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Autore: Dida77    11/06/2020    3 recensioni
"Era il loro primo Natale da quando erano sposati.
A dire il vero era il loro primo Natale da quando Shuri aveva liberato Bucky dal condizionamento dell'Hydra."
Definiamolo un flusso di coscienza di Steve.
Fluff, molto fluff... Perché non c'è mai abbastanza fluff nel mondo e perché non è mai troppo presto per pensare al Natale.
Ah... Stucky (ovviamente)
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: James ’Bucky’ Barnes, Steve Rogers, Tony Stark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un ringraziamento speciale a Miss Rossange Stucky per il supporto continuo (a tutte le ore del giorno e della notte). 
Ti voglio bene 3000 tesoro. Lo sai vero?
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Era il loro primo Natale da quando erano sposati.
A dire il vero era il loro primo Natale da quando Shuri aveva liberato Bucky dal condizionamento dell'Hydra. Peccato che insieme al condizionamento quel piccolo folletto non fosse riuscita a eliminarne anche i segni e i ricordi che continuavano a tormentare il Lupo bianco ancora dopo mesi. Mesi che non erano stati facili. Il percorso di Bucky verso una vita normale era lungo e faticoso per entrambi, ma le cose stavano iniziando a migliorare e anche i flashback avevano iniziato a diradarsi. Bucky era sempre piuttosto taciturno con coloro che non fossero Steve, ma anche sotto quell'aspetto le cose sembravano aver preso la giusta piega.
 
I pensieri di Steve vagavano pigri nella sua testa mentre era seduto sul divano. Le fiamme nel caminetto crepitavano allegre e l'odore del the con la cannella e le scorze di arancia riempiva la stanza ravvivando l'atmosfera natalizia.
Non era così che avevano pensato di passare la loro prima vigilia di Natale insieme. Le provviste comprate per cucinare una cena speciale a base di tacchino, purè di patate e cramberry sauce giacevano in frigo, ma non era poi un grosso problema. Avrebbero potuto tranquillamente cucinare insieme la mattina successiva e preparare il pranzo di Natale invece che la cena della vigilia.
Sarebbe stato bello comunque.
 
Bucky stava dormendo appoggiato al suo petto, avvolto in una coperta di lana verde a tema natalizio che avevano comprato solo un paio di giorni prima in un negozietto del paese. La mano di Steve si muoveva piano tra i suoi capelli, disegnando carezze leggere che avevano lo scopo di tranquillizzarlo ma che alla fine avevano avuto lo stesso effetto su di lui, nella penombra della stanza rischiarata solo dalle luci dell'albero di Natale e dalle fiamme nel caminetto. All'inizio aveva pensato di accendere la televisione per guardare uno di quei film che mettevano sempre in programmazione la sera della vigilia, ma il telecomando era troppo lontano per riuscire a prenderlo senza disturbare il sonno di Bucky.
Steve aveva desistito dopo solo una manciata di secondi, godendosi la magia dell'atmosfera natalizia.
 
I pensieri si muovevano senza meta, cullati dal respiro regolare di Bucky e dalle onde del mare che si infrangevano regolari lungo la spiaggia a cento metri dalla casa. Si guardò intorno e sorrise. Le pareti con le pietre a vista davano un'aria maschile alla casa, stemperata però dai divani chiari coperti di cuscini in tinta e dai tappeti colorati che coprivano il pavimento di legno chiaro. La parete a vetri della sala lasciava intravedere la veranda, lì davanti il prato che scendeva dolcemente verso la spiaggia. Era un bel salto rispetto al monolocale seminterrato in cui abitavano prima della guerra, o rispetto all'appartamento pulcioso di Bucarest in cui aveva trovato Bucky più di un anno prima.
 
Steve si sforzò di lasciare andare il senso di colpa che il ripensare al Soldato d'inverno portava sempre con sé. Il non averlo salvato dalla caduta, il non esserlo andato a cercare, tutte le torture che Bucky aveva dovuto subire offuscarono per un attimo la sua vista, rotolando giù in una singola lacrima calda. Il senso di colpa gli scavava ancora dentro e spesso si trovava a pensare che non se ne sarebbe mai liberato. Bucky avrebbe dovuto fare i conti a vita con ciò che era stato costretto a fare sotto il condizionamento dell'Hydra, lui avrebbe dovuto fare i conti a vita con il senso di colpa di non essere riuscito ad afferrare la sua mano.
 
Fu il peso di Bucky sul petto a riportarlo alla realtà e a ricordargli che ormai lui era lì, reale, nella sua vita. Per un attimo strinse convulsamente le braccia attorno alle sue spalle, per sincerarsi che fosse davvero lì al sicuro, disturbando per un attimo il suo sonno. Bucky socchiuse gli occhi confuso.
 
"Shhh, va tutto bene, va tutto bene. Torna a dormire." gli sussurrò tra i capelli.
 
"Sicuro?" la voce di Bucky era impastata di sonno e i suoi occhi rimasero socchiusi mentre alzava comunque il viso verso Steve.
 
"Ma certo amore, torna a dormire" gli soffiò sulla fronte, terminando quelle parole con un bacio mentre con la mano riprendeva a disegnare carezze leggere tra i suoi capelli. Pochi di secondi dopo il respiro regolare di Bucky era tornato a fare da controcanto a quello del mare sulla spiaggia.
 
Steve prese in mano la tazza che aveva lasciato appoggiata sul tavolino accanto al divano e terminò il suo the, ormai non più bollente ma ancora piacevolmente caldo. L'odore dell'arancia e cannella gli ricordò come un flash le vigilie di Natale di quando era piccolo, quando sua madre riusciva a comprare arance, noci e qualche stecca di cannella per addobbare un albero di Natale rachitico quanto lui. Aveva sempre pensato che l'odore che permeava l'aria una volta finito fosse la cosa più vicina alla felicità che avesse mai provato. La felicità sta in molte cose diverse Steve, sta sia nelle cose grandi che nelle cose piccole, ricordatelo sempre. Ma la cosa più importante di tutte, Steve, è saperla riconoscere quando ci passa accanto, diceva sempre sua madre una volta finito di addobbare la casa, quando lui chiudeva gli occhi, gettava indietro la testa e tirava forte su con il naso per far entrare quel profumo fino i fondo ai suoi polmoni malandati.
 
Con Bucky addormentato tra le braccia, in quella casa da fiaba, si trovò a sorridere alle parole di sua madre. Sì, l'importante era saperla riconoscere quando ci passava accanto, e in quel momento lui la stava tenendo stretta tra le braccia.
 
La felicità, quella vera, era iniziata un tiepido pomeriggio di inizio primavera quando Shuri aveva telefonato. "Capitano, ho finito" aveva detto dall'altro capo del mondo, senza aggiungere altro.
Steve era partito nel giro di un paio di ore. Era stato via tre settimane, tornando all'Avengers Tower mano nella mano con Bucky, dopo che Shuri aveva terminato il proprio lavoro e dopo che una serie di test da parte dello S.H.I.E.L.D. lo avevano dichiarato abile all'azione, reintegrandolo a pieno nei suoi gradi.
 
La presenza di una fede al dito di entrambi non aveva stupito nessuno.
 
E così era iniziato il secondo capitolo della loro vita insieme, tra congratulazioni per il matrimonio e timorosi tentativi di approccio nei confronti di Bucky. Il fascicolo del Soldato d'inverno era girato molto tra le mani della squadra nei mesi precedenti e tutti conoscevano la sua storia. Tutti sapevano delle decine di assassini compiuti sotto il controllo dell'Hydra, del padre e della madre di Tony, e anche se nessuno gliene faceva davvero una colpa (almeno nessuno eccetto Tony), all'inizio approcciarlo con naturalezza non riusciva facile a nessuno della squadra.
 
Steve aveva previsto l'imbarazzo iniziale e, dati anche i problemi di socializzazione di Bucky, aveva cercato di fare in modo che le presentazioni avvenissero un po' per volta. L'idea di presentare a Bucky l'intera squadra al completo gli era sembrato come giocare con il fuoco attorno a una pompa di benzina e, anche se lui era un ottimista, sapeva che era sempre meglio non sfidare la sorte.
 
Avrebbe voluto iniziare da Natasha. Lei era un'amica fidata e soprattutto era una di poche parole. Quello che ci voleva, aveva pensato. Ma il caso volle diversamente... Steve aveva appena preso in mano il portafoglio per estrarre la carta magnetica che fungeva da chiave per il suo appartamento all'Avengers Tower che Clint sbucò da dietro l'angolo in fondo al corridoio. Non appena li vide alzò la mano in segno di saluto e li raggiunse in poche falcate rapide e decise, prima che Steve o Bucky avessero il tempo di appoggiare i borsoni a terra.
 
"Oh, siete già arrivati... Vi aspettavamo tra qualche ora." Disse abbracciando Steve per poi rivolgersi velocemente verso il nuovo arrivato che nel frattempo lo stava guardando diffidente. "Tu devi essere il Sergente Barnes. Piacere, Clint Burton. Benvenuto nella squadra." Aveva detto allungando semplicemente la mano verso di lui con un gran sorriso sul volto.
 
Allo sguardo sospettoso da parte di Bucky, Clint aveva sfoderato un sorriso ancora più ampio e aveva continuato a tenere la mano ancora alzata davanti a sé, in attesa. Fu Steve a interrompere quella strana situazione prima che diventasse grottesca. "Forza Buck, Clint è un buon amico. Ti puoi fidare."
Durante quelle parole la mano di Clint non si era mossa. Aveva dovuto tenerla alzata ancora per qualche secondo, fino a quando Bucky, accennando un timido sorriso, non la strinse rispondendo semplicemente. "Scusami, sono un po' diffidente con gli estranei. Bucky, chiamami Bucky."
 
Mezz'ora più tardi, durante il giro turistico nella sala comune, fu il turno di Banner.
 
Dopo l'incontro con Clint, Steve aveva dato a Bucky appena il tempo di rinfrescarsi la faccia dopo il viaggio e poi, impaziente, aveva interpellato J.A.R.V.I.S. per farsi consigliare un tour del grattacielo che permettesse loro di incrociare il minor numero di persone possibile. Un passettino per volta... si ripeteva continuamente per convincersi a lasciare a Bucky il tempo necessario per abituarsi a quella nuova vita. Ma non era facile. Se fosse stato per lui sarebbe corso da tutti per presentargli suo marito, felice e orgoglioso di averlo di nuovo al proprio fianco. Ma non era questo ciò di cui Bucky aveva bisogno, e quindi si erano avventurati nella sala comune solo quando J.A.R.V.I.S. aveva garantito loro che fosse deserta.
 
Ma il dottor Banner entrò pochi minuti dopo come una furia inaspettata, dirigendosi direttamente alla macchina per il caffè per cercare di placare il mal di testa derivante da una nottata passata in laboratorio. Passò loro davanti con gli occhiali in una mano mentre con l'altra si massaggiava gli occhi stanchi. Li vide all'ultimo minuto, sbattendo praticamente contro di loro. "Oh scusate, non vi avevo visto. Che gran maleducato che sono... Scusatemi davvero. Ma capitano, vi aspettavamo solo dopo cena... Siete riusciti a tornare prima vedo. Avete fatto buon viaggio? Oh... ma lei deve essere il sergente Barnes. Io sono Bruce, Bruce Banner. Piacere di conoscerla." La mano che Bruce stese di fronte a sé dovette attendere molto meno di quella di Clint.
 
"Bucky. Solo Bucky." Rispose quasi subito l'ex Soldato di inverno, sfoderando un sorriso nemmeno troppo timido.
 
Poi fu il turno di Natasha, quella sera poco prima dell'abituale "serata cinema" settimanale in sala comune. Steve non aveva alcuna intenzione di partecipare, ma inaspettatamente fu Bucky a fargli cambiare idea. "Steve, inutile che tu voglia farmi conoscere gli altri un po' per volta. Sono in grado di gestire una folla di una decina di persone, sai?"
 
"Il mio piano era così evidente?" si trovò a rispondere Steve arrossendo come una scolaretta (c'erano cose che nemmeno il siero del dottor Erskine era riuscito a risolvere) massaggiandosi la nuca come sempre quando era imbarazzato.
 
"Lo è per me." Per un attimo il sorrisetto malizioso di cui Steve si era innamorato ottant'anni prima ricomparve sul volto di Bucky. Il cuore di Steve saltò un battito, le farfalle decisero di librarsi in volo tutte insieme nel suo stomaco e lui non poté che capitolare.
 
"Sembrano brave persone, e poi hai detto che sanno già tutto di me, non è vero?" Ad un cenno affermativo da parte di Steve, Bucky continuò. "Loro ti hanno aiutato e ti hanno coperto le spalle mentre io non c'ero. Sono tuoi amici, posso provare a fidarmi di loro. Non posso dire di non essere nervoso, ma posso farcela."
 
La conversazione si concluse con un "Ti amo lo sai?" sussurrato da Steve contro il collo dell'altro mentre lo stringeva in un abbraccio solido come le fondamenta della terra.
 
Cinque minuti più tardi, quando arrivarono, la sala era ancora deserta eccetto che per Clint e Natasha intenti a preparare le tonnellate di cibo spazzatura che erano il vero fulcro delle "serate cinema". Il film non era poi così centrale e aveva come unico scopo quello di permettere di chiamare quelle serate di relax "serate cinema".
 
"Oh ciao ragazzi" disse Natasha sorridendo non appena varcarono la porta dell'ascensore. "Steve porta di là quelle ciotole e Bucky renditi utile anche tu, porta di là il primo giro di birre per favore." Nat parlò con la bocca piena indicando con il pollice una cassa di dodici birre che giaceva in frigorifero insieme alle altre. Allo sguardo interrogativo di Bucky, Steve rispose un "Natasha Romanov" mimato con le labbra mentre già si muoveva verso il divano con il sorriso sulle labbra e le braccia piene di pop corn e arachidi salate.
 
Le altre presentazioni erano seguite a ruota durante i quindici minuti successivi e dopo solo una settimana Bucky era passato dall'essere un intruso a un membro effettivo della squadra. Certo il fatto di essere arrivato come marito di Steve aveva aiutato un po' la sua integrazione, ma Steve sapeva che era stato soprattutto il modo in cui si comportava in missione ad aver compiuto quel mezzo miracolo.
Anche se era piuttosto taciturno con gli altri, Bucky era un ottimo cecchino, disposto fin da subito a prendersi i suoi rischi per difendere gli altri membri della squadra e nel giro di un paio di missioni le parole "Bucky coprimi" erano diventate la normalità da parte di tutti.
 
L'unico che ancora rimaneva sulle sue era Tony. Si rivolgeva a Bucky lo stretto indispensabile, e a volte nemmeno quello, sempre chiamandolo "Sergente Barnes". Non gli aveva mai stretto la mano e anche i rapporti con Steve si erano raffreddati terribilmente, fino a ridursi alle semplici questioni di servizio.
 
Steve era profondamente amareggiato dal quel repentino cambiamento da parte dell'amico. Non si era certo aspettato che accogliesse Bucky a braccia aperte, ma credeva che le cose sarebbero migliorate nel giro di qualche giorno. Invece così non era stato.
 
"Non puoi pretendere che mi accetti come gli altri, Steve. Cerca di essere ragionevole anche tu." Bucky affrontò il problema una sera, mentre erano stretti al buio sotto le coperte. "Devi capire che ho ucciso i suoi genitori" continuò sotto voce. "Lo so che questa cosa di fa star male, anche se non mi racconti niente. Ma me ne rendo conto sai? Non possiamo farci niente, Steve. Dobbiamo solo lasciarlo in pace. Forse con il tempo le cose miglioreranno..."
 
"Ma non è colpa tua Buck. Lo vuoi capire che NON è colpa tua? Tutti qua dentro abbiamo letto e riletto il tuo fascicolo, tutti sappiamo di cosa è stata capace l'Hydra in questi decenni. Anche LUI lo sa."
 
"Certo che lo sa."
 
"E allora perché se sa che non è colpa tua, perché continua a comportarsi così? Non è giusto."
 
"Oh Steve, stai sempre dividere il mondo in ciò che è giusto e ciò che non lo è... Non sempre ciò che è giusto è anche facile. Anzi il più delle volte non lo è affatto."
 
"Cosa intendi?"
 
"Intendo che magari la sua testa sa che non è colpa mia, ma sicuramente il suo cuore ancora no. Non possiamo che aspettare, sperando che il suo cuore prima o poi faccia pace con la sua testa."
 
"Ma non è giusto. Non voglio star fermo ad aspettare semplicemente che le cose cambino da sole."
 
A distanza di settimane Steve sorrise ancora una volta a quei pensieri, mentre stringeva il marito tra le braccia, alla luce fioca dell'albero di Natale. Aveva ragione Bucky, non avrebbero potuto fare niente per forzare le cose. Dovevano solo dargli tempo. Steve aveva provato a fare di testa sua la mattina dopo provando a parlare con Tony a quattr'occhi, ma tutto ciò che ci aveva guadagnato era un "Fatti gli affari tuoi, capitano" ringhiatogli contro da un Tony stizzito che non si era nemmeno degnato di voltarsi verso di lui mentre Steve tentava di spiegargli le proprie ragioni.
 
Le cose sembravano destinate a rimanere in quel modo per molto tempo, ma erano poi inaspettatamente cambiate una sera due o tre giorni più tardi.
 
Si erano appena ritirati nel loro appartamento dopo aver cenato insieme alla squadra al termine di una missione particolarmente impegnativa. Erano tornati tutti un po' ammaccati e l'idea di mettersi sotto le coperte dopo una doccia bollente era comune a tutti. Ecco perché rimasero un po' sorpresi a sentir bussare piano alla porta del loro appartamento.
 
"Vado io, tu intanto vai a farti la doccia." Rispose Bucky alzandosi faticosamente dal divano posto in mezzo alla sala, mentre Steve si stava già dirigendo verso la porta del bagno.
 
La vista di Tony oltre lo specchio della porta bloccò entrambi sul posto. Aveva lo sguardo dimesso e una bottiglia di whisky in mano. "Posso entrare?" Chiese titubante in un tono che non era assolutamente da lui.
 
"Ma certo Tony. Che domande." Rispose Steve per tutti e due, facendogli cenno di entrare e di sedersi sul divano.
 
Per un attimo Tony restò fermo sul posto. Gli servirono alcuni secondi prima di muovere il primo passo ed entrare nella stanza in modo da permettere a Bucky di chiudere la porta dietro di lui.
 
"Ho portato questo," disse passando a Steve la bottiglia che teneva in mano "invecchiato in Scozia, in botti di rovere, vicino alla costa. Ho pensato che anche se non potete ubriacarvi, potete sempre apprezzare un buon whisky."
 
"Sono settant'anni che non bevo whisky. Forse non è un brutto momento per ricominciare." Rispose Bucky prendendo in mano la bottiglia e versandone tre generose dosi nei bicchieri larghi e bassi che chissà perché Steve teneva nel mobile della sala.
 
Un silenzio imbarazzato cadde nella stanza mentre tutti e tre facevano finta di assaporare ciò che stavano bevendo. "Non sono venuto solo per il whisky..." iniziò Tony minuti dopo guardando ciò che rimaneva in fondo al bicchiere. "Il fatto è che vi devo delle scuse. Anzi no..." riprese guardando Bucky dritto negli occhi. "Il fatto è che ti devo delle scuse sergente."
 
Per un attimo né Steve, né Bucky si guardarono negli occhi, senza sapere cosa dire. Fu Tony a continuare e fu un fiume in piena. "Il fatto è che sono stato uno stronzo, e mi dispiace. Ti ho dato una colpa che non era tua. Non sei stato tu a uccidere i miei genitori, né mio padre né... né mia madre." In quel momento la voce di Tony vacillò, ma il suo sguardo restò fermo in quello di Bucky.
 
"Mi dispiace, mi piaceva tuo padre. Non avrei mai..." La voce di Bucky era ridotta a un sussurro.
 
"No ti prego, fammi finire... Ho provato a odiarti, ma mano a mano che i giorni passavano ho capito che questo non mi faceva stare meglio e il fatto che non mi facesse stare meglio mi faceva infuriare ancora di più. Devo essere onesto, ci sono stati momenti in cui avrei voluto ucciderti con le mie mani, ma in fondo sapevo che era sbagliato, che così non avrei risolto niente e che sarei stato anche peggio." Tony bevve un ultimo sorso di whisky e si passò una mano sul volto, come a scacciar via tutto il dolore che si portava dentro da una vita.  Poi continuò.
 
"E' una vita intera che sto male per ciò che è successo ai miei genitori. Sono stanco di sentirmi così... Ma fino a questa notte non sapevo come uscirne."
 
"Cosa è successo questa notte, Tony?" lo incitò Steve quando si rese conto che l'altro aveva bisogno di una spinta Aveva parlato per la prima volta da quando si erano seduti, il bicchiere ancora praticamente pieno tra le mani.
 
"Ho sognato mia madre." Un mezzo sorriso distese le labbra di Tony mentre alzava di nuovo lo sguardo dal bicchiere. "Era felice e mi sorrideva facendomi l'occhiolino. Era una cosa che faceva sempre quando ero piccolo, per dirmi che andava tutto bene. Era una cosa tra di noi, credo che nemmeno mio padre l'abbia mai saputo... Non è successo altro. Mi sono svegliato di soprassalto, tutto sudato. Ero sveglio ma avevo ancora il suo sorriso davanti agli occhi. Sono rimasto seduto sul bordo del letto a pensare a lei per non so quanto. Non pensavo a lei da tanto, troppo tempo. E mi sono trovato a chiedermi se sarebbe stata orgogliosa dell'uomo che sono diventato. Sapete, mi chiedo spesso se mio padre sarebbe orgoglioso di me, ma non mi succede mai con mia madre. Chissà perché." Tony si fermò un attimo, riempiendosi di nuovo il bicchiere.
 
"Allora ho capito. Ho capito che lei non sarebbe stata fiera di me, perché mi stavo comportando da settimane come un bimbetto viziato, ingegnandomi in tutti i modi per darti una colpa che non hai. Perché cercare di incolparti della morte dei miei è esattamente come cercare di incolpare il fucile con cui hai sparato. Non ha senso... è solo che... che è più facile incolpare te che dare la colpa a un'organizzazione che si nasconde come un fantasma tra le pieghe della storia da chissà quanto. Quindi..." continuò con tono teatrale che gli era tanto congeniale e allungando la mano verso Bucky, "quindi ecco che ti porgo le mie scuse sergente. Sono stato ufficialmente un idiota."
 
Bucky non rispose, riuscì a tirar fuori a malapena un sorriso dai sensi di colpa che mordevano forte dopo quel fiume di parole arrivato alla fine di una giornata difficile. Aveva un sorriso timido e occhi lucidi mentre stringeva forte la mano che Tony gli porgeva. "Grazie" fu la sola cosa che disse, prima che Steve si alzasse dal divano per abbracciare forte entrambi.
 
Dopo un altro giro di whisky la conversazione virò verso lidi ben più tranquilli. Chiacchierarono del più e del meno, della missione, dell'appartamento, della pizza, degli Howling commandos, di Howard, della guerra e dei film che si erano persi negli ultimi settant'anni, dello sbarco sulla luna e di Marte. Fino a quando Tony non si alzò dalla sua poltrona e si avvicinò alla porta.
 
"Si è fatto tardi, sarà meglio che me ne vada a letto. Pepper si domanderà che fine abbia fatto. Ma prima di andare devo darvi questa." Disse tirando fuori dalla tasca interna della giacca una busta spessa e porgendola a entrambi. Fu Steve a prenderla.
 
"E questa cosa è?"
 
"Diciamo che è un regalo di matrimonio. Avrei dovuto farvelo settimane fa ma, come vi ho già detto, ero troppo impegnato a comportarmi da idiota. Su apritela."
 
Alla luce dell'albero di Natale Steve sorrise ancora una volta pensando al contenuto della busta. Solo Tony poteva esser così matto da regalare loro una casa per il matrimonio. E che casa, pensò per la milionesima volta facendo vagare lo sguardo in giro per la stanza. Un cottage a Martha's Vineyard, con tanto di giardino e pezzetto di spiaggia privato. "Era la casa preferita di mia madre, l'ha arredata lei. Sono sicuro che sarebbe felice che diventasse vostra. Da dopo la sua morte non ci sono più tornato. C'è una signora del posto che si occupa delle pulizie e della manutenzione. E' in ottimo stato ed è a un'ora di aereo da qui. Potete scappare là quando volete un po' di tranquillità tra una missione e l'altra. E' il posto perfetto."
 
Superata l'incredulità iniziale, le parole non erano bastate a ringraziarlo. Avevano sempre sperato di potersi permettere prima o poi una casetta tutta per loro, ma quel sogno era al di là di ogni più rosea aspettativa. Quindi avevano approfittato dei giorni di riposo attorno a Natale, avevano riempito le valigie di indumenti caldi ed erano partiti per quella che era a tutti gli effetti la loro prima vacanza.
 
Una volta scesi dal taxy rimasero per un paio di minuti interdetti davanti all'indirizzo che si erano segnati sullo smartphone. Si trattava di una casa con le pareti in pietra e il tetto spiovente, posta in cima a una collinetta ricoperta da prato tagliato di fresco su cui si apriva una veranda chiusa da una vetrata con infissi di legno bianco. Il prato era punteggiato da arbusti bassi ben tenuti e qualche pino, che davano alla casa un'aria elegante ma informale. Dietro la casa si intravedeva il mare e quella che doveva essere la spiaggia privata della casa.
 
Erano ancora lì a bocca aperta mano nella mano quando lo smartphone di Bucky squillò per l'arrivo di una videochiamata.
 
"Tony." Rispose Bucky alzando lo smartphone davanti a sé per permettere alla telecamere di riprendere anche Steve.
 
"Ciao piccioncini, ci siamo trovati per caso tutti insieme e abbiamo deciso di chiamarvi per vedere le vostre facce quando foste scesi dal taxy." Effettivamente Tony non aveva voluto fornire loro nessuna foto della casa e fino a quel momento quello che sapevano della casa era solo ciò che erano riusciti a carpire dalla lettura del passaggio di proprietà.
 
"Come hai fatto a sapere che eravamo appena scesi dal taxy, Tony?" Nella voce di Steve vibrava già una nota indignata. Fu Banner a placare gli animi mentre Tony ridacchiava in sottofondo dall'altra parte del collegamento.
 
"Si tratta del GPS del tuo cellulare capitano. Lo sappiamo che hai l'abitudine a tenerlo sempre acceso... Ti posso garantire che non vi abbiamo messo nessuna cimice in valigia."
 
"Ah, ok. Grazie Bruce. Se lo dici tu posso fidarmi..." Rispose Steve rabbonito mentre anche Bucky aveva iniziato a ridacchiare. "Comunque la casa è splendida Tony, veramente splendida. Grazie."
 
Fu Nat a stemperare l'atmosfera che stava diventando un po' troppo seria per i suoi gusti. "Allora godetevela vecchietti. E ricordatevi che dovete tornare entro il pomeriggio del 31 dicembre. Ricordati capitano, non puoi tenere per te quello che forse è l'unico ballerino decente di tutta la squadra."
 
"Affare fatto Nat. Almeno quest'anno non costringerai me a ballare."
 
La telefonata si chiuse tra le risate generali. Erano diventati proprio una bella squadra, si era ritrovato a pensare Steve mentre piano piano risalivano il vialetto il pietra che terminava di fronte alla porta di ingresso.
 
"Su entriamo a vedere come è questa meraviglia".
 
Ed era una meraviglia davvero. Passarono parte del pomeriggio a esplorare stanza per stanza. La casa era tutta arredata con i toni del beige che riprendevano il colore del pavimento di legno che correva in tutta casa. L'arredamento era maschile, ma con qualche tocco femminile a ingentilire l'insieme: un tappeto, una lampada antica, una poltroncina a colori vivaci, molti cuscini qua e là. Il bagno aveva una finestra immensa che dava sulla spiaggia. Era possibile fare il bagno nella vasca idromassaggio vedendo tranquillamente il sole tramontare al di là del mare. Decisero all'unanimità di farlo prima di tornare a New York.
 
La camera padronale era un capitolo a sé. Si trovava all'ultimo piano e aveva il tetto spiovente su cui si apriva un piccolo lucernario. La finestra dava anch'essa sul mare e l'odore e il rumore delle onde penetravano anche con le finestre chiuse. Il letto, immenso, era appoggiato alla parete ed era decorato con quattro piccole colonne di legno bianco. I due comodini di mogano al lato del letto creavano un piacevole contrasto con i colori chiari del letto e del pavimento.
 
Vagabondarono per parecchio tempo in giro per la casa, tornando un po' bambini mentre esploravano le stanze e aprivano cassetti e credenze per scoprirne il contenuto, ancora increduli che tutto ciò che vedevano e toccavano fosse loro.
 
La casa era dotata di ogni comodità ed era talmente ben tenuta che sembrava fosse stata abitata fino al giorno prima. Gli armadi contenevano lenzuola, coperte, trapunte per l'inverno, biancheria per il bagno. Non mancava niente. Tony aveva ragione a dire di fidarsi della signora Railey, la vicina che aveva da anni il compito di occuparsi della casa. "Non dovete preoccuparvi, vi faccio dare il suo numero di telefono da J.A.R.V.I.S. . Sa già del passaggio di proprietà e le ho detto di continuare a occuparsi della casa come sempre."
 
Così Tony aveva regalato loro non solo la casa, ma aveva insistito anche per continuare a pagare la signora che se ne sarebbe occupata quando loro erano in giro per salvare il mondo dalla minaccia di turno.
 
Il giorno dopo il loro arrivo avevano deciso che l'unica cosa che mancava alla casa era un tocco natalizio. Così alla fine avevano comprato un abete artificiale e avevano passato un'intera giornata ad addobbarlo con così tante lucine che una volta acceso era sufficiente a rischiarare l'intera stanza.
 
Non era stato facile trovare gli addobbi giusti. I negozietti del paese rigurgitavano di addobbi natalizi, ma le lucine erano troppo colorate o troppo luminose, le palle di vetro sembravano tutte uguali e nessuno metteva più i mandarini e le arance sull'albero. Nemmeno le noci si vedevano più.
 
"Posso capire questa svolta ecologica e posso arrivare a comprare un abete sintetico Buck, ma queste decorazioni sono orribili. Hanno perso tutta la magia di quando eravamo piccoli... Ti ricordi come erano belle le decorazioni dell'albero di Natale che la signora Smith addobbava tutti gli anni sul bancone della drogheria? Andavamo a comprare una coppia di uova alla volta solo per poterci andare il più spesso possibile..."
 
Risero entrambi a quei ricordi felici e uscirono dall'ennesimo negozio, tornando ad esplorare le vetrine della via principale a caccia di un pezzo della loro infanzia.
 
Trovarono ciò che cercavano in una piccola vetrina di una stradina secondaria. Presi dalle prime avvisaglie di sconforto avevano iniziato a chiedere in giro ai vari abitanti del luogo e alla fine erano stati indirizzati da una signora anziana che avevano aiutato ad attraversare la strada.
 
Lo capirono subito che era il negozio giusto. Sembrava sospeso nel tempo, gestito da un uomo ben oltre la soglia della pensione. Trovarono lucine bianche dalla luce calda (queste sono vecchie signori, non sono intermittenti come quelle moderne, vi vanno bene comunque?), palle di vetro dipinte a mano (le dipinge mia nipote sapete? è una tradizione di famiglia), persino il puntale di vetro soffiato (questo non so più nemmeno io quanto tempo è che l'ho in magazzino... pensavo che non l'avrei mai più venduto).
 
Alla fine riempirono due scatoloni enormi di decorazioni. "Verrà un albero di Natale bellissimo signori... Sembrerà simile a quello che addobbava mia madre quando ero un bambino. Mancano solo le noci, i mandarini e le stecche di cannella." Disse il proprietario quando ormai erano già sulla porta con guanti, berretti e sciarpe.
 
"Sapete dove possiamo trovare mandarini, noci e stecche di cannella, signore?" Chiese Steve senza nemmeno interpellare il marito. Sapeva che stavano pensando esattamente la stessa cosa.
 
E fu così che tornarono a casa con due scatoloni di decorazioni e due sacchetti pieni di mandarini, noci e stecche di cannella, passando la giornata successiva ad addobbare quello che, alla fine, erano sicuri fosse l'albero di Natale più bello di tutta Martha's Vineyard.
 
I pochi giorni che li separavano dal Natale li passarono a passeggiare a piedi nudi sulla spiaggia, con le scarpe in mano e i jeans arrotolati sul polpaccio, o a fare il giro dell'isola a cavallo di un paio di vecchie biciclette che avevano trovato nella rimessa in fondo al giardino.
 
Avevano passato anche un pomeriggio intero a fare shopping mano nella mano nei negozietti del paese, a comprare ghirlande che avevano appeso alle pareti e alle finestre. Ne avevano comprato anche una enorme che avevano dovuto trasportare in due e che adesso faceva bella mostra di sé appesa al portone di casa.
 
Bucky aveva anche insistito per fargli comprare uno stupido maglione natalizio. "Ne hai sempre voluto uno... Me lo ricordo sai? Non far finta di niente..." gli aveva detto ridendo e spingendolo dentro il negozio tra le loro risate e l'imbarazzo della commessa. Alla fine Steve ne aveva comprato uno tutto rosso con un enorme babbo natale sul davanti e si era sentito ancora ragazzo, come se tutto lo schifo che avevano vissuto non fosse mai esistito. Come se la guerra non fosse passata portandosi via tutto. A volte si fermava a fissare Bucky domandandosi se fosse davvero reale o se in verità stesse solo sognando. Ma quando succedeva finiva sempre che Bucky si voltava e lo guardava negli occhi sfoderando quel sorriso di cui si era innamorata tutta Brooklyn. E allora a Steve non rimaneva che sorridere di rimando e buttar giù il nodo che per un attimo aveva rischiato di mozzargli il respiro.
 
Alla fine erano usciti dal negozio con il maglione nel sacchetto, perché Steve si era rifiutato di indossarlo subito. "Lo metto la sera della vigilia. Te lo prometto." Aveva detto ed erano usciti ridendo con le mani piene di pacchetti e Bucky lo aveva baciato per strada, facendolo arrossire più del maglione che avevano appena comprato.
 
Malgrado il cielo grigio e il vento freddo, erano usciti a passeggiare anche il pomeriggio della vigilia di Natale, come quando erano ragazzi. Bere il vino caldo aromatizzato venduto dalle bancarelle spuntate come funghi e ascoltare i canti di Natale intonati a ogni angolo di strada erano tradizioni che dovevano essere necessariamente rispettate.
Camminarono tutto il pomeriggio, un po' infreddoliti e sorridenti, tenendosi mano nella mano e reggendo il bicchiere di vino caldo nell'altra.
 
Avevano appena imboccato la via di casa quando aveva iniziato a nevicare. Rimasero parecchi minuti a bocca aperta con la faccia rivolta verso il cielo, facendo a gara a chi riusciva a mangiare più fiocchi di neve. Un gioco estremamente intelligente, avrebbe commentato Natasha. Risero a quel commento di Steve fino a doversi reggere lo stomaco, e poi si misero nuovamente a bocca aperta con la faccia rivolta al cielo.
 
Il sole era tramontato e stava iniziando a fare un freddo cane, ma era pur sempre la vigilia di Natale ed è universalmente noto che la vigilia di Natale non è veramente la vigilia di Natale senza la neve. Quindi tanto valeva godersela fino in fondo.
 
"Vieni qua Steve, fatti prendere... E' tutta la vita che ho voglia di lanciarti le palle di neve... Non sarà la paura che tu prenda la polmonite a fermarmi questa volta." E avevano riso ancora e ancora, fino a doversi fermare per riprendere fiato, ormai zuppi di neve fino al midollo.
 
Ed era in quel momento che era successo.
 
La serenità e le risate vennero spazzate via in una frazione di secondo da un passato che non sarebbe mai stato sepolto del tutto.
 
Fu un attimo.
 
Erano sul prato davanti casa, uno sparo in lontananza, un cacciatore sicuramente, e le gambe di Bucky avevano ceduto facendolo cadere in ginocchio mentre improvvisamente strizzava gli occhi si teneva la testa stretta tra le mani.
 
"Mi hanno trovato. Mi hanno trovato. Mi hanno trovato..." ripeteva come in una litania dondolandosi avanti e indietro disperato, ormai perso in un mondo che poteva vedere solo lui.
 
"Buck!" aveva urlato Steve coprendogli in un attimo le mani con le sue "Sono io. Sono Steve. Va tutto bene, va tutto bene."
 
Bucky non dava cenno di sentirlo e continuava a gemere parole incomprensibili mentre continuava a tenersi la testa tra le mani.
 
"Buck ascoltami, ci sono io adesso. Sei al sicuro. Nessuno ti farà del male. Ci sono io adesso."
 
Poi ricordandosi degli insegnamenti di Sam aveva aperto il giaccone del marito e frugando sotto la maglia aveva tirato fuori le sue piastrine militari. Facendo forza era riuscito ad allontanare una mano di Bucky dalla sua testa e a depositare le piastrine sul palmo. "Ecco Buck, le senti queste? Sono le tue piastrine. Sei il sergente James Buchanan Rogers-Barnes e sei mio marito. Nessuno ti ha trovato. Ci siamo solo noi qui, e siamo insieme. Non ti devi preoccupare di niente. Ci sono io adesso. Nessuno ti farà più del male."
 
Si trattava di una scena già vista, che era andata avanti per due minuti che erano durati un'eternità, fino a quando l'ex Soldato di inverno non aveva sbattuto gli occhi due o tre volte ed era tornato ad essere James Buchanan Rogers-Barnes. "Steve" aveva sussurrato riconoscendolo e poi si era accasciato a terra sul prato che si stava coprendo di neve mano a mano che i minuti passavano.
 
Steve lo aveva portato dentro praticamente di peso. Lo aveva aiutato a mettersi vestiti asciutti, gli aveva asciugato i capelli, gli aveva fatto bere un po' di the caldo e poi lo aveva fatto sdraiare sul divano con la testa appoggiata al suo petto. Aveva coperto entrambi con una coperta, fino a quando Bucky non aveva tirato un profondo respiro e aveva chiuso gli occhi sfinito.
 
"Ti sei messo il maglione..." sussurrò Bucky già alle soglie del sonno.
 
"Una promessa è una promessa."
 
Bucky aveva sorriso con gli occhi già socchiusi. Un attimo dopo li riaprì così di scatto che per un attimo Steve pensò si trattasse di un altro flashback "La cena Steve. Avevamo detto di cucinare il tacchino..."
 
"Non preoccuparti del tacchino adesso. Possiamo tranquillamente cucinarlo domani a pranzo. E poi ho mangiato tanti di quei dolci oggi pomeriggio che per stasera sono a posto. Adesso dormi un po', hai bisogno di riposare. Vuoi andare a letto piuttosto?"
 
"No, mi piace qui con il caminetto e l'albero di Natale."
 
"Ok, allora dormi" gli aveva sussurrato sulla fronte iniziando a massaggiargli i capelli.
 
E così si erano trovati su quel divano, con i pensieri di Steve che vagavano lenti sugli eventi di quegli ultimi mesi, fino a portarle anche lui alle soglie del sonno.
 
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"Steve?"
 
"Mmhhhh..."
 
"Steve, che ore sono?" La voce di Bucky era rilassata e portava ancora i segni del sonno, mentre aveva preso a strofinare piano la guancia sul ricamo del maglione di Steve.
 
Steve aprì gli occhi di scatto e strinse istintivamente il braccio attorno alle spalle del marito. "Ehi... Come va?" Rispose preoccupato, muovendosi un po' per guardarlo negli occhi e valutare la situazione.
 
"Adesso meglio... Che ore sono?" Gli occhi di Bucky erano tornati limpidi.
 
"Sono quasi le due. Va tutto bene?"
 
"Va tutto bene." Poi un sussurro, un sorriso dolcissimo sul volto di Bucky, gli occhi socchiusi. "Buon Natale amore."
 
"Buon Natale, amore mio."
   
 
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