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Autore: Mary P_Stark    08/06/2020    2 recensioni
Cosa succederebbe se gli dèi dell'Olimpo e gli eroi greci camminassero tra noi? Quali potrebbero essere le conseguenze, per noi e per loro? Atena, dea della Guerra, delle Arti e dell'Intelletto, incuriosita dal mondo moderno, ha deciso di vivere tra noi per conoscere le nuove genti che popolano la Terra e che, un tempo, lei governava assieme al Padre Zeus e gli Olimpici. In questa raccolta, verranno raccontate le avventure di Atena, degli dèi olimpici e degli eroi del mito greco, con i loro pregi, i loro difetti e le loro piccole stravaganze. (Naturalmente, i miti sono rivisitati e corretti)
Genere: Commedia, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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5.

 

 

Dicembre 2022

 

Quanto tempo era passato, dall’ultima visita di Alekos?

Astrea non lo sapeva, eppure credeva fosse trascorso molto tempo. Forse troppo, per poter pensare, o credere, a un suo eventuale ritorno.

Passeggiando nervosamente lungo le vie di una Hiroshima stranamente quieta - visto ciò che la circondava - Astrea continuava a correre con lo sguardo al colle della sua pianta preferita.

Da quando lo aveva visto sparire nel fuoco, quel terribile giorno in cui Alekos aveva ammesso il suo peccato con lei, ogni giorno il suo sguardo si era perso in contemplazione di quell’albero, a ogni nuova esplosione.

Dopotutto, lo aveva incontrato lì per la prima volta. Da quel momento, Alekos era giunto in visita a lei quasi giornalmente, sempre attendendola all’ombra di quella quercia scampata al disastro.

In principio, aveva trovato le sue visite piuttosto fastidiose, così come anacronistiche. Lui, così perfetto e sano, mal si abbinava a quel regno fatto di morte e disperazione, di cui lei stessa era portabandiera e creatrice.

Eppure, con il passare delle settimane – anche grazie alle stravaganti avventure che lui andava raccontandole, aggiornandola così sul mondo che si era lasciata alle spalle – aveva finito con il bramare le sue visite.

Per la prima volta da anni, aveva desiderato qualcosa che non fossero sangue, dolore e morte.

Per la prima volta da anni, aveva sorriso di fronte a una creatura viva, gioendo di tale vita.

Per la prima volta da anni, aveva agognato il calore umano proveniente da una persona.

Le sue parole, però, la condanna verso se stesso e verso di lei, l’avevano sconvolta, portandola a perdere il controllo sulla propria mente e coinvolgendo così anche lui nell’esplosione che l’aveva rinchiusa lì.

Non era stata capace di ascoltarlo, quando le sue parole erano divenute qualcosa di più che semplice conversazione. Era stata pavida, aveva perso per l’ennesima volta la battaglia contro se stessa e contro le proprie paure.

Stavolta, però, aveva coinvolto nel proprio personale dramma anche un’altra persona, una persona che aveva saputo toccarla nel profondo e che, proprio per questo, era stata segnata ancor di più dal suo errore.

Forse, dopotutto, Alekos aveva rinunciato a capirla, visti i danni che sicuramente aveva subito durante lo scoppio dell’atomica. In fondo, non l’avrebbe trovato per nulla strano, né così sconvolgente.

Persino sua madre, dopo quel giorno in cui l’aveva trovata sotto shock all’ombra della sua pianta, aveva smesso poco alla volta di tornare, quasi avesse compreso – finalmente – di non poter far nulla per lei.

Paradossalmente, però, ora sentiva la mancanza dei suoi goffi tentativi di strapparla a quei luoghi e, il solo pensarlo, la faceva sentire stupida e ingrata.

Per più di settant’anni aveva rifiutato sia lei che il padre, respingendo il loro amore così come i loro tentativi di parlarle, e ora che avevano finalmente gettato la spugna, si lagnava di essere stata lasciata sola.

Allo stesso modo, aveva escluso dalla sua vita Esculapio, Hypnos e i suoi fratelli, per non parlare del Sommo Érebos, prodigatisi inutilmente per riportarla a più miti consigli. Anche con loro si era comportata in malo modo, e cominciava a sentire il peso della loro mancanza.

Era davvero una ben misera persona, niente affatto degna di essere salvata o di portare il titolo di dea. Meritava di rimanere lì per l’eternità.

Fu perciò con estrema gioia – e non poca contrizione – che le sorse un sorriso sul volto, quando infine vide un’ombra nei pressi della sua collina preferita.

Accorrendo incontro a quell’ombra, già pronta a salutare Alekos e a benedire il suo ritorno, interruppe però di colpo la sua risalita quando, dinanzi a lei, trovò ad attenderla solo suo padre.

Vederlo dopo tanto tempo la fece sentire tremendamente in colpa, poiché lei aveva desiderato vedere qualcun altro, al suo posto.

Il padre, comunque, fece finta di non notare il suo evidente disappunto e, rimanendo fermo accanto alla pianta, disse: «Alekos mi ha detto che, quasi sicuramente, ti avrei trovata qui.»

Nell’udire quel nome, Astrea si rianimò subito e, portandosi una mano al petto, domandò turbata: «Lui… come sta, Alekos?»

«E’ tutt’ora convalescente» ammise lui, sgomentandola non poco. «Credo… beh, immagino sia successo qualcosa di piuttosto grosso durante una delle sue visite, per ridurlo nello stato in cui l’ho trovato durante una delle mie visite a lui.»

Astrea reclinò colpevole il capo, il desiderio di fuggire già pronto a prendere piede nel suo animo, quando Astreo aggiunse: «Si scusa con te. Non mi ha spiegato per cosa, ma mi ha pregato di dirtelo, nel caso in cui fossi venuto da te.»

La dea sgranò gli occhi per la sorpresa, a quelle parole e, risollevando un volto pieno di domande per puntarlo in direzione del padre, esalò sgomenta: «Ma… perché ti ha detto proprio questo? Non deve scusarsi di nulla!»

«Non mi è parso di quest’avviso» si limitò a dire il titano, scrollando le spalle. «E’ bello vederti, comunque, dopo tanto tempo.»

Astrea strinse le mani a pugno lungo i fianchi scarni e, sbuffando, replicò caustica: «Dubito sia un bello spettacolo.»

«Solo perché lo vuoi tu, no?» chiosò il padre, sorprendendola un poco.

«Se non ti conoscessi, direi che anche tu hai preso in prestito il filato di Eris per continuare a vivere» ribatté vagamente piccata Astrea.

Ridendo sommessamente, Astreo chiosò: «Credo che, ora come ora, Eris ti raggiungerebbe volentieri, pur di liberarsi delle attenzioni di Dioniso. Sono mesi che le corre appresso in ogni modo possibile, e sull’Olimpo sono ormai diventati argomento di discussione quotidiana. Ares ha persino aperto un giro di scommesse, puntando una marea di soldi su quando capitolerà sua sorella.»

Astrea fece tanto d’occhi, a quella notizia, ma ciò non bastò a farle dimenticare la propria condizione miserevole, né ciò che di male aveva fatto ad Alekos.

Sospirando, tornò quindi a reclinare il capo e mormorò: «Beh, se persino una dea come Eris ha uno spasimante che la venera, il mondo non può andare che alla rovescia.»

«Questa è una crudeltà gratuita, cara, e non è da te» le fece notare Astreo, portandola ad arrossire. «Sai bene che Eris non è mai stata solo Discordia, e il tuo risentimento millenario verso di lei non ha mai avuto molto senso.»

«Lei ha sempre remato contro di me!» sbottò Astrea, inveendo contro il padre al pari di una bambina a cui fosse stato rifiutato un regalo. «Non mi va giù che possa avere una vita tranquilla e serena, né che… che…»

Interrompendo il suo dire prima di ammettere troppo, Astrea sbuffò nel distogliere lo sguardo dal padre e, trinceratasi dietro un mutismo offeso, fissò testardamente la baia limpida e tranquilla.

Tutto, pur di non affrontare lo sguardo di sicura derisione del padre.

Astreo allora sorrise indulgente, di fronte a quello sfogo che esprimeva – finalmente – una scintilla di vita che mai, in quei decenni, aveva scorto sul volto della figlia.

Certo, aveva visto la rabbia di una donna che non voleva essere strappata al proprio incubo, ma lui non aveva mai considerato positivo quel genere di livore. Questo, invece, sapeva di nuovo e, paradossalmente, di antico. Della vecchia lei.

Per quanto gli spiacesse vederla irritata, era pur sempre preferibile all’Astrea atona e distante che aveva dovuto sopportare di vedere in silenzio per tutti quegli anni. Se era in qualche modo gelosa della vita apparentemente piacevole di Eris, questo poteva essere uno sprone per vederla riemergere da quello stato di sconfitta.

«Ora, penso che andrò. Vedo che sei indisposta alla compagnia altrui, perciò…» asserì a quel punto Astreo, facendo l’atto di scostarsi dalla pianta.

La figlia, però, lo afferrò a un braccio e, inconsapevole del proprio cambiamento estetico agli occhi del padre, mormorò ansiosa: «Eri venuto solo per dirmi di Alekos?»

Astreo cercò di contenere la propria sorpresa, di fronte al viso turbato – ma ora bellissimo – della figlia, e disse: «Beh, in effetti, sì. So che non vedi volentieri me o la mamma, ma ci sembrava giusto portarti il suo messaggio.»

La mano di Astrea strinse maggiormente il braccio del padre nel tentativo di trasmettere al padre quanto, in realtà, si sentisse frustrata e triste al pensiero di averlo sempre fatto soffrire.

«Non voglio vedervi star male a causa di una decisione che ho preso in piena coscienza. E’ tutto qui.»

«Soffriamo in ogni caso. Sia che tu ci veda, che no» replicò il titano, scostandole gentilmente la mano.

Lei, allora, si allontanò di un passo, quasi tramortita da quella realtà così semplice e assoluta e, mentre Astreo si dissolveva dinanzi ai suoi occhi spalancati, Astrea mormorò: «Sono stata così egoista, dunque?»

***

Guarire dalle bruciature lasciate dalla bomba, era stato più difficoltoso e doloroso di quanto non si fosse aspettato in un primo momento. Liberarsi finalmente delle fasciature fu dunque un sollievo, pur se non significava avere il lasciapassare definitivo per riprendere le sue visite ad Astrea.

Entrambi i genitori erano stati chiari, in merito; finché Esculapio o Apollo non lo avessero dichiarato guarito, non sarebbe tornato nel mondo onirico.

I suoi nonni umani erano stati dello stesso avviso, e persino nonno Zeus e nonna Era si erano impuntati in merito, mettendo un broncio tale da far sentire in colpa Alekos.

Era forse la prima volta, da quando aveva tolto il giogo del suo potere su di loro, in cui si erano spontaneamente uniti per un’unica causa. Nonostante il loro divieto gli avesse causato fastidio, era stato anche felice di vederli andare d’accordo su qualcosa… e senza il suo intervento diretto.

Anche se questo aveva voluto dire ritardare di quasi un mese il suo ritorno nel mondo onirico, gli aveva fatto piacere vederli uniti sotto un’unica bandiera.

In quei lunghi mesi di insopportabile attesa, Alekos era stato più volte tentato di venir meno alla parola data ma, memore di quanto aveva fatto soffrire la sua famiglia, si era autoimposto la calma.

Persino Eris lo aveva rabberciato per la sua fretta e, quando lui aveva replicato con stizza, la dea lo aveva preso per un orecchio al pari di un bambino, sgridandolo come poche altre volte gli era accaduto in passato.

A quello spettacolo, ovviamente, avevano assistito le due arpie che, furbamente, si erano involate per non dover subire a loro volta una reprimenda di qualche tipo. Con Eris, non si poteva mai sapere.

Sua madre, sempre ovviamente, aveva plaudito la sfuriata di Eris, e ad Alekos non era rimasto altro che rintanarsi in casa sua in compagnia di una birra e una pizza, brontolando in merito alla spietatezza delle donne.

Aveva anche rinunciato a chiamare Acaste per sfogarsi; tra il nipotino appena arrivato e le visite frequenti a Zéphyros, l’amica era sempre impegnatissima. Quasi sicuramente, comunque, Acaste si sarebbe schierata dalla parte di Eris e Athena, perciò lui non avrebbe ottenuto appoggio alcuno, ma ulteriori reprimende.

Inoltre, in ultima istanza, non sarebbe stato corretto scaricare su di lei i suoi problemi. Problemi che, alla fine, avevano preso la forma di un’unica parola.

O meglio, persona.

Astrea.

Ora che era passato così tanto tempo dal suo ferimento, desiderava rivederla più che mai, sapere come stesse e come vivesse quella nuova solitudine, dopo quel breve periodo passato a ricevere le sue quotidiane visite.

Pur se aveva parlato con Astreo in merito, non si sentiva soddisfatto né tranquillo e, finché non l’avesse vista con i propri occhi, il suo cuore non avrebbe smesso di palpitare nervosamente.

Quando, perciò, si presentò a casa dei nonni per ritentare il suo viaggio nel mondo onirico, lo fece con l’ansia di un adolescente al suo primo appuntamento. Cosa che lo fece sentire ancor più idiota di quanto già non si sentisse.

Anita e Carlos lo accolsero con sorrisi e abbracci ma, quando anche il nonno li seguì nella dependance, Alekos si rese conto di quanto entrambi, in realtà, non si sentissero affatto sicuri a rimandarlo in quel luogo così pericoloso.

Tutto ciò lo fece sentire ulteriormente in colpa ma, nonostante questo sentimento traditore, non se la sentì di annullare quel tentativo.

Doveva tornare da lei, a qualsiasi costo.

Nello sdraiarsi sul suo ormai famigliare materassino, guardò perciò i nonni con aria sicura e disse: «Sono certo che andrà tutto bene. In ogni caso, comunque, sono già guarito una volta. Succederà ancora.»

Carlos parlò prima ancora che Anita potesse rabberciare il nipote e, piantando con fare imperioso un dito addosso ad Alekos, borbottò a gran voce: «Non ti venisse in mente di prendere sottogamba la situazione, ragazzo, solo perché sei immortale. Hai ben visto cosa è successo a questa ragazza che cerchi di salvare, perciò non pensare mai di poterla sfangare sempre!»

Alekos sbatté le palpebre con aria incredula – era molto difficile che Carlos alzasse la voce con lui ma, evidentemente, il suo ferimento doveva averlo colpito molto – e, annuendo frettoloso, rettificò il suo dire.

«Sì, nonno. E’ chiaro. Non volevo dire che me ne sarei infischiato delle conseguenze, ma solo che voi non avreste dovuto stare in pensiero per me.»

«Questo ragazzo è tardo, o che?» ironizzò allora Carlos, lanciando un’occhiata sarcastica alla moglie, che sorrise divertita. «Pensa davvero che noi nonni potremmo non essere in pensiero per lui? O per qualsiasi altro dei nostri nipoti?»

«Ma caro, è un giovanotto sano e forte… per forza che si crede invincibile» celiò a sua volta Anita, portando Alekos a rimettersi seduto per poi fissarli accigliato e pronto a battibeccare con loro.

«D’accordo, c’è qualcosa che vi rode, e me la state facendo pagare in questo modo. Sputate il rospo, e chiudiamo la faccenda» propose quindi lui, scuotendo una mano con fare nervoso. Aveva fretta, ma non voleva lasciare che quell’argomento rimanesse in sospeso tra di loro.

Anita allora gli sorrise dolcemente e, nell’accomodarsi su una panca imbottita accanto al materassino dove il giovane era assiso, si limitò a dire: «Tesoro, vogliamo solo che tu stia attento, e non ti lanci in atti eroici gratuiti. Capiamo il tuo desiderio di aiutare questa donna, ma pensa anche a te stesso mentre lo fai.»

«Nonna ha ragione» annuì con vigore Carlos.

A quelle parole, Alekos addolcì lo sguardo, prese tra le sue una mano della nonna e mormorò: «Farò attenzione… ma nei limiti del possibile. Ho promesso a Eos che avrei liberato sua figlia, e io mantengo la parola data. Inoltre, desidero anch’io che Astrea se ne vada per sempre da quel luogo. Mi fa star male pensare a come soffre ogni giorno, a quanto si stia perdendo della vita di tutti i giorni.»

«Ma certo. Non potrebbe che essere così, visto il tuo animo buono. Ma usa lo scudo di tua madre, qualora servisse. Te ne prego» lo pregò Anita, osservando il piccolo bracciale che Alekos portava al polso.

Una testa di medusa della grandezza di un pollice pencolava dal bracciale in pelle che Alekos indossava quel giorno e che, all’occorrenza, gli sarebbe servito per difendersi da eventuali altre esplosioni. Sua madre, su questo, era stata categorica.

Gli sarebbe bastato stringere nel pugno la testa di medusa, e il possente scudo di Athena sarebbe apparso a proteggerlo.

«Lo userò. Promesso» annuì Alekos, tornando a distendersi per poi chiudere gli occhi e concentrarsi sulla mente di Astrea.

Con un gran respiro, si discostò quindi dal proprio corpo e, come un alito di vento, si involò fino alla dimensione onirica ove viveva Esculapio e, da lì, raggiunse le stanze di Astrea.

Come sempre, trovò solo il piccolo buco nero in cui lei era scomparsa decenni addietro ma, contrariamente al solito, notò delle scalfitture in quella massa oscura apparentemente inattaccabile.

Pareva quasi di vedere inciso su quella superficie liscia come alabastro il cretto di Burri, e questo fece sorgere molte domande in Alekos.

Lasciandole però per un secondo momento, si incuneò nel sogno eterno di Astrea e lì, dopo qualche attimo, si ritrovò all’ombra della pianta preferita della dea.

Guardandosi intorno, non trovò nulla di diverso dal solito – Hiroshima era già caduta vittima della bomba – sennonché i fuochi si erano finalmente estinti, e l’aria non era più satura di fumo e morte.

Doveva essere già il secondo o il terzo giorno dallo scoppio dell’ordigno, a suo parere, almeno a giudicare dalle condizioni della città.

«Alekos!»

Quell’ansito disperato quanto sorpreso giunse dalle sue spalle, strappandolo di colpo ai suoi pensieri. Nel volgersi quindi a mezzo, il giovane si sorprese non poco quando si ritrovò abbracciato dalla dea padrona di quei luoghi che, quasi sciogliendosi contro di lui, iniziò a ringraziare il cielo per la sua buona salute.

Non riuscendo a evitarlo, Alekos la strinse a sua volta e affondò il viso nella massa cespugliosa dei capelli di Astrea, infischiandosene grandemente del fatto che non fossero setosi o puliti.

Lei era lì, non era scomparsa chissà dove, e loro potevano riprendere a parlare assieme, a stare assieme.

Quando infine i due si scostarono per potersi finalmente guardare in viso, si sorrisero vicendevolmente per alcuni attimi. Nel momento stesso in cui Astrea, però, si rese conto della totale scomparsa dei riccioli di Alekos - sostituiti da un taglio militare piuttosto drastico - la dea ansimò sconvolta ed esalò: «Ma… e i tuoi capelli?!»

«Beh, hanno avuto bisogno del tocco di un barbiere. Erano piuttosto abbrustoliti» ammise lui con un risolino.

Quel risolino di scherno, però, non fece piacere ad Astrea, che ribatté piccata: «Te l’avevo pur detto di non metterti in mezzo. Così facendo, sei rimasto ferito, i tuoi capelli si sono volatilizzati e sei stato lontano da qui per mesi

Alekos impiegò alcuni attimi per digerire anche quella reprimenda – alla prossima, si sarebbe infuriato davvero – prima di rendersi conto delle ultime, impreviste parole della dea.

Alla fine dei conti, le era mancato. Poteva apparire irritata per il suo colpo di testa, ma… le era mancato!

Stupidamente, si mise perciò a sorridere in modo piuttosto tronfio e Astrea, notandolo subito, si accigliò ulteriormente e domandò: «Beh, che hai da sorridere tanto?»

«Ti sono mancato» sottolineò lui, poggiando le mani sui fianchi con fare soddisfatto.

Lei spalancò occhi e bocca di fronte alle sue parole spavalde, boccheggiò per diversi secondi senza sapere bene cosa dire ma, alla fine, bofonchiò: «Ma… che stai dicendo?!»

Il giovane allora ghignò beffardo, la guardò dall’alto al basso con fare saputo e ripeté ampollosamente: «Ti. Sono. Mancato.»

«Non ti ascolto neppure» sbottò allora lei, volgendogli le spalle per poi intrecciare le braccia sotto i seni, l’aria piccata e il naso rivolto verso l’alto in atteggiamento di sfida.

«D’accordo. Allora, vedrò di occupare il mio tempo in modo proficuo, invece di limitarmi a guardare la tua schiena spellata» replicò il giovane, cominciando a discendere la collina a passo svelto.

Astrea gli concesse tre secondi di vantaggio prima di volgersi irritata e raggiungerlo di corsa. Affiancatolo quindi con aria burbera, borbottò: «Ero solo preoccupata per te, sciocco!»

«Vedila come vuoi» scrollò le spalle lui, allungando il passo.

«Ehi, aspettami!» lo richiamò lei, alzando la voce.

«Smettila di camminare a piedi nudi, e vedrai che riuscirai a tenere il mio passo» gli fece notare lui, indicando con fare ironico i suoi piedi sudici.

Lei si bloccò di colpo, puntò i pugni sui fianchi e ringhiò: «E’ normale che io sia a piedi scalzi! Qui è bruciato tutto! Tutto! Perché proprio io dovrei avere le scarpe!?»

«Perché sei la signora di questo sogno?» si limitò a dire lui, tornando a discendere la collina e lasciandola così sola a rimuginare sulle sue parole sibilline.

Osservando il giovane che, a grandi passi balzellanti, si dirigeva sempre più velocemente verso il campo di raccolta dei feriti di Hiroshima – posizionato all’interno della base militare locale – Astrea si chiese se non avesse ragione.

In fondo, era lei stessa a essersi rinchiusa in quel mondo, perciò non poteva lagnarsi con Alekos del suo problema ai piedi. D’altra parte, lei sentiva di dover soffrire come gli altri, così da essere partecipe del dolore provato da quelle genti.

Sbuffando, perciò, tornò a discendere dalla collina di Koimachi senza dare troppo peso alle piante piagate dei suoi piedi, o al dolore che le riverberava nelle ossa. Se lo meritava, perciò non doveva lamentarsene.

Quando infine raggiunse Alekos, lo trovò a pochi passi dall’entrata della base militare locale, dove diversi soldati presidiavano l’entrata, gli abiti laceri e l’aria stanca di chi non ha più certezze né speranze.

Di lì a poco, la seconda bomba atomica sarebbe scoppiata a Nagasaki e, ben presto, altre morti e altro sangue si sarebbero aggiunti a quelli di Hiroshima, spezzando definitivamente il morale delle genti.

«E’ inutile che li guardi… tanto, non ti faranno entrare. Sei un gaijin, perciò non accetteranno mai la tua benevolenza» sottolineò Astrea ponendosi al suo fianco con espressione burbera.

Alekos, però, la afferrò a una mano e, sorridendole fiducioso, disse: «Sei la signora di questo mondo, perciò puoi andare dove vuoi.»

Ciò detto, la trascinò con sé verso i cancelli e, sotto gli occhi sgomenti di Astrea, i soldati non solo non li bloccarono ma si inchinarono dinanzi a loro come alla vista di una qualche entità trascendente.

«Oh-kami1» mormorarono ossequiosi, le teste reclinate in avanti in atteggiamento deferente.

Astrea li fissò senza capire mentre Alekos, al suo fianco, penetrava all’interno del campo con passo sicuro, con l’andatura potente e fiera di un dio.

«Ma come…» tentennò lei incredula.

«Guardati» le sussurrò per contro il giovane, ammiccando al suo indirizzo con espressione ammirata.

Lei allora reclinò il viso ma nulla vide perciò, ancor più confusa, domandò nuovamente: «Non capisco. Cosa dovrei vedere?»

A quel punto, fu Alekos a non comprendere e, dopo averle lasciato la mano, la fissò incredulo mentre, da dea incarnata quale lui l’aveva vista diventare, tornò a essere la scialba e debole creatura che aveva conosciuto. Che diavoleria era mai quella?

Astrea sbatté le braccia lungo i fianchi, ripetendo la domanda con inquietudine e Alekos, non meno confuso di lei, ammise: «Brillavi. Il tuo icore scintillava sotto la pelle, proprio come possono fare gli dèi. Ora, però…»

Astrea, a quel punto, afferrò la mano di Alekos per stringerla con forza e, ancora una volta, lui la vide in tutta la sua sfolgorante bellezza, coi lunghi e fluenti capelli biondi carezzati dalla brezza marina.

Gli occhi, di un grigio pallido e fluido, lo stavano scrutando pieni di domande, domande a cui però lui non sapeva dare una risposta.

«Cosa… cosa vedi, ora?» domandò lei, incerta.

«Te» si limitò a dire Alekos. «Hai dei bellissimi capelli. E se prometti di non spifferarlo a mia zia, posso anche osare dirti che sono più belli di quelli di Afrodite.»

Quel complimento la mandò in confusione. Sapeva bene di non avere un aspetto decente da più di settant’anni. Lasciate quindi le mani di Alekos, si passò le dita tra la scompigliata criniera annodata e informe e, con un sospiro, replicò: «Credo tu abbia le traveggole.»

«Oh, no. So bene cosa vedo. Ora, i tuoi capelli sono come al solito… e cioè, bisognosi di una bella pettinata e di un bel po’ di balsamo ammorbidente» le sorrise indulgente prima di riafferrarle le mani per aggiungere: «Se invece ti prendo per mano, vedo com’eri

«E…» mormorò lei, mordendosi nervosamente il labbro inferiore.

Alekos, a quel punto, arrossì e disse: «Oh, no! Non cadrò nel tranello! Ne so poco di donne, ma alcune cose le conosco. Se ammetto quanto tu fossi bella, mi potresti replicare che baso il mio giudizio su di te solo sul tuo volto, e non sulla tua personalità ma, se ti dicessi che ti apprezzo soprattutto come persona, replicheresti che ci conosciamo ancora troppo poco, per poter dire una cosa simile.»

«Come? Ma che dici?» esalò Astrea, sbigottita.

«Uhm… vuoi farmi intendere che non lo penseresti?» replicò ora dubbioso Alekos.

Lei scostò le mani da quelle di Alekos per poi allontanarsi di qualche passo dal giovane dopodiché, da sopra una spalla, lo guardò piena di dubbi e desiderosa di porre molte domande.

Di tutti i dubbi che Alekos le lesse negli occhi, però, non ne espresse nessuno e, con voce nuovamente atona, tornò a rivolgergli la parola soltanto per dirgli: «Andiamo a curare i feriti.»

Al giovane non restò altro che fare così anche se, per il resto della giornata passata accanto ad Astrea, non fece che accumulare tensione nervosa e una fortissima esasperazione.

Come diavolo faceva a farle capire che voleva conoscerla meglio e voleva aiutarla davvero?!

***

Riemergere dal sonno onirico fu più esasperante e irritante di quanto non lo fosse mai stato nei mesi precedenti e, quando si ritrovò gli occhi dei nonni puntati addosso, non faticò a comprenderne i motivi.

Era più che certo di avere il volto corrucciato, forse addirittura livido, e per più di un motivo.

«E’… andato tutto bene?» tentennò Anita, non sapendo bene quanto – e cosa – chiedere al nipote.

«Bah… vai a saperlo» sbuffò Alekos, balzando in piedi dal materassino prima di rendersi conto dell’orario. Era rimasto addormentato quasi tredici ore!

Fissando costernato l’orologio da muro, fissò spiacente entrambi i nonni, ma Carlos tenne subito a precisare: «Non fare quella faccia. Siamo andati in bagno a turno e abbiamo anche pranzato.»

«Lo spero bene» sottolineò Alekos, stiracchiandosi un poco prima di dire frettolosamente: «Eros, io ti invoco. Hai tempo per me?»

Una nuvola dorata apparve dopo qualche attimo e, sotto gli occhi stralunati dei tre presenti, fece la sua apparizione Eros in tutto il suo divino splendore.

A torso nudo e lucido di sudore, il dio indossava solo un esile perizoma da danza classica color carne, che niente lasciava all’immaginazione e molto mostrava agli occhi dei suoi spettatori.

Mentre Carlos bestemmiava un’invocazione a tutti i santi del paradiso per poi coprire gli occhi alla moglie – in totale ammirazione del dio – Alekos gracchiò: «Ah… che stavi facendo, scusa?»

«Danza classica, non si era capito? Porto persino le scarpette con la punta!» sottolineò lui indicandosi i piedi.

«Giuro… non le ho notate» esalò Alekos, passandosi una mano sul volto, ormai prossimo a un esaurimento. «Senti, se posso rubarti alla tua lezione, avrei bisogno di parlarti.»

Esibendosi in un fouetté en tournant di gran pregio, Eros assentì e disse: «Nessun problema. Posso riprendere anche dopo.»

Ciò detto, si inchinò elegantemente ad Anita, strizzò l’occhio a Carlos e infine portò con sé il cugino, svanendo in una nube dorata al sapor di zucchero.

Sbuffando di fronte ai residui di quella nuvoletta profumata, Carlos borbottò: «Questi dèi, a volte, non hanno davvero pudore.»

«Lo dici solo perché non è arrivata Psiche, così conciata» lo rimbeccò con ironia Anita, dandogli un colpetto sullo stomaco con fare divertito.

«Puoi forse criticarmi?» replicò allora lui, scoppiando a ridere con la moglie.

Nell’uscire dalla dependance mentre le loro risate andavano scemando, Carlos commentò con la moglie: «Chissà perché aveva quella faccia, comunque…»

«Se ha chiamato proprio Eros, oserei dire che è un caso delicato.»

«Uhm… cherchez la femme?» ipotizzò l’uomo.

Anita assentì, chiosando: «Ho idea di sì.»

«Era ora» motteggiò a quel punto Carlos, ricevendo per diretta conseguenza uno schiaffetto sulla spalla da parte della moglie.

Lui, però, non vi fece caso. Era inutile che la moglie facesse la finta puritana; il nipote era in gamba, sapeva un mucchio di cose… ma, quanto a donne, non aveva ancora imparato nulla, ed era tempo che si desse da fare.


 

  
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