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Autore: storiedellasera    11/06/2020    2 recensioni
Due alpinisti, sorpresi da una valanga, trovano riparo su una baita di montagna… ignari che qualcosa di spaventoso sta per abbattersi su di loro.
Genere: Horror, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fu nell’inverno del 1979 che l’incubo ebbe inizio.
Mi trovavo su delle alte montagne, insieme al mio migliore amico, per trascorrere con lui una settimana bianca.
Non rivelerò il nome di quei monti poiché non è mio desidero spingere degli sciocchi temerari a visitare quel luogo. Vi basti pensare che strane storie si raccontano a proposito delle montagne e dei loro boschi. Le leggende più antiche parlano di streghe e demoni avvistati da sventurati viaggiatori.
Altre storie parlano di misteriose sparizioni di esseri umani, svaniti nel nulla senza lasciare tracce o indizi che possano suggerire la loro terrificante fine.
Sulle vette più alte delle montagne sono stati rinvenuti persino degli strani simboli incisi su rocce millenarie, probabilmente appartenenti a una religione ormai dimenticata.

Ma le macabre dicerie riguardanti le montagne non scoraggiarono i turisti, bensì alimentarono per anni i loro viaggi in quei luoghi maledetti.
Poiché io e il mio amico eravamo degli alpinisti esperti, e la giovinezza ci rendeva irresponsabili, ci recammo da soli verso le zone più pericolose dei monti durante l’inverno del 1979.
Ricordo che l’imponenza delle montagne esercitava sulla mia persona un fascino imperscrutabile quanto potente. C’era qualcosa di solenne e intimidatorio che rendeva i monti irresistibili.
Quando scalavo quei giganti innevati, e mi immergevo nelle loro primitive foreste, avvertivo una strana e ammaliante comunione con la natura. Ogni fibra del mio corpo sembrava volersi fondersi con quel luogo.
Durante l'inverno il gelido vento scivolava sulle vette dei monti. Come l’aria soffiata su uno strumento musicale, quelle raffiche serpeggiavano tra le montagne, generando sinistre melodie formate da ululati e mormorii. Per me era come sentire la voce di antichi Dei che dimoravano in quei luoghi.

Io e il mio amico eravamo molto vicini alla vetta di una delle montagne quando il tempo iniziò a mutare. Il cielo assunse spaventose tonalità grigie e il vento cambiò direzione, diventando sempre più intenso. Grandi nuvole cupe si ammassarono all’orizzonte.
Ci fu poi il rombo di un tuono.
Era un suono terrificante e io, in quel momento, ebbi l’impressione che provenisse non dal cielo ma dal cuore della montagna.
I rapidi cambiamenti climatici sfociarono in una violenta bufera.
Il vento si fece crudele. Si abbatté su di me e il mio amico con tutta la sua furia. Fui trafitto da mille lame ghiacciate mentre il terrore annebbiava i miei pensieri.
Eravamo impotenti di fronte alla potenza della bufera. Persino il più semplice dei movimenti richiedeva un grande sforzo fisico.
Una vibrazione, inizialmente sommessa, crebbe a dismisura fino a sconquassare l’intera montagna. E mentre il mondo si faceva sempre più tetro, un qualcosa che inizialmente scambiai per un prolungato tuono finì col travolgere me e il amico.
Non so dire per quanto tempo fummo trascinati via dalla valanga, ma quando ripresi i sensi ero ancora sommerso dalla neve.

La bufera era terminata e io e il mio amico eravamo miracolosamente sopravvissuti... seppur feriti.
Alcune delle mie costole erano spezzate e avvertivo continuamente il sapore metallico del sangue nella mia bocca. Ma la ferita che più mi preoccupava riguardava i miei occhi. Probabilmente, mentre venivo portato via dalla valanga, urtai un masso o qualcosa di simile, frantumando gli occhiali da sci che portavo. Diverse schegge si erano conficcate nei miei occhi.
Sentivo i bulbi pulsare dal dolore e lacrime di sangue rigarmi il volto.
Fu il mio amico a riportarmi in superfice. Impiegò moltissimo tempo poiché il suo braccio sinistro era spezzato in diversi punti. L’arto aveva l’aspetto di un qualcosa di molle, come un’appendice di carne morta.
In quelle condizioni non potevamo di certo intraprendere il viaggio di ritorno eppure dovevamo muoverci. Il vento tornò a mormorare tra le montagne, ma il suo verso era differente da quello che avevo udito prima della bufera. Interpretai quel rumore come uno scherno sulla mia persona da parte del vento.
In quel momento ero consapevole che il dolore e la paura stavano suggestionando la mia mente… eppure ero convinto che le montagne mi stessero fissando e traevano un sadico piacere dalle mie sofferenze. Gli alberi sradicati dalla valanga, i boschi all’orizzonte e qualcosa di indicibile che lì viveva mi stavano guardando, deliziati dalla mia sventura.

-Persino in questo momento, mentre mi accingo a scrivere la mia terrificante storia, sono convinto che qualcosa di misterioso mi fissava con intenti famelici.-

La sensazione di essere seguito e osservato non mi abbondò mai.
Con grande fatica, io e il mio amico iniziammo a camminare.
Fu allora che notai l’andamento claudicante del mio compagno e una macchia di sangue espandersi in prossimità del suo ginocchio destro.
Le ferite da lui riportate erano più gravi del previsto.
Lasciammo quel tratto di monte per paura di una seconda valanga. Entrammo in uno dei boschi e all’imbrunire scorgemmo una piccola baita di legno.
Fu costruita all’inizio del 1900 e da allora fu usata per diversi scopi, uno di questi era accogliere viaggiatori stanchi e sperduti.
La vista di quella piccola casetta di legno riempì di gioia i nostri cuori.
Ma fu proprio tra quelle mura che l’incubo si manifestò in tutto il suo orrore.

Una volta all’interno della baita, il mio amico mi sistemò nell’unico letto presente.
Avevo serie difficoltà respiratorie e le ferite ai miei occhi stavano oscurando sempre di più il mondo che mi circondava. Stavo lentamente perdendo la vista.
All’esterno, il vento si fece più forte. Urlava e bussava alla porta della baita… come se reclamasse le nostre anime.
Cercai di dormire ma il mio riposo fu interrotto poche ore dopo da un grido di terrore.
A urlare fu il mio amico che, affacciato alla finestra della casetta, era pallido in volto.
Tremava e farfugliava cose senza senso.
I miei occhi lo percepivano oramai come un’ombra sbiadita. Senza potermi alzare dal letto, cercai di calmarlo e gli chiesi di raccontarmi cosa l’avesse terrorizzato.
La sua risposta mi gelò il sangue nelle vene.
Mi disse che aveva aperto la finestra per scrutare il cielo. Voleva capire se un’altra bufera fosse riapparsa all’orizzonte. Poiché appassionato di astrologia, il mio amico aveva volto il suo sguardo verso le stelle… scomparendo che la stella Sirio era sparita.

Iniziammo a formulare le più svariate ipotesi per spiegare quell’assurdo fenomeno.
Ma nel mezzo della nostra discussione, il mio amicò fu testimone della scomparsa della costellazione di Orione.
Piombò un silenzio irreale nella baita.
Non eravamo in grado di dire una sola parola. Il terrore teneva a freno le nostre lingue.
Ma con il passar del tempo la mia vista peggiorava e solo allora trovai le forze per chiedere cosa stava accadendo nel cielo.
Per alcuni secondi non ricevetti alcuna risposta. Poi il mio amico mi disse che tutte le stelle stavano sparendo.
Il buio iniziò poi a occultare le nuvole e le montagne all’orizzonte.
Scoprimmo così che si trattava di un’ombra che avanzava verso di noi.
Impossibile dire quanto fosse vasta, forse non aveva confini. Ma quel velo oscuro era sempre più vicino alla baita.

Non sapevamo cosa fosse. Non sapevamo se l’ombra copriva o distruggeva tutto ciò che incontrava… ma solo una cosa era chiara: non si fermava.
Toccò poi agli alberi attorno al nostro piccolo rifugio.
Nonostante la mia ferita agli occhi riuscii a vedere, fuori dalla finestra, un gufo volar via da un albero. Ma sia l’arbusto che l’animale furono inghiottiti dal buio senza emette alcun suono.
Impotenti, io e il mio amico restammo a guardare l’oscurità raggiungere la finestra.
Di fronte a noi c’è solo il buio assoluto.
Cercai di comprendere la sua vastità ma ogni mio tentativo mi stava portando rapidamente alla follia.
Il nulla inizio ad entrare nella baita.
Si insinuava tra le tegole di legno, strisciava oltre la finestra e si espandeva sulle pareti.
In quel momento la mia vista venne meno e fui completamente cieco.
Sentii il mio amico agitarsi e camminare freneticamente per tutta la stanza.
Non so cosa successe nei minuti successivi, ma qualcosa lo spinse ad aprire la porta.
Ciò che vide lo traumatizzò nel profondo dell'animo.
Compresi il suo terrore grazie ai rumori che percepivo: il tremore dei suoi passi, i suoi gemiti angosciati e il suo respiro affannoso.
Chiuse di colpo la porta e corse verso di me.
Mi disse di fingermi morto per poi allontanarsi dal mio capezzale. Non feci in tempo a dirgli nulla. Bramavo una qualche spiegazione, un misero dettaglio della sua terrificante scoperta.
Ma non ottenni nulla.
Il mio udito era il mio unico contatto con il mondo… sempre se il mondo esisteva ancora. Udii chiaramente il mio amico aprire una grande mensola e nascondersi al suo interno.
Perché lo aveva fatto?
Ipotesi sempre più spaventose iniziarono ad accalcarsi nella mia testa.

Il mio corpo fu poi attraversato da una strana sensazione, come un recondito tremito.
E allora capii che l'oscurità aveva invaso completamente la baita.
Non sapendo più cosa fare, decisi di dar retta al mio traumatizzato amico e, anche se non sapevo il motivo, mi finsi morto.
Il silenzio era spaventoso.
Immobile e disteso sul letto tentavo di captare dei suoni.
Iniziai a sentir freddo.
Poi un tonfo sordo, appena accennato, fece accrescere a dismisura il terrore che stavo provando.
Seguirono altri suoni, come lo scricchiolio della porta d'ingresso che si apriva e lo strusciare di qualcosa di pesante sul pavimento.
Qualcuno era entrato nella baita.
Con passi pesanti e sicuri raggiunse la stanza dove mi trovavo e dove il mio amico era ancora nascosto. Tutti i miei sensi erano rivolti verso l’origine di quei passi ma per diversi secondi non captai più nulla.
Non so spiegare il motivo ma a un certo punto compresi che, qualunque cosa fosse entrata, in quel momento si era chinata su di me per scrutarmi.
Potevo percepirla a pochi centimetri dal mio volto.
Lentamente si allontanò da me ma il freddo nella baita continuava ad aumentare.
Dita spettrali iniziarono a sfiorarmi il collo e i capelli. Dita della stessa consistenza del fumo, gelide come il ghiaccio. E allora percepii la stanza affollata da qualcosa di inenarrabile.
Sussurri, appena percepibili, riempivano lo spazio attorno a me.
Tutti quei suoni iniziarono poi a concentrarsi verso le grandi mensole, dove il mio amico era nascosto. I successivi rumori che avvertii non sono in grado di descriverli, ma ero consapevole che qualcosa di osceno e terribile stava avvenendo al mio cospetto.

Sprofondai di nuovo nel silenzio più totale.
L’attesa fu lunga e straziante ma dopo diverse ore tornai a sentire il tepore del sole sulla mia pelle. Poco più tardi una squadra di soccorritori riuscì a trovarmi.
Le mie condizioni erano critiche e, mentre mi caricavano su una barella, sentivo le forze abbandonarmi.
L’ultima cosa che ricordo di quel luogo fu un atroce urlo di terrore da parte di alcuni soccorritori quando aprirono la mensola in cui il mio amico era nascosto.

Mi risvegliai in un letto d’ospedale.
La mia convalescenza fu lunga ma i medici riuscirono a salvarmi. Persi del tutto la vista solo su un occhio e nel giro di un mese tornai persino a camminare correttamente. Giurai a me stesso di non tornare mai più su quelle montagne.
I soccorritori, venuti a farmi visita in ospedale, mi dissero che il mio amico morto nella baita a causa delle ferite riportate per via della valanga.
Non vollero mai far vedere il suo corpo, neanche alla sua famiglia.

Dopo alcuni anni mi rincontrai con alcuni di quei soccorritori.
Tentai di farmi rivelare cosa fosse successo realmente al mio amico, poiché ero consapevole che non era morto per via delle sue ferite. Ma neanche dopo molte bottiglie di vino riuscii a far sciogliere la lingua dei soccorritori. La vera causa della sua morte rimane ancora un mistero per me.
Gli uomini che mi salvarono infatti mi diedero solo sporadiche informazioni riguardanti l’espressione di terrore che aveva deformato il volto del mio amico. Qualunque cosa avesse visto in quel tremendo buio lo aveva condotto a una terrificante follia prima di ucciderlo. E allora compresi che la mia temporanea cecità alla baita non fu una disgrazia ma una misericordia del fato.

   
 
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