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Autore: itachiforever    13/06/2020    2 recensioni
[Venerdì 13]
Una ragazza, i suoi genitori, il suo cane e una nuova casa.
Un lago, una foresta e un campeggio sventurato.
Giovani ragazzi, una piccola vacanza e uno spietato serial killer immortale.
Differenze, similarità e qualche salvataggio.
Crystal Lake troverà la pace?
Genere: Horror, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Capitolo 15 (Seconda Parte)  – Slaughter party 


 

Jason era ancora lì, appostato dietro i cespugli, pronto a scattare per ghermire la sua prossima vittima. L’ascia pronta in una mano e il pugno dell’altra stretto, leggermente tremante per l’agitazione – positiva – che la caccia gli stava dando quella notte. Nessuno sarebbe sopravvissuto, non stavolta. I tre ragazzi rimasti erano talmente sconvolti dalla scena che non emisero fiato, anzi sembrava stessero trattenendo il respiro, poi una delle due femmine, la fidanzata, iniziò a tremare sempre più forte, finché non scoppiò a piangere, un pianto disperato misto ad urla, chiamando il nome del ragazzo decapitato. L’amica l’abbracciava forte, cercando di consolarla ma senza riuscire a dire niente. Lei e il suo ragazzo potevano solo fissare la pozza rossa allargarsi sempre di più.

Fu in quel momento che Jason sbucò fuori dal suo nascondiglio, quando le urla della ragazza si stavano facendo un po’ troppo forti per i suoi gusti. Il ragazzò ritrovò la parola e spronò le amiche a fuggire.

“Via! Via!” Si girò ed iniziò a scappare, prese la fidanzata per il bracciò e la tirò via, mentre lei perdeva la presa sull’amica, che rimase indietro ed immobile, alla mercè del killer.

Ma lui non ebbe nessun riguardo per lei, se non quello di ucciderla in fretta. Rimase per pochi attimi fermo davanti a lei, inginocchiata sull’asfalto, guardandola negli occhi, solo il tempo necessario a decidere che metodo usare per quella esecuzione. Scelse in fretta, tirando fuori dal fodero il suo machete e decapitando anche lei, come il suo fidanzato. Poi si mise ad inseguire l’altra coppia, che si era diretta alla porta sul retro. Fortunatamente aveva provveduto a bloccare anche quella.

 

Tyler stava prendendo a spallate la porta, cercando con tutte le sue forze di farla aprire, mentre Sophie provava a tirarlo via, guardandosi compulsivamente intorno.

“Ti prego andiamo via! È chiusa, non riusciremo mai a sfondarla! Dobbiamo entrare dall’ingresso principale!”

“Maledizione!” Tyler sferrò un ultimo calcio alla porta, imprecando subito dopo per il dolore che si era causato da solo. “Va bene, facciamo il giro dall’alto lat-SCAPPA!” La spinse via improvvisamente, avendo visto Jason voltare l’angolo mente rinfoderava il machete.

La ragazza cacciò un urlo e iniziò a correre via, seguita da lui che le stava dietro.

“Non voltarti! Corri!” La spronava lui, e fu proprio lui a venir preso per primo.

Jason lo afferrò per il retro della camicia, strattonandolo all’indietro. Lo fece girare su sé stesso come fosse un bambolotto e gli prese la testa tra le mani, iniziando a far pressione sul cranio. Anche questa volta, a nulla valsero le urla di dolore del giovane. Alla fine le ossa cedettero all’inumana forza dell’assassino più famoso dello stato.

Mollò la presa, spingendo via da sé il corpo come se fosse qualcosa di estremamente disgustoso, e tornò ad inseguire l’ultima ragazza. Doveva sbrigarsi, non voleva che svegliasse qualcuno. Sapeva che la polizia avrebbe scoperto presto quello che era successo, ma prima che ciò accadesse voleva finire il lavoro senza essere disturbato.

Raggiunse la giovane, che stava chiamando aiuto mentre cercava di rompere il vetro della porta d’ingresso. Voleva entrare? Jason era più che felice di darle una mano.

Afferrandola per il collo e per una gamba, la scaraventò contro una delle grandi finestre, che finì immediatamente in frantumi insieme all’intelaiatura.

Nonostante il dolore causato dalla caduta e dai vari tagli appena procurati, Sophie cercò di mettersi in piedi quanto prima, continuando a gridare aiuto più forte che poteva, incurante delle schegge che le premevano nella carne di mani e gambe.

Si rese però conto di non riuscire a correre, né tanto meno a camminare decentemente, non appena riuscì a riguadagnare la posizione eretta, a causa di una lama di vetro penetrata in profondità nella gamba. Ora che l’aveva notata, quella era la ferita che più le provocava dolore, impedendole di fare anche solo un passo. Non aveva tempo di tirarla fuori e sicuramente non poteva restare lì immobile, dato che Jason stava scavalcando ciò che restava della finestra del tutto incurante degli acuminati pezzi di legno e vetro.

Prese un respiro profondo, cercando con tutte le sue forze di ignorare le fitte lancinanti e di non cadere. L’unico posto dove poteva trovare qualcuno che potesse aiutala era al piano superiore, quindi si diresse, arrancando il più velocemente possibile, su per le scale.

Non riuscì ad arrivare in cima alla prima rampa che inciampò, sbattendo le ginocchia sui gradini. Il dolore era così forte che neanche le urla riuscivano più ad uscirle di bocca. Proseguì la sua salita in quella posizione, trascinandosi su solo di un paio di gradini, poiché qualcosa, o meglio qualcuno, la prese per la caviglia, tirandola di nuovo verso il basso.

Con un’ultima scarica di adrenalina provò a far mollare la presa al suo assalitore, scalciando e dimenticando per un attimo il dolore. Ma senza risultati.

Venne trascinata ancora un po’ più giù e, quando venne lasciata, l’ultima cosa che vide fu la suola di uno scarpone che le schiacciava la testa contro un gradino.

 

Jason fu molto soddisfatto del suo operato e sentiva la voce di sua madre che si congratulava con lui, orgogliosa. “Bravo il mio bambino. La mamma è molto fiera di te. Ora vai, non hai ancora finito.” Lui annuì, mancava ancora una persona e avrebbe reso questo ultimo lavoretto un capolavoro.

Si diresse nella zona più centrale della città, passando da vicoli e strade secondarie, assicurandosi di non essere visto da nessuno. Arrivato al negozio della guida fasulla, andò sul retro. Voleva prendersela un po’ più comoda con lui, quindi doveva stare ancora più attento a non allarmare nessuno.

Nella strada sul retro, completamente buia, non gli fu difficile trovare la porta che gli serviva. Ne forzò la serratura con facilità, era alquanto vecchia, e si trovò davanti la rampa di scale che portava a casa del negoziante e la porta, decisamente più nuova della precedente, per il suo luogo di lavoro.

Al piano superiore l’accesso all’appartamento era stato lasciato aperto, quindi Jason non ebbe problemi ad arrivare alla camera da letto dell’uomo. Da quel che aveva visto, non importava se si fosse messo a gridare. Quella era una zona commerciale e gli unici palazzi con abitazioni erano abbastanza lontani da non accorgersi di eventuali richieste di aiuto.

Jason era disgustato dall’uomo che dormiva ignaro davanti a lui, completamente nudo se non per un paio di boxer. La rabbia lo invase e seppe immediatamente cosa fare. Quell’uomo doveva soffrire, gliel’avrebbe fatta pagare molto cara per gli anni che aveva passato facendo entrare chiunque nel suo territorio, per non parlare del fatto che li portava anche alla tomba di sua madre. Jason era a dir poco furioso, una rabbia decisamente diversa dalla solita.

Lo afferrò per una caviglia e lo tirò giù dal letto, facendogli sbattere la testa sul pavimento.

Non usò armi quella volta, né il machete né tanto meno l’ascia. Fece tutto da solo. E si divertì parecchio nel farlo.

Quando ebbe finito, e dopo aver ammirato il tutto, recuperò l’ascia, che aveva momentaneamente appoggiato di lato, e si diresse verso casa della ragazza. A quel punto aveva già preso una decisione.

 

Jasmine si svegliò appena in tempo per poter fare colazione con i suoi genitori, grazie a un Finn stranamente agitato che le leccava la faccia.

“Va bene, va bene, sono sveglia” lo accarezzò sulla testa, poi lui si diresse verso la finestra aperta, abbaiando una volta sola in quella direzione.

Qualcosa che brillava al sole, appoggiato sul davanzale, la accecò per un attimo. Si alzò dal letto per andarlo ad esaminare e improvvisamente fu felicissima di quella sveglia non proprio tranquilla.

Prese in mano l’oggetto luccicante, niente meno che la collana con la maschera da hockey che aveva perso. Sorrise e se la strinse al petto, saltellando per la stanza come solo una fangirl potrebbe fare. Se la collana era lì, era sicuramente merito di Jason, non c’erano dubbi. E se lei stessa, insieme alla sua famiglia, era ancora lì viva e vegeta, era sicuramente perché Jason era rimasto contento del suo regalo. Guardò fuori dalla finestra, aspettandosi quasi di vederlo, ma non trovò nessuno. Gran parte della felicità del momento sparì però, quando vide una macchia rossa, che prima non aveva notato, sul legno bianco al lato della finestra. Si sporse un po’ di più per vedere meglio, e confermò il suo sospetto: era l’impronta di una mano, una piuttosto grande, ed era sicuramente sangue.

Ebbe un tuffo al cuore, nonostante sapesse bene a cosa andava incontro quando decise di dargli l’ascia. Avrebbe dovuto aspettarselo, anzi se lo aspettava, ma ora che era tutto reale e non più solo una possibilità, la cosa le sembrò decisamente più preoccupante. Qualcuno ci aveva rimesso la pelle quella notte, e lei si sentiva responsabile. Non le piacevano le persone, ma questo non voleva certo dire che voleva vederli tutti morti.

Il flusso di pensieri colpevoli venne interrotto dal rumore della porta del bagno che si apriva. Strinse il davanzale fino a farsi sbiancare le nocche. Doveva mantenere la calma, non poteva far notare niente ai suoi genitori.

Suo padre fece capolino dalla porta.

“Guarda un po’ chi ha deciso di fare la mattiniera. Ti godi la vista, dormigliona?”

Lei si girò, sorridendo. “È una bella giornata, è un peccato sprecarla dormendo.”

“E tua madre a fatto i waffles, quindi è ancora più bella! Sbrigati a scendere, così facciamo colazione insieme prima di andare a lavoro.”

“Arrivo subito, vado un attimo in bagno prima.” Disse, infilandosi un paio di infradito.

Quando fu sicura che suo padre non poteva vederla, lasciò cadere la sua maschera, tornando preoccupata. Guardò la collana che aveva nascosto nella mano, sorprendendosi del fatto che non aveva nessuna traccia rossa, per poi lasciarla sul comodino.

Prese un respiro profondo, si fece coraggio e scese in cucina, di nuovo apparentemente contenta.

Il solo odore dei waffles di sua madre bastò a tranquillizzarla, così fu in grado, nonostante tutto, di godersi quella bella colazione in famiglia.

Per i suoi genitori fu presto il momento di andare a lavoro, quindi li accompagnò alla porta per salutarli.

“Fate attenzione, mi raccomando.” Si fece scappare alla fine, beccandosi le occhiate stranite dei suoi genitori. “Oggi è Venerdì 13, ricordate?” dovette spiegare.

Gli sguardi dei due si fecero decisamente più nervosi.

“Ma allora vieni in città con noi! Non mi va di lasciarti a casa da sola!” Disse sua madre, protettiva.

Jasmine sorrise di nuovo, rassicurante. “Non vi preoccupate, il tempo di prepararmi e poi pensavo di andare a fare un giro in bici in città. Non l’ho ancora vista tutta, magari oggi esplorerò un’altra zona.”

Anna tirò un sospiro di sollievo “D’accordo, allora fa presto, va bene? Vieni a pranzo da me, oggi facciamo la pasta alla Bolognese. Appena il proprietario ha saputo che sono italiana mi ha chiesto di prepararla nel modo tradizionale.”

“Allora non posso proprio rifiutare!” Scherzò lei.

“Se riesco a liberarmi allora vengo anche io durante la pausa. Non vorrei perdermi una tale occasione!” Si aggiunse Robert, baciando la moglie sulla guancia. “Ora però andiamo o faremo tardi.”

Così si salutarono, e Jasmine rimase a guardare la macchina andar via e sparire tra gli alberi. A quel punto, andò a controllare la ringhiera del portico, nello stesso punto che aveva usato lei per risalire la sera prima.

Non fu sorpresa nel trovare due impronte di scarponi, anch’esse con del rosso, sul legno. Corse dentro a prendere uno strofinaccio, inumidendolo. Sperava davvero che il sangue non fosse troppo secco, o avrebbe dovuto passarci sopra della vernice. Fortunatamente ce n’era ancora di quella avanzata dai lavori, in cantina.

Non si rivelò necessaria comunque, con un po’ di olio di gomito, e dello sgrassatore, riuscì a pulire per bene sia la ringhiera che la finestra e poi, per sicurezza, disinfettò anche la collana.

Con ritrovata energia decise che era il momento buono per uscire e dirigersi in città. Quando arrivò alla fontana dell’altra volta per far bere Finn, che come sempre l’aveva seguita correndo dietro alla bici, non si aspettava di vedere tre volanti della polizia, un’ambulanza, e un’incredibile folla di fronte al negozio di quella sottospecie di guida.

Mise il guinzaglio a Finn e si avviò verso la confusione, intrufolandosi tra la gente.

“Se l’è andata a cercare.” Sentì dire da una voce maschile.

“Nessuno merita una fine del genere, è orribile!” Rispose una femminile.

“Mamma, mamma! Chi è morto? È stato Jason?” Chiese un bambino.

“Ho sentito dire da uno degli agenti che è stato fatto completamente a pezzi!”

Le voci erano accavallate, ma Jasmine stava sentendo tutto fin troppo bene.

“Io ero qui con quello che ha chiamato la polizia! C’era la sua testa infilzata su un forcone davanti la porta!”

“Oddio! Davvero?!”

“Sì! L’hanno portata via appena arrivati, ma quella cosa non si poteva più definire testa! Non c’erano gli occhi e sembrava schiacciata come una lattina!”

“Adesso basta!” Intervenne un agente “Andate via, non c’è niente da vedere!”

Jasmine era riuscita intanto ad arrivare al nastro giallo che recintava la zona del delitto.

“Anche all’albergo è un disastro, sono morte una sacco di persone, tanti ragazzi.”

“Sì! Due sono stati decapitati!”

Poi un signore, accanto a lei, le rivolse la parola. “Non è un bello spettacolo per una ragazza della tua età. Fidati di me, vai a casa e abbraccia i tuoi.”

Se ne aggiunse un alto. “Vero, lì dentro hanno trovato più sangue che vernice sulle pareti.”

Non riusciva a credere ai suoi occhi, né alle sue orecchie. Non potè fare altro che sbarrare gli occhi e impallidire a quella vista, per quanto sapesse che non era che una piccolissima parte di tutto quello che era successo.

La porta era stata buttata giù e tutto il vetro era in frantumi sul marciapiede.

C’era un sacco di sangue davanti all’ingresso, lo stesso sangue che lei sentiva sulle sue mani.

 

 

 

 

 

 

Angolo Autrice

 

Ciao a tutti!

Sono riuscita ad aggiornare non solo dopo un periodo di tempo decente, ma anche nel giorno perfetto!

Tanti auguri a Jason! Non sarà Venerdì (peccato, visto che è sabato) ma è comunque il 13 Giugno!

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, e che io sia riuscita a rendere bene il tutto. Jason era parecchio ispirato a quanto pare, oltre che arrabbiato.

Ma è il suo giorno speciale, quindi gli possiamo perdonare tutto, vero? XD

Vi lascio anche un altro degli aesthetic che ho fatto, spero vi piaccia!

Il momento dell’incontro face to mask è sempre più vicino!

Stay tuned!

Alla prossima! <3

 

 

 

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