente gli interessa conoscere. È di Hirai Momo e Myōi Mina, due giovani ragazze giapponesi che hanno deciso di inseguire il loro sogno, tenerselo stretto tra le mani e non lasciarlo andare mai, due giovani ragazze giapponesi che hanno fatto le valige e sono venute a Seoul, nel momento in cui hanno trovato un ottimo insegnante di danza, due giovani ragazze giapponesi che, poi, sono riuscite ad aprire una loro scuola di danza. Yoongi ha conosciuto Mina, per prima, perché si sono ritrovati per un po’ di tempo a lavorare nello stesso posto, in un vecchio bar in cui il caffè sapeva di acqua e l’acqua sapeva di caffè. Conoscendola, ha conosciuto Momo, e la loro passione per la danza, e i loro occhi lucidi e pieni di aspettative e speranze. L’hanno aiutato, a modo loro, a credere in sé e a continuare per la sua strada, anche se tutti sembravano andargli contro, persino la sua stessa mente.
È Momo la prima persona che vede appena mette piede nello stanzino che precede la sala da ballo. È sinceramente un piccolo stanzino, una piccola scrivania, un computer portatile sistemato al centro di essa. È per ricevere le persone, ma anche per organizzare le lezioni, per iscrivere gli alunni. È uno stanzino multiuso, per una piccola scuola di danza che sta cercando di crescere.
Jimin si guarda intorno, curioso, mentre Yoongi e Momo si porgono un sorriso e Momo gli chieda cosa ci faccia lì, nella loro scuola di danza, quando, in passato, per una cosa o per un’altra, non è mai riuscito a passare, neppure nel giorno d’apertura.
Yoongi, leggermente imbarazzato, si scusa, e poi indica Jimin. «Sono qui per lui.»
L’attenzione di Momo si sposta su Jimin e nonostante Jimin sia abbastanza certo del suo orientamento sessuale e della sua preferenza verso gli uomini, non può far altro che notare quanto Momo sia bella e quanto le sue guance finiscano per surriscaldarsi a ricevere l’attenzione di una persona tanto bella. Anche se a questo punto dovrebbe essere abituato, avendo Yoongi accanto. No, okay, no, Questi pensieri, proprio adesso, anche no.
«Piacere, sono Jimin» dice Jimin, dopo essersi ripreso dal suo imbarazzo e aver spazzato via i suoi pensieri, porgendo la mano alla ragazza di fronte a sé. «Ho ballato per sette anni, prima di fermarmi, e vorrei…» Jimin si interrompe, spaventato di dire quello che vorrebbe dire, spaventato da quanto il cuore gli stia battendo all’impazzata e il corpo gli sembri infilzato da una miriade di aghi.
«Oh, ma guarda! Swamy sta per allenarsi nel suo assolo. Che ne dici di guardarla ballare?» chiede Momo, all’improvviso, mentre una canzone che Jimin riconosce essere di Billie Eilish viene fatta partire nella stanza accanto.
«Va bene» risponde Jimin, un po’ confuso. Yoongi, accanto a lui, ringrazia mentalmente Momo, che, senza sapere realmente la situazione, ha capito cosa stesse accadendo e ha percepito i sentimenti contrastanti in Jimin.
Si spostano nella stanza accanto e Momo gli dice di stare in silenzio, in un angolo, per poi dirigersi nell’altro lato della stanza, verso una giovane ragazza che sembra pronta ad iniziare a ballare, i respiri profondi e le labbra che si muovono a ripetere il testo della canzone, i capelli legati in una coda alta e la tuta che le cade bene sul corpo allenato.
La canzone di Billie Eilish viene tolta e un’altra canzone viene fatta risuonare nell’aria, e la ragazza inizia a ballare. Il suo stile tende all’hip hop, mentre quello di Jimin tende al contemporaneo, ma questo non significa che Jimin non sia in grado di apprezzare il modo in cui la ragazza si muova, il modo in cui sia capace a controllare il suo corpo, il modo in cui sia palese senta la musica al centro del suo cuore. È concentrata, un rivolo di sudore che le attraversa il viso, il respiro che inizia ad appesantirsi, la stanza che inizia a riscaldarsi. È concentrata, ma i suoi occhi brillano e le espressioni del suo viso cambiano, mentre cerca di trasmettere tutto ciò che la canzone significa.
Si tratta di un paio di minuti e si tratta di un semplice allenamento, ma Jimin rimane stupito e Yoongi, al suo fianco, che non s’è mai realmente interessato alla danza, ancora di più.
La ragazza è brava, davvero brava.
Appena Momo spegne la musica e poi lo stereo, si avvicina a Swamy, e, con un grande sorriso sul volto, si complimenta con lei. Poi fa segno a Jimin e Yoongi di avvicinarsi e i due non se lo fanno ripetere due volte.
«Yoongi-oppa, Jimin-ssi, vi presento Swamy, una delle ballerine più brave della nostra scuola di danza» dice, tutta contenta. E Swamy sorride, le guance rosse, il sudore sul corpo, il respiro affannato. Ma sorride, perché ha appena ballato bene, ha appena ricevuto un complimento più che meritato.
«Il mio coreano è un po’ pessimo, quindi scusatemi. Ma piacere di conoscervi» dice Swamy, un leggero inchino, un accento diverso sulla lingua, ma non per questo spiacevole all’orecchio.
«Piacere nostro» risponde Jimin, per sé e per Yoongi, che non ha più detto una parola, dopo che l’attenzione di Momo si è spostata su Jimin.
«Allora Jimin, che ne pensi? Ti va di iscriverti alla nostra scuola di danza? Mina non c’è, ma posso dire con certezza che ad entrambe farebbe un sacco piacere averti nella nostra squadra.»
Jimin non ha bisogno di pensarci su, adesso. Gli basta solo aprire la bocca e rispondere «Sì, mi piacerebbe».
È una bella giornata, oggi, per Yoongi, che vede Jimin sorridere d’un sorriso così sincero che quasi deve spostare lo sguardo, perché si sa, fissare troppo a lungo il sole è impossibile.
 
 

È l’inizio di Ottobre, ci sono poco più di 10°C nell’aria e Yoongi vorrebbe sinceramente tornare a casa, rimettersi a letto, una tazza di tè caldo – o un caffè americano, probabilmente un caffè americano – al suo fianco e il suo taccuino e una penna tra le mani. E invece no, è in libreria, la giornata è appena iniziata e probabilmente non passerà nessun cliente.
Yoongi sbuffa e si guarda attorno, indeciso su cosa fare. Ha già spolverato i mobili, lavato per terra e messo in ordine i libri. Ha già ordinato i libri che mancavano, ma arriveranno tra un paio di giorni. Ha dimenticato il taccuino a casa, per cui è poco propenso a mettersi a scrivere qualcosa – sa che se scrivesse ovunque tranne che nel suo taccuino, perderebbe il foglio su cui ha scritto o dimenticherebbe di avere una nota sul cellulare coi suoi pensieri. Potrebbe iniziare un nuovo libro, d’altronde è in una libreria, ma è particolarmente stanco e ha paura che se iniziasse a leggere, finirebbe per addormentarsi.
Sbuffa, ancora una volta, e sussulta quando sente la porta del negozio venire aperta. E sussulta una seconda volta quando incrocia lo sguardo di Kim Taehyung. È la prima volta che torna al negozio, da quando gli aveva detto che avrebbero potuto divenire amici. E Yoongi, nuovamente, non sa bene come comportarsi.
«Buongiorno» dice quindi, proprio come l’ultima volta, porgendogli un leggero inchino.
«Buongiorno, Yoongi-ssi» risponde Taehyung, ricambiando l’inchino. «Vendete, per caso, DVD?»
«Non li abbiamo al negozio, ma li possiamo ordinare» gli comunica Yoongi, mettendo in icona la cassa così da poter velocemente cercare il DVD e ordinarlo, in caso ci fosse.
«E quanto tempo ci metterebbe ad arrivare?» chiede Taehyung, che nel frattempo si è avvicinato alla cassa e si trova di fronte a Yoongi, sovrastandolo coi suoi centimetri di differenza e con le sue spalle larghe, come se a Yoongi non bastasse già essere sovrastato sia da Seokjin che da Namjoon.
«Un paio di giorni» gli fa sapere Yoongi, cui risposte ormai sono naturali, non ha nemmeno più bisogno di pensarci.
«Hmm, va bene. Potrei ordinare The Notebook
Yoongi gli fa un cenno con la testa prima di mettersi a ricercare il titolo del film, trovandolo senza problemi. D’altronde si tratta di un film incredibilmente famoso. «Quindi possiamo procedere con l’ordine? Ho solo bisogno di un acconto.»
«Sì, va benissimo» annuisce Taehyung, apprestandosi a recuperare il suo portafoglio dalla tasca destra posteriore dei suoi pantaloni. «Lo hai mai guardato?» gli chiede, mentre gli porge due banconote da ₩1,000.
«Cosa?» chiede Yoongi, aggrottando la fronte, confuso, facendo lo scontrino, appuntandosi contemporaneamente, in un’agenda riposta vicino alla cassa, di quest’acconto e di quest’ordine, spillando nel foglio la copia dello scontrino.
«The Notebook. Lo hai mai guardato?»
«Oh, no, mai» risponde Yoongi, scuotendo la testa.
«Mi stupisce che Jimin non ti abbia ancora costretto a guardarlo» mormora Taehyung, riponendo lo scontrino nel portafoglio con attenzione, mettendolo in una zona in cui non rischierebbe di perderlo.
«Jimin?»
«Sì, The Notebook è il suo film preferito, ha costretto me e Jeongguk a guardarlo più volte di quanto sia umanamente possibile» gli rivela Taehyung, accennando un sorriso divertito, ma anche estremamente soffice, dolce, gentile. È palese, l’affetto che prova nei confronti di Jimin, nel modo in cui i lineamenti si ammorbidiscono solo nel pronunciare il nome del suo migliore amico. «Ah, a proposito, non dirgli che sono passato dal negozio né che ho ordinato il DVD del film!» esclama Taehyung, sistemando le mani di fronte al suo viso a mo’ di preghiera.
«Perché?»
«Perché è uno dei regali per il suo compleanno» risponde tranquillamente Taehyung, con nonchalance, come se nulla fosse, mentre la bocca di Yoongi si apre sorpresa, mentre i suoi occhi si sbarrano stupiti e la sua mente va in cortocircuito.
«Aspetta, cosa?»
«Che cosa?» domanda Taehyung confuso, non comprendendo lo stupore sul viso pallido di Yoongi.
«Jimin fa il compleanno questo mese? Che giorno?»
«Non lo sapevi? Jimin non te lo aveva detto?»
«No.»
«Oh» risponde Taehyung, ancora più confuso e anche un pizzico sorpreso. Non che Jimin sia quel tipo di persona che vada in giro a ricordare a tutti sia il suo compleanno, però Taehyung si aspettava che almeno a Yoongi lo avrebbe detto, considerando quanto diamine parli del ragazzo e quanto diamine, soprattutto, parli col ragazzo. A tal punto che Taehyung è preoccupato ventiquattro ore su ventiquattro e Jeongguk è agitato ventiquattro ore su ventiquattro. Perché sono convinti questa storia finirà male, Yoongi procederà con le carte, dirà che Jimin non è assolutamente la sua anima gemella e spezzerà il cuore del loro amico più prezioso, della persona migliore che entrambi abbiano mai conosciuto.
«Taehyung-ssi?» mormora Yoongi, muovendogli una mano di fronte al viso, sperando torni sulla terra e abbandoni il mondo dei suoi pensieri.
«Oh, sì, scusa» borbotta Taehyung, riprendendosi, quasi sussultando in un primo momento, mentre le gote gli si colorano di rosso, per l’imbarazzo. «È il 13 Ottobre, il giorno del compleanno di Jimin.»
«Va bene, grazie» risponde Yoongi, insicuro per cosa lo stia ringraziando realmente. «Comunque puoi lasciarmi il tuo numero, se vuoi, così ti chiamo appena arriva il DVD.»
Taehyung annuisce, dettandogli il suo numero di cellulare, per poi ringraziarlo a sua volta e uscire dal negozio, un veloce saluto, un’espressione ancora confusa e imbarazzata.
Yoongi non ci pensa nemmeno su per un attimo e chiama Seokjin, che ci mette solo qualche minuto ad arrivare, essendo abbastanza vicino al suo negozio per Dio sa quale motivo.
Entra, Seokjin, con la sua solita teatralità, una camicia bianca infilata in un paio di pantaloni neri, i capelli sistemati in modo che gli si veda la fronte – che Namjoon ritiene essere un pericolo, perché, apparentemente, Seokjin-hyung in quel modo urla sesso da tutti i pori – e un’aura attorno che poche persone riescono ad avere, non importa quanto uno ci provi, non importa quanto si impegni, è innata.
Entra e «Di cosa hai bisogno?» gli chiede, e Yoongi neppure gli aveva detto, in chiamata, che avesse bisogno di qualcosa. Gli aveva semplicemente chiesto se fosse disponibile, se potesse per un attimo passare dal negozio. Ma, ancora una volta, Seokjin è stato capace di comprenderlo senza che lui gli facesse sapere nulla.
Seokjin, nel frattempo che Yoongi rilascia un sospiro, per avercelo vicino, per avercelo con sé, si avvicina al bancone del negozio, con Yoongi dall’altra parte di esso, e gli porge un bicchiere di caffè. Un americano, ovviamente, perché sa che il suo nam dong-saeng ama il caffè americano.
«Grazie» mormora Yoongi, prendendone un sorso, attento a non bruciarsi la lingua. «Ho scoperto che il 13 è il compleanno di Jimin.»
«Ottobre?» gli chiede Seokjin, prendendo anche lui un sorso dal suo bicchiere di caffè americano.
«Sì» risponde Yoongi,
«E cosa ti aspetti che ti dica?»
Yoongi rimane sorpreso per un attimo, giusto un attimo, il bicchiere a mezz’aria, pronto per essere svuotato di un altro sorso, e «Cosa?» domanda, la voce poco più che un sussurro.
«Non conosco Jimin, tranne per le cose che ogni tanto mi racconti di lui, per cui non ho idea di cosa gli piaccia e cosa non gli piaccia. Cosa ti aspetti che ti dica?» gli chiede, con fare ovvio, inarcando un sopracciglio. Yoongi, delle volte, sinceramente, dal più profondo del cuore, odia Kim Seokjin.
«Regali che non siano romantici ma che allo stesso tempo siano incredibilmente profondi e sinceri?» prova a chiedergli Yoongi, sperando che Seokjin davvero elimini quest’espressione da so-tutto-io che si ritrova al momento sul viso e si impegni seriamente, perché Yoongi ha bisogno di un consiglio, perché sta andando nel panico, perché ha paura che Jimin comprenda male, perché ha paura che non faccia abbastanza, che il regalo che andrà a scegliere alla fine non piacerà al suo attuale coinquilino. E non può permetterselo. A Jimin deve piacere il suo regalo.
«Inizio a pensare che abbiano aggiunto qualcosa nel tuo caffè» borbotta Seokjin, senza neppure provare a dargli una risposta.
«Seokjin-hyung, per favore!» lo implora Yoongi, imbronciandosi. Cosa può regalare a Jimin, cosa può regalare a Jimin senza fargli credere che Yoongi abbia sentimenti romantici nei suoi confronti – visto che non li ha –, cosa può regalare a Jimin senza che il ragazzo ci rimanga male e poi di nascosto butti il regalo nella pattumiera, cosa può regalare a Jimin per farlo sorridere ancora una volta di quel suo sorriso luminoso e magico e bellissimo.
«Regalagli un libro…?» prova a proporgli Seokjin, decidendo finalmente di impegnarsi e aiutarlo.
«Un libro?»
«Sì, uno dei tuoi libri preferiti.»
«Ohoh? Non è una cattiva idea» mormora Yoongi, poggiando il bicchiere ancora caldo di caffè americano sul bancone, per poi portare una mano sul mento, pensieroso. Un libro, a Jimin. Non è il lettore più accanito che conosca, ma Yoongi sa per certo che Jimin apprezzi leggere, di tanto in tanto, e non sarebbe male, non sarebbe davvero male. Ma che libro? Yoongi ha più libri preferiti di quanto sia possibile contarne sulle dita. Quale, tra i tanti, può permettersi di regalare a Jimin? Quale, tra i tanti, potrebbe interessare a Jimin? Quale, quale, quale?
«E se gli regalassi il tuo libro?»
I pensieri di Yoongi si interrompono, si zittiscono, e la stessa stanza, lo stesso edificio, la stessa Seoul, sembrano zittirsi. Il rumore sparisce e il silenzio cala, che tende persino a fare più rumore di qualsiasi altra cosa. Perché è pesante, è così pesante. E poi… e poi il battito del cuore di Yoongi ritorna, a tutta forza, gli riempie le orecchie, col suo boom boom boom, che sembra quasi voglia uscirgli dal petto. E i pensieri tornano, come un’onda anomala, e così gli altri suoni, gli altri rumori. La stampante del negozio che ogni tanto fa un bip che realmente nessuno sa a cosa sia dovuto, il vento che si insinua tra le foglie degli alberi e crea quel magico fruscio che rende vivo l’autunno, i clacson delle automobili e il rombo dei motori degli autobus e il chiacchiericcio delle persone, che nella grande Seoul cercano chissà cosa, un possibile sogno, un possibile futuro.
E poi, la porta del negozio che si apre.
Jimin che appare sulla sua soglia.
E la voce di Yoongi che «Jimin?» dice.
E il sospiro sorpreso di Seokjin, che pone il suo sguardo sulla magra ed elegante figura, che adesso sta chiudendosi la porta del negozio alle sue spalle.
«Ehi» mormora Jimin, imbarazzato, lanciando una veloce occhiata a Seokjin. «Mia madre ha preparato gli hotteok e ho pensato di portartene qualcuno finché erano ancora caldi» aggiunge, ancora più imbarazzato rispetto a prima, le guance che si colorano di rosa, le labbra che vengono lucidate dalla sua lingua, un’abitudine che Jimin ha preso da Taehyung, lo sguardo che si abbassa verso il pavimento.
«Oh, grazie» risponde solamente Yoongi, perché non sa davvero cos’altro aggiungere, perché cosa può dire, ad un Jimin con un cappotto sulle spalle che copre quasi tutta la sua figura, ad un Jimin che sembra piccolo, così piccolo, e così adorabile. Non può davvero dirgli altro, se non grazie.
«È un gesto davvero molto dolce e gentile, Jimin-ssi, Yoongi ti porge i suoi più sinceri ringraziamenti» si mette in mezzo Seokjin e Yoongi è indeciso se vorrebbe sparire lui o vorrebbe far sparire il suo migliore amico. Ma è più propenso verso la seconda opzione.
«Tu sei…?» chiede Jimin, confuso, aggrottando la fronte.
«Kim Seokjin» si presenta proprio Seokjin, porgendo a Jimin uno dei suoi migliori sorrisi.
«Quel Seokjin?» chiede Jimin, prima porgendo lo sguardo allo stesso Seokjin e poi porgendolo a Yoongi, incrociando i suoi occhi. Yoongi annuisce, attento a non rilasciare tutta la sua disperazione tramite il suo sguardo e le micro espressioni del suo viso. «Sono Park Jimin. È un piacere fare la tua conoscenza, Seokjin­-ssi» si presenta a sua volta, facendo un piccolo inchino.
«Il piacere è tutto mio» risponde Seokjin e sorride di nuovo, ma questa volta il sorriso è un po’ più sinistro, un po’ più malizioso. E il sangue di Yoongi si gela. Perché se prima si aspettava un disastro, adesso si aspetta un enorme, immenso, stratosferico disastro.
Jimin ricambia il sorriso, ma poi, grazie a Dio, riporta la sua attenzione sulla figura di Yoongi. «Ecco a te gli hotteok, comunque» esclama, contento, porgendogli un sacchettino di carta, che Yoongi si appresta a prendere, le mani gelate che si riscaldano immediatamente grazie al calore dei ripieni pancakes coreani appena preparati. «Mi piacerebbe restare, ma ho una lezione tra poco» borbotta Jimin, mettendo su un veloce broncio. «È stato un piacere fare la tua conoscenza, Seokjin-ssi! E ci vediamo a casa, hyung» dice, prima di andarsene e lasciare uno Yoongi sconvolto e un Seokjin divertito l’uno di fronte all’altro.
«E quindi quello è il famoso Jimin» mormora Seokjin.
«Hai qualcosa da dire a riguardo?» borbotta Yoongi, trattenendosi dallo sbuffare sonoramente.
«No, sono solo contento di averlo potuto incontrare. Fosse stato per te, quest’incontro non sarebbe mai avvenuto» dice Seokjin, facendo spallucce e prendendo dalle mani di Yoongi il sacchetto di carta, pescandone un hotteok e osservandolo con occhi lucidi. «Sembra delizioso» esclama, prima di assaggiarlo e rilasciare una serie di gemiti che una persona non dovrebbe rilasciare per del semplice cibo.
«Per giusta causa.»
«Cosa?»
«L’incontro, tra te e Jimin, non sarebbe mai avvenuto per giusta causa» gli spiega Yoongi, prendendo un hotteok anche per sé e dandogli un morso, sconvolgendosi dei vari sapori che gli scoppiano in bocca. Forse la reazione di Seokjin non è stata poi così tanto esagerata.
«Non vedo l’ora di descrivere la sua fisionomia e i suoi lineamenti a Namjoon!»
«Namjoon sa già com’è fatto Jimin» gli rivela Yoongi, continuando a mangiucchiare il suo hotteok con gusto.
«Si sono già incontrarti? E io non lo sapevo?» esclama, per l’ennesima volta, il tono di voce ancora più alto, Seokjin.
«No, Namjoon ha trovato il profilo Instagram di Jimin.»
«E non lo ha condiviso con me?»
Yoongi fa spallucce, disinteressato, a questo punto, e prende un secondo hotteok, sentendosi in colpa per la sua inesistente dieta. «A quanto pare.»
Seokjin sospira, deluso, e scuote leggermente la testa. «Preparerò le carte per il divorzio, suppongo» borbotta, tra sé e sé, tanto che Yoongi nemmeno ci prova a pensare ad una risposta, ancora meno a dargliela. «Comunque! Devo andare, ho del lavoro da fare.»
«Ah, perché, lavori?»
«Ogni tanto» risponde senza un attimo di esitazione Seokjin, facendogli un occhiolino e uscendo dal negozio, un secondo hotteok stretto tra le mani. «Pensa a quello che ti ho detto per il regalo per Jimin, mi raccomando!»
Yoongi decide che la prossima volta non chiamerà Seokjin.
 
 

È il giorno dopo, Yoongi ha il giorno libero e ringrazia il cielo di avercelo, perché Jimin ha la febbre e non riesce a fare molto se non spostarsi dal letto al divano e dal divano al letto, che è un po’ quello che Yoongi farebbe se non dovesse andare a lavorare quasi ogni giorno e avesse, quindi, la possibilità di stare a casa la maggior parte del tempo. Tuttavia Jimin non ama stare fermo, tantomeno ama tenere la mente rilassata. Ha il bisogno costante di muoversi, ha il bisogno costante di fare qualcosa. È il motivo per cui si trovano sistemati sul divano, di fronte alla televisione, e stanno cercando dei drama da vedere su Viki. Jimin sta insistendo su Her Private Life, ma Yoongi non sembra essere particolarmente interessato a guardarlo – la realtà è che Yoongi l’ha già guardato, ma non ditelo a nessuno, soprattutto a Jimin.
I loro battibecchi su quale drama guardare continuano fino a che non si ritrovano di fronte ad una copertina con due uomini cinesi, uno vestito di nero e rosso e l’altro vestito di bianco e azzurro/celeste. E si zittiscono contemporaneamente, mentre cercano di capire se il drama interessi loro realmente. Non se lo dicono, perché non se lo dicono, ma Jimin è interessato perché il ragazzo in bianco e azzurro/celeste sembra troppo bello per essere vero e Yoongi è interessato perché il ragazzo in nero e rosso ha dei lineamenti che ogni persona sogna – gli crea quasi più scompiglio di Byun Baekhyun, detto in tutta onestà. E non ditelo a Seokjin, per favore, Yoongi non tollererebbe il suo sguardo offeso.
«Che dici? Potremmo guardare…» mormora Jimin, leggendo velocemente il titolo del c-drama, «The Untamed
«Hm, sì, non sembra male» mormora Yoongi a sua volta, mordicchiandosi il labbro inferiore.
Ed è così che i due si ritrovano a guardare The Untamed, episodio dopo episodio, una veloce pausa per recuperare il cibo a domicilio che hanno ordinato – cibo cinese, per stare in tema. E, episodio dopo episodio, Park Jimin si innamora, senza neppure nasconderlo più a questo punto, di Hánguāng-jūn, Lán Wàngjī, Lán Zhàn, e, episodio dopo episodio, Min Yoongi si innamora, nascondendolo nell’angolo più recondito del suo cuore, dello Yiling Patriarch, Wèi Wúxiàn, Wèi Yīng.
Non c’è neppure bisogno di dire che riescono a guardare una decina di episodi prima che cali la sera e sia il momento di preparare la cena – ramen istantaneo, perché non esiste che perdano più tempo del necessario, visto che hanno ancora il tempo di guardare almeno tre episodi prima di dover andare a dormire.
E si addormentano sul divano, ovviamente, la testa di Jimin sulla spalla di Yoongi, la testa di Yoongi tra i capelli di Jimin. Come due stelle di un sistema binario, in avvicinamento. Il risultato sarà una splendida fusione o la disastrosa creazione di due buchi neri?
 
 

Il giorno successivo, Yoongi è costretto a tornare al lavoro, anche se la sua mente pensa e ripensa a tutti i personaggi di The Untamed, a cui sembrerebbe essersi particolarmente legato. E a Jimin, stamattina sembra non riuscire a togliere Jimin dalla sua testa. Jimin che Yoongi s’è ritrovato accanto quando si è svegliato durante la notte, Jimin, ancora dormiente, con le guance paffute e le labbra carnose, Jimin e i capelli spettinati, a ricadergli sulla fronte, a sfiorargli le mezze lune che sono i suoi occhi. Yoongi lo ha preso in braccio e lo ha portato a letto, con non poco sforzo – non perché Jimin sia pesante, ma perché Yoongi non è che abbia molto tempo per allenarsi, tra il lavoro e la scrittura e la lettura. Jimin, stanco, la febbre fortunatamente scesa, non s’è svegliato nemmeno per un secondo. E Yoongi ha potuto tirare un sospiro di sollievo quando gli si è messo a dormire accanto, vicino ma non troppo vicino.
Questa mattina ha lasciato un bicchiere d’acqua sul comodino accanto al letto, il termometro e una pillola, in caso Jimin si ritrovasse nuovamente con la febbre, e qualcosa da mangiare, nella speranza che, però, si senta meglio e riesca a muoversi per la casa senza rischiare di sentirsi male.
E poi è andato al lavoro, ha pulito il negozio, ha aperto la cassa, ha sistemato i soldi e s’è messo a pensare ad un regalo da fare a Jimin.
Il suo libro, ha detto Seokjin.
È che il suo libro è un casino. Lo ha scritto, ci ha buttato dentro di sé più di quanto avrebbe dovuto, lo ha editato più volte del necessario, perché è quel tipo di perfezionista, ha deciso di stamparlo, senza un motivo specifico, e poi se ne è pentito, perché anche solo provare a leggerlo gli faceva venire voglia di mettersi ad editarlo ed editarlo ed editarlo. Lo ha buttato in un angolo della sua stanza e, senza sapere precisamente perché, ha deciso di portarlo con sé nella nuova casa, nascondendolo in un altro angolo, nella speranza che Jimin non finisse mai per trovarlo.
Come può, Yoongi, regalare il suo libro a Jimin? Le pagine sporche di caffè per quelle poche volte che lo ha sfogliato, gli angoli stropicciati perché è rimasto nascosto troppo a lungo, la copertina rigata perché per sbaglio ci ha fatto strisciare le sue chiavi di casa sopra, un angolo di pagina incollato con lo scotch trasparente perché il gatto di Seokjin e Namjoon ha provato a mangiarne un pezzo, che hanno recuperato per fortuna, scambiando la carta con un piccolo snack per gatti.
Come può, Yoongi, regalare il suo libro a Jimin? I suoi pensieri? Le sue emozioni? Le sue paure più profonde? La sua paranoia? La sua ansia e la sua depressione?
Come può, Yoongi, mettersi a nudo?
Per questo ogni tanto non si sente portato per fare lo scrittore, perché si mette troppo a nudo, lui. E poi non vuole condividersi. Perché ha paura. E se gli altri pensassero che sia troppo debole? E se pensassero che sia pazzo? E se pensassero che stia esagerando, che non ha veri e propri motivi di stare male, che quello che ha vissuto non sia poi così tragico?
Come può, Yoongi, donare la sua anima a Jimin e sperare che Jimin non lo odi? Dopo averla letta e conosciuta, dopo averla scoperta in ogni suo oscuro angolo.
Però, non sarebbe questo il modo perfetto per far capire a Jimin che non sono affatto anime gemelle? Che c’è stato un errore? Che sarebbe meglio per lui se scappasse da Yoongi e dai dannati pensieri di Yoongi il prima possibile? Non sarebbe forse questo, il modo perfetto, per mettere un lieto fine a questa storia? Per evitare che Jimin rimanga ferito?
Ma sarebbe, questo, un giusto regalo? Sarebbe corretto, nei confronti di Jimin? Ingannarlo? Spingerlo ad odiarlo? Non sarebbe un comportamento manipolatorio, da parte di Yoongi?
Yoongi sbuffa e poi sbuffa ancora, rumorosamente, i polmoni che gli si gonfiano, l’aria che gli fuoriesce dalla bocca, le guance gonfie e le labbra in un broncio.
Dovrebbe parlarne con Hoseok, probabilmente. Anzi, senza il probabilmente. Dovrebbe parlarne con Hoseok. Punto.
E Yoongi lo fa, il pomeriggio stesso, dopo che sia lui che Jimin hanno avvisato che non potevano fare la sessione a quattro poiché Jimin era con la febbre.
Entra nello studio di Hoseok, si siede nella scomoda sedia posta di fronte alla scrivania e incrocia il suo sguardo, sbuffando, ancora una volta, l’ennesima della mattinata. E Hoseok sospira, perché sa che c’è qualcosa che non va, sa che Yoongi, oggi, ha bisogno di sfogarsi e poi anche di un consiglio.
«Buon pomeriggio, hyung» gli dice Hoseok, passandosi la lingua sulle labbra e preparando la sua solita cartellina su cui appuntare le parole di Yoongi, il suo percorso, il suo stato di salute di sessione in sessione.
«Jimin fa il compleanno la prossima settimana e non ho idea di cosa regalargli» comincia Yoongi e vede già Hoseok che fa per aprire bocca, ma lo ferma, facendogli capire che non ha ancora terminato e c’è dell’altro. «Ho già chiesto consiglio a Seokjin e, dopo avermi detto che, non conoscendo affatto Jimin, non sapeva come aiutarmi, mi ha detto di regalargli il mio libro. E quindi ci ho pensato un po’, a questa cosa» continua Yoongi, abbassando lo sguardo sulle sue mani, sporche d’inchiostro nero perché questa mattina, tra un cliente e l’altro, si è messo a scribacchiare qualcosa nel suo solito taccuino. «E, da una parte, mi terrorizza l’idea di condividere le parti più nascoste di me con Jimin; d’altra parte, forse sarebbe il modo migliore per far capire a Jimin che non siamo fatti l’uno per l’altro» ammette, e odia ammetterlo, perché si sente già in colpa, si sente già in errore, si sente già sbagliato, ad avere pensieri simili, ad allontanare le persone tramite giochetti di questo tipo.
«Come puoi sapere che conoscerti meglio porterebbe Jimin ad allontanarsi da te?» gli chiede Hoseok, inclinando la testa di lato, gli occhi scuri attenti su Yoongi, in questo momento impenetrabili.
«Perché so che non sono la persona migliore del mondo.»
«Nessuno è la persona migliore del mondo.»
«Jimin-»
Hoseok lo interrompe subito, perché tanto sa dove Yoongi vuole andare a parare, non ha bisogno di ascoltare altro. «Nemmeno Jimin, hyung. Jimin è sicuramente una persona d’oro, incredibilmente gentile e dolce, ma questo non lo rende perfetto, questo non significa che non provi sentimenti negativi, di tanto in tanto, nei momenti peggiori.»
Yoongi sospira, perché Hoseok c’ha proprio azzeccato, ha proprio capito cosa stava per dire. «Quindi devo regalargli il libro?» chiede, in un sussurro, quasi spaventato dal dire ad alta voce una cosa simile.
«Se te la senti, sì. Solo, cerca di rivedere il motivo per cui vuoi regalarglielo. Se vuoi regalarglielo per far sì che ti odi, a prescindere che Jimin poi lo farà o non lo farà, allora non farlo» gli consiglia Hoseok e Yoongi annuisce, comprensivo.
«Non voglio che Jimin mi odi.»
«Allora non spingerlo a farlo.»
 
 

Due giorni dopo e Jimin finalmente rivela a Yoongi che la domenica a venire, il 13 Ottobre, è il suo compleanno.
E Yoongi finge di esserne sorpreso, perché non può certamente dirgli che ne fosse a conoscenza. Non perché vuole nasconderglielo e mentirgli, ma perché implicherebbe raccontargli di Taehyung e dell’acquisto del DVD di The Notebook.
E Jimin, poi, gli chiede una cosa, incerto, i denti a mordicchiarsi il carnoso labbro inferiore e la fronte leggermente aggrottata. «Posso… posso invitare Taehyung e Jeongguk per cena, questa domenica?»
Yoongi, seduto da solo nel piccolo giardinetto, il taccuino, come sempre, tra le mani, insieme ad una penna quasi senza inchiostro, alza lo sguardo verso di lui, stupito. «Certo che puoi. Perché non potresti?»
«Perché l’ultima volta non è andata bene, e non vorrei metterti a disagio, però mi piacerebbe rivederli e Jeongguk dice che-»
«Jimin» lo interrompe Yoongi, la voce profonda e sicura, «Questa casa è tua quanto mia. Certo che puoi invitarli.»
«Sicuro?»
«Sicuro.»
«Mi piacerebbe anche che stessi con noi, se non ti disturba. Altrimenti puoi tranquillamente andare da Namjoon-ssi e Seokjin-ssi, oppure… oppure se non puoi, se sono impegnati, organizzo da un’altra parte-»
«Jimin» lo interrompe ancora una volta Yoongi, l’espressione divertita, la convinzione nella voce, nella speranza di convincere a sua volta Jimin, «Ci sarò» gli fa sapere, accennando un sorriso quando il viso di Jimin si apre in un sorriso sollevato. «Non vedrai la tua famiglia, invece?»
«Oh, sì, li vedrò a pranzo. Non volevo farti a sentire a disagio, tra i miei migliori amici e la mia famiglia. Già Taehyung e Jeongguk bastano e avanzano» gli rivela, mentre le gote gli si colorano leggermente di rosso.
Yoongi non sa bene cosa senta in quel momento, solo il cuore che gli si stringe in una morsa e poi si lascia andare a dei battiti sfrenati e a del calore e dei brividi per tutto il corpo. «Oh, okay, va bene, grazie» borbotta, incredibilmente imbarazzato, tornando al suo taccuino, fino a che Jimin non torna dentro casa e non può che sorridere del suo sorriso gengivale.
 
 

È il 13 Ottobre, i primi raggi del sole, timidi e delicati, si infilano in ogni possibile fessura, illuminando lentamente, dolcemente, la casa che Yoongi e Jimin, in questo periodo, condividono. Yoongi apre gli occhi, pian piano, li socchiude prima, trovandosi il viso di Jimin di fronte al suo. Non vicino, ma nemmeno lontano. D’altronde il letto a due piazze è sì, grande, ma non così grande. Si sono abituati, ormai, dopo un mese e mezzo, a dormire insieme. Questo non significa che Yoongi non rimanga stupito, ogni volta che riesce a svegliarsi prima, di avere una persona come Jimin al suo fianco. Yoongi è etero, non cieco; si rende conto che Jimin è un bell’uomo, oltre che essere incredibilmente dolce, sensibile, altruista, empatico, intelligente, talentoso. E okay, sarebbe il momento di smetterla.
Yoongi osserva Jimin, come al solito, come ogni singola volta che se lo ritrova accanto. È che realmente non può farne a meno, è difficile non osservarlo, coi capelli neri morbidi e lisci, che tendono sempre ad essere spettinati e tendono sempre a donargli alla perfezione, con le ciglia lunghe che, ora che sta dormendo, gli si poggiano sulla pelle chiara, un contrasto eccezionale, con gli zigomi ben visibili, ma anche le guance paffute, con le labbra rosee, ogni tanto un po’ più scure, quando ci passa sopra il burrocacao o le mordicchia con più enfasi. Non si può non osservare.
Sussulta, quando Jimin mugugna, sospira, si stira, e infine socchiude leggermente gli occhi. Yoongi chiude i suoi, invece, perché non può farsi vedere, non può far vedere lo stesse osservando. Si dà un minuto, forse due, mentre Jimin si risistema nelle coperte, probabilmente cercando di capire se potrebbe riaddormentarsi, se c’è ancora un po’ di stanchezza e sonno nel suo corpo. E poi apre gli occhi, nuovamente, incrociando quelli scuri di Jimin, che accenna un sorriso.
«Buongiorno, hyung» mormora, strascicando le parole, la voce più bassa del solito, ma che pur sempre sa di miele.
«Buongiorno» risponde Yoongi, la voce incredibilmente roca che, se fosse per Jimin, ascolterebbe per il resto della sua vita. Ma Yoongi questo non lo sa. Ed è quasi sicuro che non lo saprà mai. «Buon compleanno» aggiunge Yoongi, accennando un sorriso.
«Grazie» risponde Jimin, ricambiando il sorriso.
«Ho un regalo per te. Lo vuoi adesso o stasera?»
«Stasera» replica immediatamente Jimin, con una sicurezza tale nella voce che Yoongi ne rimane stupito. È quasi come se Jimin già si fosse posto una domanda simile, e avesse già trovato una risposta.
«Va bene, stasera allora.»
E poi si alzano, Yoongi inizia a preparare la colazione mentre Jimin va a lavarsi, e poi Jimin continua a preparare la colazione mentre Yoongi va a lavarsi. Si sono resi conto che questo è il metodo migliore e per loro funziona perfettamente, per cui, perché non usarlo.
Si siedono a tavola insieme, mangiano, guardano un episodio di The Untamed, perché ancora non hanno avuto modo di finirlo a causa degli impegni, tra lavoro e università. Lo commentano, entrambi esclamano parole d’amore nei confronti di Wēn Níng, entrambi insultano pesantemente Wēn Cháo.
Si mettono a lavare i piatti, Yoongi lava, Jimin asciuga e mette a posto.
Dopodiché Jimin va a cambiarsi, visto che passerà la mattinata e il pranzo insieme alla sua famiglia, mentre Yoongi si siede sul divano, un libro tra le mani – Red, White & Royal Blue di Casey McQuiston, consigliatogli da Jimin.
E Jimin lo saluta, esce di casa e Yoongi continua a leggere, in questa tranquilla e un pochino più fredda mattinata di Ottobre. Legge e legge e legge, perdendosi nella storia di Alex ed Henry, apprezzando l’amicizia che hanno con June, Nora e Pez, soffrendo quando va male qualcosa ad uno qualsiasi di loro.
È un bel libro, davvero.
E così passa la sua mattinata.
 
 

Arriva sera, Yoongi è al telefono, in videochiamata con Namjoon – e Seokjin, che ogni tanto si intromette, nonostante nessuno abbia chiesto la sua opinione. Sta cercando di capire cosa indossare e sta per vomitare la cena di due giorni fa al pensiero di dare il suo regalo a Jimin – e di passare una serata con lo sguardo penetrante di Taehyung e le domande terrificanti di Jeongguk.
«Potresti indossare quella maglietta che hai comprato anche a me qualche mese fa, quella bianca con le due lettere nere stampate al centro» propone Namjoon, mentre sistema gli occhiali da vista sul naso e si guarda attorno, come se alla ricerca di qualcosa.
«Quella maglietta l’avevo indosso il giorno in cui io e Jimin ci siamo incontrati» borbotta Yoongi.
«Jin-hyung, sai dove ho lasciato il mio burrocacao?» chiede Namjoon a Seokjin, palesemente non ascoltando Yoongi, che sbuffa annoiato.
«Primo cassetto, il comodino al mio lato del letto» Yoongi sente Seokjin rispondere, da un’altra stanza, probabilmente la cucina, visto che è quasi ora di cena e Seokjin cucina deliziosamente, grazie all’unione della sua più grande passione, il cibo, e la sua laurea in scienze gastronomiche. Seokjin cucina così tanto bene che in passato Yoongi si auto-invitava in casa dei suoi migliori amici durante il pranzo o la cena; tuttavia, nell’ultimo periodo, ha smesso di farlo, dal momento in cui, più il tempo passa, più quei due si innamorano e lo dimostrano con molta gioia – e con molta nausea, dal punto di vista di Yoongi.
«Namjoon» lo richiama Yoongi, riportando l’attenzione del suo amico su di sé.
«Oh, sì, scusami, dimmi» gli dice Namjoon, mentre recupera il burrocacao dal primo cassetto del comodino, ritornando poi alla scrivania, dov’è che ha appoggiato il suo cellulare per fare la videochiamata.
«Quella maglietta Jimin me l’ha già vista addosso.»
«Hyung, a questo punto, sono sicuro che Jimin abbia visto tutti i tuoi vestiti, considerando che hai tipo cinque magliette e tre pantaloni.»
«Ho sette magliette e quattro pantaloni, per tua informazione» borbotta in risposta Yoongi, assottigliando gli occhi verso Namjoon, cui viso divertito appare in una pessima definizione sullo schermo del cellulare di Yoongi. 
«Io ti direi di mettere quella maglietta e un paio di pantaloni neri. Alla fine, si tratta di Jimin e dei suoi migliori amici, che già ti conoscono e già non ti tollerano.»
«Grazie per avermelo ricordato, adesso la mia ansia è decisamente diminuita» dice con palese sarcasmo Yoongi, per poi sospirare e prendere dall’armadio i vestiti che gli ha consigliato Namjoon.
«Intendo dire che il tuo modo di vestire non cambierà la loro opinione su di te, che sia positiva o negativa.»
«E io intendo dire che lo so perfettamente, ma non c’era bisogno me lo ricordassi.»
«Okay, qui c’è bisogno di Jin-hyung» dice subito Namjoon, che si appresta a chiamare Seokjin, e Yoongi non ha nemmeno il tempo di dirgli di no, di lasciar perdere, che Seokjin appare in tutta la sua maestosa bellezza sullo schermo del cellulare di Yoongi. Anche con lo schermo a bassa risoluzione, è palese quanto spettacolari siano i lineamenti di Seokjin.
«Vi odio.»
«Lo sappiamo già» dice Seokjin, disinteressato. «Qual è il problema?» chiede a Namjoon, che nel frattempo sta passando il burrocacao sulle labbra carnose.
«È di cattivo umore.»
Seokjin sospira e «Devi smetterla di peggiorare il suo umore» dice.
«Ma se lo fai anche tu.»
«Lo so che lo faccio anche io, e voglio che tu me lo faccia notare quando lo faccio.»
«Sì, ma-»
«Niente ma. Chiedi scusa.»
«Scusa, hyung, non volevo alimentare la tua ansia» borbotta Namjoon.
Yoongi, che ha ascoltato il battibecco annoiato, annuisce semplicemente.
È che lo sa che Namjoon e Seokjin non lo fanno di proposito, a peggiorare il suo umore, ad alimentare la sua ansia. Sa che sono esseri umani tanto quanto lui e sbagliano tanto quanto lui. E quindi realmente non se la prende mai con loro, solo per qualche istante, prima che riesca a tranquillizzarsi e si dica di non essere impulsivo. Nonostante ciò, entrambi sono immediatamente pronti a chiedergli scusa, ad andargli incontro, ad aiutarlo. E Yoongi si sente davvero, dal più profondo del cuore, in colpa. Perché sente di essere un peso, perché sente che gli altri facciano costantemente passi verso di lui, e lui non ne faccia mai verso di loro. Non importa quanto Hoseok gli dica che non sia così, si sente sempre in errore.
«Yoongi…» mormora Seokjin, un’espressione gentile sul viso.
«Hm
«Andrà tutto bene. E se non andrà tutto bene, noi siamo sempre qui, a tua disposizione» lo rassicura Seokjin e il cuore di Yoongi si stringe in una morsa di sensi di colpa e d’affetto.
«Va bene, grazie» mormora, puntando lo sguardo su un punto indefinito della stanza, pur di non incrociare quello dei suoi due migliori amici. «Devo andare o faccio tardi. A dopo» dice, prima di chiudere la chiamata, senza neppure aspettare una risposta.
Sospira, decide che non è il momento di mettersi a pensare e rendersi triste e in ansia – perché, in parte, già lo è –, e si chiude in bagno, per farsi una doccia veloce e vestirsi.
Andrà tutto bene, secondo Seokjin.
Ma probabilmente no, secondo Yoongi.
 
 

Mezz’ora dopo, forse poco di più, suona il campanello e Yoongi sente le sue mani sudare più del dovuto, tanto che finisce per pulirsele sui pantaloni neri che Namjoon gli ha consigliato di indossare, per poi maledirsi perché sicuramente avrà lasciato una macchia, sicuro i tre ragazzi la noteranno subito e penseranno che ha indossato pantaloni sporchi e.
Yoongi abbassa lo sguardo e nota che non ha bagnato il tessuto dei pantaloni, che non c’è nessun segno evidente che ci abbia asciugato sopra le sue mani sudaticce.
Sospira, per l’ennesima volta, e si chiede quante volte abbia sospirato in tutta la sua vita, per poi rispondersi che sicuramente molto di più di quanto sia normale per un essere umano. E poi osserva Taehyung e Jeongguk varcare la soglia di casa sua. E sente l’ansia impossessarsi ancora di più del suo corpo, in ricordo dell’ultima volta che li ha visti varcare la stessa soglia, Taehyung quasi un angelo, luminoso come solo una stella, e Jeongguk come la luna, ad assorbire tutta la luce di Taehyung e a farla sua, per illuminare gli altri attorno a sé, nelle loro notti più buie. Ansia in ricordo delle loro parole, ansia in ricordo delle loro supposizioni, ansia in ricordo del suo sentirsi costantemente fuori posto. Ma adesso conosce Jimin un po’ meglio e conosce Taehyung un po’ meglio e non conosce Jeongguk, ma sa che potrebbe conoscerlo. Ma sempre adesso però, anche conoscendoli un po’ meglio, anche avendo la possibilità di conoscerli un po’ meglio, sa che la situazione è sempre la stessa, che Jimin non è la sua anima gemella, che stanno convivendo perché questa è la procedura da fare prima di procedere con la richiesta che venga fatta una ricerca approfondita e venga trovata un’altra anima gemella, quella vera. Sa che l’amaro sulla bocca ci sarà lo stesso, sa che l’aria pesante nell’aria ci sarà lo stesso.
«Buon compleanno, Jiminie!» esclama Taehyung, lanciandosi addosso a Jimin, stringendolo in un abbraccio da orso, in questo freddo autunno. Lo accoglie tra le sue braccia, il viso di Jimin sepolto nell’incavo del suo collo, il suo naso tra i capelli di Jimin. Lo abbraccia come se non lo vedesse da anni, come se non volesse perderlo. E ancora, l’invidia, quella brutta bestia. L’invidia perché Yoongi sa che non sarà mai così tra lui e Seokjin e Namjoon, perché nessuno dei tre è quel tipo di persona affettuosa, perché nessuno dei tre ama così tanto il contatto fisico. O meglio, tutti e tre si sentono a disagio, ad esprimere il loro affetto tramite il contatto fisico. E invidia, invidia così tanto le persone che sanno esprimersi tramite i loro gesti, che non hanno bisogno di usare le parole. Lui ne ha costantemente bisogno e anche con quelle a volte non ne è capace.
Appena Taehyung si distacca da Jimin, tocca a Jeongguk, che con un «Buon compleanno, hyung» e un sorriso bello grande sul suo viso, si fa capire. Si danno un abbraccio veloce, Jeongguk e Jimin. Ma è pur sempre un abbraccio ed è pur sempre affetto che sfocia da tutti i pori e che urla nelle orecchie di Yoongi che lui non sarà mai in grado, che lui sarà sempre un estraneo a qualsiasi cosa.
«Vuoi aprire i regali adesso o più tardi?» gli chiede Taehyung, dopo aver accennato un veloce saluto a Yoongi ed essersi tolto le scarpe.
«Preferisco aprirli dopo cena» risponde Jimin, dirigendosi verso la cucina, dove la cena – preparata in parte da Jimin e Yoongi e in parte dagli avanzi del pranzo che Jimin ha avuto con la sua famiglia – li attende.
«Yoongi-ssi» mormora Jeongguk, un veloce cenno della testa, un mezzo saluto.
«Jeongguk-ssi» mormora a sua volta Yoongi, la voce leggermente tremolante, ricambiando il cenno.
E poi entrambi si dirigono verso la cucina a loro volta, senza aggiungere altre parole, che entrambi sanno sarebbero inutili.
Jimin e Taehyung hanno già sistemato il cibo, che prima era tenuto al coperto, a tavola e si sono già seduti, esattamente com’erano seduti alla cena precedente, alla prima cena. E quindi Yoongi e Jeongguk si siedono ai loro posti, l’uno accanto all’altro, Yoongi accanto a Jimin e Jeongguk accanto a Taehyung.
«Buon appetito» esclamano all’unisono, per poi buttarsi sul cibo, come se questo fosse il loro primo pasto da mesi, apprezzando i noodles e il kimchi e i vari tipi di carne e pesce e verdure. Un pasto che urla Corea del Sud sotto ogni aspetto. Motivo per cui lo amano così tanto, con i sapori forti e piccanti, che scoppiano sulla loro lingua, mandando in tilt le loro papille gustative.
Come alla scorsa cena, iniziano a parlare di università, lezioni, studio, colleghi e stanchezza. E Yoongi, come alla scorsa cena, sta in silenzio. Perché di cosa può parlare lui, che ha mollato l’idea dell’università pur di vivere da solo, lontano dalla sua famiglia. Di cosa può parlare lui, che ha fatto lavoretti sparsi e ora lavora in una libreria in cui a malapena hanno clienti. Davvero, di cosa può parlare lui, col suo lavoro di serie B, se non peggio. E quindi sta in silenzio e li ascolta, attentamente. Ascolta mentre si lamentano di professore X che ogni tanto dimentica di dover fare lezione e si mette a parlare di tutt’altro, e di collega Y che, durante l’esame, ha ben pensato di addormentarsi, e di quel libro difficile da studiare e di quella materia che non si sa bene cosa c’entri col proprio corso. Yoongi sta in silenzio ed ascolta. E gli sta bene pure così, tanto è il compleanno di Jimin. L’importante è che si senta a suo agio lui, che sia contento lui.
Questo fino a che Jimin, che fino a quel momento, con la coda dell’occhio, aveva osservato Yoongi, non si mette a parlare di The Untamed e dei nuovi amori della sua vita e di quella che potrebbe divenire la sua ossessione più grande. Racconta ai suoi due amici come lui e Yoongi, il giorno in cui s’è preso l’influenza, abbiano iniziato a guardarlo e di come, da allora, non abbiano smesso. E quindi Yoongi può dire la sua, può raccontare una parte della trama, insieme a Jimin. Può raccontare dei personaggi che ci sono e dei colpi di scena che lasciano stupiti e dei nemici che sono nemici ma non sono nemici. E racconta, senza fare spoiler, e incuriosisce Taehyung e Jeongguk, spingendoli a desiderare di guardare il drama cinese a loro volta.
E poi parlano di altri drama, di Park Seojoon e quanto sia bravo (e bello), delle loro serie TV preferite e dei film che sono assolutamente da vedere. E mangiano, nel frattempo, tutto ciò che c’è in tavola, riempendosi lo stomaco così tanto che, a fine cena, si sentono scoppiare e sono sicuri che il bottone del pantalone stia per suicidarsi, saltando via.
E poi Taehyung si alza, spegne le luci della cucina, quasi inciampa sull’isola al centro della stanza, riesce, in qualche magico modo, ad accendere le candeline sulla torta, e iniziano, tutti insieme, a cantare Tanti Auguri; Yoongi che, per gioco, stona qualche nota, Jeongguk che, con un’ad-lib, dimostra di avere una bellissima e intonata voce, Jimin che sorride così tanto che gli spariscono gli occhi e ad un tratto ammette pure di non riuscire a vedere nulla.
Taehyung posiziona la torta di fronte al suo migliore amico, poggiandola sul tavolo, nel piccolo spazio che sono riusciti a ricavare spostando i piatti e le ciotole vuoti, e gli ricorda di esprimere un desiderio.
Jimin chiude gli occhi e Yoongi lo osserva. Il suo viso illuminato dalle candeline, i suoi occhi chiusi, a formare due mezzelune, il sorriso ben evidente. La tranquillità e la pura gioia emanate. E poi apre gli occhi, incrocia lo sguardo di Yoongi, e soffia sulle candeline, riportando il buio nella stanza. Questo fino a che Taehyung, che stava cercando di riaccendere la luce, non inciampa e quasi non gli sfugge dalle labbra una parolaccia. Jeongguk si appresta ad aiutarlo e ad accendere la luce, mentre Jimin e Yoongi scoppiano a ridere.
E poi si passa ai regali. Il primo quello di Jeongguk, sotto la sua stessa richiesta.
Una tuta di buona qualità, in caso Jimin decidesse di tornare a ballare, e anche in caso non lo facesse e, invece, decidesse di accompagnare Jeongguk in palestra. A sentirlo dire quest’ultima frase, Jimin sbianca e immediatamente ringrazia, dicendo che magari anche no.
Il secondo quello di Taehyung, che sembra essere in ansia, nonostante sia la persona che più conosce Jimin e quindi quella più capace a fargli il regalo perfetto.
E glielo fa, tra il DVD di The Notebook, di cui Yoongi era, ovviamente, a conoscenza, e un maglioncino Gucci, che è riuscito a compragli facendo lavoretti qua e là e mettendosi da parte più soldi possibili.
«Taehyung, non lo posso accettare» mormora Jimin, sorpreso dal trovarsi tra le mani un maglioncino così costoso.
«E invece sì» risponde semplicemente Taehyung, lanciandogli uno sguardo di sfida nascosto in un sorriso amichevole.
«Ti odio.»
«No, non è vero.»
E poi decidono di rimanere ancora un po’ insieme, mangiare un po’ di torta e aprire una bottiglia di vino. Taehyung e la sua faccia quasi schifata e Jimin e il suo bicchiere sempre pieno e poi sempre vuoto.
E poi si fa notte e Taehyung e Jeongguk decidono di andare via, gli occhi lucidi e i movimenti instabili e le parole strascicate. Abbracciano Jimin e nel buio della notte gli sussurrano di volergli bene e di essere sempre felice.
E poi Yoongi e Jimin rimangono da soli. E Yoongi, che era leggermente brillo, torna immediatamente sobrio, le mani che iniziano a sudargli e i denti che iniziano a mordicchiare il suo labbro inferiore con foga.
«Ti va di osservare le stelle con me? Voglio vedere se riesco a vedere una stella cadente» gli chiede Jimin, la voce un po’ più bassa e un po’ più roca.
Yoongi annuisce, pesca da un mobile della cucina il suo regalo, che aveva nascosto con cura, e lo segue, verso il giardinetto sul retro.
Si siedono sulla piccola e un pochino scomoda panchina, l’uno di fianco all’altro, le spalle che quasi si toccano, e osservano il cielo, le poche stelle che riescono ad intravedere nel cielo di Seoul che brillano e brillano e brillano, senza fermarsi mai, senza stancarsi mai. A Yoongi ricordano un po’ Jimin. A Jimin ricordano un po’ Yoongi.
«Ho un regalo per te» dice Yoongi e per un attimo gli sembra che la sua voce rimbombi, tanto silenziosa è la notte.
«Oh, davvero?» chiede Jimin, che non dovrebbe essere stupito, realmente, visto che Yoongi la mattina stessa gli aveva accennato di avergliene fatto uno.
Ma Yoongi annuisce lo stesso, perché non sa se sia capace a dire altre parole, e poi gli porge il libro, impacchettato in della carta da regalo a pois, l’unica che era rimasta al negozio.
Ma a Jimin sta bene così, anzi, lo fa sorridere, addirittura.
E poi, con cura, si appresta ad aprirlo, attento a non strappare troppo la carta.
È confuso, inizialmente, da questo libro con la copertina nera e i bordi stropicciati e una riga al centro. È confuso, fino a che non nota il nome di Yoongi in basso. E gli si illuminano gli occhi, proprio come le stelle in cielo, pure molto, molto, molto di più. Yoongi decide che preferisce osservare quelli, anziché le stelle.
«Grazie» mormora, senza dire altro, senza chiedere altro. Quando Yoongi vorrà, dirà. Jimin ormai l’ha capito.
«Hm, prego» mormora Yoongi a sua volta, imbarazzato.
«Ho deciso di tornare a ballare, mi sono ufficialmente messo in contatto con Momo per l’iscrizione e sia lei che Mina si sono dette pronte ad accogliermi, come mi aveva già accennato Momo quella volta che mi hai portato alla loro scuola di danza» gli rivela Jimin, stringendo tra le mani il libro che era di Yoongi, ma adesso è suo, tutto suo. L’unica copia al mondo. Sua.
Yoongi non sa cosa pensa, probabilmente nemmeno pensa, semplicemente si gira verso Jimin e. E lo abbraccia. Nell’euforia del momento. Lo abbraccia. E Jimin ricambia, un po’ scioccato e un po’ perso e un po’ felice. Si abbracciano.
Le due stelle che sono del sistema binario di cui fanno parte si sono scontrate. Andrà bene o andrà male?
 
 

Novembre è quel tipo di mese che Yoongi non ha mai compreso. È l’avvicinarsi, lento, dell’inverno e l’avvicinarsi, veloce, del Natale. È quel periodo in cui Seoul si riempie di turisti e quel periodo in cui in libreria inizia a trovare più clienti, alla ricerca del regalo perfetto oppure alla ricerca di qualcosa di carino che possano regalare ai propri conoscenti senza impegnarsi troppo e senza spendere troppo. È quel periodo in cui si esce fuori l’albero di Natale e le luci di Natale e gli addobbi di Natale e si cerca riparo nel caldo delle proprie case.
Novembre è quel tipo di mese che non sai bene cosa ti può offrire, però è un bel mese, in sé e per sé.
Stretto nelle spalle, freddo che gli arriva addirittura alle ossa, Yoongi cammina per le strade di quella che è diventata la sua città, ma allo stesso tempo è lontana dall’essere la sua città. Sta tornando a casa, in quella che è diventata la sua casa, ma allo stesso tempo è lontana dall’essere la sua casa. È stato nello studio di Hoseok, poco fa, ma non hanno parlato molto, perché Yoongi sentiva di non avere nulla da dire. Il suo cuore sembra essere in difficoltà, confuso dal primo di Dicembre che si avvicina e dal separamento che avverrà con Jimin. Ma la vita va avanti, come al solito, tra lavoro, sedute con Hoseok e la dottoressa Park Jihyo, e Jimin che continua imperterrito a parlare di The Untamed e del libro da cui è nato, Mó Dào Zǔ Shī, che il giovane ragazzo ha deciso di leggere, per poi darsi anche al donghua e al manhua e all’audiolibro. Leggermente ossessionato, ma Yoongi lo capisce. È difficile non ossessionarsi alla storia e ai personaggi meravigliosi dentro di essa. E da scrittore, Yoongi ammira e invidia la mente dell’autrice, Mo Xiang Tong Xiu.
Una folata di vento freddo si scontra col suo viso, facendolo rabbrividere e facendogli aumentare il passo. Può vedere tranquillamente casa sua dal punto in cui si trova, quindi fa un ultimo sforzo, nonostante la stanchezza, per arrivarci e potersi godere il riscaldamento acceso e la riduzione degli strati di vestiti, che ogni volta lo fanno sentire come l’omino Michelin.
Quando finalmente raggiunge la casa e mette piede nella piccola entrata, trova Jimin seduto sul divano, con libri e fogli e il suo computer portatile sparsi sul tavolino di fronte ad esso e a sé. Sta studiando e sembra anche incredibilmente stanco.
«Ehi» mormora Yoongi, mentre rimuove le scarpe e spera di riuscire a sentire nuovamente, grazie al caldo che lo ha accolto con amore, le dita dei piedi.
«Ehilà» risponde Jimin, porgendogli un sorriso dolce quando Yoongi va a sederglisi accanto, giubbotto pesante abbandonato sull’appendiabiti all’entrata.
«Come procede con lo studio?»
«Insomma, ma per oggi mi fermo qui, sto iniziando a non riconoscere più quale lettera sia quale» borbotta Jimin, iniziando a mettere in ordine la roba di fronte a sé.
«A che punto sei con Mó Dào Zǔ Shī?» gli chiede Yoongi, per distrarre la testa del suo coinquilino dalla materia che sta studiando e dalla pressione che l’università gli mette addosso.
«Quasi alla fine» ammette, mentre un leggero rossore gli si propaga sulle guance.
Yoongi ha già finito il romanzo, un paio di giorni fa. Jimin, che legge un po’ più lentamente e meno frequentemente, è rimasto indietro. Ma sembra essere arrivato a certe scene.
«Proverò a consigliarti altri libri di quel genere, allora.»
«Ho letto anche il tuo libro, sai?» gli rivela Jimin, continuando a distrarsi con la roba che c’è da sistemare sul tavolino di fronte al divano. A questo punto sta solo cercando di perdere tempo così da evitare di incrociare lo sguardo di Yoongi, e Yoongi lo sa, lo nota, perché ha imparato a leggere il suo corpo e le sue espressioni, giorno dopo giorno.
«Davvero?» esclama Yoongi, un po’ stupito, un po’ spaventato. Le paure di un mese fa che gli tornano alla mente, Jimin che scopre il suo io più nascosto. E la cosa che più lo spaventa, realmente, è che gli stia bene, che Jimin lo scopra, lo conosca, lo capisca. Non è come prima, non pensa come prima, sa che non ha regalato il libro a Jimin per farsi odiare. Sa che glielo ha regalato perché ci tiene fin troppo, a quel libro. Sa che glielo ha regalato per condividere con Jimin una parte di sé, che a voce non sarebbe mai riuscito a condividere. E sa che quando si separeranno, il libro rimarrà a Jimin, e potrà farne quello che vorrà, potrà addirittura bruciarlo, arrabbiato con Yoongi e con la sua scelta di andarsene, ma sarà suo, comunque suo.
«Quand’è che hai iniziato a scrivere?» gli chiede Jimin, notando il corpo irrigidito di Yoongi al suo fianco, e decidendo di cambiare argomento.
«Ho sempre ideato storie, nella mia testa. Poi verso i dodici anni, ho iniziato effettivamente a scrivere. Ero terribile, la mia conoscenza del coreano e della sua grammatica era pessima e le mie trame e i miei personaggi ancora di più» ammette, facendo una smorfia al ricordo delle sue prime storie. «Ma ho continuato. Perché mi divertiva.»
«E adesso sei qui, con la scrittura che è la tua vita» mormora Jimin, decidendosi ad incrociare il suo sguardo. E Yoongi glielo permette. Perché è Jimin. «Giusto?»
«Giusto.»
 
 

Il giorno dopo Yoongi decide di tornare da Hoseok, nonostante non abbiano un appuntamento e nonostante si siano visti, appunto, il giorno prima. È che i suoi pensieri sembrano andare a mille e lui sembra non riuscire a star loro dietro in alcun modo. E sa che ha bisogno di qualcuno che glieli rimetta in ordine e lo tranquillizzi e lo rassicuri e, soprattutto, possibilmente, gli dia qualche consiglio. Avrebbe potuto andare da Namjoon oppure da Seokjin, avrebbe potuto chiedere a loro. Ma, oltre a non volerne parlare con i suoi migliori amici, si è anche reso conto che probabilmente le loro parole sarebbero state più criptiche rispetto alle parole di Hoseok, che di per sé sono già spesso e volentieri criptiche.
Appena si ritrova di fronte alla sede Seoulmate di Mapo-gu, tira un sospiro di sollievo, rilasciando della “nebbia” dalla bocca, a causa del fiato caldo che entra a contatto con l’aria fredda, ricordando quando da piccolo, nelle fredde giornate invernali e autunnali, fingeva di star fumando, una penna tra le mani a mo’ di sigaretta.
Si stringe nelle spalle, all’ennesima folata di vento freddo, e si appresta ad entrare nel grande edificio, sperando e pregando che Hoseok sia disponibile.
Fortunatamente, lo è, e mezz’ora dopo Yoongi si ritrova seduto in quella maledetta sedia scomoda, la scrivania in mogano a separare lui e il suo psicologo.
«Buongiorno, Yoongi-hyung, come mai questa visita improvvisa?» dice Hoseok, porgendogli un sorriso amichevole e tranquillo. Non sembra neppure essere sorpreso, ma probabilmente lo è e non vuole farlo sapere a Yoongi.
«Penso di essere gay.»
«Oh. Bene. E perché lo pensi?» chiede Hoseok, la postura meno rilassata rispetto a prima, il sorriso un po’ più tirato. Deve stare attento, a non farsi sfuggire troppo.
«Perché... Jimin» mormora Yoongi, la voce un po’ più bassa, un po’ più tremolante. È che non vuole realmente ammetterlo, neppure a se stesso, figuriamoci ad Hoseok. Però sa benissimo che aveva bisogno di parlarne con qualcuno, che ha bisogno di parlarne con qualcuno. E, appunto, i suoi migliori amici non possono essere quel qualcuno. E, appunto, il suo psicologo, Jung Hoseok, che lo ha sempre ascoltato e sostenuto, può. Essere quel qualcuno, s’intende.
«Cosa provi per Jimin?» 
«Uh, be’, ecco... Penso che mi piacerebbe provare a baciarlo» mormora ancora Yoongi, sempre più imbarazzato ed intimidito.
«Cosa ti rende insicuro, precisamente?»
«E se fosse tutto nella mia testa? Se provassi a baciarlo e non mi piacesse? Se realmente non fossi davvero attratto da lui, ma credessi semplicemente di esserlo per evitare di fargli del male? Per evitare di perderlo?» domanda a raffica Yoongi, il cuore che inizia ad aumentare i suoi battiti, il respiro che inizia ad affannarsi, l’ansia che prende il sopravvento del suo corpo, avvolgendolo come un velo, abbracciandolo con un abbraccio che non vorresti ricevere, che ti pesa sulle spalle e che ti fa rabbrividire dalla testa ai piedi.
«Come hai capito ti piacessero le donne?» chiede Hoseok, per poi ricordarsi di aggiungere, «Se ovviamente credi ancora ti attraggano.»
«Hm, sì, penso mi attraggano ancora. Anzi, so che mi attraggono ancora. E...» prende una pausa, si lecca le labbra, sospira, «Non lo so.»
«Pensi che sia stato influenzato dalla nostra società? Agli uomini piacciono le donne, alle donne piacciono gli uomini?»
«Suppongo che l’eteronormatività abbia preso parte alla cosa, sì» risponde Yoongi.
«Adesso però? Adesso come fai ad esserne certo?»
«Non lo so» ammette Yoongi, alla fine. Perché non lo sa davvero.
«Non hai mai avuto rapporti con donne, ma sai che ti piacerebbe stare con loro. Non hai mai avuto rapporti con uomini, ma hai paura che non ti piacerebbe avere rapporti con loro. Giusto?»
«Se la metti così, sembro stupido» borbotta Yoongi, quasi offeso, un piccolo broncio che appare sul suo viso, le braccia che si intrecciano di fronte al petto, per difendersi dalle parole di Hoseok.
«Non sei stupido, Yoongi. La confusione è naturale. Nonostante viviamo in un mondo in cui il sesso e il genere del partner non sono importanti, allo stesso tempo deriviamo da una società in cui lo erano. In cui l’eteronormatività era all’ordine del giorno, in cui l’eterosessualità compulsiva era qualcosa con cui le persone avevano a che fare. E queste cose sono rimaste. Non sono forti come prima, ma sono comunque presenti.»
«Quindi sono attratto dagli uomini?»
«Questo lo sai solo tu. Il punto è che va bene se sei insicuro, va bene se hai bisogno di tempo per pensarci, va bene se sei eterosessuale, omosessuale o bisessuale o qualsiasi altro orientamento. Vai bene in ogni caso.»
 
 

«Perché il nostro pavimento è blu?» è la prima cosa che chiede Jimin nel momento in cui mette piede in casa e trova il salotto cosparso di macchie blu.
Yoongi sembra un cervo illuminato dai fari di una macchina, bloccato al centro della stanza, gli occhi sbarrati, la bocca aperta per completare l’espressione sorpresa. «Oh, ehi, sei tornato a casa. Come stai? Hai passato una bella giornata?» chiede, facendo finta di nulla, accennando un sorriso, palesemente finto e palesemente nervoso.
«Yoongi-hyung» dice semplicemente Jimin, mentre si toglie le scarpe e lo osserva con le sopracciglia inarcate.
«Potrei aver provato a dipingere» ammette Yoongi, stringendosi nelle spalle e passandosi la lingua sulle labbra, per poi mordicchiare il labbro inferiore.
«Ti piace dipingere?» domanda Jimin, avviandosi verso il centro della stanza, verso Yoongi stesso, attento a non mettere i piedi su nessuna delle macchie, non sapendo se la pittura si sia già seccata o meno e non volendo certamente rovinare le sue calze bianche per scoprirlo.
«Oggi ho dipinto per la prima volta, però penso di sì» gli rivela Yoongi, grattandosi una guancia imbarazzato. Realmente, dopo il suo discorso con Hoseok, si è sentito così insicuro che, una volta tornato a casa, ha deciso di darsi a qualcosa di nuovo, che gli occupasse del tempo e lo distraesse dai suoi pensieri rumorosi. E dipengere gli è sembrata la cosa più ovvia da fare. Avrebbe potuto scrivere, ma a volte la scrittura lo mette di fronte alle sue ombre, e, in una situazione simile, magari anche no.
«Okay, sono felice abbia trovato una nuova passione» gli dice Jimin, sinceramente contento della cosa. «Più che altro vorrei capire cos’è successo al nostro pavimento.»
«Il pennello potrebbe o non potrebbe essermi volato via dalle mani un paio di volte.»
«Com–» fa per dire Jimin, ma si zittisce, prendendo un respiro profondo prima di riprendere a parlare. «No, okay, va bene, non importa, non voglio sapere. Le macchie si tolgono? Hai provato a lavarle via?»
«È possibile toglierle, sì.»
«Ma...?»
«Ma non abbiamo il prodotto adatto in casa.»
«Bene, fantastico, adesso sembra solo che abbiamo ucciso dei puffi nel salotto.»
 
 

Riescono a togliere le macchie, il giorno successivo, dopo aver comprato il prodotto necessario per farlo. E poi Yoongi mostra a Jimin il suo dipinto, che è semplicemente un ammasso di blu e nero in diverse sfumature e che rappresenta bene come si senta al momento: un ammasso di sentimenti e pensieri.
Jimin non chiede il suo significato. Dice solo a Yoongi che, per essere stata la sua prima volta, ha fatto un buon lavoro. E che gli piacciono un sacco i colori e il modo in cui si mischiano tra di loro.
Yoongi accenna un sorriso e ringrazia, imbarazzato. Fino a che Jimin non aggiunge, con tono implorante, di coprire il pavimento la prossima volta che gli viene un attacco d’arte. E così il sorriso di Yoongi aumenta e Jimin non aggiunge altro, perché, nonostante gli piaccia mentirsi e nonostante tenda a nascondere i suoi pensieri, sa che quel sorriso gli piace, sa che quel sorriso lo fa stare bene, sa che con quel sorriso di fronte potrebbe sedersi e semplicemente osservarlo ogni giorno, ventiquattro ore su ventiquattro, e non stancarsi mai.
E poi iniziano a parlare di altro, come hanno iniziato a fare sin da quando si sono conosciuti. E iniziano a parlare dei loro viaggi – apparentemente ne hanno fatti pochi entrambi –, della musica che ascoltavano quando erano bambini – discorso imbarazzante per Yoongi e discorso nostalgico per Jimin – e di quelle strane e divertenti situazioni in cui ogni tanto ci si ritrova coi propri amici.
E Yoongi racconta a Jimin di quella volta in cui lui e Namjoon si erano finalmente decisi ad incontrarsi, dopo aver raccolto soldi facendo lavoretti qua e là. Era stato Yoongi, ad andare da Namjoon. Ma, nonostante ciò, quest’ultimo aveva raccolto più soldi possibili e poi li aveva spediti a Yoongi, tramite posta, col rischio che si perdessero o qualcuno li rubasse, solo perché non riteneva giusto che Yoongi pagasse tutto il viaggio da sé.
E quindi Yoongi era andato da Namjoon, sfruttando i soldi che, duramente, entrambi avevano raccolto, e si erano incontrati, avevano passato insieme un paio di giorni, avevano parlato di scrittura e avevano bevuto più Sprite del necessario. Erano stati l’uno l’appoggio dell’altro, durante tutto il corso della loro adolescenza e durante l’inizio della loro vita da adulti. Ovviamente, ai tempi, non lo sapevano, quanto a lungo sarebbe durata la loro amicizia, se avrebbero proseguito col sentirsi così tanto, se avrebbero continuato a parlarsi con la stessa foga e gioia, se avrebbero continuato a condividere la stessa passione e interessi simili. Non lo sapevano, ma ci stavano scommettendo il loro tempo e i loro soldi, stavano costruendosi ricordi ed esperienze, nella speranza che sarebbe durata per sempre.
E quindi Yoongi racconta a Jimin che, al ritorno, aveva prenotato un treno che sarebbe partito alle 22 da Ilsan e sarebbe arrivato durante la notte a Daegu – inclusi i vari cambi di treno che doveva fare nelle diverse stazioni sparse per la Corea del Sud. Era un viaggio che lo terrorizzava, perché avrebbe dovuto compierlo da solo ed era ancora minorenne. Diciassette anni, non molti soldi in tasca, uno zaino e una piccola valigia, un vecchio modello di cellulare che non si connetteva ad internet e un senso dell’orientamento che non sempre ci azzeccava. Aveva sinceramente avuto paura di perdersi. Ma aveva deciso di intraprenderlo lo stesso, quel viaggio, per Namjoon, per la loro speciale amicizia.
All’andata il viaggio non era andato male. Nel senso che comunque era arrivato sano e salvo a Ilsan, senza perdere nulla nel suo cammino e, soprattutto, senza perdere se stesso. Ma, appunto, al ritorno avrebbe dovuto viaggiare di notte. Partire alle 22. Non fosse stato per un guasto e il treno in ritardo di prima una, poi due, tre, quattro e infine cinque ore.
Nonostante ciò, Namjoon aveva atteso con lui, tutta la notte.
Non avevano dormito la notte precendente, avevano deciso di stare svegli e parlare e parlare e parlare, perché si trattava del loro ultimo giorno insieme, l’uno di fronte all’altro, carne ed ossa. E sì, okay, potevano mandarsi messaggi e chiamarsi e fare videochiamate in qualsiasi momento volessero. Ma parlare a voce, osservare i movimenti dell’altro, il modo in cui le sue labbra si muovevano, il modo in cui i suoi occhi si posavano sulle superfici, il modo in cui le sue mani gesticolavano nell’aria, sentire la presenza dell’altro di fianco a sé, di fronte a sé. Era diverso. E volevano assaporare ogni singolo secondo, ogni singolo attimo di silenzio e ogni singolo attimo riempito dalla voce profonda dell’altro. Motivo per cui non avevano dormito affatto per l’ultima notte insieme.
Erano stanchi morti, più volte durante il giorno avevano rischiato di addormentarsi, seduti sulle panchine sparse per la città, a volte anche mentre parlavano ed erano in piedi e stavano muovendosi. Ma Namjoon credeva avrebbe dormito sul suo letto la sera stessa, questa volta da solo, dopo giorni che l’aveva condiviso con un altro corpo. E Yoongi credeva avrebbe dormicchiato sul treno, fino al suo arrivo a casa, dove si sarebbe buttato sul letto e avrebbe fatto finta che non gli mancasse da morire il suo migliore amico.
Ma non avevano potuto farlo. Perché il primo treno di Yoongi era in ritardo. Di cinque ore.
Avevano atteso alla stazione, insieme, seduti sulla panchina, praticamente nessuno attorno a loro, eccetto un senzatetto – a cui avevano offerto i pochi soldi che erano loro rimasti – e un tipo in giacca e cravatta, probabilmente di ritorno da una cena coi colleghi, che anche a metri di distanza puzzava di alcol.
Avevano atteso, la testa di Yoongi sulla spalla di Namjoon e la testa di Namjoon sulla testa di Yoongi. Gli occhi che si chiudevano da soli, le forze che venivano a mancare.
Avevano atteso, sussurrandosi parole ogni tanto per tenersi svegli, dandosi pizzicotti sulle braccia e ridacchiando in preda alla stanchezza e alla pazzia del momento.
Yoongi ricorda quel giorno, e in generale quei giorni con Namjoon, come i migliori della sua vita.
E Jimin sorride, e spera che potrà creare anche lui ricordi simili con Yoongi, anche se sa che dovrebbe prendere la sua speranza e buttarla nel cestino dei rifiuti, perché non accadrà mai, non accadranno mai, perché Yoongi firmerà quelle carte e lo lascerà andare e Jimin non potrà fare nulla per impedirglielo. Potrà solo accettarlo. Perché Jimin è cresciuto credendo che se le persone vogliono andare, devono andare. È cresciuto credendo che non puoi costringerle a stare al tuo fianco, nonostante ti piacerebbe lo facessero.
E poi i giorni continuano a passare, ogni tanto lenti, ogni tanto veloci, ogni tanto Jimin ritorna a sperare e ogni tanto recupera la sua speranza, la appallottola come un foglio di carta e le dà fuoco con disperazione.
Ogni tanto parlano e condividono di tutto e di più e ogni tanto stanno in silenzio e si godono semplicemente la presenza dell’altro.
Ogni tanto Yoongi ripensa alla conversazione avuta con Hoseok e cerca di capire se sia o non sia attratto dagli uomini e poi si rende conto che è più difficile di quanto credesse darsi una risposta.
Continua, comunque, a non parlarne con Namjoon o Seokjin, perché sente che Namjoon lo costringerebbe a pensare più di quanto vorrebbe pensare, al momento – anche perché pensa già fin troppo per i suoi gusti –, e Seokjin probabilmente gli direbbe di buttarsi, per questa singola volta, e dare una possibilità a Jimin, e forse anche a se stesso.
E Yoongi crede che entrambi avrebbero ragione, a dirgli così. Sa che potrebbe provarci, sa che potrebbe sempre tornare indietro, anche se la sua testa gli fa credere che non sia possibile.
Yoongi lo sa, logicamente lo sa, che ha sempre delle persone a cui tornare, che sono sempre pronte ad accoglierlo e a sostenerlo e ad apprezzarlo, anche quando si sente un fallito e non ha voglia di proseguire con la sua vita. Lui lo sa, lo sa molto bene. E comunque, nonostante ciò, nonostante tutto, la sua ansia lo convince che non sia così. Lo convince che provarci e non riuscirci significherebbe dire che è un perdente. E allora sta in silenzio, e non dice nulla a Namjoon o a Seokjin ed evita di parlarne ancora una volta con Hoseok, anche se le mani gli formicolano da quanto vorrebbe ed è costretto a farsi un nodo alla lingua pur di non farlo.
Tiene la cosa per sé, ci pensa così tanto che quasi impazzisce e conta i giorni che mancano al 1° di Dicembre con più impegno del necessario.
 
 

Quando arriva, il 1° di Dicembre, l’aria è fredda nell’aria, Yoongi ha più strati di quanto vorrebbe addosso e ha deciso di indossare diversi strati anche sul suo cuore, bloccandolo nel ghiaccio, per non farlo soffrire.
Si ritrova nello studio di Jung Hoseok, come prima cosa quella mattina, un po’ come quel 1° di Settembre che ormai sembra lontano, che sembra di un’altra epoca, di un’altra vita, di un altro Yoongi.
Jimin, invece, si trova dall’altra parte di Seoul, nello studio di Park Jihyo, sempre occhi grandi ed attenti e intelligenti.
Entrambi dovranno dire ai loro psicologi se sentono che l’altra persona sia o non sia la loro anima gemella. E poi, una volta data la risposta, gli psicologi si metteranno in contatto e vedranno il da farsi.
Se entrambi dicono di sì, ovviamente continueranno a vivere insieme, da anime gemelle ufficiali, e la loro vita riprenderà normalmente, forse con un pochino più di gioia e di tranquillità.
Se entrambi dicono di no, ognuno andrà per la propria strada. Sarà una loro scelta, poi, se rimanere amici o meno. Yoongi ci spera, Jimin sa che così non sarà.
Se uno dei due dice di no e l’altro di sì, procederanno con la ricerca. I due non dovranno vivere insieme, ma dovranno continuare ad incontrarsi coi loro psicologi e dovranno fare diversi test, per comprendere dove stia il problema, quale sia l’errore, come sia possibile che, anche dopo tre mesi, si ritrovano con due opinioni e pensieri differenti.
 
 
 
La sera precedente
 
Yoongi sta preparando il bibimbap, stanco dopo la mattinata al lavoro e il pomeriggio passato a scrivere, e Jimin sta studiando, seduto sul divano del salotto, una matita tra le labbra, una penna tra le mani e più fogli e libri del necessario sparsi sul tavolino di fronte a sé, che tra poco ricoprono persino il suo computer portatile.
«Jimin?» mormora Yoongi, sulla soglia della porta, tra la cucina e il salotto.
La voce bassa e roca e fievole del suo coinquilino fa sussultare Jimin, che alza lo sguardo, incrociando quello di Yoongi. «È pronto?» mormora a sua volta, dopo aver lasciato andare la matita e la penna tra l’ammasso di fogli e libri.
Yoongi sostiene il suo sguardo, perché non gli fa paura. Non è che non lo metta a disagio, ma non gli fa paura, farsi scoprire e conoscere da Jimin.
Lo sostiene e annuisce, ritornando in cucina, preparando due ciotole ripiene di cibo e riponendole sull’isola, una di fronte all’altra.
Jimin si siede sullo sgabello esterno, Yoongi su quello interno, e, in silenzio, iniziano a mangiare, come ogni sera da tre mesi a questa parte.
La tensione è palese nell’aria e sembra di essere tornati al primo giorno di convivenza, con la differenza che adesso si conoscono più di quanto entrambi avrebbero mai immaginato e non sono sicuri di dove si troveranno domani, in quale letto dormiranno, quali persone avranno accanto, se sorrideranno o piangeranno, se il loro destino proseguirà sullo stesso cammino o si dividerà in due strade separate l’una dall’altra.
«Hyung...»
«Sì?»
«Sono felice di averti conosciuto.»
Le bacchette di Yoongi rimangono sospese a mezz’aria, mentre punta lo sguardo su Jimin, che però, per questa volta, lo tiene basso, concentrato sulla ciotola di fronte a sé, mentre le punte delle orecchie gli si arrossano, così come tutto il viso, che Yoongi, però, non può vedere. Yoongi si ritrova a boccheggiare, per qualche secondo di troppo. E poi «Anche io, Jimin-ah».
 
 

È il 1° di Dicembre, quindi, e Yoongi si ritrova nello studio di Jung Hoseok, le parole di Jimin che gli risuonano nella testa, ancora e ancora, in una litania che gli fa venir voglia di urlare.
Le sue mani sono sudaticce, nonostante il freddo. E i suoi strati di vestiti gli stanno più scomodi rispetto al solito. Si sente sopraffatto, dai suoi stessi vestiti. O forse i vestiti sono solo una scusa. Non ne è sicuro. O forse lo è.
La sedia di plastica è ancora scomoda e Hoseok è come al solito seduto di fronte a lui, il suo bel viso e l’energia vitale che emana anche senza rendersene conto onnipresenti.
«Come stai?» gli chiede Hoseok, la schiena dritta, distaccata dallo schienale in finta pelle della sua incredibilmente costosa sedia.
«Hoseok, chiedimi quello che devi chiedermi e facciamola finita, per favore» dice Yoongi. E sa che nel tono della sua voce è palese la sua disperazione, la sua ansia, la sua voglia di fuggire da questa stanza e da questa storia e da questa vita.
«Credi che Park Jimin sia la tua anima gemella?» gli chiede Hoseok.
E il mondo di Yoongi si ferma un attimo, mentre la sua mente torna a Jimin.
Jimin e il suo sorriso dolce e affettuoso. Jimin e le sue mani morbide. Jimin e i suoi occhi a mezzaluna. Jimin e le sue gambe possenti. Jimin e quella coreografia che sta imparando e che non ha mai mostrato a Yoongi e che Yoongi vorrebbe vedere così tanto, che ha quasi pensato di chiedere a Momo e Mina di registrare Jimin di nascosto, per poi rendersi conto che sta a Jimin decidere se e quando mostrargliela. Jimin e le sue guance rosse quando si sono messi a parlare di Mó Dào Zǔ Shī e di quella scena con Bìchén che. Jimin e le sue parole soffici quando Yoongi ha avuto quel terribile attacco di panico. Jimin e il suo sarcasmo. Jimin e la sua risata quando lui e Yoongi hanno ripulito la casa da quelle macchie blu che ha fatto con la pittura. Jimin e quell’ossessione che ha preso di portare il libro di Yoongi ovunque con sé, come se fosse il suo tesoro più prezioso. Jimin e i suoi silenzi. Jimin e le sue parole. Jimin e il suo abbraccio accogliente. Jimin e il suo essere tutto ciò di cui Yoongi ha sempre avuto bisogno.
«No» risponde però Yoongi.
E il mondo rimane sempre lo stesso. La terra non crolla, la luna non scappa, il sole non scoppia. Il mondo rimane sempre lo stesso, la sedia di plastica su cui è seduto è ancora scomoda, e il viso di Hoseok è ancora bello, e Yoongi è ancora vivo.
«Capisco» mormora Hoseok, ma Yoongi si rende conto che è lontano, che lo sente lontano.
Annuisce e basta, sa che borbotta qualcosa, sa che esce dalla stanza, sa che si ritrova in strada, il freddo che gli congela la punta del naso e gli fa lacrimare gli occhi, sa che cammina, ma non sa dove va.
Fino a che non si ritrova su un treno.
Diretto a Daegu.
 
 

Casa sua è sempre la stessa. I muri continuano ad essere gialli e le rose nel giardino continuano ad essere morte. Le finestre continuano ad essere chiuse e il cancello continua a cigolare ogni volta che lo si apre. La chiave di casa continua ad essere nascosta in un buco dietro ad un vaso – di altri fiori, che Yoongi non riconosce, sempre morti – e la porta principale continua ad investire contro il muro quando la si apre. All’entrata continua ad esserci un appendiabiti con appeso il collare del suo cane, Holly, e all’angolo a destra continua ad esserci la scarpiera in cui lasciare le scarpe e da cui recuperare un paio di ciabbatte. Nell’aria continua ad esserci il profumo di vaniglia, rilasciato dai vari profumatori per ambiente sparsi nelle varie stanze, e nel pavimento, in un angolo subito dopo l’entrata, continua ad esserci una macchia sul marrone, in ricordo di quando Yoongi cadde e si fece talmente tanto male alla fronte da perdere sangue ed essere portato d’urgenza all’ospedale, lasciando la casa senza nessuno per un paio di giorni; quella macchia di sangue, da terra, non sono mai riusciti a rimuoverla.
Casa sua è sempre la stessa.
Eppure a Yoongi, adesso, sembra quasi estranea.
Ma fa finta di nulla e prosegue sui suoi passi, fino a giungere alla cucina, la porta aperta che sparge nell’aria l’odore di delizioso cibo.
Sua madre, girata di schiena, intenta a tagliare vari tipi di verdure, sta preparando la cena.
«Mamma» sussurra Yoongi, attento a non spaventarla, facendola ugualmente sussultare dalla sorpresa.
Sua madre si gira, lo osserva e poi sospira. «Yoongi, che ci fai a casa?» chiede, facendogli segno di sedersi a tavola, per poi recuperare dal forno quelli che Yoongi riconosce essere bungeoppang. «Tieni, mangiane qualcuno fino a che non è pronta la cena» gli dice.
«Mi era stata assegnata la mia anima gemella» mormora, mordicchiandosi il labbro inferiore. Per quanto l’odore dei bungeoppang di fronte a lui sia incredibilmente invitante e gli ricordi le sue giornate da bambino, quando li comprava durante l’inverno dai venditori in strada e sorrideva d’un sorriso pieno e gengivale, adesso non ha fame.
Sua madre si interrompe sui suoi passi – stava per riprendere a tagliare le verdure – e sospira ancora una volta, mettendosi a sedere di fronte a Yoongi, sul rotondo tavolo in legno che hanno al lato della cucina. «Ma...?»
«Si trattava di un uomo.»
«Suppongo non sia finita bene, visto che sei etero» dice sua madre, poggiandosi contro lo schienale della sedia, rilassata, tranquilla, sicura.
«Non è finita bene» dice Yoongi, e non lo nota, ma il volto di sua madre accenna un sorriso. «Ma non sono etero.»
Fa paura dirlo, fa paura ammetterlo.
Ma non è etero, Yoongi sa che non è etero.
Il sorriso sparisce dal volto di sua madre, ma lui continua a non notare le sue espressioni, troppo concentrato a fissarsi le mani e a farle giocherellare tra di loro, l’ansia che gli divora gli organi interni e tutto ciò che è sempre stato e non è sicuro di esser stato. «Yoongi, sei mio figlio, ti conosco più di chiunque altro. So che sei etero.»
La fronte di Yoongi si aggrotta, ma i suoi pensieri continuano ad essere offuscati. È dal mattino che sono offuscati. E quindi le azioni, le parole, i suoi stessi pensieri, non gli si registrano subito come si deve. Però riesce comunque a rispondere. «Non mi conosci più di chiunque altro.»
«Sono tua madre.»
«E non mi conosci più di chiunque altro.»
«Ti fidi più degli altri? Ti fidi più dei tuoi amici? Yoongi, perché non ti fidi di me?» chiede lei, il tono della voce tagliente. Probabilmente anche il suo sguardo è tagliente, come lo era quando Yoongi era più giovane e la sua depressione prendeva il sopravvento, come lo era quando tornava a casa, i primi anni dopo esser diventato maggiorenne, e la sua anima gemella non era al suo fianco.
«Sono bisessuale» è tutto ciò che dice Yoongi. Avrebbe mille cose da dire, avrebbe davvero mille cose da dire. Vorrebbe dirle che sì, si fida più degli altri; che sì, si fida più dei suoi amici, che lo hanno sempre rassicurato, che lo hanno sempre fatto sentire al sicuro, che lo hanno sempre fatto sentire giusto, che lo hanno sempre ascoltato e accettato. Che vuole fidarsi di lei, che ci ha provato a fidarsi di lei, ed è sempre crollato, ogni volta, perché è sempre stato deluso, dalle sue parole cattive durante una discussione e dai suoi sguardi delusi e dai suoi sospiri stanchi.
«Yoongi, guardami negli occhi.»
Yoongi non lo fa, non può farlo, non può riuscirci.
Si alza, vuole prendere un bicchiere d’acqua. Solo un bicchiere d’acqua. Sente la lingua gonfia, in bocca, e ha bisogno di bere. Un goccio d’acqua.
Ma sua madre lo ferma per un polso, gli fa perdere l’equilibrio, quasi cade per terra, ma riesce a non farlo. È stanco, è così stanco.
«Non toccarmi» sussurra, anche se la sua voce è ferma, la sente chiara e concisa nella sua testa. Non sa se risuoni davvero così, ma suppone di sì.
«Yoongi, rispondi alle mie domande» dice lei, quasi comanda, forse comanda.
Ma Yoongi non risponde, torna indietro, indeciso se andarsene di casa. Forse sarebbe meglio andarsene di casa.
Sua madre si alza in piedi a sua volta e lo prende per i polsi, lo costringe ad incrociare il suo sguardo, e Yoongi ha paura. Non è che crede che sua madre possa realmente fargli qualcosa, possa fargli del male – dal punto di vista fisico –, ma ha raccolto troppa ansia nell’ultimo periodo e adesso ha sinceramente paura. Ha paura che lei lo spinga a tal punto da fargli sbattere la testa contro un angolo, ha paura dello sguardo sbarrato, di quegli occhi che ha sempre incrociato e adesso non riesce ad incrociare più, ha paura di quella figura che ha sempre ritenuto un posto sicuro. Ha paura di una persona che, nonostante lo avesse ferito in passato, era convinto gli volesse d’un bene dell’anima. Ha paura, ha paura, ha paura. Ha così tanta paura.
«Non toccarmi» ripete, ma sua madre non lo ascolta. Quindi usa la sua, di forza, la poca che gli rimane in corpo, per allontanarla da sé.
E poi sente le lacrime che gli sfuggono dagli occhi e i sintomi di un attacco di panico che prendono il sopravvento, il corpo che trema, i pensieri che smettono di avere senso, la paura. Il terrore. Il puro terrore.
E se ne va di casa, mentre sua madre gli urla dietro di ascoltarla e di restare.
Yoongi se ne va.
 
 

Prende il primo treno per Seoul, ringraziando il cielo che aveva portato la sua carta di credito con sé quella mattina e ringraziando il cielo che aveva, soprattutto, un po’ di soldi nella stessa carta.
Prende il primo treno per Seoul, la mente svuotata, il corpo svuotato. Si sente uno zombie, forse anche in una condizione peggiore. Gli viene da piangere, ma evita di farlo, si trattiene, si costringe, fino a che non gli viene mal di testa e anche solo respirare gli fa percepire delle forti fitte alle tempie.
Decide di mandare un messaggio vocale a Seokjin e a Namjoon, la voce spenta e bassa e roca, racconta loro tutto ciò che è successo, e trema mentre attende che gli rispondano, spaventato che anche loro gli andranno contro, spaventato che andrà tutto male, sempre peggio, spaventato che dovrà vivere il resto della sua vita con la consapevolezza che sua madre ha distrutto la sua fiducia e non riuscirà mai a perdonarla per questo, spaventato che si sentirà sempre poco, mai abbastanza, mai giusto.
Ma non va così, coi suoi migliori amici.
Perché loro lo rassicurano che gli vogliono bene, che ha fatto bene a decidere di tornare a Seoul, che la loro porta di casa è sempre aperta e sono sempre disponibili ad ospitarlo. Che lui va bene così com’è, non importa ciò che credono gli altri.
E okay, Yoongi alla fine piange.
Ma, a quel punto, non è che gliene freghi poi molto.
Appena arriva a Seoul, inserisce l’indirizzo di casa di Hoseok – scoperto un bel po’ di tempo prima, per sbaglio, quando si erano incontrati mentre Yoongi era in quella stessa zona alla ricerca di un lavoro – su Naver Map e si appresta a camminare a passi veloci, a prendere l’autobus e la metro se necessario.
È sera, ma non gli frega molto nemmeno di ciò.
Cammina fino a che le gambe non gli bruciano dal dolore e dalla stanchezza e il suo respiro non è affannato. È stanco, incredibilmente stanco. Ma cammina e cammina e cammina, fino a che non si trova di fronte a casa di Hoseok. E poi suona il campanello, sperando che sia Hoseok ad aprirgli e non Junhong, l’anima gemella del suo psicologo, perché non ha voglia di parlare con una persona che non conosce, perché non ha la forza di farsi vedere in questa condizione e di spiegarsi e magari anche giustificarsi.
Fortunatamente è Hoseok ad aprire la porta, i capelli scuri spettinati, una felpa bucata in più punti e dei pantaloni grigi e lunghi della tuta. Yoongi si rende conto che Hoseok è bello anche così.
«Hyung? Che cosa ci fai qui?» domanda in un primo momento, colto dalla sorpresa, passandosi una mano tra i capelli, spettinandoli ancora di più. «Aspetta, hai pianto? Che è successo?» domanda ancora, dopo averlo osservato più attentamente e aver notato i suoi occhi rossi e gonfi, il suo tirare su col naso più del necessario e le sue condizioni tutto sommato pietose.
«Dimmi che si può eliminare la pratica» dice Yoongi. Non è che ci abbia pensato molto, ma non è che senta il bisogno di pensarci molto, in realtà. Sa che è un azzardo, ma quello che è successo con sua madre gli ha fatto capire che tipo di persone voglia avere attorno, chi sia realmente lui, quali siano i suoi sogni. Ha sempre camminato sulle uova, è sempre stato attento ai suoi piedi, sempre stato attento a non schiacciarne una e fare un casino, per cui poi si sarebbe dovuto scusare e che poi avrebbe dovuto ripulire, inginocchiato per terra, causandosi lividi alle ginocchia, che a questo punto crede che gli rimarranno per sempre, per quante volte sia realmente successo. È sempre stato attento alle sue parole, è sempre stato attento a non dire la cosa sbagliata, a non esporsi nel modo sbagliato. Perché sapeva che sua madre si sarebbe arrabbiata, sapeva che avrebbe discusso con la sua famiglia. E non era mai sua intenzione. Eppure succedeva lo stesso, eppure qualsiasi cosa dicesse, in qualsiasi modo la dicesse, risultava sbagliata. E faceva arrabbiare sua madre, e faceva discutere la sua famiglia.
Ma realmente. Ma realmente non funziona così. Realmente non dovrebbe aver paura di dire le cose in modo sbagliato, di non esprimersi costantemente come vorrebbe. Le persone vicine, che lo conoscono, dovrebbero intuire cosa intende, o dovrebbero fermarsi un attimo, chiedergli cosa effettivamente intenda prima di giungere a conclusioni affrettate e attaccarlo e farlo sentire sbagliato e stupido. E Yoongi ha capito quali siano le persone che lo conoscono davvero, ha capito di che tipo di persone abbia bisogno al suo fianco. Persone che lo accettano, così com’è. Che, se lo spronano a cambiare, lo fanno per il suo stesso bene, non per il loro.
E Jimin è tra queste persone. E Yoongi è bisessuale. E il cuore gli scoppia al centro del petto perché sa che Jimin è la sua anima gemella. Adesso lo sa. Adesso che ha lasciato alle sue spalle le sue paure – anche se sa che dovrà lavorarci ancora, a lungo, per molto, molto tempo –, adesso che ha lasciato alle sue spalle le menzogne con cui è stato cresciuto, adesso che ha accettato chi è. Adesso lo sa.
«Hyung, devo dirti una cosa» mormora Hoseok e Yoongi, per la prima volta, lo nota insicuro.
«Che cosa?» chiede, spaventato, le mani che gli tremano, le gambe che vorrebbero crollare.
«Non posso più essere il tuo psicologo» ammette, stringendosi nelle spalle, facendosi piccolo, più piccolo di Yoongi, che è qualche centimetro più basso di lui ed è sempre stato più piccolo di lui.
«Cosa? Perché?» Yoongi è confuso, confuso, confuso.
«Perché non ho mai inviato la pratica, perché ho chiesto alla dottoressa Jihyo di aspettare un paio di giorni, perché, in quanto tuo amico, non potevo farlo, non potevo mandare quella tua risposta» ammette ancora, tutto d’un fiato. E davvero, Yoongi non lo ha mai visto così insicuro, indifeso, piccolo. «Mi dispiace, non posso più essere il tuo psicologo. Non sono riuscito a fare il mio lavoro.»
«Dovrei essere arrabbiato, perché hai deciso di non fidarti delle mie parole, di me. Però realmente se non lo avessi fatto… se non lo avessi fatto, avrei perso Jimin» mormora Yoongi e vorrebbe mettersi a piangere. Per l’ennesima volta nel corso della giornata.
«Vuoi che ti dia l’indirizzo di casa di Kim Taehyung?»
«Oddio, sì, per favore.»
 
 

La corsa fino a casa di Taehyung è altrettanto stancante. Yoongi non comprende come le sue gambe facciano ancora a reggere e ancor meno comprende cosa stia avvenendo. Questa giornata sta muovendosi troppo velocemente e lui non riesce a starle dietro. Ma va bene così. Ci ripenserà dopo. Prima deve parlare con Jimin. È importante che prima parli con Jimin.
Suona il campanello, senza nemmeno pensarci due volte, perché ha già pensato troppo a lungo, troppo spesso. E attende un minuto circa, che sembra essere un’infinità, prima che Kim Taehyung gli appaia di fronte in tutta la sua maestosa bellezza, il calore che giunge da dentro la casa, riscaldando le guance di Yoongi, congelate dalla corsa contro il vento gelido di Dicembre.
«Che vuoi?» dice, lo sguardo infuriato appena lo riconosce, le spalle dritte, i lineamenti duri.
Yoongi deglutisce. Non è che trovarsi di fronte ad un Kim Taehyung fin troppo arrabbiato fosse tra i suoi piani per la serata, per la giornata, per la sua intera vita. Ma non può far altro, deve parlargli, deve farsi coraggio, perché ha bisogno di vedere Jimin. «Jimin è qui?» gli chiede quindi, mordicchiandosi il labbro inferiore, che sente secco e distrutto e che gli brucia da morire.
«Prima dimmi che vuoi» replica l’altro, la voce ancora più profonda e più dura rispetto al solito, gli occhi che se potessero lo fulminerebbero e ucciderebbero seduta stante.
«Ho bisogno di parlare con Jimin.»
«No.»
«Taehyung, per favore» lo implora, sperando che nell’espressione del suo viso, nel tono della sua voce, si noti tutto il suo bisogno disperato di vedere Jimin, di parlare con Jimin.
«Cosa devi dire a Jimin?»
«Non posso dirtelo» borbotta in risposta. Non vuole dirlo a nessun altro, il primo a saperlo deve essere Jimin, il primo a sentire le sue parole deve essere Jimin.
«Allora ciao» dice, e fa per chiudergli la porta in faccia, ma Yoongi lo blocca al volo, rischiando di farsi schiacciare la mano e finire in ospedale, giusto per terminare al meglio questa giornata infernale.
«Per favore, fammi parlare con Jimin» lo implora ancora Yoongi. È pronto a mettersi a terra, a inchinarsi al suo cospetto, a poggiare la fronte sul terreno freddo e duro e sporco. Pur di avere la possibilità di parlare con Jimin.
«Tae» una voce sussurra alle spalle di Taehyung e una parte di Yoongi vorrebbe sperare si tratti di Jimin, ma sa bene che quella non è la sua voce, non è il suo timbro. Jimin sa di miele.
Si tratta di Jeongguk, Yoongi lo vede quando Taehyung si gira per incrociare il suo sguardo. «Guk, no.»
«Fallo entrare, fallo parlare con Jimin-hyung» mormora, il viso in un’espressione dolce, la voce soffice.
Yoongi non avrebbe mai creduto che sarebbe stato proprio Jeon Jeongguk a dargli una seconda possibilità. Ma avrebbe dovuto capirlo. D’altronde loro due sono molto simili, a detta di Jimin.
«E se lo facesse soffrire ancora di più?»
«Noi siamo qui, a sostenerlo e ad aiutarlo. Ma ricordati che Jimin-hyung è forte.»
Taehyung sospira, rassegnato, perché sa che Jeongguk ha ragione, perché sa che Jimin è forte, perché sa che ci sono loro, perché sa che non può proteggerlo da tutti e per sempre, anche se vorrebbe, perché Jimin lo ha difeso e protetto e sostenuto e amato nei suoi giorni peggiori e lo ha accompagnato nei suoi giorni migliori, ha gioito con lui e pianto con lui. E sente di non fare mai abbastanza, sente di non ricambiare mai come si deve. «E va bene. È al piano si sopra, prima stanza a destra» si decide a rispondere, rilasciando un sospiro e pregando, sperando, vada tutto bene. Perché Jimin merita di essere felice.
«Grazie» risponde velocemente.
E poi.
Yoongi sale le scale due alla volta, i muscoli che implorano pietà, il fiato corto, il cuore che batte all’impazzata, e poi si ritrova di fronte alla porta in legno scuro, e bussa con la poca forza che gli rimane, i pugni tremanti, le nocche sanguinanti, a causa del freddo.
Jimin apre la porta, «Taehyung, ti ho detto di lasciarmi in pa–» dice, fino a che non si interrompe, notando chi realmente si trovi sulla soglia della sua attuale stanza.
«Mi piaci» esclama Yoongi, facendo sussultare Jimin – e facendo sussultare anche il suo cuore. Magari prima avrebbe dovuto dire, non lo so, ciao. O anche scusami. E invece no, mi piaci, ovviamente la prima cosa che Yoongi dice a Jimin dopo una giornata simile è mi piaci.
«Cosa?» mormora Jimin, entrambe le mani strette con forza alla porta, le nocche bianche, che ha paura che se la lasciasse andare, non si reggerebbe in piedi, gli occhi lucidi e rossi, per aver pianto tutto il giorno, adesso fissi sulla figura pallida di Yoongi, sbarrati dalla sorpresa e dalla confusione. Non può aver sentito quello che ha sentito, non può essere vero. Sta sognando, sicuramente sta sognando. E se questo è un sogno, allora Jimin non vuole svegliarsi.
«Mi piaci, voglio stare con te, voglio passare il resto dei miei giorni con te» prosegue Yoongi, la bocca impastata, la gola secca, le mani che gli formicolano e il cuore che ha preso a battere troppo forte, fin troppo forte, rischiando di uscirgli dal petto e infilarsisi in quello di Jimin.
«Perché questa confessione mi ricorda quella di Wèi Wúxiàn a Lán Wàngjī?» chiede Jimin, inarcando un sopracciglio, cercando di tenere la sua espressione ferma, fissa, seria, adesso che ha ripreso un attimo coscienza e ha compreso bene le parole del ragazzo di fronte a sé, le ha assimilate e gli sono cresciute nel petto come fiori in primavera. E tra l’altro, no, apparentemente non sta sognando. Ed è meglio così.
«Perché mi sono ispirato a quella» ammette Yoongi, imbarazzato, abbassando lo sguardo, osservando i suoi anfibi mezzi distrutti e sporchi di terra.
«Però nessuno ci vuole morti.»
«Però nessuno ci vuole morti» concorda Yoongi.
«Mi piaci anche tu, hyung» ammette a sua volta Jimin e adesso lascia andare il suo sorriso, la sua gioia, e ripesca la speranza dal fuoco, certo che non si brucerà, e la riporta al centro del suo petto, decidendo che d’ora in poi se ne prenderà cura, insieme a tutto se stesso e all’uomo di fronte a sé.
Ed è in quell’esatto momento che le gambe di Yoongi decidono di cedere. «Sto bene» mormora, quando nota Jimin buttarsi per terra, al suo fianco, il viso preoccupato, le rughe sulla fronte visibili.
«Sicuro?»
«È stata una lunga giornata.»
«Vuoi parlarmene?»
«Sì.»
Jimin lo aiuta a rialzarsi, lo porta in stanza con sé, lo aiuta a sedersi sul letto, gli si siede accanto. Tiene i loro corpi appiccicati, così vicini che non fa più freddo, che non fa più paura, il futuro, la vita.
«Hyung
«Sì?»
«Andrà tutto bene.»
«Sì, lo penso anche io.»
«E lo sai perché?»
«Perché?»
«Perché siamo seoulmates
Il bacio che si scambiano, in quel momento, è solo loro, per sempre loro.
 
“In astronomia, viene chiamata binaria a contatto una stella binaria le cui componenti sono così vicine da riempire i loro lobi di Roche arrivando a toccarsi con le loro atmosfere o anche a unirsi condividendo il loro inviluppo esterno.”
 
Fine.
 
PS. Taehyung si pente di aver fatto entrare Yoongi in casa sua quando, la notte stessa, sente cose che non avrebbe mai voluto sentire in tutta la sua intera vita.
 
Fine per davvero, questa volta.



 
carrd
   
 
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