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Autore: alyeskaa    11/06/2020    0 recensioni
Voleva parlare alla madre, abbracciarsi a lei e piangere con il volto nascosto nel suo grembo. Sentirsi di nuovo il bambino innocente che lei aveva messo al mondo, appena ventun anni prima.
Genere: Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Sid Vicious
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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I know it's over. 

https://www.youtube.com/watch?v=M6o1SEj02t0
Disclaimers: non scrivo a scopo di lucro, non intendo offendere nessuno. Gli avvenimenti narrati sono frutto di fantasia, non pongo accuse. I Sex Pistols non mi appartengono, non me li porto a letto (purtroppo) e insomma tutte queste cose. La canzone I know it's over (da cui trae titolo e ispirazione la storia) appartiene ai The Smiths e a chi ne detiene i diritti. 


"Sai perchè facciamo musica, Sid?"
"Perchè siamo terribilmente incazzati, immagino."
Johnny sorrideva. "Cazzo se lo siamo. Ma vedi, la musica come ogni forma d'arte è l'unica traccia del nostro passaggio in questo mondo."


Non capiva perchè quel ricordo non gli uscisse dalla testa. Aveva la vista completamente annebbiata, i contorni degli oggetti erano incerti, andavano a confondersi e mischiarsi come in un quadro. Sentiva goccioline di sudore scendergli piano dalla fronte. Il più piccolo movimento gli causava una vertigine improvvisa- quel senso di volersi lasciare cadere che proviamo di fronte un immenso panorama al di sotto di noi. 
Forse era stata proprio quella vertigine, quella voglia incontrollabile di andare giù, sempre più giù, fino a toccare il fondo, a portarlo lì. 
Aveva la consapevolezza di poche cose, ma notava sua madre, lì nella stanza con lui. Aveva voglia di dire qualcosa, di chiamare il suo nome come avrebbe fatto chiunque sul letto di morte. Ma non trovava la voce. La sua voce non gli apparteneva più. 
Era stata sostituita da un'altra, quella di Johnny nella sua mente, che continuava a ripetergli l'unico segno del nostro passaggio in questo mondo, l'unico segno del nostro passaggio in questo mondo. 
Si sentiva stanco, di una stanchezza completamente nuova. Come quando sei pieno di rabbia, e stringi forte la mano in un pugno, ma quando lo apri, è semplicemente vuoto. 
Sentiva il suolo cadere sul suo viso, lentamente, come se qualcuno lo stesse già seppellendo. Voleva parlare alla madre, abbracciarsi a lei e piangere con il volto nascosto nel suo grembo. Sentirsi di nuovo il bambino innocente che lei aveva messo al mondo, appena ventun anni prima. Quel bambino innocente che lei stessa stava strappando al mondo, adesso. 
Non poteva concentrarsi neppure su di lei, poichè tutto ciò che lo circondava diventava sempre più distante. Sentiva la sua anima scivolare via lentamente da quel corpo. Come un sassolino in riva al mare, che un'onda vuole risucchiare. Come un pezzo di carne soffice, trafitto da una lama.
"Puoi aiutarmi, madre? Puoi aiutarmi? Puoi aiutarmi?" nella sua mente era un urlo così forte, all'esterno poco meno di un sospiro. 
Lei lo stava aiutando nell'unico modo che le fosse noto, privandolo della sua colpa, della sua sofferenza, del suo passato, dei suoi demoni. E togliendogli così anche il suo passaggio in questo mondo. 
Gli sussurrava parole gentili, ma lui non poteva sentirle. Sentiva il repsiro irregolare, come una risata leggera, di Johnny alla sua risposta. Sentiva la propria voce, quella che aveva smesso di possedere, e il modo in cui lo pronunciava: terribilmente incazzati. 
E' finita. E' questo che cercava di dirgli sua madre? Sapeva che fosse finita. Ma continuava ad aggrapparsi a qualcosa. Qualcosa di inafferabile. Forse proprio quel ricordo di lui e Johnny, forse l'amore intangibile della madre. 
E' finita, è finita, è finita. Forse non era mai davvero iniziata. L'obiettivo ultimo della sua vita era divertirsi. Ma quel tipo di divertimento che inseguiva come un dannato, non l'aveva mai raggiunto.
E' finita, è finita, è finita. Forse non era mai davvero iniziata, ma a lui era sembrato così reale. Fare l'amore con Nancy, piano. Stare sul palco con Johnny. Tentare, invano, di raggiungere sua madre e piangere sul suo grembo. 
Sentiva la folle corsa del suo cuore- che aveva battuto tante, troppe volte a ritmo di quel basso che non aveva mai davvero imparato a suonare, che si era sempre ribellato con lui- raggiungere la sua fine; batteva sempre più piano, nel suo corpo tremante, che sembrava sul punto di spezzarsi. 
E tutto diventava confuso, non distingueva più il sogno dal reale, non sapeva dove finisse se stesso e iniziasse tutto il resto. Era un tutt'uno con Johnny e la sua improbabile affermazione sull'arte, un tutt'uno con sua madre, che lo stava lasciando lì da solo.
Si domandava come facesse ad essere così solo dopo aver raggiunto tutte le vette, si chiedeva se alla fine quella vertigine avesse vinto. E' così facile ridere, è così facile odiare. E forse con la stessa facilità, si era lasciato andare.
Gli veniva da piangere, per se stesso, e per quella musica, così triste e così bella, che udiva in lontananza. 


Note: non so bene cosa dire in realtà, perchè per certe cose le parole semplicemente non esistono, per quanto ci sforziamo di trovarle. Adoro la malinconia dei The Smiths, e credo che questa canzone abbracciasse meravigliosamente quello che cercavo di esprimere io. Come da manuale, immagino, spero che questa storia sia in grado di toccare qualcuno. 


 
   
 
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