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Autore: breezeblock    14/06/2020    5 recensioni
Draco iniziò a studiare il suo corpo. L’occhio cadde inevitabilmente sulla camicetta, sotto alla quale per la fretta non aveva messo niente, convinta che nessuno avrebbe notato la differenza. Eppure, lui la notò eccome. Il ragazzo realizzò in quel momento che quella che aveva davanti non era più una bambina e attraverso i suoi occhi Hermione fece la stessa intrusiva, scomoda scoperta.
One Shot prequel di Muggle Studies.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
- Questa storia fa parte della serie 'Muggle Studies - The Years '
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Bentrovate! Questa one shot si colloca all'altezza del quarto anno. Draco ed Hermione hanno quattordici anni e tutto ciò che è raccontato in Muggle Studies non è contemplato nemmeno nelle loro fantasie più recondite. O quasi.
Non è necessario leggere Muggle Studies per capire il contesto della shot, anche se ci sono alcuni episodi che lì sono solo citati e qui espressi in dettaglio. Comunque, in caso questa breve storia vi piacesse o incuriosisse, spero che facciate un salto di là, per approfondire la storia. 
La citazione sotto al titolo è una rivisitazione da: 
Walt Whitman, ‘Song of Myself’, Leaves of Grass.
Per chi ha seguito Muggle Studies, probabilmente nei prossimi giorni mi dedicherò ad un esperimento, e spero davvero non sia un disastro, così potrò condividerlo con voi. Sarà probabilmente una one shot anche quella, ma è tutto ancora un po' in divenire. Intanto, vi ringrazio per esserci.
Bene, adesso vi lascio alla lettura e che dire, spero davvero vi piaccia.
A presto!
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Little Woman



She contradicts herself

She contains multitudes 
 


 
E poi c’è stato un giorno in cui essere consapevole della sua presenza non le bastava più. Se ne fregava, se la mattina a colazione lo trovava sempre davanti a lei, sempre al solito posto, sempre con quel solito grugno a dipingergli il voto. Se ne fregava se a volte il suo orario delle lezioni –fitto e senza nessun’ora libera- a volte s’incrociava con quello di lui e condividevano la stessa aria viziata dei sotterranei, o gli stessi sguardi fuorvianti e severi di Piton. La consapevolezza che lui ci fosse, era stata già appurata. Ormai aveva perso le speranze di avere ancora un minimo controllo su ciò che il suo cuore decideva di provare senza preavviso. Una mattina come le altre, Hermione si alzò e pensò che probabilmente un posto all’Inferno, lei, lo aveva già assicurato.
Si preoccupava continuamente delle conseguenze dei suoi pensieri più reconditi. Ogni notte, il giorno vissuto le si dispiegava di fronte agli occhi e lo rivedeva sempre, anche quando in realtà lui non c’era stato. La sua mente le giocava brutti scherzi e lo inseriva in contesti in cui lui prima non aveva spazio. Draco si era espanso in lei inavvertitamente. 
Si era abituata ormai, all’idea che quello che provava, per quanto nutrito solo da eccitazione fisica, quella incontrollata e indesiderata, non fosse giusto, specie agli occhi degli altri. Forse gli altri, non lo avrebbero mai del tutto accettato, se avessero saputo. E lei non aveva alcuna voglia di sentirsi sbagliata ancora, di fronte allo specchio o di fronte agli occhi della gente con cui ormai da anni condivideva qualsiasi cosa. Draco incarnava la sua paura di essere lasciata da sola. Era la sua scelta sbagliata, era la solitudine, ma era anche il piacere. Lei però aveva bisogno di sentirsi giusta, apprezzata prima che dagli altri, da sé stessa, anche con un voto non del tutto accettabile, anche con le imperfezioni sul volto che proprio non si decidevano ad andarsene via, anche con Ron nel suo cuore, che un posto non sapeva nemmeno quando aveva iniziato ad occuparlo, il fatto era che adesso c’era. Aveva bisogno di andarsi bene nonostante tutto, nonostante Draco.
Perciò una mattina come le altre, Hermione si alzò e decise che quello che succedeva di notte tra lei e le sue mani, erano solo affari suoi, lui quasi non c’entrava. Non c’era posto per lui. 
Forse sarà stato il suo modo di camminare per i corridoi: l’aria sicura di sé, una sicurezza che a lei era sempre mancata e alla quale aspirava come la luna aspira a raggiungere il sole nel suo moto incessante. Forse sarà stato il modo che aveva di starsene a fissare il volto delle persone con le quali interloquiva; quello che gli era suo in una maniera prima di allora inconcepibile, quello che faceva capire quanto fosse interessato e propenso –solo a volte- a lasciare i suoi spazi per immergersi nella vita di qualcun’altro. Hermione un modo di esprimersi, con quello sguardo puntato nei suoi occhi, non lo avrebbe mica avuto. Sensato, no di certo. 
Forse sarà stato il suo humour, che anche se totalmente opposto a quello della casa a cui lei apparteneva ci si ritrovava in pieno, ma era costretta a soffocare la risata che altrimenti sarebbe esplosa sicura in sorrisi nascosti dietro la copertina di qualche libro che portava sempre con sé. Perché quel modo di fare battute era sbagliato, e diamine, lo sapeva benissimo, ma non riusciva a darsi un freno. L’ardore che soffocava tutti i giorni in ogni angolo del castello, riusciva a sfogarlo in quel semplice gesto che da un certo momento in poi si rivelò necessario per soffocare almeno una piccolissima parte di ciò che si era scoperta in grado di provare. 
Tutto quell’impeto, quell’energia, non era mai stata da lei. Eppure, dovette ricredersi, adesso che era sempre la prima tra tutte a svegliarsi nel suo dormitorio, la prima a proporre uscite fuori programma ad Hogsmeade o serate passate in compagnia di altre case nella sala comune non contemplando minimamente il coprifuoco. Non era più la stessa, non era più l’Hermione Granger che tutti avevano imparato a rispettare e ad amare. Lui la faceva sentire viva come non lo era mai stata. Questa adrenalina si faceva strada nelle sue membra specie quando lui era vicino o la guardava con quel suo modo di stare al mondo.
Ma c’erano giorni in cui invece le sembrava di morire. Giorni in cui la sua presenza era ancora più insostenibile, giorni in cui era persino troppa, e i corridoi sembravano gridare il suo nome incessantemente. Giorni in cui Draco, le rimbombava nel petto e non le concedeva pace. In quei giorni, lì, nei quali preferiva soffrire in pace, in silenzio e da sola, avrebbe desiderato tornare indietro solo per correggere i suoi sbagli – se mai ne avesse compiuti. Sarebbe tornata indietro per verificare effettivamente quando, il punto esatto, anche il luogo e l’ora magari, in cui era cominciato tutto. Perché non ricordava nulla, non ricordava il modo in cui tutto era iniziato, quasi come se qualcuno le avesse inflitto a sua insaputa un pesante Oblivion che l’aveva svuotata di tutti i ricordi preziosi e necessari per rimettere insieme i pezzi. E quelli erano i momenti in cui si rendeva conto di essere arrivata al punto di non ritorno, al punto in cui era arrivata ad odiarlo. Ma quando i suoi occhi gravitavano intorno alla sua figura, era comunque piacevole sentirsi guardare. Lui aveva iniziato a farlo spesso, anche quando era sicuro che lei non lo stesse notando. Lei se ne accorgeva lo stesso, perché i suoi sguardi avevano assunto un peso che avrebbe voluto avessero gli sguardi di Ron ma che invece non avevano. Gli sguardi di Ron erano diversi, dolci, tranquilli, un rifugio in cui ritrovarsi. 
Non la chiamava Mezzosangue da un po’. Da moltissimo tempo in effetti. Adesso non la chiamava più e basta. C’erano solo sguardi, quelli che capitavano per sbaglio, o forse non troppo per sbaglio. Come dopo una partita di Quidditch che aveva visto i Grifondoro vincitori. Un giocatore della squadra aveva fatto una brutta caduta e lei era accorsa nel campo insieme ad altri suoi compagni. Poco più lontano i Serpeverde stavano tornando negli spogliatoi. Si guardarono per un tempo che sembrò interminabile. Non c’era astio nei suoi occhi. Solo tempesta. Di quella incontrollabile, quella in cui lei volentieri si sarebbe persa solo per assecondare quelle farfalle allo stomaco che iniziavano a svolazzare quando lo incrociava per i corridoi e lo sguardo di lui finiva sulla gonna, quello di lei alle sue mani. 
Hermione era dilaniata dal senso di colpa per quei pensieri tutt’altro che puri, avrebbe solo voluto che Ron si sostituisse a quelle fantasie, che fosse più presente, non nei sogni. 



Fuori pioveva a dirotto, e alcuni studenti rimasti fuori a bighellonare prima dell’ora di cena, rientrarono repentinamente all’interno del castello con il mantello sistemato sulla testa alla bell’e meglio, accompagnati da altisonanti risate e acqua che gocciolava dappertutto. Hermione li osservava dall’altezza del suo dormitorio, già propensa a non presentarsi a cena. Nemmeno Ginny la convinse e la lasciò sola con un foglio di giornale che fluttuava infuocato davanti a lei a scaldarla. Una volta da sola decise di uscire.
Perciò aspettò che tutti fossero riuniti in sala Grande e distratti dall’immenso bacchetto, si tolse il pigiama con la fretta di essere scoperta e con altrettanta fretta dimenticò di coprirsi a dovere.
La pioggia si abbatteva impetuosa sul suo corpo fragile, sui capelli, sugli occhi, che strizzò per via l’acqua incombente. Si sfogò di fronte ad un cielo autunnale e ad un clima inospitale, che stranamente diventò accogliente, perché combaciante perfettamente con quello che aveva dentro. Un groviglio di sentimenti confusi e di scelte che forse un giorno avrebbe dovuto prendere.
 


Un rumore improvviso la ridestò e le rammentò che doveva subito far ritorno al castello. Non ci teneva a superflue e inutili domande. 
Lo vide poco lontano, bagnato dalla testa ai piedi che faceva ritorno al castello, nella sua direzione. Si morse il labbro per cercare di soffocare tutte quelle domande sorte spontanee a cui lui sicuramente non avrebbe risposto. Erano già uno dalla parte opposta all’altra, in uno schieramento che un giorno, forse, li avrebbe divisi sul serio.
Draco nel vederla si fermò. Non si era accorto di lei e di sicuro non si aspettava di trovarla lì, sotto alla pioggia. Da quella distanza gli sembrava una piccola donna persa, confusa. Ignorava il motivo della sua presenza lì, così fuori dall’ordinario, per una come lei. Lui alla pioggia invece c’era abituato, specie a quella nel suo cuore, un pianto perennemente inascoltato. 
Hermione rimase impietrita, incerta sul prossimo passo giusto da fare. Non sapeva come reagire nemmeno lui. Gli occhi grigi in pendant con l’ambiente circostante, Hermione li scambiò per due fari luminosi. Draco si avvicinò perché si dia il caso che Hermione si trovasse sulla strada del ritorno. 
“Non ce l’avete una doccia nel vostro dormitorio?”, le chiese lui, il sorriso sghembo non tardò a comparire. 
“Potrei farti la stessa domanda”, gli rispose, il tono incerto. 
Passò qualche minuto, in cui lui la osservò senza dire nulla. Fu in quel momento, che Draco iniziò a studiare il suo corpo. L’occhio cadde inevitabilmente sulla camicetta, sotto alla quale per la fretta non aveva messo niente, convinta che nessuno avrebbe notato la differenza. Eppure, lui la notò eccome. Il ragazzo realizzò in quel momento che quella che aveva davanti non era più una bambina e attraverso i suoi occhi Hermione fece la stessa intrusiva, scomoda scoperta. Quella davanti a lui era una piccola donna che sbocciava, ancora qualcosa di indefinito, ma decisamente qualcosa che lo smosse e che adesso lo aveva fatto irrigidire. Lei non aveva nemmeno provato a coprirsi, certa che comunque lui le avrebbe letto in faccia quello che stava vedendo altrove. Infondo, le stava piacendo essere guardata con quell’avidità. Il viso era rosso, vagamente eccitato per quella sua intrusione visiva, e il resto del corpo avvertì la stessa pulsazione. Draco si stava soffermando più del dovuto su quel seno che era appena sbocciato e che lo invitava silenziosamente a farsi avanti. Almeno questo fu quello che pensò lui soffermandosi sui capezzoli inturgiditi dal freddo e dalla pioggia. Respirò pesantemente, poi distolse lo sguardo. In tutto questo Hermione lo guardava con un labbro stretto tra i denti, in attesa che quel momento terminasse, ma sperando anche che non finisse. Era come trovarsi in un buco nero, la sensazione di sciogliersi in una forma indefinita scivolando tra le pieghe di un tempo estraneo, dilatato, sentirsi attrarre pesantemente dalla sua forza di gravità. 
“Che ci fai qui?”, chiese poi lui, cercando di non far cadere ancora lo sguardo in quella terribile, insolita tentazione.
“Avevo bisogno di una boccata d’aria”, disse tutto d’un fiato.
Il ragazzo le rivolse un’occhiata scettica, aggrottando le sopracciglia ed accentuando quel sorriso che era comparso prima e che si era brevemente consumato nel realizzare fosse diventata a tutti gli effetti una donna.
“E tu? Che ci fai qui?”, chiese poi, con quell’inguaribile curiosità che con lui valicava confini sconosciuti e voleva sapere sempre di più, nutrirsi di qualsiasi cosa lui avesse da dare. Era una curiosità che smuoveva ogni fibra del suo corpo, che la faceva tremare dalla mancata soddisfazione, che la faceva gemere di notte e poi pentirsi di mattina specchiandosi negli occhi di Ron.
“Avevo bisogno di una boccata d’aria”, rispose lui, stavolta sorridendo apertamente. Un sorriso di sfida diverso dai soliti che comparivano dopo un’offesa contro il mondo. 
Lo fissò senza dire nulla, le labbra socchiuse che sembrava stessero cercando di dire qualcosa. L’indecisione irrigidì anche Draco. Erano entrambi irriconoscibili per via della furia violenta dell’acqua che si abbatteva sui loro corpi roventi. 
“Sarà meglio andare, non ci tengo a farmi espellere”, Draco aspettò che lei facesse un passo per salire sul ponte. Lei lo guardò un’ultima volta, poi si voltò, e quello che restò furono solo i suoi passi costanti dietro la sua schiena, il suo respiro pesante e i pugni che lei stringeva al petto, a testa bassa.
Hermione pensò che tutto ciò che provava, bastava a farla espellere, ma che non ce l’avrebbe mai fatta invece, ad espellere lui da quei pensieri. Avrebbe comunque tentato il tutto per tutto per confinare quei pensieri ad un angolo minuscolo di sé. Li avrebbe negati fino a credere che fossero del tutto scomparsi in una nuvola di fumo. Era sbagliato, bello forse, ma sbagliato. La sua esistenza non gravitava intorno a quella di lui. Erano due pianeti diversi, in un diverso sistema solare. Due galassie lontane così tanti anni luce che non avrebbero potuto mai scontrarsi e fondersi. Non poteva succedere. 
Prima di separarsi completamente da lui e tornare nel suo dormitorio, si voltò un’ultima volta dai primi gradini che l’avrebbero portata nel suo dormitorio. Lui si fermò prima di prendere le scale per i sotterranei.
“Che vuoi, Granger?”. Una domanda semplicissima. Un tono altrettanto semplice, spogliato dall’insolenza di cui si riempiva di solito. Era dall’esercitazione con il molliccio al terzo anno che aveva smesso di servirle offese regalate su un vassoio d’argento. Da quando lui era stato spettatore della sua più grande paura e aveva scoperto che la McGranitt che la bocciava in Trasfigurazione era ciò che più temeva. Aveva sorriso di un sorriso diverso. L’insicurezza che lei tentava di nascondere e che in quel momento gli fu rivelata era la stessa che stava leggendo adesso in quegli occhi color cioccolato. Insicurezza, indecisione, una voglia soffocante di provare a vedere com’era. Ma lui questo dettaglio non poteva nemmeno immaginarlo.
“Buonanotte, Malfoy”, così formale, così finta. Si voltò e cominciò a salire le scale.
Lui non rispose. Si dispiegò solamente la paura che aveva visto lui attraverso il molliccio un anno prima. Il nulla, la completa, totale, solitudine. 
Hermione arrivò al suo dormitorio, si tolse la camicetta bagnata e si buttò nel letto ancora mezza nuda. Pensò che se anche avesse corso il rischio di farsi espellere, correrlo insieme a lui sarebbe stata tutta un’altra storia.
Il giorno dopo fece le scale con un groppo in gola che si sforzò di ingoiare e di soffocare definitivamente. 

Ci riuscì.

O quasi.



 
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