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Autore: EleWar    14/06/2020    11 recensioni
Ancora ansante, nella penombra della stanza, lentamente mise a fuoco la sua situazione. Era legata mani e piedi ed assicurata alla testiera in ferro battuto di un letto. Indossava ancora il vestito da sposa.
Non c'è mai pace per i nostri due sweeper tanto amati, cosa succederà in questa mia nuova fic? ;-)
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Kaori Makimura, Nuovo personaggio, Ryo Saeba
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
Capitoli:
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Eccomi! Con l’ennesima ff a infestare il sito! ;D
Questa, manco a dirlo, è mooooltoooo diversa da tutte le altre, e si snoderà su più capitoli.
Spero che vi piacerà e che vorrete leggerla tutta, fino alla fine.
Con affetto la vostra Eleonora War ^____^





Cap. 1 Il rapimento
 
Kaori si svegliò di soprassalto, in preda ad incubi spaventosi; era madida di sudore e il suo cuore sembrava impazzito.
Cercò si tirarsi su e mettersi a sedere, ma qualcosa la tratteneva, impedendole i movimenti.
Ancora ansante, nella penombra della stanza, lentamente mise a fuoco la sua situazione.
Era legata mani e piedi ed assicurata alla testiera in ferro battuto di un letto.
 
Indossava ancora il vestito da sposa.
 
Sbuffò pesantemente, frustrata.
 
Era stata di nuovo rapita, anche quel giorno… o era … quando?
Non riusciva a stabilire quanto tempo fosse passato dal momento del rapimento a quel brusco risveglio. Valutò, dai forti raggi del sole che filtravano dalla pesante tenda di quella che sembrava una porta finestra, che fosse giorno inoltrato.
Fu presa dall’impazienza di sapere chi fossero i suoi aguzzini: prima avesse fatto la conoscenza del suo ennesimo nemico, e prima avrebbe capito con chi aveva a che fare.
Si mise ad urlare:
 
“Ehi, c’è nessuno? Ho fame!” poi riprendendo fiato “Insomma, c’è qualcuno qui? Dove mi trovo?”
 
Fece così tanto baccano che, quando si stancò di urlare, nel silenzio che ne seguì udì dei passi in avvicinamento; tacque, aspettando l’entrata in scena dei suoi carcerieri, ma quando la porta si aprì, rivelando la presenza di una sola persona, questa non accese la luce, né si premurò di farsi vedere o riconoscere in qualche modo.
E nemmeno il tenue chiarore alle spalle del nuovo venuto fu sufficiente ad illuminarlo, definendo solo i contorni di un’anonima sagoma.
Kaori sforzò tantissimo i suoi occhi, già abituati a quella semi-oscurità opprimente, ma non riuscì a capire altro.
Si concentrò perfino sull’aura del nemico per capirne le intenzioni: non sembrava malvagia, né troppo pericolosa.
Percepiva un tormento, quello sì, ma per quanto fosse diventata brava ad inquadrare i suoi nemici dalla sola presenza, era ben lungi dal carpirne i segreti così, anche solo vedendoli.
Attese di sentire almeno il tono della voce.
 
Ma il nemico sostava sulla soglia senza fiatare, e Kaori, per darsi coraggio e rompere gli indugi, con saccenteria proruppe con:
 
“Allora? Perché sono qui?”
 
Un silenzio fastidioso fu l’unica risposta; innervosita, incalzò:
 
“Si può sapere almeno chi si è preso il disturbo di rapirmi? Visto che il motivo posso immaginarmelo…” concluse con sarcasmo.
 
Però le si spense il sorriso sulle labbra, quando sentì una voce, chiaramente femminile, risponderle:
 
“E quindi tu saresti la famosa Kaori Makimura?”
 
La ragazza sobbalzò: non si era aspettata una carceriera donna; nella stragrande maggioranza dei rapimenti, i suoi aguzzini erano uomini, rozzi e violenti, scagnozzi di criminali ben più importanti, pesci piccoli che facevano la voce grossa, e che a volte riusciva lei stessa a neutralizzare, anche prima dell’arrivo di Ryo.
Ryo.
Il suo pensiero le attraversò fulmineo il cervello.
Sarebbe venuto a salvarla?
 
Cercò di non perdere la calma, non voleva farsi vedere stupita o impaurita dalla nemica, quindi la sweeper proseguì:
 
“Sì, sono io. E guarda, non ti chiedo nemmeno come fai a conoscermi… In ogni caso vedrai cosa vi succederà, quando Ryo verrà a prendermi!”
 
“E chi sarebbe questo Ryo?”
 
Kaori spalancò gli occhi nel buio.
Come era possibile che lei non conoscesse il grande Ryo Saeba, quello che insieme a lei costituiva il magnifico duo City Hunter?
I loro numerosi nemici cercavano sempre di rapire lei, Kaori, per arrivare fino a lui, dal momento che il suo socio non avrebbe perso tempo a correre in suo soccorso.
Che poi lui riuscisse a sconfiggerli, metterli in fuga o peggio ancora, però, era un’eventualità che nessuno si prendeva mai la briga di considerare; tutti si credevano più furbi e più in gamba di lui, eppure facevano sempre una brutta fine.
Per un attimo ebbe una stretta al cuore; da che era entrata nella vita di quell’uomo, lui non aveva fatto altro che salvarla, sia le volte che era stata lei a cacciarsi nei guai per troppa faciloneria, sia quando, appunto, i suoi nemici se la prendevano con lei, che era di fatto il suo tallone d’Achille.
E Ryo ogni volta metteva a repentaglio la sua incolumità, pur di salvarla…
Nonostante il loro un mondo fosse già di suo pericoloso, doversi occupare in continuazione della sua partner imbranata e casinista, lo portava a compiere il doppio dello sforzo per rimanere vivo…
Per l’ennesima volta finì per pensare che se fosse uscita dalla sua vita, se lo avesse lasciato definitivamente, magari lui avrebbe avuto più possibilità di sopravvivere, senza di lei.
 
Ingoiò decisa il nodo che le si stava formando in gola; non era il momento di cedere all’amarezza e alla disperazione, inoltre non doveva mostrarsi fragile e insicura alla sua avversaria.
Quindi rispose sprezzante:
 
“Come, chi sarebbe? Ryo Saeba, lo sweeper n. 1 del Giappone, City Hunter!” concluse con orgoglio, e si guardò bene dal dirle che lui era anche conosciuto come lo Stallone di Shinjuku, poiché quello era un appellativo di cui non andava molto fiera.
 
“Pfuh…” sbuffò la donna “Non so chi sia, né mi interessa. E comunque per venire a riprenderti, prima dovrebbe sapere dove ti ho fatto portare, e soprattutto scoprire perché.”
Aggiunse quella, con un filo di malignità.
 
E, infatti, anche Kaori si ritrovò a chiedersi quale fosse il perché del suo rapimento, visto che evidentemente non era una trappola per far fuori City Hunter; in ogni caso era da escludere uno scambio di persona, perché, era ovvio, la donna misteriosa sapeva benissimo chi lei fosse.
E mentre la sweeper, sempre più confusa, ragionava su questa stranissima situazione, l’altra fece per andarsene.
Kaori, che se ne accorse, con una voce che tradiva una leggera inquietudine, le chiese:
 
“A-aspetta, non te ne andare!”
 
La donna rimase a mezzo sulla porta, con la mano sul pomello, l’unica parte del corpo che Kaori riuscì a vedere chiaramente, per uno strano gioco di luci riflesse; e non le sfuggì come questa fosse ben curata e ingioiellata.
Un anello in particolare attirò la sua attenzione, e lei memorizzò tutti questi elementi, anche quelli apparentemente più insignificanti, proprio come le aveva insegnato a fare Ryo.
 
La richiesta della prigioniera, comunque sia, aveva turbato la donna, e la sweeper se ne accorse dal cambiamento della sua aura; consapevole di ciò, la ragazza provò allora la strada della comprensione, dell’empatia, e facendosi coraggio le chiese:
 
“Dimmi almeno il tuo nome. Chi sei?”
 
Kaori percepì una leggera esitazione nell’atteggiamento della sua carceriera, perché non rispose subito, ma quell’attimo di debolezza durò ben poco poiché ella rispose, severamente:
 
“Non importa” E poi: “Hai detto che hai fame. Bene, ti farò portare qualcosa da mangiare” e scomparve.
 
Kaori, che si era tesa nello sforzo di sostenere quel duello verbale, si lasciò andare nel letto con un sospiro frustrato, e solo allora si accorse di quanto, quelle ruvide corde, le facessero dolere i polsi e le caviglie.
 
Dannazione! Stavolta la situazione è davvero ingarbugliata” si disse la sweeper; e poi: “Chissà se Ryo verrà a liberarmi… lo stesso?
 
 
***
 
 
“Ryo, te lo ripeto! Io non ho visto niente! Ero dall’altra parte dell’atelier, e stavo facendo provare dei vestiti ad un’altra modella” ribadì per la millesima volta la stilista Eriko.
 
“Vuoi farmi credere che un commando è entrato nel tuo negozio e ha rapito Kaori sotto i tuoi occhi, senza che te ne accorgessi?” reiterò Ryo con voce alterata.
 
Stringeva fra le mani i vestiti di Kaori, quelli che si era cambiata nel camerino per misurarsi il suo abito da sposa, e li guardò in preda alla rabbia e alla frustrazione.
Se almeno avesse indossato le sue solite cose, adesso avrebbe potuto rintracciarla con il localizzatore nascosto nei bottoni della camicetta o dei jeans, invece così non aveva nessuna traccia da seguire.
Peggio, nessuno aveva visto niente in quello stramaledetto atelier, e sì che rapire una donna in abito da sposa avrebbe dato certamente nell’occhio.
 
Lo sweeper misurava la stanza a larghe falcate, come un leone in gabbia; Eriko non l’aveva mai visto così, nemmeno quando lei stessa era stata in pericolo e lui aveva dovuto farle da guardia del corpo.
Sapeva che l’uomo aveva un sangue freddo invidiabile, ma quando c’era di mezzo la sua partner perdeva letteralmente la testa, e di certo la situazione complicata che stavano vivendo non aiutava.
La ragazza fu costretta a fermarlo, prendendolo per un braccio:
 
“Avanti, calmati Ryo” e quando lui le indirizzò uno sguardo fra l’accigliato e il disperato, lei gli sorrise:
 
“Kaori è in gamba, lo sai! Inoltre, prima o poi i rapitori si faranno vivi, no? Non è così che funziona?” E gli rivolse un sorriso stiracchiato che voleva essere incoraggiante.
 
Lui fu colpito dall’atteggiamento di quella che era una delle più grandi amiche della sua socia, e che, nonostante il senso di colpa e la preoccupazione, cercava di essere positiva; si sforzò di sorriderle:
 
“Hai ragione” ammise “presto o tardi quei dannati si faranno sentire.”
 
E prima di andarsene, ripassò per l’ennesima volta nel camerino dove si era cambiata la socia, alla ricerca anche del più piccolo indizio o dettaglio; a volte era capitato che Kaori gli lasciasse un segnale, quando era sorpresa da qualche malintenzionato, magari facendo cadere apposta un piccolo oggetto affinché lui lo trovasse, o mettendo fuori posto qualcosa, di modo che la cosa attirasse la sua attenzione, ma sembrava tutto in ordine.
Aveva già tastato più volte la moquette dello spogliatoio, l’aveva sollevata, aveva guardato sotto, aveva percorso con le dita il battiscopa e fatto scorrere le dita sulle pareti lisce ricoperte di carta da parati.
Nulla.
Evidentemente la partner non aveva fatto in tempo a fare niente, oppure era stata portava via da qualcuno di cui lei si fidava.
 
Staccò dall’attaccapanni la sua borsetta, ne ricontrollò velocemente il contenuto, e nonostante tutto si sentì in imbarazzo a frugare così nelle sue cose.
Si guardò intorno e, sicuro di non essere visto da nessuno, portò i vestiti della ragazza al viso e ne aspirò l’odore, chiudendo gli occhi.
 
Sugar, ma dove ti sei cacciata!!!” finì per pensare.
 
Stava per imboccare la porta girevole dell’atelier, quando la voce di Eriko lo richiamò indietro.
 
“Ryo… io… mi-mi dispiace” gli disse la bella stilista, tormentandosi le mani “Ti prego, se dovessi saper qualcosa, avvertimi!” concluse con voce accorata.
 
“Certamente” rispose l’uomo con sguardo impenetrabile; era tornato lo spietato sweeper di sempre.
Per tutto il tempo che era stato lì con lei, non ci aveva provato nemmeno una volta, né aveva fatto il maniaco, segno evidente che la preoccupazione per Kaori vinceva su tutto.
 
“Anche tu, se dovessi scoprire qualcosa, o avere notizie, chiamami ad ogni ora del giorno e della notte” aggiunse poi.
 
“Puoi contarci.”
 
Lo sweeper scomparve dietro i vetri traslucidi, e la stilista sospirò affranta.
 
 
 
Ryo fece un veloce giro dei suoi informatori, da cui aveva saputo, peraltro, poco o niente; ai più fidati aveva addirittura rivelato che la sua socia, al momento del rapimento, indossava un elegante vestito da sposa, e questi se ne erano stupiti non poco, ma avevano preferito non fare domande su chi fosse lo sposo, sul perché e sul percome.
Quando Ryo Saeba si presentava con lo sguardo severo e imperscrutabile, scoraggiava chiunque a cacciare il naso in faccende che non gli riguardavano, meno che meno nella sua vita privata.
Se poi c’era di mezzo la sua partner, non se ne parlava nemmeno.
Quindi, anche se gli interlocutori morivano dalla voglia di saperne di più, si tennero per sé la curiosità.
Solo il fidato Gen si permise di dirgli:
 
“Eh, caro mio, non è così facile come credi. In fondo non è cosa così strana, veder salire una giovane sposa su di un’elegante macchina nera e lucida, davanti all’atelier di una famosa e graziosa stilista… ” e lo guardò ammiccante.
 
Ryo era così in ansia che quasi si lasciò sfuggire il senso di quella frase.
Ma il suo amico, prima di tornare a sistemare video porno negli espositori, e a controllare che l’uomo non gliene rubasse qualcuno di troppo, gli disse ancora:
 
“… se non fosse che, chi mai si sposerebbe in mezzo alla settimana?” e gli fece l’occhiolino.
 
Lo sweeper finalmente capì l’informazione che il negoziante gli aveva passato, e lo guardò con gratitudine prima di schizzare via come avesse il diavolo alle calcagna.
 
Gen sospirò e sorrise amaramente; quei due poveri innamorati erano proprio sfortunati, si disse grattandosi la testa.
Poi però, anche lui si chiese se il vestito che stava provando la bella e dolce sweeper non fosse per…
No, possibile?
In caso si sarebbe già venuto a sapere… e allora?
Ryo… ?
“Mah” concluse ad alta voce, schiacciando la cicca nel posacenere: il ragazzo era così in pensiero per la sua adorabile socia, che non aveva fatto caso neanche alle nuove uscite; e sì, quando si trattava di lei, perdeva la testa.
 
 
 
Ryo filava con la sua Mini rossa per le strade di Shinjuku: voleva arrivare a casa prima possibile, nel caso i rapitori si fossero fatti vivi.
Gen gli aveva dato informazioni importanti; almeno a giudicare dal lusso della macchina, non erano criminali da strapazzo, anche se, ragionò, se c’erano di mezzo malavitosi della yakuza, potevano esserci guai in vista ben più seri.
Cercò di ricordare se ultimamente avesse pestato i piedi a qualche boss, o avesse intralciato, più del dovuto, i traffici di qualche clan, ma non gli veniva in mente niente.
Purtroppo, o per fortuna, nel giro regnava una strana calma apparente; e comunque loro due non venivano mai coinvolti nelle lotte fra famiglie nemiche, quindi perché colpire proprio City Hunter?
Quel rapimento era anomalo e a dir poco inspiegabile, nella logica del loro mondo.
Non gli restava che aspettare una telefonata, un messaggio o un avvertimento, da parte di chi aveva preso la sua socia.
Solo così avrebbe agito di conseguenza.
Sperò con tutto il cuore che quello fosse veramente l’ultimo rapimento.
 
Quando raggiunse il loro appartamento, si diresse in soggiorno e si lasciò cadere sul divano, esausto. Stringeva ancora in mano i vestiti della ragazza, quando si decise a disporli ordinatamente accanto a lui, scansando i cuscini per fare posto, stirandoli con le mani, per togliere quelle spiegazzature che la sua foga e la sua rabbia gli avevano impresso.
Per un attimo pensò che lei lo avrebbe sicuramente rimproverato, per avergli sgualcito gli abiti in quel modo, e sapendo quanto lei ci tenesse.
Non che fossero capi di abbigliamento particolarmente costosi o importanti, ma lei, da vera economa, cercava di farsi bastare sempre i soldi che guadagnavano, e nonostante a volte vivessero nelle ristrettezze, riusciva a fare miracoli e a comprare sempre delle cosine carine, da spender poco, che però facevano la loro figura.
O piuttosto non era forse che, indosso a lei, tutto aveva un altro effetto?
Dovette ammettere che, qualsiasi cosa Kaori indossasse, era sempre bellissima.
 
Sospirò.
 
Probabilmente, da adesso in poi, non avrebbe avuto più bisogno di risparmiare per comprarsi dei jeans nuovi, o una camicetta adocchiata al negozio all’angolo, e forse non avrebbe avuto nemmeno più bisogno proprio di quei vestiti lì.
Li osservò intensamente e gli parve di vedercela dentro, come se fosse lì, seduta accanto a lui.
Gli stava sorridendo, ma poi quell’immagine tremolò e il suo sorriso si spense, il viso assunse un’espressione triste e rassegnata.
Istintivamente, Ryo mosse un braccio a mezz’aria, come a scacciare quella visione angosciante.
Si alzò di scatto e si diresse in cucina: aveva bisogno di bere.
 
Aveva anche voglia di raggiungere la stanza della ragazza, per sentirsela più vicina; era così vuota la casa senza di lei!
Ma non voleva allontanarsi troppo dal telefono, in caso avessero telefonato i rapitori.
Non gli era mai successo di essere così angosciato per un suo rapimento; si stava forse rammollendo?
Per l’ennesima volta si convinse che quello non era un mondo adatto a lei, e che per la promessa fatta al suo amico morente, il fratello di Kaori, Hideyuki, se era vero che voleva e doveva proteggerla, doveva altresì allontanarla da lui e dal suo modo di vivere.
Poco importava se lui ne sarebbe morto: lui non contava niente, era un volgare assassino, era abituato a soffrire; forse, sperò, avrebbe superato anche il dolore della sua lontananza.
Eppure era andata via da così poco tempo, che la sua assenza gli pesava come un macigno.
Sentiva quelle quattro mura quasi incombere su di lui, come a volerlo schiacciare: gli mancava l’aria, e nuovamente provò il desiderio di fuggire… se non fosse stato che attendeva quella maledetta telefonata!
Già, fuggire… anche quello aveva fatto per tutta la vita, insieme a sparare ed uccidere.
E per quanto avesse cercato di scappare, i problemi lo avevano sempre raggiunto, così come i pensieri cattivi, così come lei…
Sì, Kaori lo aveva sempre raggiunto, lo aveva ritrovato ogni volta, che fosse ubriaco in un vicolo, o in fondo al suo personale pozzo nero, fatto di violenza e dolore, di oscurità.
E lo tirava fuori da lì, semplicemente con un sorriso, una gentilezza, il suo essere presente accanto a lui.
Ma ora… chi l’avrebbe rincorso, magari con un martello?
Chi lo sarebbe andato a scovare, nascosto dietro una scusa, proprio ora che aveva deciso di fermarsi?
 
Il brontolio dello stomaco lo riportò alla realtà, e si ricordò che erano ore che non mangiava, perché se non c’era lei a cucinare, lui non si prendeva la briga di prepararsi nemmeno un panino.
 
Stancamente, si ritirò su e si avviò al frigorifero, sperando di trovarci dentro ancora qualcosa di commestibile; non ricordava nemmeno più quand’era stata, l’ultima volta che aveva fatto la spesa.
 
   
 
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