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Autore: Artnifa    12/06/2020    7 recensioni
Quattro sconosciuti si ritrovano a condividere uno stretto e gelido scompartimento di un treno partito da Glasgow e diretto a Londra.
Storia di pregiudizi e idee sbagliate.
QUARTA STORIA classificata al contest “A noi i personaggi, a voi la storia” indetto da elli2998 e Inchiostro_nel_Sangue sul forum di EFP”
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia partecipa al contest “A noi i personaggi, a voi la storia” indetto da elli2998 e Inchiostro_nel_Sangue sul forum di EFP



A NOI I PERSONAGGI, A VOI LA STORIA
IDEE SBAGLIATE 

 

DAL PUNTO DI VISTA DI LORA SMITH

 

Il paesaggio scorre veloce fuori dal finestrino, non riesco a cogliere i dettagli ma mi perdo nell’armonia della foresta che ci circonda. La neve pesa sui rami degli alberi e sugli aghi dei pini ricoperti di un bianco pallido. Il Sole, che è nascosto dalle nuvole corpose, non si specchia sul ghiaccio e la luce è tanto debole da far sembrare le quattro di pomeriggio già sera inoltrata.
Mi stringo nel mio cappotto nuovo, profuma di negozio e lo spesso strato di tessuto nero mi riscalda dal freddo pungente del vagone su cui mi trovo.
Ieri sera, dopo un’inaspettata chiamata da parte di mia sorella Emma, mi sono decisa a comprare un biglietto per Londra per trascorrere -su sua insopportabile insistenza- il Natale nella sua grande casa in centro.
Emma si preoccupa troppo per me, certa che un marito e dei figli siano la più grande ambizione per una donna di trent’anni, è incapace di concepire come possa star bene anche sola.
Il treno è partito puntale alle 14.28 dalla stazione centrale di Glasgow, ingobbita dalla poca voglia che mi trascinava nella capitale inglese, ma felice di aver trovato uno scompartimento vuoto, mi sono seduta accanto al finestrino cercando di non concentrarmi sul pensiero delle ore che avrei dovuto trascorrere in quella che trovavo una sorta di gelida gabbia.
Poco dopo, per mia sfortuna, un’uomo di mezza età ha aperto la porta scorrevole lanciandomi uno strano sguardo indagatore per poi chiedermi, borbottando sotto voce, se poteva sedersi.
“Certo” ho risposto assumendo automaticamente una posizione più composta.
A ruota, dopo di lui, altre due persone si sono unite al nostro viaggio silenzioso, ognuno perso nei propri pensieri e tutti delusi dalla prospettiva di dover condividere le quattro ora e mezza di viaggio con degli sconosciuti.
Non ho mai amato la compagnia delle donne, mi sono sempre trovata più a mio agio tra gli uomini; ed ora mi trovo rinchiusa in uno stretto rettangolo tra una signora anziana ed una ragazzina seduta di fronte a quest’ultima.
Un’occhio mi cade sulla valigia del signore davanti a me, riesco a leggere Jake Walker scarabocchiato su una targhetta identificativa.
Penso subito che non ha la faccia da Jake, con quelle spalle larghe e lo sguardo buio. Un’enorme ruga di espressione gli attraversa la fronte, le labbra piegate leggermente verso il basso gli danno un’aria infastidita e qualche capello bianco sbuca tra la massa di ricci castani.
Ha qualcosa di affascinante dietro il suo atteggiamento solitario e di una fredda superiorità che sembra nascondere un profondo disagio. Credo sia svogliato quanto me di arrivare a Londra. Mi ritrovo a pensare che magari, anche lui, è stato costretto dalla famiglia a passare il Natale con loro e mi diverto ad immaginare che nella valigia nasconda qualche regalo incartato male e comprato sbadatamente solo per non arrivare a mani vuote.
Provo una strana empatia nei suoi confronti, e mi viene voglia di rompere il mio amato silenzio per condividere con lui le preoccupazioni che ci uniscono nonostante siamo due completi estranei. Forse è stato il destino a farci incontrare. 
Uno sbuffo uscito dalle labbra carnose della ragazzina seduta accanto a lui attira la mia attenzione distraendomi dal filo di pensieri che si stavano creando velocemente, mentre immaginavo la vita di Jake Walker.
I miei occhi puntano su di lei, sulle sue gambe lunghe e pallide, sul suo vestito celeste troppo corto, sul suo volto dolce e di quel gonfiore tipico dell’adolescenza incorniciato da lunghi capelli di un biondo finto, ossigenato.
Il collo lungo piegato in avanti da ore, lo sguardo fisso sul cellulare costoso che non lascia neanche per un istante. Noto i suoi due grandi occhi -dello stesso colore del piccolo pezzo di tessuto che le ricopre interamente il corpo- muoversi in continuazione per catturare tutto ciò che viene riflesso sulle pupille stranamente ristrette. 
Non riesco a capire come facciano certe persone ad immergersi così intensamente in questo mondo irreale e frivolo, io che sono sempre stata in difficoltà con la tecnologia e amante della natura e delle sensazioni reali.
Questa ragazzina non mi piace, non mi dice niente, è una delle tante e credo ami farsi guardare, tutto di lei attira l’attenzione degli uomini e la immagino camminare orgogliosa su vertiginosi tacchi a spillo mentre sogna di percorrere una passerella circondata da fotografi e ammiratori.
Alzo le spalle senza accorgermene, mi sono talmente persa nella mia immaginazione da averla fatta diventare reale, come se stessi conversando con qualcuno.
Alla mia destra l’anziana signora tiene i piccoli occhi acquosi incollati ad un libro, gli occhiali a mezzaluna le ricadono più volte sul naso, e con un gesto automatico li sistema con l’indice leggermente storto.
È vestita elegante, di un color prugna che non risalta la sua carnagione giallognola e i capelli ingrigiti, probabilmente è un’insegnante in pensione che si dedica alla lettura di qualche classico che ha già analizzato più volte nella sua vita, incapace di immergersi in letture più moderne e pronta a criticare tutto ciò che è stato scritto nel ventunesimo secolo.


DAL PUNTO DI VISTA DI EMILY GREEN


Sono talmente emozionata che sento i palmi della mani sudare. Stringo forte la borsetta di un nero lucido che ho appoggiato sulle gambe mentre osservo distrattamente la giovane ragazza di fronte a me. Se solo avesse qualche anno in più avrei potuto scambiarla per la compagna di mio figlio, la somiglianza è incredibile. 
Ho scelto di indossare il vestito delle occasioni speciali per il viaggio verso Londra, non mi sono mai avventurata tanto lontano da sola. Se solo Jack fosse ancora vivo sarebbe seduto al mio fianco stringendomi forte la mano per darmi coraggio. Staremmo andando insieme a conoscere nostro nipote Alex, ed io non sarei sola su un treno gelido senza nessuno con cui parlare. Penso che Alex ormai sia già nato da almeno 24 ore, ed io non vedo l’ora di incontrarlo.
Decido di cercare il libro di David Bate infilato da qualche parte nella borsa, l’unico modo per superare l’ansia è distrarmi, o il viaggio mi sembrerà infinito.
Sento la macchina fotografica sotto i polpastrelli, il portafoglio e il biglietto della seconda classe stropicciato, prima di riuscire trovarlo. Lo apro e assaporo l’odore della pagine nuove, sposto il segnalibro raddrizzando la schiena e mi immergo in quel testo decisa a non pensare ad altro, o rischierei che il cuore mi esploda per l’emozione.

 

DAL PUNTO DI VISTA DI ALICE WHITE

 

Sento gli occhi del signore al mio fianco puntati su di me, mi schiaccio contro il sedile il più possibile mentre fingo di scrivere qualche messaggio per non essere costretta ad alzare lo sguardo.
Il cuore mi batte a mille, sudo freddo mentre sento leggere goccioline sull’attaccatura dei capelli e appena sopra il labbro superiore. Stringo le gambe e muovo le dita dei piedi sperando che questa sensazione di ansia e paura mi passi alla svelta. Qualcosa mi dice che non devo fidami.
Fortunatamente oltre a me, lui, ed un’anziana signora che di certo non sarebbe d’aiuto in caso di pericolo, c’è una donna. È giovane, bella, e sembra una persona davvero tosta con quell’aria sicura, i lineamenti marcati e la schiena dritta come fosse una sentinella.
Vedo il pungo chiuso scontrarsi sul ginocchio dell’uomo al mio fianco e sobbalzo intimorita; cosa significa? A cosa sta pensando? Forse sta elaborando un piano per rimare solo con me, magari vuole seguirmi appena scenderemo dal treno; sarebbe facile pedinarmi nell’affollata e caotica stazione di Londra senza dare nell’occhio.
Mia madre aveva ragione, questo vestito è troppo corto.
In realtà lo pensavo anch’io mentre osservavo il mio riflesso nello specchio in camera mia, ma la voglia di avere un’opinione diversa dalla sua è prevalsa sul buon senso. Alla fine sono uscita di casa sbattendo la porta e augurandole ogni male, mentre congelavo sotto un lungo cappotto con le gambe scoperte su cui la neve si scontrava tagliente.
Con la coda dell’occhio lo vedo appoggiare la testa di lato con il viso risolto verso di me. Sento il respiro diventare ancora più corto, il cuore martella talmente forte nel mio petto da portarmi a chiedermi se gli altri passeggeri lo possano sentire.
Mi sta fissando, mi sta fissando e nessuno dice niente.
Deglutisco mentre fingo di scorrere le foto su Instagram, in realtà c’è il blocco schermo e mi vedo riflessa. Mi guardo negli occhi ripetendomi “stai calma, non sei sola, stai calma”.
Mancano ancora un sacco di ore a Londra, troppe. Mi mordo forte il labbro pregando che il tempo passi in fretta.

 


DAL PUNTO DI VISTA DI JAKE WALKER 

 

Cosa diavolo sto facendo? Quella donna mi ha fottuto la testa. Dovevo starmene in Scozia, ho sbagliato a salire su questo maledetto treno del cazzo.
Ho trovato uno scompartimento occupato solo da una donna e mi sono seduto di fronte a lei cercando di non far scontrare le nostre ginocchia; ‘fanculo la seconda classe.
La guardo di sfuggita senza davvero notarla, se avessi la mente sgombra avrei sicuramente pensato che è bella, con quei lineamenti maturi ma comunque giovanili di chi ha appena superato la soglia dei trent’anni.
Ma la mia mente non riesce a non tornare su Stephane, come un disco rotto rivedo la sua immagine ad intermittenza. Comprare dal nulla, come se fosse proprio lei, grazie a qualche rito magico, ad imporsi nei miei pensieri.
La rivedo con i suoi boccoli ramati che le ricadono dolcemente sulle spalle, il profumo dolce di miele, lunghe ciglia chiare e le labbra pallide.
Improvvisamente entrano nello scompartimento altre due donne, una vecchia che romperà sicuramente i coglioni per qualche stronzata tipica di chi si sente in dovere di fare la morale agli altri, e una ragazzina forse ancora minorenne che si siede accanto a me senza alzare lo sguardo.
Penso a lei con quel figlio di puttana di Billy Gelbreith, un finocchio stronzo che ha ereditato una montagna di soldi dal padre avvocato, morto qualche mese fa. Che si fotta.
-Mi farebbe davvero piacere se venissi Jake, sarebbe un bellissimo regalo-
Mi torna in mente quel messaggio e mi chiedo perché Steph me l’abbia mandato dopo anni di  doloroso silenzio.
Forse vuole scappare, forse vuole che vada al matrimonio per avere  una via di fuga. Ha sempre trovato in me una sorta di simbolo di libertà, l’uomo sbagliato che la sua famiglia non ha mai davvero accettato. Quello troppo povero, troppo brutto per una come lei. Una sorta di falso trofeo da esibire per mostrare quanto lei sia diversa da loro, fino a che limite una ricca e viziata ribelle può spingersi per restare sulla bocca di tutti.
Magari si aspetta che mi inginocchi pregandola di tornare insieme a me, di non sposare quel fottuto figlio di papà, ma di accontentarsi di un operaio che dimostra più anni di quelli che ha.
Batto il pugno su un ginocchio e noto uno sguardo curioso da sotto le sopracciglia della donna di fronte a me, mi studia cercando di capire cosa mi passi per la testa ed io ingoio la voglia di urlarle addosso di non fissarmi in quel modo, cazzo.
Mi sorprende che la ragazzina al mio fianco sia sobbalzata, non capisco se sia stata per colpa mia o per qualcosa che ha letto su quello schermo portato al minimo della luminosità, probabilmente per non rischiare che io legga le parole che scrive.
Volto lo sguardo verso il finestrino, ci appoggio la fronte che si raffredda in pochi secondi mentre il vetro si appanna e si spanna al ritmo del mio respiro pesante.
Chiudo gli occhi incrociando le braccia al petto, consapevole che per quanto possa provarci, di certo non riuscirò a dormire.

 

 

 

 

Buongiorno,

vorrei dire due parole su questa One Shot.
Innanzitutto i 4 personaggi di questa storia mi sono stati suggeriti dal contest con qualche linea guida sia sull’aspetto fisico che per quanto riguarda il carattere. Anche l’ambientazione, cioè il treno diretto a Londra, era obbligatoria. 

Ho scelto di parlare da 4 diversi punti di vista per concentrarmi sui “pregiudizi” della gente, Lora che giudica male Alice che invece è felice di averla lì, Alice che giudica male Jake che pensa a tutt’altro, Jake che è prevenuto su Emily che è l’unica persona a non prestare la minima attenzione ai suoi compagni di viaggio troppo emozionata per la nascita del nipote etc. etc. (Insomma l’avete appena letto non sto qui a spiegare).

La prima a parlare è Lora Smith e la sua parte è più lunga delle altre per il semplice motivo che l’ho sfruttata anche per una sorta di “introduzione”.

Spero che via sia piaciuto fare un viaggio nei pensieri di questi quattro sconosciuti le cui vite si sono incrociate per caso, io mi sono divertita tantissimo a scrivere questo testo perciò ringrazio le autrici del Contest per questa idea fantastica!

Alla prossima

  
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