Videogiochi > Kingdom Hearts
Segui la storia  |       
Autore: Xion92    10/06/2020    1 recensioni
Post-KH3. Kairi è disperata perché non c’è modo di riportare Sora indietro. Ma quando, poco dopo, Ansem il saggio le rivela la verità sul suo passato, per la ragazza si apre una nuova prospettiva di vita.
Cosa significa veramente essere il capo di un mondo e governarlo? Quanti modi ci sono per farlo, e qual è quello più efficace e accettabile al tempo stesso? Quali pericoli, minacce e congiure attendono un principe? Questa è la storia di tre generazioni di sovrani del Radiant Garden, in cui ognuno di loro, a modo proprio, cerca di portare il regno verso la prosperità. Una storia di governo e di politica, fortemente basata su “Il principe” di Machiavelli.
(Il rating è arancione solo per il capitolo 7, tutto il resto dovrebbe mantenersi sul giallo)
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kairi, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Ehilà, sono tornata!

Questa volta è stata un'assenza lunga, ma sono in un periodo in cui devo dare cinque esami, finora ne ho dati solo tre, quindi per scrivere non avevo molta ispirazione. Questo capitolo è un po' corto, perché tutta la parte sull'esplorazione della città ho deciso di metterla nel prossimo, così potrò farlo più lungo. Starete notando forse una cosa, da un certo punto in poi le citazioni del Principe non le ho più inserite a inizio capitolo, nonostante questo qui, per esempio, sia pieno di concetti machiavellici. Questo perché sto tenendo da parte le citazioni per più avanti, quando il tutto potrà avere un riscontro nella storia. E' inutile che applichi certi ragionamenti e citazioni quando la protagonista è Kairi, che come avete visto ha un modo di comportarsi e pensare completamente opposto a quanto dice il trattato. Qui ci sono solo concetti teorici, ma l'applicazione pratica di tali concetti ancora no. Buona lettura!

 

Capitolo 12 - Come un principe dovrebbe rapportarsi coi sudditi


Camminando svelta verso il castello, tenendo l’ombrello chiuso perché al momento cadevano solo poche gocce, Kairi, pensierosa, teneva la testa bassa. Non avrebbe mai creduto di poter incontrare di nuovo sua nonna; era da molto tempo che non pensava più a lei. Quando era piccola non se ne ricordava; più tardi aveva riacquisito alcuni ricordi, ma a quel punto aveva dato per scontato che ormai fosse morta. Quella scoperta le aveva fatto respirare l’anima, che in quelle due giornate, e nelle settimane precedenti, si era sentita soffocare. Era ben decisa, ora, a recuperare tutto il tempo perduto con lei, e si prese l’impegno di andarla a trovare tutti i giorni, con qualunque temperatura o condizione atmosferica; e, qualunque cosa avesse avuto da fare, sarebbe stata con lei almeno un’ora. Era impaziente di scoprire quali altre fiabe e leggende conosceva la sua adorata parente, e di farsi raccontare di più sulla vita quotidiana del suo nuovo mondo.

Ragionando così, mentre era ancora nel quartiere est, si sentì chiamare. Non si rese subito conto che sulla strada acciottolata c’era qualcuno oltre a lei, perché teneva lo sguardo basso, essendo persa nei suoi pensieri. Ma, quando guardò chi l’avesse chiamata, non fece fatica ad identificare la donna davanti a cui si era chinata, poco prima, per raccogliere l’ago. La donna era avvolta nei suoi abiti modesti ma senza buchi e toppe, e non aveva alcun ombrello con sé. Si avvicinò a Kairi e fece un profondo inchino davanti a lei.

“Signorina, non so se vi ricordate… grazie per prima… non so davvero cosa dire…” mormorò, incespicandosi.

“Ma non dovete ringraziarmi”, la tranquillizzò Kairi. “Era solo un ago. Avrei dovuto lasciavi lì a cercare senza poter finire il lavoro?”

“No, ma…” rispose la donna, confusa. “Se ci fosse stato vostro padre… probabilmente se avesse visto l’ago, me lo avrebbe indicato perché poi potessi raccoglierlo io. Sì, vostro padre in passato ha fatto del bene a questo mondo e a noi, sebbene non lo ricordi quasi nessuno, eppure… lui manteneva una certa distanza da noi. Voi siete aristocratici, siete principi… non dovreste stare con la fronte china davanti a una persona modesta come me.”

“E questa è una legge scritta?”, volle sapere Kairi.

La sarta era allibita. “No, non c’è scritto da nessuna parte, ma… si sa… si è sempre fatto così.”

“Beh, se non c’è una legge che lo vieta, non vedo perché dovrei evitare di fare di tutto per aiutare le persone che un giorno governerò”, spiegò Kairi con pazienza. Era incredibile. Le sembrava quasi di star spiegando un concetto elementare e scontato ad una bambina.

La donna la guardò scioccata, poi si asciugò gli occhi col dorso della mano. “Scusate, non dovrei reagire così… ma non credevo… di poter meritare un’attenzione simile da una futura principessa.”

Kairi stava per rispondere che l’aveva fatto a prescindere, e non perché lei se lo fosse meritato, quando ricominciò a piovere fitto all’improvviso. Subito la ragazza aprì l’ombrello per proteggersi, ma si accorse che la sarta non ne aveva uno.

“Non avete un ombrello, signora?”

“Oh, sì che ce l’ho, ma sapete, stamattina fra tutto quello che dovevo fare me lo sono scordato… che sciocca sono stata… ma casa mia è a due minuti da qui, ci metterò poco”, le sorrise l’altra.

“Allora venite qua sotto con me, se mi dite dov’è casa vostra vi accompagno io”, propose subito Kairi.

“Oh, ma signorina…” fece un passo indietro la donna. “Davvero, non posso permettervelo…”

Kairi allora, stufa, si avvicinò a lei e le mise l’ombrello sopra la testa. “Su, ditemi dove abitate”, le disse spiccia.

“Fra… fra tre incroci a destra…” rispose la sarta frastornata, e si avviò, con Kairi di fianco che reggeva l’ombrello su tutte e due, fino ad arrivare a una casa, un po’ più grande di quella della nonna della ragazza, anche questa col suo giardino pieno di fango, e dall’aspetto curato, anche se modesto. La donna aprì la porta di casa, dove l’accolsero due bambinetti. Il più grande si coprì la bocca con la mano quando vide Kairi.

“Mamma, ma lei è la futura principessa!” esclamò emozionato, e il più piccolo la guardò incantato.

“Bambini, voglio che quando la signorina Kairi sarà diventata la principessa del regno, le portiate il massimo rispetto. E’ stata così gentile per ben due volte con me oggi, tanto che mamma non sa come ripagarla. Signorina… è ora di pranzo e sta piovendo… non vorreste rendere onore a questa casa fermandovi a mangiare con noi? Le cose che mangiamo sono semplici, è vero… ma è il minimo che possa fare per ripagarvi.”

“Sì, sì!”, esclamarono eccitati i due bambini. “Restate con noi a pranzo, restate!”

Kairi era sorpresa: fermarsi a mangiare in una casa comune, dove c’erano cibi semplici e avrebbe potuto iniziare a conoscere in modo più tranquillo qualcuno del popolo? L’offerta la allettava molto, ma…

“Mi dispiace, signora, il vostro invito mi fa molto piacere, ma oggi ho promesso a mio padre di tornare a pranzo al castello. Ma se volete, dopo lo avviso, così potrò fermarmi domani.”

I bambini mostrarono di essere rimasti molto male a quella obiezione, e si guardarono intristiti.

“Su, su, non fate così”, si affrettò a consolarli Kairi. “Facciamo così, vi prometto che domani verrò. Verrò di sicuro. Però voi dovete smettere di fare quelle facce.”

La luce illuminò di nuovo i visi dei due bambini, e anche quello della madre.

“Ed io vi prometto, signorina, che vi farò trovare quanto di meglio abbiamo. Bambini, è meglio che la nostra futura principessa venga domani. Con la casa così in disordine come è oggi, come potremmo darle l’accoglienza che si merita?” aggiunse la donna.

Kairi si mise a ridere a quelle parole, e si abbassò per avere la testa all’altezza di quella dei bambini. “Allora oggi mi promettete che aiuterete la mamma a pulire la casa? Guardate che domani controllo, eh”, disse facendo la voce severa.

“Puliremo tutto noi!”, esclamarono convinti i due bimbi, e la madre guardò Kairi entusiasta, mentre si salutavano e la futura principessa riprendeva la strada di casa.

 

Ora Kairi si sentiva quasi allegra: a parte qualche resistenza dovuta alla formalità che aveva avuto quella donna, tutta la vicenda le sembrava quasi come se fosse potuta accadere con una vicina di casa. Come se si fosse appena trasferita in un altro paese, come una normale cittadina, e stesse cercando di familiarizzare con il vicinato. L’idea di poter pranzare con una famiglia modesta, come d’altronde era sempre stata anche lei, poter mangiare cibi semplici e genuini invece che quelli sofisticati che preparavano al castello, poter chiacchierare normalmente e servirsi in modo spontaneo senza dover aspettare i camerieri… tutte queste prospettive la facevano stare bene. Ed inoltre, pensò poi, ne avrebbe approfittato per chiedere a quella sarta che problemi stesse attraversando la sua famiglia. Era vero che il Radiant Garden di problemi ne aveva, ma lei voleva partire con le risoluzioni delle varie questioni partendo proprio dal basso, cioè dai sudditi, magari quelli più modesti. Il resto sarebbe venuto dopo.

Quando entrò nel castello e poi nella sala da pranzo, trovò che suo padre, Kain e gli altri erano già a tavola.

“Scusate se ho fatto tardi…” iniziò rivolgendosi al padre.

“Non preoccuparti, ci siamo seduti solo adesso, dobbiamo ancora iniziare a mangiare”, la tranquillizzò Ansem.

“Intendiamoci, dobbiamo iniziare a mangiare perché vi stavamo aspettando”, precisò Kain, ridacchiando, e il vecchio principe gli rivolse un’occhiataccia che lo zittì.

“Invece di dare da dire alla nostra futura principessa, parliamo di te, piuttosto, kupò, visto che ci siamo”, intervenne Mog, innervosito, e si alzò dal suo posto per piazzarsi, svolazzando, di fronte alla faccia del bambino. “Stamattina mi hai detto che i prodotti della colazione erano quasi finiti. Ebbene, io sono arrivato qui e non era vero, kupò!”

Kain però non si scompose di una virgola, e rispose tranquillo: “mi sa che stamattina eri un po’ assonnato, Mog, e non hai capito. Io ho detto che erano rimasti solo gli avanzi.”

“E quindi, non era vero, kupò”, insisté il moguri, sempre più nervoso.

“Ma con avanzi non intendevo mica che era rimasta robaccia. Se tu pensi che gli avanzi sono solo gli scarti, non è colpa mia. Un avanzo vuol dire solo meno di prima. E prima di uscire dal castello, c’era molta più roba di quando sei arrivato tu”, spiegò calmo Kain. “Anzi, se non ti avvisavo stamattina, forse ne trovavi ancora meno.”

“Oh…” mormorò allora Mog, calmandosi. “Allora, se la intendevi così, non ho proprio nulla da dire, kupò. Ti ringrazio tanto per avermi fatto questo favore”, e tornò docile a sedersi al suo posto.

“Dovresti riflettere bene”, aggiunse Kain “prima di dubitare di quello che ti dice qualcuno che voleva solo aiutarti”, e Mog annuì, con un’espressione contenta sul muso.

Kairi era rimasta impietrita. Era vero che Mog non era proprio una cima, ma Kain, nonostante i suoi cinque anni scarsi, era riuscito a raggirarlo in una maniera incredibile, mantenendosi tranquillo, calmo e sicuro di sé. Addirittura era riuscito a convincere Mog che gli aveva fatto un favore, invece di mentirgli spudoratamente pur di toglierselo di torno, e ne era uscito in un modo completamente pulito, anzi, aveva addirittura rafforzato la propria immagine.

Ansem, invece di rimproverare il bambino per la menzogna appena detta come Kairi si aspettava, si limitò ad alzare gli occhi al soffitto, e disse poi con tono stanco: “Kairi, per favore, vieni a sederti, che mangiamo.”

 

Durante il pasto, ricco e pesante com’era normale per un pranzo da aristocratici, Ansem iniziò ad indagare su quello che Kairi aveva fatto durante la mattinata.

“Allora, figliola, cosa mi racconti di bello?”, le chiese in tono affabile.

Kairi fu contenta di quella domanda, perché era certa che iniziare a parlare con suo padre di quello che aveva notato nel regno le avrebbe dato l’opportunità di avvicinarsi un po’ a lui, magari anche di stringerci un legame.

“Ho incontrato mia nonna”, rispose subito, decidendo di partire dalle notizie migliori, almeno dal suo punto di vista. Anche se sapeva che per Ansem non doveva essere così, e in un certo senso voleva testare la sua reazione.

Il padre apparve smarrito a quella risposta. “Tua nonna…? Kairi, tua nonna è ancora viva?” chiese, agitato e in apprensione.

“Sì”, rispose la ragazza. “Pensavate… che fosse morta? E’ per questo che non mi avevate detto di lei quando sono tornata qui? Ho saputo di lei per altre vie.”

“In realtà no”, rispose affranto il vecchio principe. “A dire il vero, non mi ricordavo nemmeno più di lei. Con tutto quello che è successo, mi è passata completamente dalla testa…” e chinò lo sguardo, fissando il piatto.

“Kairi, tuo padre e tua nonna non hanno mai avuto un buon rapporto”, cercò di giustificarlo Ienzo. “Se non ti ha detto di lei, è perché davvero non se ne ricordava, devi crederci. Non prendertela con lui.”

Kairi sapeva che forse avrebbe dovuto arrabbiarsi o almeno mostrarsi offesa per quello che Ansem le aveva detto, ma alla fine non ci riuscì. Sua nonna aveva avuto ragione: il vecchio principe non le aveva tenuto nascosta la sua vecchia parente di proposito, e non poté fare altro che credere alla sua buona fede. A vederlo, le sembrava davvero dispiaciuto.

“Ma anche se non siamo mai andati d’accordo, sono felice che ti abbia cresciuto per quello che ha potuto, e che tu l’abbia ritrovata”, disse Ansem. “Puoi dirle… che se vuole, può venire qui a vivere con noi, se la cosa ti fa piacere.”

“No, non vuole, gliel’ho già chiesto io”, scosse la testa Kairi con tono sereno. “E’ molto vecchia ed ormai è quasi cieca, vuole restare nella sua casetta. Ma andrò a trovarla tutti i giorni.”

Ansem sembrò capire dal tono della ragazza che Kairi non ce l’aveva con lui, e le sorrise rinfrancato. “Hai qualcos’altro da raccontarmi? Hai visto qualcosa di interessante, stamattina?”

“Sì, giusto. Ho convinto alcuni dei sudditi a cercare di essere indulgenti con voi. Loro hanno accettato, ed i prossimi giorni ne parlerò con le altre persone che incontrerò. Vedrete che in poche settimane potrete tornare ad uscire liberamente, e nessuno avrà più da ridire su di voi”, spiegò Kairi. “Ad una condizione, però: i sudditi vogliono che, in cambio, io diventi la principessa del Radiant Garden al più presto.”

Ansem ascoltò attentamente, poi annuì, alleggerito. “Certo, provvederemo il più presto possibile. Vedrai che in un paio di mesi sarai pronta.”

“Grazie, Kairi, di aver fatto da intermediaria”, chinò la testa Even, rispettoso. “Era davvero sconfortante vedere il nostro principe così impaurito al pensiero di uscire. Adesso vedrete che le cose andranno meglio, maestà”, aggiunse, rivolto ad Ansem.

“Oh, la nostra Kairi è arrivata proprio al momento giusto, kupò”, canticchiò Mog, davvero soddisfatto. “Vedrete adesso le cose come andranno bene, il Radiant Garden tornerà ad essere il grande regno che era un tempo.”

“Suvvia, Mog, non credo di aver fatto niente di eccezionale, ho solo parlato con i cittadini con gentilezza”, lo calmò Kairi con modestia.

“Giusto, dici che hai parlato coi sudditi, vero? Cos’altro ti hanno detto?” volle sapere suo padre.

“Beh… un po’ di cose, di problemi che hanno… ma non è che ci abbia capito molto”, mormorò Kairi. “Parlavano tutti insieme, ed era un po’ un problema stargli dietro. Poi ho incontrato Squall e i suoi amici…”

“Hai incontrato Squall?” la interruppe Ansem, mostrando una certa ansia nella voce. “Squall è una delle persone più forti di tutto il Radiant Garden. Dimmi, Kairi… come ti è sembrato? Ce l’aveva con me? Ha mostrato di avermi in odio?”

Kairi ci pensò un po’ su. “No, non mi sembra. Mi è sembrato molto tranquillo, e non ha detto niente contro di voi. Anzi, lui e i suoi amici si sono impegnati durante i mesi scorsi a calmare il popolo ogni volta che si scaldava troppo, così mi hanno detto.”

Allora Ansem tirò un sospiro di sollievo. “Dunque loro sono dalla mia parte… è bello non dover temere i più forti guerrieri del nostro regno.”

“Ve l’avevamo detto, maestà, che vi preoccupate troppo”, commentò Ienzo con tono leggero.

Kairi riuscì appena a carpire da quelle parole quanto suo padre dovesse aver vissuto nel terrore per tutti quei mesi. Anche se sapeva che avrebbe dovuto provare un certo risentimento verso di lui per averla praticamente abbandonata quando era piccola, in realtà le faceva quasi pena.

“Ah, volevo anche avvisarvi di una cosa: domani non ci sarò a pranzo, ho promesso ad una sarta a cui prima ho fatto un favore di rimanere a mangiare a casa sua. Così conoscerò di più anche la sua famiglia e i problemi che hanno”, aggiunse, contenta.

Kain ridacchiò appena coprendosi la bocca con la mano, gli assistenti di Ansem si volsero preoccupati a guardare il loro principe a quelle parole, e ad Ansem si irrigidì il corpo per un attimo, tenendo sospeso il cucchiaio a mezz’aria per una frazione di secondo prima di proseguire. Il vecchio principe non commentò in alcun modo questo annuncio, e Kairi ne rimase stupita: non era stato lui stesso ad esortarla a conoscere meglio i suoi futuri sudditi? Perché non le mostrava approvazione? Il pasto da quel momento proseguì in silenzio, e non uscì più una parola dalla bocca dei commensali. Kairi si sentiva vagamente a disagio: da come il dialogo fra loro era iniziato, si aspettava che suo padre avrebbe voluto sapere tutto nei minimi dettagli, invece la sua curiosità pareva essere sfumata.

Ma quando il pranzo fu finito, Ansem, alzatosi da tavola, disse a Kairi: “vorrei andare su in cima alla torre a prendere un po’ d’aria, mi accompagni?”

Alla futura principessa parve di aver già sentito qualcosa di simile: già un’altra volta Ansem le aveva fatto un discorso importante – in quel caso, le aveva rivelato di essere suo padre – usando una passeggiata come scusa per stare soli. Evidentemente quindi doveva fare una chiacchierata con lei anche stavolta.

“Certo”, annuì allora.

“Vengo anch’io!”, si mise subito in mezzo Kain, avvicinandosi a loro e stringendo il braccio di Kairi.

“No, tu no”, lo allontanò Ansem con garbo. “E’ una cosa tra me e mia figlia. Stai pure insieme a Dilan intanto, visto che, a parte Kairi, è quello che ti sta più simpatico. Quando avrò finito con lei te la lascerò, sarà tutta tua, va bene?”

Quella prospettiva bastò a calmare Kain, che si affrettò a raggiungere la sua guardia preferita.

Ansem allora, con Kairi al suo fianco, uscì dalla sala da pranzo mentre i suoi apprendisti si preparavano a tornare al lavoro. Si diresse verso le stelle blu poste di fianco alle ripide scale che portavano ai piani superiori, e sua figlia lo seguì: Ansem le aveva detto il giorno prima che lui ormai non saliva più le scale normalmente, ma utilizzava questi teletrasporti installati da Even per non affaticarsi troppo.

Una volta arrivati su una delle torri, padre e figlia uscirono sul balcone. L’aria era satura di umidità, il cielo era sempre grigio ed aveva ripreso a piovere in modo copioso. Rimasero un po’ ad osservare dall’alto le case e i giardini spogli e inzuppati d’acqua del loro regno, senza parlare, ascoltando lo scroscio della pioggia.

“Padre…” iniziò Kairi, giusto per rompere il silenzio tra loro due. “Quando pensate che finirà questo brutto tempo?”

“Eh, ancora ci vuole”, sospirò il vecchio principe. “Un altro paio di mesi. Ma pensavo che se il popolo ti vuole così tanto come principessa, sarebbe giusto fissare la cerimonia di incoronazione appena sarà ricominciata la primavera. Nel Radiant Garden finirà la brutta stagione e con te al governo tornerà il sole. Avrebbe un forte valore simbolico. Che ne dici?”

“Penso che possa andare”, annuì Kairi. “Ma ho appena cominciato, padre, prima voglio entrare di più in contatto coi sudditi e capire di preciso quali problemi hanno.”

“Ed è proprio di questo che volevo parlarti. Kairi…” fece Ansem, girandosi verso di lei. “Kain mi ha raccontato quello che è successo con i sudditi, e me l’hai confermato anche tu con quello che mi hai detto prima.”

“Sì, ho cercato di familiarizzare con loro”, annuì la figlia. “Non… non ne siete contento?”, chiese poi, rendendosi conto che il tono che aveva appena usato il vecchio principe aveva qualcosa di non esattamente lieto.

“Sì che ne sono contento, anzi, fare la conoscenza dei sudditi e stare in mezzo a loro è la prima cosa che un buon principe deve fare. Io stesso facevo un giro per la città tutte le mattine quando ancora non mi odiavano. Però bada bene… è il come lo si fa che è importante.”

Kairi lo guardò fisso con aria perplessa, senza riuscire a capire.

“Devi tenere a mente, quando ti rapporti con il popolo, che dovresti mantenere una certa distanza tra te e loro. Ho visto anch’io come ti sei comportata con la servitù stamattina, e Kain mi ha raccontato che addirittura ti sei chinata a raccogliere un ago che era caduto ad una sarta.”

“Ma non avrebbe potuto continuare a lavorare, se non lo avesse ritrovato”, protestò Kairi, contrariata. “Non potevo certo lasciarla perdere.”

“Certo che no, infatti non ho detto questo. Però avresti potuto indicarle l’ago che poi avrebbe raccolto lei, non chinarti tu”, precisò Ansem, con la pazienza di un sovrano che ne ha passate tante.

“Ma… non c’è nessuna differenza”, insisté Kairi.

“Certo che c’è una differenza, ed è fondamentale, anche se tu ovviamente non puoi saperlo ancora. Hai tanto da imparare…” sospirò il vecchio principe. “Ascolta, figliola, devi tenere sempre bene a mente una cosa quando interagisci col popolo: tu sei la principessa. Loro sono i sudditi. La differenza è tutta qui. Chinare la testa di fronte a loro ha un significato intrinseco che alla fine vi mette alla pari, e questo non va bene. Prendiamo poi la tua idea di rimanere a pranzo da quella famiglia per capire i problemi che hanno: il fine dietro è giustissimo, ma a questo scopo ho predisposto da molti anni che il lunedì mattina sia giorno di udienza. Il castello è aperto per qualche ora e i sudditi, dietro appuntamento, possono entrare a presentarmi i loro problemi. Ovviamente però con tutte le formalità del caso, il principe deve stare seduto sul suo trono e il suddito deve essere davanti a lui a una certa distanza, in modo che la differenza di stato sia ben chiara. Quando sarà lunedì mattina, ti farò vedere come funziona, e quando sarai principessa, potrai farlo anche tu.”

Kairi rimase in silenzio per un po’, cercando di rielaborare tutto quello che il suo vecchio padre le aveva detto. “E i sudditi sono soddisfatti di questo metodo?”

“Suppongo di sì, anche se negli ultimi tempi non si è più presentato nessuno. Come sai, non sono molto ben visto ultimamente.”

“Ma è un modo di fare a mio parere troppo freddo, distaccato… Cosa c’è di male se una principessa vuole essere amica delle persone che governa, vuole essere vicina a loro e avere a cuore i loro problemi? Io non voglio mettere una barriera tra me e loro, voglio stare in mezzo a loro, essere loro amica.”

Il vecchio principe si stropicciò gli occhi col pollice e l’indice prima di rispondere. “Kairi, il modo in cui vuoi governare è molto bello e nobile, credimi. Anch’io, tempo fa, mi ero illuso che questo fosse il modo giusto di fare. Ma purtroppo, figliola, il mondo e le persone non sono come ce li immaginiamo noi. Le tue intenzioni sarebbero perfette se questo regno fosse composto di gente buona, come buona sei tu. Ma le cose non stanno così. Tu sei così perché non hai oscurità dentro di te, ma tutte le altre persone ce l’hanno, in un modo o nell’altro. Gli uomini intrinsecamente sono malvagi, anche se a prima vista non sembra, e in mezzo ad un popolo di malvagi la prima cosa che devi fare è proteggerti. E il modo migliore di proteggerti è anche incutere un giusto timore ai sudditi. E’ anche per questo che voglio che tu impari a combattere al meglio al più presto”, le spiegò con tono fermo, scuotendo la testa con gli occhi socchiusi.

Ma quell’ultima frase fece inorridire la giovane donna. “Mi state dicendo… che io dovrei mettere paura a quella gente? E’ per questo motivo che dicevate che i sudditi non vanno sopravvalutati? Per questo volete che io combatta? E tutte quelle altre cose che non mi tornavano? Kain ha tutte le sue strane convinzioni perché gliele avete trasmesse voi?”

Il suo tono adesso era irritato, anche se stava cercando di contenersi.

“Non agitarti, Kairi. Ti ripeto, il tuo modo di ragionare andrebbe bene in un mondo ideale, ma nel mondo in cui ci troviamo non funziona, te lo posso assicurare. Non fraintendere Kain, è un bravo bambino che non ha cattivi pensieri o intenzioni, se ti pare che certe volte si comporti in modo strano sappi che lo fa solo allo scopo di tutelarsi. Perché purtroppo è questo che col popolo bisogna fare. Per cui, ecco come dovresti fare anche tu: conosci i sudditi e cerca di capire i loro problemi, ma non entrare troppo in confidenza con loro, non dar loro l’idea che tu sia una loro amica, perché non lo sei e non devi esserlo” disse Ansem, mantenendosi calmo.

“A me questo modo di governare non piace, e voglio cambiarlo”, affermò Kairi, decisa. “Non posso andare contro la mia natura e le mie convinzioni, trattando i sudditi come inferiori a me. Ho provato oggi a trattarli come amici, ed ho avuto risultati molto positivi. State tranquillo, maestà, vedrete che il mio modo di fare risolleverà il regno, qualunque problema abbia. Non preoccupatevi troppo, anche Ienzo prima ve l’ha detto.” Quando si innervosiva, non le riusciva proprio di continuare ad imporsi di chiamare Ansem padre, come si era prefissata di fare.

Ansem non riuscì più a rispondere davanti al tono deciso, fermo e al carattere forte della figlia. Inoltre si erano appena ritrovati e non aveva nessuna intenzione di mettersi subito a litigare con lei. Non poté quindi fare altro che annuire combattuto.

“Suppongo che il mio tempo ormai stia giungendo alla fine. Se sei convinta che con questa politica otterrai dei buoni risultati, allora provaci. Può darsi che il tempo darà ragione a te e torto a me, chi può dirlo”, disse con tono indulgente.

Kairi sorrise rinfrancata a quelle parole, e chinò la testa davanti al principe. “Grazie, padre. State tranquillo e dimenticate i brutti pensieri. Lasciate fare a me. Sono sicura di aver scelto la strada giusta, e presto ve ne accorgerete.”

La ragazza fece per tornare dentro il castello, ma Ansem le chiese ancora: “quindi domani rimarrai a mangiare da quella famiglia che dicevi?”

“Sì”, annuì lei. “Gliel’ho promesso. I bambini di quella donna sono davvero adorabili, ci tenevano tanto. Chiederò anche a Kain se vuole venire.”

“No, Kain… meglio se lo lasci qui. Vai tu sola”, la fermò Ansem.

Kairi non si preoccupò di chiedere al padre il perché. Alla fine non aveva molta importanza che anche Kain ci fosse o meno. Lui in fondo era piccolo e doveva ancora crescere, avrebbe avuto tutto il tempo per familiarizzare coi sudditi in futuro.

“Allora intanto oggi pomeriggio gli chiederò di mostrarmi gli altri due quartieri, va bene?”

Ansem annuì. “E stasera, prima di cena, chiama Aqua col computer di sotto. Devi cominciare ad allenarti seriamente, ti ricordi?”

“Sì”, disse la ragazza, convinta. “Ma lo farò per proteggere il regno se dovesse servire, non per altri motivi.”

“Sì, è un buon motivo anche quello”, le sorrise lievemente Ansem. “Ora vai pure con Kain. Noi ci vediamo stasera.” Rimase sul balcone a respirare l’aria fresca e satura di pioggia, mentre la figlia tornava di sotto.

 

Kairi scelse stavolta di prendere le scale, senza usare il teletrasporto. Scendeva gli scalini e non capiva. Non riusciva proprio ad entrare nella testa del vecchio principe. Fare paura ai sudditi per ottenere da loro rispetto… no, non poteva essere così che funzionavano le cose. Per quello che aveva imparato durante la sua vita, il rispetto di qualcuno si poteva ottenere essendo, e non soltanto mostrando di essere, giusti, leali e preoccupandosi del suo benessere. Lei voleva certamente che i suoi futuri sudditi la rispettassero, ma non perché avevano paura di una punizione da parte sua. Kairi sentiva di non poter sopportare che il mondo dove avrebbe abitato d’ora in poi fosse così pieno di ingiustizie, di ineguaglianze, di persone più deboli che dovevano sottomettersi davanti ai più forti. Se il modo di fare di suo padre aveva nel tempo funzionato ed era riuscito a costruire un regno che comunque reggeva, tanto di guadagnato per lui. Restava il fatto che ad un certo punto qualcosa non aveva funzionato, o il Radiant Garden non si sarebbe ridotto così. Qualcosa nella metodologia di Ansem si era inceppato, e nonostante questo lui era così pieno di paure da non volere che lei scegliesse una strada diversa. Kairi sentì il proprio orgoglio, che era intrinseco nel sangue reale che le scorreva in corpo, affiorare con fierezza. Se suo padre non si sarebbe convinto con le sue parole, ci avrebbero pensato i fatti: non aveva intenzione di mettersi di nuovo a discutere con lui. Si sarebbe dedicata solo al regno, e gli avrebbe presentato direttamente i risultati. Lei non lo avrebbe convinto che si sbagliava, glielo avrebbe dimostrato. E la prima cosa che doveva continuare a fare, in quei giorni e quelle settimane, era conoscere per bene il posto in cui viveva, nei minimi particolari. E per questo andò subito a cercare Kain.

Lo trovò fuori dal portone del castello, piazzato sulle spalle di Dilan mentre gettava sguardi fieri intorno a sé. Era chiaro che per un bimbo così piccolo il poter stare appollaiato sopra un bestione alto quasi due metri doveva essere davvero una conquista. La guardia cercava di fare il suo dovere ignorando il piccoletto petulante che, anche da sopra le sue spalle, non faceva altro che tentare di richiamare la sua attenzione perché aveva voglia di chiacchierare. Ma Dilan quando era in servizio non poteva distrarsi, anche se quel bambino gli stava sempre attaccato.

“Kain”, lo chiamò Kairi, andando vicino ai due. “Dilan non è mica un cavallo.”

“Kairi!” esclamò emozionato Kain appena la vide, e saltò giù dalle spalle dell’uomo, che tirò un sospiro di sollievo. Le si avvicinò, abbracciandola alla vita e strofinando la testa sul suo fianco.

“Il mio cavaliere vuole accompagnarmi a vedere gli altri quartieri oggi pomeriggio?”, chiese Kairi cercando di trattenere le risate, stringendolo forte a sé.

“Non avete che da chiedere”, rispose galante il bambino. “Il Radiant Garden è grande. Io lo conosco tutto!”

 

Appena Kairi fu sparita dalla sua vista, Ansem socchiuse gli occhi e tirò un gran sospiro stanco. Erano solo due giorni che Kairi era lì con loro, e già iniziavano a venire fuori i problemi. Si vedeva che quella ragazza non era stata cresciuta da lui ed era una persona completamente diversa da quello che si aspettava. Era vero, il popolo aveva dimostrato grande entusiasmo quando era tornata. Era vero, lei era più che intenzionata a portare il regno verso la prosperità. Sì, era del tutto possibile che sarebbe riuscita a fare un lavoro anche migliore del suo. Eppure proprio quello che, in principio, il vecchio principe aveva individuato come suo punto di forza, ossia il suo cuore puro che non le permetteva di covare odio verso di lui – e che quindi tutelava lui nei confronti della figlia –, adesso Ansem lo percepiva come qualcosa che forse, in futuro, le avrebbe portato svantaggio.

Con la mente confusa, tornò ai piani inferiori e scese nel laboratorio, raggiungendo i suoi assistenti.

“Maestà?”, chiese Ienzo, preoccupato, guardando il suo principe. “Avete parlato con Kairi?”

“Eh…” fece Ansem.

“Non siete più contento che è tornata?” alzò un sopracciglio Even, con una certa ironia nella voce.

“No, certo che sono contento, sono felicissimo che sia qui”, rispose subito Ansem, irritato. “Ma iniziamo già con i problemi. Ho cercato di farle capire il modo corretto di comportarsi con i sudditi, ma non ha voluto sentire ragioni. E io che credevo che si sarebbe comportata secondo le mie direttive… invece è proprio testarda.”

“Un po’ come voi, maestà. Se vi mettete in testa un obiettivo, nulla vi farà cambiare idea”, gli fece notare Ienzo, sorridendo leggermente.

“E’ vero”, ammise Ansem. “Avrà preso da me. Ma lei è davvero intenzionata a trattare i sudditi come se fosse alla pari con loro. Non che abbia qualcosa in contrario per principio, ma è perché tengo a lei e voglio tutelarla che mi sono preoccupato, capite?”

“Io non mi preoccuperei troppo”, rispose Even, alzando le spalle. “Il popolo non la odierà di certo se terrà questo comportamento. E’ questa la questione che vi premeva di più, no?”

“Certo, il popolo non la odierà di sicuro, anzi, la amerà come non ha mai amato nemmeno me nei miei anni migliori. Una principessa che li aiuta, ha cuore i loro problemi e in più li tratta come amici. Cosa potrebbero volere di più?”

“E allora?”, chiese Ienzo.

“E allora, con la malvagità e l’oscurità che cova nel cuore degli uomini, posso solo immaginare cosa succederà. Tutti le vorranno bene finché le cose andranno bene, ma se Kairi non capisce che l’unico modo di farsi rispettare dai sudditi è metter loro paura, succederà che, alla prima difficoltà, le volteranno tutti le spalle. Come hanno fatto con me.” La voce del vecchio principe era davvero turbata, adesso. “E io non voglio che le succeda questo. E’ la mia figliola, e anche se non la conosco ancora bene, tengo a lei. Se dovesse succederle qualcosa, non potrei far niente per aiutarla.”

Even alzò le spalle a quello sfogo. “L’unica cosa che potete fare, maestà, è lasciare che impari da sola sulla propria pelle.”

“Giusto”, approvò Ienzo. “L’avete avvisata. Di più non potete fare. Ha solo diciassette anni e viene da un contesto molto diverso dal nostro, lasciate che faccia le sue esperienze e impari a cavarsela da sola.”

“Già”, ammise Ansem. “Lei ormai è adulta, non posso cambiarla più di tanto. L’importante è che non influenzi troppo Kain con le sue idee. Per questo le ho impedito di portarselo dietro al pranzo con quella famiglia di domani. Lui è bene che certi limiti se li fissi nella mente.”

“E’ piccolo ed è facilmente malleabile”, commentò Even, accarezzandosi il mento. “Potete crescerlo come volete, maestà.”

Ansem annuì. Parlare coi suoi assistenti gli faceva sempre bene, erano gli unici con cui poteva confidarsi a cuore aperto. Ripensò al bambino che viveva con loro, che in poco tempo si era affezionato a Kairi in un modo che lui non avrebbe mai creduto possibile. Forse per il fatto che Kain fosse un orfano, stava inizando a vedere Kairi come una mamma, con un misto di infatuazione e possesso che per un bambino della sua età era accettabile. E dire che, prima di presentargliela, aveva avuto paura che avrebbe potuto detestarla. Sapeva che al piccolo avrebbe fatto molto bene stare con lei, doveva passare il tempo con una persona che potesse in qualche modo sostituire la madre che aveva perso, in modo che potesse crescere come un bambino equilibrato. Ma il vecchio principe era deciso ad occuparsi lui stesso dell’educazione di Kain, quando fosse stato il momento. Già il suo modo di comportarsi che lo portava a mantenere quella giusta distanza dai sudditi lo aveva avviato sulla buona strada. Lo avrebbe preparato al meglio perché potesse diventare, in futuro, un perfetto principe. Lo avrebbe fatto per il bene del regno e per il bene di Kairi, perché Kain potesse aiutarla e proteggerla da un’eventuale rivolta del popolo quando fosse diventato grande.

 

--

... tra l'altro non sarà il protagonista, ma certo anche Kain ha qualcosa in comune col pensiero di Machiavelli, ed anche Ansem. Ansem perché ha imparato sulla sua pelle negli anni cosa vuol dire governare, e Kain perché è ancora un piccolo facilmente influenzabile. Non so quanta autoconsapevolezza ci sia nel suo comportamento, in effetti. Ma vedremo più avanti. Di certo nessuno dei due è in condizioni di applicare questi princìpi, Ansem perché col popolo ha le mani legate, e Kain perché è ancora un bambino e non è un principe, anche se, nel suo piccolo, è comunque in grado di dimostrarli e cominciare a dare un'idea di cosa si tratti.

Al prossimo capitolo!

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Kingdom Hearts / Vai alla pagina dell'autore: Xion92