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Autore: Duncneyforever    13/06/2020    1 recensioni
{Seguito di " Canone inverso - Behind enemy lines "}
Tratto dal testo:
Lui si china verso di me, dolce, fragile quasi, lasciandomi un candido bacio sulla fronte. " Se ti avessi persa, non sarebbero bastate le urla di mia madre, il dolore di mio fratello o il richiamo della patria a dissuadermi dal raggiungerti... "
~
" Questo non devi dirlo mai. " Dopo aver rizzato la schiena, lo rimiro con gli stessi suoi occhi tersi, scossa dal magone. " Perché morirei due volte se scoprissi di aver ucciso te. "
Genere: Drammatico, Guerra, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta, Tematiche delicate | Contesto: Guerre mondiali, Novecento/Dittature
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Sola con Rüdiger, non mi resta che seguirlo. Sono troppo debole per potermi opporre; cammino impettita, trattenendo dentro un dolore grande. Non è rimasto nulla della tigre volitiva che aveva incusso timore negli animi dei nazisti più spietati. Mi sono afflosciata sul sedile della sua auto, come un cadavere mutilato, che perde lacrime, piuttosto che sangue. 

- Lui dov'è - chiedo, mogia, ripercorrendo la strada che mi riporterà nella casa del colonnello, ironicamente, quella in cui io e Reiner ci siamo conosciuti e giurati amore eterno. 

Come ha potuto fare una cosa simile? Ancora non me ne capacito. Un uomo come lui, così orgoglioso, così sofisticato, ha stuprato un ragazzino per spregio, senza neppure pentirsene. 

Mi risale un groppone di rigurgito tutte le volte che provo a visualizzare la scena: che schifo, che orrore! E io che mi ero piegata tra le sue gambe, trovandolo piacevole! 

Le mie dita cercano di comprimere la trachea; stringo, stringo, così tanto da indurmi il vomito, ma Rüdiger mi allontana la mano poco prima di riuscirci. 

- Non ti azzardare a sporcarmi il tappetino, Sara. - Mi ammonisce, severo, mentre il mio stomaco in fermento, che fagocitava la colpa che avrei voluto  espellere, azzera il processo innaturale che avevo messo in moto, con una brutalità che mi porta alle lacrime. Di nuovo la calma piatta; quel peso tirato giù che, prima o poi, mi farà sprofondare. - Von Hebel è tornato nel bosco, tra quelle bestie sue simili. - Questa notizia mi dona conforto e non è più necessario parlare per distrarmi: lui non è lì ad aspettarmi e tanto mi basta. 

Una volta in salotto vengo travolta da un odore dolciastro di fiori, di rose e limoni; la fragranza d'estate, che richiama i fine settimana trascorsi in Sicilia, tra gli alberi di gaggie e il rumore delle onde che s'infrangevano sulle scogliere. C'è profumo di vita, di Sole, che oltrepassa il sottile specchio delle porte-vetro, riversandosi sulle pareti chiare; permeando fin nelle viscere. 

Lo avverto sulla pelle, insieme alla manica morbida della sua divisa, che mi accarezza il collo. 

- Ti piace? Ho pensato che un cambio d'aria ti avrebbe fatto bene. - Mi tiene per i fianchi, immerge il viso tra i miei capelli, vaporosi, inspirandone il profumo. Socchiudo gli occhi, esausta, mugugnando nel vedere Samuele inginocchiato sul pavimento, intento a passare lo strofinaccio imbevuto di quel liquido melenso. 

Mi guarda, sottomessa come lui, senza mai staccare gli occhi dalle piastrelle. Eppure so che mi ha guardata, perché ha cambiato espressione nel sapermi allo sfacelo. 

Dov'è finita la mia dignità? 

- Ti vedo timida oggi - asserisce, schioccandomi un bacio rumoroso sul collo. - Che ne dici se...? - 

So a cosa allude e lo sa anche Samuele, che drizza la schiena, abbattuto dallo stesso sentimento di sconfitta che sciaborda dai miei occhi legnosi.  

Mi avvio per le scale, incontrando lo sguardo pietoso di Ariel, che stava portando i panni in lavanderia, e di Naomi, con la bacinella più piccola per la biancheria tra le mani. 

Da un lato sono contenta che lei stia bene, che Rüdiger non sia stato così vile da abusare di lei in mia assenza; dall'altro so già cosa mi attende, che la moneta di scambio per questa sua "gentilezza" sia io. 

Il rosso chiude la porta dietro di sé, palesemente eccitato, e si tuffa su di me come un lupo. 

- Non combatti? - Soffia al mio orecchio, mordicchiandolo. Spinta contro la parete, sono completamente irretita; mi disgustano le sue mani, da sempre, tanto più ora, che ha approfittato della mia debolezza per intrufolarsi di nuovo tra le mie gambe. 

Codardo; non avrebbe avuto la stoffa per il militare. 

- A che scopo? È sempre stata una tua perversione. Se lo avessi voluto davvero, lo avresti fatto molto tempo fa, senza riempirmi inutilmente di lividi. - 

- È vero - mugugna, ripercorrendo il versante del fianco destro, fino alla candida sommità. - Ma diventi ogni giorno più bella, Italienerin. Una notte in tua compagnia, a ridosso del tuo splendido corpicino, mi ha fatto rivalutare le mie precedenti posizioni. - Scosta una ciocca di capelli dalla clavicola, strusciandosi contro il mio fondoschiena come un dannato, spinto nella bocca dell'inferno per un peccato di lussuria. Un corpo estraneo fa capolino nel mio campo visivo, dopo che avevo avuto l'ardire di guardare giù. - Lo vedi come mi hai ridotto? Riesci a sentirlo? - 

- È giunto il momento? - Sussurro, aderendo maggiormente alla parete per evitare quel contatto ripugnante. 

- Non sei nelle condizioni per quello. Ma voglio ciò che ha avuto lui; so che ti ha toccata. - Schiaccio la guancia contro la parete, vittima di una gelosia cieca e ingiustificata. Non prova amore per me, non ha a cuore nemmeno i miei sentimenti; mi ferisce sempre, mi addossa colpe inconsistenti e io, puntualmente, mi ritrovo tra le sue mani voraci; questa volta sola, senza possibilità di risalita. 

È la morte del mio onore, eppure non mi sottraggo... nemmeno quando preme la bocca sulla mia, uccidendo quel briciolo di amor proprio che gli era rimasto. Mi ha ruotato il collo con uno scatto violento, che mi ha fatto scricchiolare le vertebre, ma si è adagiato sulle mie labbra, dolce e languido, come se non aspettasse altro nella vita. 

Sono rimasta basita. 

Mi getta sul letto impaziente, spogliandosi del tutto. 

Il mattino dopo, il risveglio è devastante. Rotolo tra le lenzuola ancora bianche e pure, sentendomi imputridita da quanto accaduto questa notte. Rüdiger, per esacerbare ancora di più la mia condizione di solitudine, è scomparso immediatamente dopo aver ottenuto ciò che sperava, facendomi intendere di essersi "accontentato" per oggi. 

Avrei preferito che lui restasse, almeno per non farmi sentire un oggetto che, dopo esser stato usato, va buttato via. 

Io non sono senza valore... 

Le parole edulcorate di Reiner fanno da eco ai grugniti animaleschi di Rüdiger che, sopraffatto dal piacere, ha persino dimenticato cosa avesse sempre preteso da me: una sfida. 

Ha lasciato il letto rilassato, ebbro di una sensazione di benessere provata solo da lui. Mi ha accarezzato la nuca come avrebbe fatto con un cane e mi ha lasciata qui, scordandosi di rinfacciarmi il fatto d'esser stata passiva. 

Mi manca il sentirmi amata; il giacere beata tra le braccia di un uomo e addormentarmi tranquilla, sapendo che avrebbe dato la vita per proteggermi. Più di tutto, però, mi manca la libertà d'azione, la libertà di poter scegliere da me il mio partner, cosa che mi è stata negata fin da subito. 

I raggi del Sole fan luce sul peccato commesso e io lancio via le coperte impiastricciate, schermandomi con le braccia. 

Sarei scesa al piano di sotto molto dopo, quando sarei stata sicura della sua lontananza. 

Mi tremano le gambe nude nello scendere le scale, colta da improvvisi brividi di freddo, mescolati al sudore della vergogna. Ho le guance così calde che non le sento più; la testa mi gira vorticosamente, tanto da rendermi cieca, non abbastanza a lungo da farmi precipitare per le scale e battere la testa. 

In cucina, mi aspettano tutti: Ariel, Federico, Samuele, Naomi, ma non Isaac. I loro occhi puntati riaprono il rubinetto che ha gocciolato tutta la notte, impedendomi di dormire. Singhiozzo, con un nugolo di lava che, di nuovo, mi offusca la vista. 

- Piccola, che ti ha fatto? - Ariel è sempre il più disponibile, il più premuroso e comprensivo. - Non mi dire che... - 

- No, però... - non riesco a terminare la frase, sopraffatta dalle braccine esili di Naomi, che mi circumnavigano da parte a parte. 

- Mi dispiace, Sara. Mi dispiace così tanto. - Oltre le sue spalle, Federico e Samuele la appoggiano, riservandomi una parola gentile, di conforto. 

- Sei una ragazza coraggiosa. Ti saremmo sembrati degli ingrati, ma abbiamo capito che, in ogni caso, la crudeltà di Herr Kommandant non ci avrebbe dato scampo. Tu ci hai offerto una seconda possibilità e, nonostante tutti gli ostacoli che ci erano parsi insormontabili, siamo ancora vivi e insieme. È un merito che non ti abbiamo mai riconosciuto, ma che ti spetta. Ti ricordo bambina, a Roma, mentre ora ti vedo adulta, perché costretta dalle circostanze. Grazie, Sara. - Il discorso sentito di Federico mi consola almeno un po'; in facciata, certo, perché la mia interiorità sta marcendo lentamente e non vede altra via se non un passaggio per l'aldilà. 

- Vi prego, ragazzi, lasciatemi solo con lei, prima che faccia ritorno la governante. Ho bisogno di parlarle privatamente. - I tre, che si erano avvicinati per sincerarsi della mia salute, ritornano alle rispettive mansioni, lasciandoci soli.

- Tu ancora ti poni come intermediario? Come puoi voler patteggiare per lui? - Domando, affondando il cucchiaio nei profiteroles al cioccolato. 

- Lo so che cosa pensi del colonnello von Hebel, ma quell'avvenimento spiacevole non deve distorcere la realtà che conosci. Quell'uomo ti ama, è innegabile. Non puoi accettare di venir seviziata per un fatto di cui egli stesso si pente e che ha smesso di sussistere nel momento in cui ti ha incontrata. - 

Non capisco, davvero non capisco perché insista su questo punto. E al povero Isaac non pensa? Non è forse ebreo anche lui? 

- Che differenza c'è tra lui e Schneider? - Ariel scuote vigorosamente la testa, fermo nella sua tesi. 

- Lo sai bene, Sara. È un errore madornale. Tu eri felice con lui, risplendevi di una luce quasi divina quando lo guardavi e anche il comandante ti trattava con ogni riguardo. Avevi un fortissimo ascendente su di lui; riuscivi a renderlo migliore. - Affogo il dolore e la nostalgia nella pallina di cioccolata, scoppiando a piangere da un momento all'altro, rischiando di strozzarmi. - Piccolina... - ripete, battendomi sulla schiena per liberarmi dall'ostruzione di bignè. 

- Io non posso perdonarlo - farfuglio, con la bocca tutta sporca di crema. - Dov'è Isaac? Che cosa gli ha fatto?! - 

- È tornato al campo. - Si affretta a rispondere, non mancando di specificare che, senza il permesso di Rüdiger o di Reiner, l'ingresso al lager mi sia del tutto precluso. - Lui non si arrenderà mai. Se proprio tieni a vedere Isaac, è al comandante che devi chiedere. Ripasserà questo pomeriggio... Dio solo sa cosa farà, quando vedrà che occhi hai. - Rafforzo la presa sulle posate, ingoiando un boccone dolce, ma anche (e soprattutto) amaro. 

Non era mia intenzione rivederlo e ora mi si dice che, per forza di cose, dovrò averci a che fare un'altra volta. In verità, ho una paura dannata... non so se il mio spirito sarà più forte della carne e del cuore che, inevitabilmente, si agita ancora per lui. L'ho amato tanto da aver desiderato un figlio con i suoi capelli biondi e la sua spregiudicatezza. Sarebbe una menzogna bella e buona, se mi dichiarassi insensibile all'inflessione calda della sua voce o alla lucentezza rivelatrice dei suoi occhi azzurri. Sono ancora malleabile, predisposta naturalmente ad essere plagiata secondo i suoi desideri e i suoi progetti. 

Non va bene ed è per questo che mi sono tenuta lontano finora. 

Ariel mi becca a esorcizzare le mie stesse emozioni, il disagio suscitatomi dalla mia debolezza. Mi rimira disincantato, spingendomi di nuovo, involontariamente, verso la libertà. Accarezzo il suo braccio, il mio tronco di quercia, cercando consiglio. 

- Fa la scelta giusta, sorellina. - Conclude, ritraendosi appena in tempo, prima dell'arrivo di Erika. 

Guarda con interesse il mio piatto, sostanzioso e invitante, sedendosi a tavola senza fiatare. 

Mi ritrovo la sua mano ossuta nello stesso punto in cui l'aveva poggiata Ariel; - brutta giornata? - 

- Ti avrei ceduto il mio posto - asserisco, sorpresa dalla totale assenza di ostilità tra noi. 

- Lo so - risponde, scuotendomi leggermente. - Sono stata perfida con te, non lo meritavi. - 

- Rüdiger è una persona malvagia... che cosa ti ha portata a innamorarti di lui? - Questa domanda la spiazza completamente, perché si aspettava una contestazione da parte mia, il mio perdono forse, ma non una frecciata così intima e diretta. 

- Lui non mi aveva mai maltrattata prima del tuo arrivo. Credevo che il problema fossi tu, quando, invece, era la sua natura. Andavamo a scuola insieme, per un periodo ci siamo frequentati, quasi come una coppia... certo, se non fosse stato per la sua infedeltà. Ma lui era un libertino, sapevo bene di non poterlo ingabbiare, perciò ho tollerato, per anni e anni, pregando che un giorno potesse finalmente accorgersi di me. Ero affascinata da lui; era così intelligente, così impulsivo e passionale. Mi ha stregata. - 

- So quello che provi - la interrompo, offrendole un trespolo sul quale aggrapparsi. - Ad amare una persona che non merita di essere amata. - 

- Ma lui ricambia il tuo amore, almeno. - Ribatte, non potendo capire l'origine del nostro dissidio, per via dell'ideologia che ella stessa approva e sostiene. 

- Accetto le tue scuse, Erika. - Prendo il mio profiterole, optando per un luogo più appartato nel quale consumare la colazione. 

Non volevo parlare con una nazista di un concetto che non potrebbe afferrare a prescindere e che avrebbe aperto un dibattito ideologico. 

Mi distendo sul letto, nel mio letto, ricordandomi del libro che Reiner aveva nascosto sotto al materasso: "der Kapital" di Karl Marx. 

Mi aveva sempre incuriosita e, finalmente, avendo affinato le mie conoscenze in tedesco, posso leggerlo nella sua lingua madre, senza dover continuamente consultare il dizionario. 

Dopo qualche pagina, però, il sonno sottrattomi da Rüdiger inizia a farmi chiudere le palpebre, a scatti, segno che farei meglio a rimetterlo al suo posto. 

Crollo tempo due minuti, nientedimeno. 

Avrei riposato più a lungo, se non avessi avvertito la sgradevole sensazione che si ha, quando si è osservati. Stropiccio gli occhi, attardandomi nel riaprirli. 

Non lo avessi mai fatto. 

Una carezza tenera mi ha arrossato il viso e l'ho riconosciuta subito come una delle sue. 

- Ti ha fatto entrare Ariel, vero? O Erika? Sono tutti in combutta. - Lo rimbrotto, scansandolo in malo modo. 

- Ariel, perché ti vuole bene. - Replica, rialzando col dorso dell'indice le ciglia ricurve, distese, a contrasto con le palpebre contratte, le sopracciglia vicine e infastidite. - So che cosa provi. - 

- Ah sì? Lo sai? - Ironica e tagliente, come non lo sono stata con Rüdiger. Era un bel po' di tempo che non mi inacidivo tanto. 

Schau mich an. Te ne prego. Io ti... - 

- Smettila di dire che mi ami! Non sono né sorda e né scema! - La rabbia, maledetta, me li ha fatti aprire. Ciò che vedo, però, non è ciò che ricordavo: non mi era mai capitato di vederlo con la barba, né con spesse occhiaie nere a sottolineare quanto poco abbia dormito. 

La bellezza sciupata, come quella di un fiore reciso, mi fa esitare. 

- Sembri un barbone - commento, scioccata dalla sua trasformazione. Lui si gratta il capo, scompigliandone i ciuffi già spettinati. 

- Fossi stato un senzatetto avrei potuto conservare il tuo affetto per me. Ho cercato di proteggerci dal mio passato; non ci sono riuscito. - Mi libera il collo dalla cascata di capelli mori, con la quale mi riparavo dai brividi di freddo. - Dimmi che non è successo quello che penso... - una rabbia velata gli intinge le labbra dischiuse, tremanti; al mio silenzio, vomita un coagulo di bestemmie, rompendo in un pianto furioso. - Mein Gott... - 

- Non quello che pensi. Si è preso quello che abbiamo vissuto insieme; pareva che fosse presente... sapeva dove, come persino. - Addento l'interno delle guance, squarciando il sottile strato di pelle. Devo mostrarmi impenetrabile dopo aver subito violenza; non è umano quel che sto facendo. Da donna, da ragazza ferita, dovrei chiedere aiuto, rifugio, o pretendere vendetta. Lo sgozzerebbe come un maiale, nulla che potrebbe rendermi più felice, contando quel che il colonnello mi ha costretta a fargli. 

Un'oscenità indicibile; il tatto di Reiner non era che un lontano ricordo. 

- È colpa mia - uggiola, aggrappandosi alle lenzuola. 

- Tu hai molte colpe, ma non questa. - Porto la mano su uno dei succhiotti più evidenti, rimpiangendo di non aver almeno provato a impedirglielo. - Se vuoi fare qualcosa per me, lascia che io lo veda. - 

- Puoi anche uccidermi; non me ne andrò mai. Dovessi anche trascinarti a Dresda con la forza, non sarai schiava di nessuno. - Soffia i ciuffi biondi che gli ricadono sulla fronte, scrutandomi come un cane randagio, figlio della rabbia eroica dei suoi antenati. 

- Lui non lo permetterà mai e io non voglio sporcarmi le mani, né col sangue tuo, né col suo, né con quello degli innocenti dall'altra parte del filo spinato. Anche se lo credi un incapace non vuol dire che lo sia e, qualora tu fallissi e restassi ucciso, saremmo noi a rimetterci. - Non sono più una sua responsabilità; non si deve intromettere. So bene quel che faccio e, se ho scelto di sacrificarmi, è a fin di bene. Lui non ha fatto altro che darmi un incentivo, perché in fondo ho sempre saputo che sbarazzarmi di Schneider sarebbe stato più arduo di quanto non lo facesse sembrare. - Portami da quel ragazzo, Reiner. Che cosa devo fare per avere un passaggio, eh? Vuoi anche tu un lavoro di bocca? - S'infila le dita all'interno del colletto sgualcito, slargandolo ulteriormente. 

Quella richiesta ironica lo ha fatto inorridire. 

- Ti ci porto, se deciderai di seguirmi senza fare storie. - Allora non ha ascoltato proprio niente di quello che ho detto! Me lo vedo a un palmo dal naso, ma mi tappa la bocca prima ancora che possa urlargli di andarsene. Ha le labbra ancora morbide, considerando come si sia trascurato negli ultimi giorni: aspettava quel contatto; si era preparato per me, conoscendo il mio punto debole. Nonostante la corta peluria che gliele contorna, pizzicandomi la pelle, è ancora piacevole... ma quanto vorrei che non lo fosse! 

- Dimmi che non hai provato niente ed eviterò di caricarti in auto come se dovessi sequestrarti. - Batto le palpebre umidicce, incapace di mentire a una distanza così ravvicinata. - Dov'è Schneider? - Mi ritraggo a una carezza troppo avventata, impastandomi la bocca, smaltendo il sapore che vi era rimasto impresso. 

- Non al campo. Non aveva addosso la divisa quand'è uscito, o non te lo avrei neppure proposto. - 

- Vedrai il tuo ungherese. - Il suo tono superbo mi colpisce più forte di un potente manrovescio, mandandomi al tappeto. Ripongo la mia avversione in uno scompartimento ben sigillato, in modo che non possa compromettere il suo umore. Era un filo sottile a tenerci legati, ma sufficientemente robusto da ricucirsi da sé ogni volta che le nostre idee, agli antipodi, riuscivano a troncarlo. Ora quella cordicella è minacciata da uno strappo all’apparenza irreparabile e il più piccolo movimento da parte nostra potrebbe reciderlo per sempre. - Heimtückischer Bastard / infimo bastardo - aggiunge, a bassa voce, dandogli addosso per il fatto d’esser nato ebreo, d’esser bello, d’essermi simpatico, d’aver rotto il nostro fidanzamento, l’unica certezza che avevamo nella vita. 

Mi ha spinto l’anello nella tasca, credendo di poter passare inosservato... 

Lui ancora non sa come la prenderò e, il bello, è che non lo so neanche io. 

 

 

 

 

  
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