Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Moonlight_Tsukiko    09/06/2020    2 recensioni
Eren Jaeger sogna di vivere in un mondo dove sua sorella è ancora viva e di non dover usare le sue preziose strategie di adattamento per provare qualcosa che non sia dolore. Ma la vita ha il suo modo per distruggere tutto ciò che vi è sul suo cammino, ed Eren si ritrova in una spirale dalla quale non sembra uscirà molto presto.
Come capitano della squadra di football della scuola superiore Shiganshina, Levi Ackerman sembra essere la colonna portante per i suoi compagni di squadra. Ma quando non è in campo e non ha indosso la sua maglia sportiva, diventa semplicemente Levi. Levi Ackerman forse sarà anche in grado di aiutare le altre persone, ma Levi certamente non può difendersi dallo zio alcoldipendente.
Nessun altro ha provato il loro dolore, nessun altro ha vissuto ciò che hanno vissuto loro, e nessun altro potrà mai capirli. Ma tutto cambia una volta che si stabilisce una relazione non convenzionale che li forza a mettere a nudo tutte le loro cicatrici.
Genere: Angst, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Berthold Huber, Eren Jaeger, Jean Kirshtein, Levi Ackerman, Marco Bodt
Note: AU, OOC, Traduzione | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate
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Go Ahead and Cry, Little boy
Capitolo 16
 
Levi

L’aria è fredda e mi brucia immediatamente le mie mani scoperte. Ignoro il pizzicare del vento contro le guance e fortifico la presa delle dita attorno alla ringhiera. Fisso il paesaggio sotto di me, i miei occhi seguono i percorsi delle auto. Sembrano piccole da quassù, quasi come delle formiche sul prato, e questo mi fa spezzare il fiato, per quanto strano possa sembrare.

Chiudo gli occhi ed espiro lentamente. Le orecchie cominciano a far male, ma le ignoro in favore di concentrarmi sui suoni attorno a me. Il vento pare un leggero respiro contro l’orecchio; rivolgo l’attenzione al lieve suono delle macchine sotto di me.

Ripenso a Eren senza neanche provarci. Tengo gli occhi chiusi e intensifico ancora la presa sulla ringhiera. La mia mente rievoca quel pranzo ancora e ancora; non riesco a smettere, non importa quanto ci stia provando. È come fossi intrappolato in un loop temporale che mi tortura giorno e notte.

Mi sento perso.

Non ho mai affrontato una situazione simile prima d’ora. Eren è qualcosa di nuovo e, per quanto ci provi, ho paura che non riuscirò mai a comprenderlo davvero. La maggior parte delle mie amicizie erano facili. Non dovevo sforzarmi. Semplicemente, funzionavano.

Ma Eren è diverso. Devo cercare di farla funzionare. Non posso starmene seduto e aspettare che le cose si sistemino da sole. È come se Eren stesse correndo e fosse in vantaggio, mentre io fatico a stargli dietro. Cavolo, forse non voglio stargli dietro. E va bene. Davvero.

Voglio solo stargli accanto.

Questo pensiero mi fa battere forte il cuore. Non ho mai desiderato qualcuno finora. Le relazioni per me non significavano nulla. Sono uscito per un breve periodo con una cheerleader alla fine del secondo anno, ma mi aveva lasciato perché non passavo mai tempo con lei. Ripensandoci adesso, so che mi comportavo così perché avevo paura. Uscire in quel senso era una cosa nuova. Doversi preoccupare di qualcun altro mi era nuovo.

L’ultima persona di cui mi importava davvero era mia madre. So che anche lei mi voleva bene, nonostante non fossi stato nei suoi piani. Avrebbe sempre voluto trasferirsi in California. Abitava lì, prima che i suoi genitori la diseredassero. Mi ha sempre detto che era il suo sogno. Diceva che era quello il motivo per cui vendeva il suo corpo a chiunque lo volesse. Voleva risparmiare soldi per tornare in California.

Ma poi morì.

Quando la seppellirono in quella bara nera, il mio interesse nel preoccuparmi di qualcuno è stato seppellito con lei.

Ma poi era arrivato Eren.

Non mi importava di lui quando mi è venuto addosso sbucciandosi il mento quella sera a mezzanotte. Non mi importava di lui quando l’avevo atterrato sul pavimento e avevo permesso ai miei amici di prenderlo in giro. Non mi importava di lui quando ha rotto il braccio di Reiner alla festa di Bertholdt.

Ha cominciato a importarmi quando mi ha lasciato trascinarlo fino al ristorante perché non volevo pensare a quanto fosse felice mio padre con la sua nuova famiglia. Ha cominciato a importarmi quando ho realizzato quanto vulnerabile in realtà fosse e che tutte quelle parole vuote di quanto se ne fregasse di tutto fossero solo bugie. Ha cominciato a importarmi quando ho capito quanto si sentisse solo e spaventato, cercando di superare un momento difficile della sua vita.

Ha cominciato a importarmi quando ho capito che eravamo uguali.

Non mi ero reso conto di questa realizzazione. Pensavo di vederlo in modo diverso perché eravamo amici. Pensavo che la mia preoccupazione per lui fosse perché eravamo amici e volevo assicurarmi che stesse bene. Non volevo sviluppare un sentimento diverso. Non volevo accadesse.

Ma… è successo. È più di questo. E anche se non sono sicuro di quanto profondi siano i miei sentimenti per lui, so che mi preoccupo per lui, più di quanto mi sia mai preoccupato per qualcuno da un bel po’ di tempo. Voglio aiutarlo, nonostante non possa fare molto. Voglio fare la differenza.

Voglio dimostrargli che ci sono, che non è solo e che non deve avere paura.

Ma so che non vuole la stessa cosa. E lo capisco, credo. Anche io sono abituato a stare da solo. Ecco perché la mia amicizia con Eren era sempre così confusa. Non sapevo cosa fare perché non avevo mai considerato qualcuno un amico dopo Isabel e Farlan.

Certo, avevo i ragazzi della squadra. Ma una volta finita la stagione sportiva, nessuno aveva bisogno di me. Ognuno di loro aveva un altro circolo di amici. Non ero più rilevante perché non ero più il loro capitano. La sola eccezione erano Marco e Bertholdt; ma non parlo con quest’ultimo da quando ha lasciato la squadra e anche Marco ha altri amici.

Non mi ha mai infastidito questo pensiero, però. Non mi era mai importato che ognuno avesse altre cose da fare. Non ho mai avuto bisogno di qualcuno intorno.

Ma non riesco a sopportare l’idea di Eren fare la stessa cosa con me. Non voglio che lui mi abbandoni. Non voglio che lui sia qualcuno di importante per me solo per alcuni mesi.

Io voglio solo… lui.
 
 
***

Eren non si fa vedere a scuola per tutta la settimana dopo quel pranzo passato assieme. All’inizio pensavo stesse solo saltando inglese. Ma poi mi sono accorto che non lo incrociavo per i corridoi e che non era presente nemmeno a educazione fisica.

Mi ritrovo a preoccuparmi nuovamente per lui. Il mio cervello cerca di seguire la situazione logicamente. Forse sta male. Potrebbe essere in vacanza. O si sta prendendo una settimana libera solamente perché vuole farlo. Ma non importa che scusa cerco, non riesco a smettere di preoccuparmi.

Quando la campanella suona la fine della lezione di ginnastica, mi ritrovo a cercare Bertholdt per il corridoio. So che a volte esce con Eren. Forse sa che fine ha fatto.

Solo quando sono a due passi da lui realizzo quanto imbarazzante sarà questa conversazione. Non gli ho più rivolto la parola da quando mi ha restituito l’uniforme. Ma non sono arrabbiato con lui. So perché l’ha fatto.

È solo… strano.

Scuoto la testa e mi schiarisco la gola.

“Ehi,” dico casualmente.

Bertholdt si ferma e mi guarda. Sembra scioccato, come se non credesse che gli abbia appena parlato. Ma immagino di non poterne essere sorpreso. Mi scrivo una nota mentale di parlagli più spesso; è un ragazzo a posto.

“Ciao, Levi,” risponde lentamente corrucciando la fronte. “Uhm… come va?”

“Sei amico di Eren, giusto?” Chiedo, appoggiando la schiena contro gli armadietti. Lui annuisce e comincia a chiudere la cerniera dello zaino.

“Sì, perché?” Mi guarda confuso. “Gli è successo qualcosa?”

Mi irrigidisco al pensiero.

“Volevo chiedertelo io.”

Bertholdt scuote la testa.

“Non lo vedo da tutta la settimana,” ammette. “Tu?”

“Neanch’io,” dico, scorrendo le dita tra i capelli. “Ti ha detto qualcosa?”

“Del tipo?”

“Non lo so,” continuo, mordicchiandomi la guancia. “Forse che avrebbe saltato la scuola o qualcosa del genere.”

Scuote ancora la testa.

“Non mi ha detto nulla,” risponde, arricciando le braccia. “Pensi che stia bene?”

“Sì,” lo rassicuro, nonostante la sensazione di freddezza che sento allo stomaco. “Sono certo che sta bene.”
 
 
***

Eren sta assolutamente bene, se il falso sorriso che mi dedica alla porta significa qualcosa.

“Mi stavo chiedendo quando ti saresti fatto vedere,” dice, appoggiandosi contro la porta. “Stavo cominciando a sentirmi offeso per non essermi venuto a cercare prima.”

Assottiglio gli occhi e mi prendo un momento per guardarlo. Sembra normale, onestamente. Incrocio le braccia e sollevo un sopracciglio.

“Perché non sei venuto a scuola?”

 “Sono un ragazzo dell’ultimo anno che salta la scuola,” risponde subito.

“Non è una scusa,” continuo. Eren sbuffa.

“Invece sì. Sono all’ultimo anno. Lo saprei.”

Decido di non classificarla come risposta. Mi mordo la guancia e lo guardo. Il sorriso sul suo viso sfuma mentre mi guarda.

“Cosa?” Chiede, la voce sottile.

“Eren…” prendo un respiro profondo. “Eren, mi dispiace.”

Lui fa una smorfia.

“Tranquillo.”

“Non intendevo dire… lo sai.”

“Sì, lo so.”

“Okay,” dico, annuendo a me stesso e facendo un passo indietro. “Beh, sono contento tu stia bene. Vieni a scuola lunedì, vero?”

“Sì-”

“Bene. Ci vediamo, allora.”

“Levi,” comincia, ma gli do le spalle immediatamente. Sento dei passi dietro di me e poi mi afferra il polso, ma non mi giro. “Levi.”

“Che c’è?” Chiedo con voce spezzata. Eren prende un tremolante respiro dietro di me.

“Non farlo.”

“Non fare cosa?”

“Andartene,” sussurra. “Non andare.”

Penso alla sera in cui si è ubriacato. Anche allora mi aveva chiesto di restare. Ma non l’avevo fatto. Non volevo rimanere perché avevo paura. Avevo paura di quello che sarebbe potuto succedere, qualcosa che non sapevo se sarei stato in grado di fermare.

Ma quel qualcosa era già successo. Quel qualcosa che aveva cambiato irrimediabilmente la nostra amicizia.

Immagino sia per questo che ora non ho paura.

“Va bene,” rispondo a bassa voce, girandomi verso di lui.

Eren annuisce e mi lascia il polso. Non c’è traccia della sua solita ironia, della sua testardaggine. Non ora, almeno. Sembra vulnerabile. Sembra sia a tanto così dal crollare.

Il mio cuore fa male fisicamente alla vista. Mi lascio condurre fino alla sua stanza. Penso a quando abbiamo visto un film qui. Lascio che mi trascini sul letto in modo da sdraiarci uno accanto all’altro. Siamo abbastanza vicini che le nostre spalle sono premute insieme sul suo piccolo materasso.

Guardo il soffitto. Delle strisce di luce dividono la stanza da una parte all’altra, partendo dalla finestra. Noto che le lampadine sono a forma di conchiglia. Ne seguo la lunghezza fino a quando la mia testa non si gira nella direzione di Eren.

Anche lui sta guardando il soffitto, in completo silenzio e calma.

“Eren?”

“Mi dispiace,” dice. “Non avrei dovuto dirti quelle cose a pranzo. Non volevo dirle. Stavo solo sparando cazzate perché… perché ho-”

“Paura?”

Eren aggrotta le sopracciglia e mi guarda.

“Non ho paura.”

“Io sì,” ammetto. Sposto i capelli dalla fronte e rido amaramente. “Sono terrorizzato, in realtà.”

Eren si morde il labbro inferiore prima di scuotere la testa.

“Conosci qualcuno?” Chiede. Non capendo, aggrotto le sopracciglia.

“In che senso?”

“Conosci davvero qualcuno? Capisci davvero una persona, fino in fondo?”

“No,” rispondo, ed è la verità. Non ho mai capito nessuno. “E tu?”

“No,” conferma Eren. Si prende un attimo per riflettere, pensieroso. “Specialmente te.”

“Non mi capisci?” Dico, cercando di stuzzicarlo. È un tentativo fallito per allietare l’atmosfera. “Cavolo.”

“Neanche tu mi capisci, vero?” Continua. “Ecco perché siamo… così. Confusi, intendo.”

“Esatto, Eren.” Rispondo. “Io non ti capisco.”

“Voglio che tu lo faccia,” dice. “E voglio capirti anch’io. Ma è così… terrificante.”

“Lo so,” lo rassicuro. “Nel senso, devi essere vulnerabile. Devi raccontare tutto. Dare tutto te stesso a un’altra persona.”

“Già, esatto,” mormora Eren. Sospira e scuote la testa. “Voglio che torniamo a essere come prima.”

“Possiamo esserlo. Lo siamo già.”

“Non è vero,” dice, arricciando le labbra. “Ora è tutto un casino.”

Deglutisco.

“Pensi che possiamo sistemare le cose.”

“Tu?”

“Non so se possiamo, ma voglio farlo,” dico. Prendo un altro respiro profondo. “Senti, Eren. Mi va bene essere solo amici. Non mi aspetto nulla da te.”

Eren non risponde per un po’. Lo fisso mentre attendo una sua replica.

“Perché me?” Chiede, ridendo amaramente. “Hai un sacco di opzioni. Tipo, una tonnellata. Posso garantirti che avresti meno problemi con qualcun altro.”

“Mi piacciono le sfide,” scherzo. “Mi fanno rimanere con i piedi per terra.”

Eren ride, ma non dice nient’altro. Incrocia le braccia dietro la testa e fissa il soffitto. Deglutisco e faccio lo stesso.

“Voglio solo stare con te, Eren,” dico. “Non mi interessa sotto quale luce.”

“Sei sicuro?” Chiede con voce calma e controllata. “Non sono la miglior compagnia del mondo.”

“Non m’importa,” rispondo, guardandolo. “Sei… sei tutto ciò che voglio.”

“Voglio provarci,” continua Eren, proprio quando pensavo che non avrebbe più detto nulla. “Voglio che ci proviamo.”

“Okay,” dico tranquillamente. “Proviamoci, Eren.”

Eren annuisce e si gira per guardarmi. Lo guardo anche io, il cuore aumenta il suo battito nel mio petto.

“Siamo apposto adesso, giusto?”

“Sì,” rispondo. “Siamo apposto, Eren.”
 
 
***

Eren e io restiamo seduti a parlare di cose senza un vero significato fino a quando lui non si solleva improvvisamente.

“Usciamo,” dice.

Tiro fuori il telefono dalla tasca e controllo l’ora. Fischio quando vedo che sono quasi le sette. Non avevo realizzato di essere rimasto qui così a lungo.

“Adesso?”

“La notte-”

“È giovane. Lo so.”

Eren sorride.

“Coraggio. Se andiamo adesso non dovremmo dare spiegazioni a nessuno.”

Rido. Ci alziamo e scendiamo le scale. Noto che non ci sono macchine nel vialetto.

“I miei genitori sono al lavoro.”

Annuisco e distolgo lo sguardo dal vialetto. Eren si sta chiudendo la giacca.

“Ti fanno problemi per uscire?”

“Nah,” scrolla le spalle Eren. “Ormai a loro non interessa più. È più che altro Jean che rompe.”

“Tuo fratello?”

“Cognato, in realtà,” mi corregge Eren. “Stessa cosa però, no?”

“Sì, credo.”

“Sgattaiolo via troppo spesso per i suoi gusti,” continua Eren. Indossa le scarpe e mi guarda. “È l’unico a cui importa ancora di me.”

Deglutisco amaramente.

“Mi dispiace.”

“Non essere dispiaciuto,” mormora Eren. “Io non lo sono.”

Non so cosa dire. Rimango in silenzio mordendomi la guancia.

Usciamo e mi pento immediatamente di non indossare una giacca appropriata al tempo esterno. Tiro su il cappuccio della felpa e infilo le mani nelle tasche.

“Dove andiamo?” Chiedo.

“È una sorpresa,” dice Eren con un sorriso.

Scuoto la testa e non dico nient’altro.

Camminiamo per la strada in silenzio. Guardo bene tutti gli edifici che ci circondano. Il quartiere di Eren non è diverso dal mio. Ha lo stesso tipo di atmosfera suburbana, ma c’è qualcosa di innegabilmente diverso. Immagino sia perché è nuovo. È nuovo e sconosciuto, privo di ricordi dolorosi. Mia madre e Kenny non sono qui.

C’è solo Eren.

Finiamo in un piccolo bar. È così piccolo che quasi non lo avevo notato passandoci accanto. Eren apre facilmente la porta, come se ci fosse entrato un centinaio di volte.

Lo seguo e osservo la stanza. Le pareti erano tinte di svariati colori, una miriade di verdi, arancioni e gialli. Normalmente, tutti insieme risulterebbero esagerati. Ma qui sembravano trovare la loro armonia.

Mi avvicino a un muro, dove a quanto pare le persone ci scrivono di tutto. Alcune scritte dovrebbero essere poesie filosofiche mirate all’ispirazione e al ragionamento. Altre sono lunghi paragrafi che non hanno senso. Beh, per me almeno.

“A mia sorella piaceva questo posto.”

Mi giro per guardare Eren.

“È particolare,” dico. Eren ridacchia. “Non in senso brutto, però. È piuttosto figo.”

“Lei era così. Particolare, intendo. A lei… piaceva molto l’arte. Diceva che era la sua scappatoia.”

Allungo la mano per appoggiarla contro il muro. È solido contro il palmo.

“E per te?” Chiedo, girandomi verso di lui.

I suoi occhi si spalancano.

“Non vengo qui da quando…” si fermò.

Decido di non spingermi oltre.

“Hai fame?” Chiedo, girando la testa verso il bancone.

Eren annuisce e io gli sorrido. Raggiungo il bancone per prenderci dei muffin al cioccolato. Ci sediamo a un tavolo vuoto e mi ritrovo a guardare ancora il muro.

“Le persone non sempre sanno qual è il loro sbocco,” continua Eren. “A volte non riescono a trovarne uno che gli piaccia davvero. Ma di solito scrivere aiuta tutti.”

“Hai mai scritto qualcosa?”

Eren scuote lentamente la testa. “Mai voluto” spiega. “Mia sorella l’ha fatto, però. Un sacco di volte, in realtà.”

Mi alzo, abbandonando il muffin. Eren solleva le sopracciglia, ma non dice nulla quando cammino verso la parete.

Afferro un pennarello da un astuccio attaccato alla parete. Lo fisso per alcuni secondi fino a quando non vedo un punto vuoto. Togliendo il tappo al pennarello, comincio a scrivere.

Quando finisco, rimetto a posto il pennarello. Eren si avvicina e osserva il muro, per poi guardami curiosamente.

“Vivi impavido?”

“È un gran bel motto, non trovi?” 

“Pensi sia possibile?” Domanda Eren.

Lo guardo e sorrido.

“Penso che possiamo provare.”
   
 
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