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Autore: Mary P_Stark    15/06/2020    3 recensioni
Cosa succederebbe se gli dèi dell'Olimpo e gli eroi greci camminassero tra noi? Quali potrebbero essere le conseguenze, per noi e per loro? Atena, dea della Guerra, delle Arti e dell'Intelletto, incuriosita dal mondo moderno, ha deciso di vivere tra noi per conoscere le nuove genti che popolano la Terra e che, un tempo, lei governava assieme al Padre Zeus e gli Olimpici. In questa raccolta, verranno raccontate le avventure di Atena, degli dèi olimpici e degli eroi del mito greco, con i loro pregi, i loro difetti e le loro piccole stravaganze. (Naturalmente, i miti sono rivisitati e corretti)
Genere: Commedia, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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6.

 

 

 

Intento ad asciugarsi con un enorme asciugamano color salvia, Eros ascoltò la lunga e, a volte, divertente dissertazione di Alekos in merito a quanto successo nel mondo onirico di Astrea.

O meglio… per lui fu divertente. Quanto ad Alekos, a Eros parve assai frustrato e sì, decisamente preso dalla donna che aveva saputo renderlo così nervoso e irritato.

Quando infine il giovane cugino ebbe terminato il suo soliloquio dolente, il dio dell’amore gettò il salviettone sopra una sedia, schioccò le dita per far apparire una vestaglia di seta e, dopo essersela drappeggiata addosso, dichiarò: «Caro il mio Al, sei spacciato. Astrea ti ha fritto il cervello.»

«Che intendi dire?! Io desidero solo conoscerla meglio e aiutarla a uscire da quello schifo di mondo onirico!» sbottò Alekos, arrossendo suo malgrado. «La reputo una persona interessante e vorrei approfondire la sua conoscenza, ma lei è così testarda da vedere soltanto il suo personale incubo, senza capire che sono passati più di settant’anni da quell’evento!»

«Oh… mordi il freno, eh?» ironizzò a quel punto Eros, vedendolo adombrarsi in volto per diretta conseguenza. «Credi che non lo sappia? Astrea, intendo. Lo sa eccome che sono passati settant’anni o giù di lì, ma non le interessa. Lei vuole soffrire in eterno

«E io non voglio!» sbottò allora Alekos prima di bloccarsi, guardare Eros con espressione smarrita ed esalare subito dopo: «Io… scusami. Non volevo alzare la voce con te.»

Eros scosse una mano con fare noncurante, replicando semplicemente: «Non ci ho fatto caso. Sei esasperato perché Astrea comincia a piacerti, e vorresti conoscerla meglio per capire se lei potrebbe o meno essere la donna per te. Mi pare evidente.»

«Tu dici?» mugugnò Alekos.

«Bimbo caro, tu parli con la quintessenza stessa della sapienza amorosa e, non per offendere mia madre, ma ne so più io di lei, di amore passionale e liaison più o meno peccaminose» ammiccò furbo Eros, facendo sorridere il cugino.

Tornando poi serio, il dio dell’amore aggiunse: «Astrea era una bellissima persona, vitale e gioiosa, prima di imprigionarsi nel suo spettrale e personalissimo inferno, perciò non mi stupisce che un ragazzo con la tua personalità la trovi interessante. Dubito comunque che, pur in tutto quel suo macello shakesperiano fatto di tragedie e morti, lei si sia persa del tutto, e tu percepisci questa piccola fiammella di speranza.»

«Ne sono convinto, infatti. Il suo spirito perdura… ma è soffocato dal rimorso che prova per tutte quelle morti inutili» sospirò Alekos, lasciandosi cadere su una delle poltrone dello studio di prova di Eros.

Quando vi erano giunti, Alekos se ne era un po’ stupito ma, dopo averne chiesto spiegazioni a Eros, aveva scoperto trattarsi di un luogo nel regno umano che lui affittava periodicamente.

Eros sospirò a quelle parole, e asserì: «E’ difficile avere a che fare con una donna dilaniata da dubbi e pianti non consumati. Perché è palese che Astrea deve piangere ancora molte lacrime, prima di liberarsi dal dolore che cova in lei.»

«Tu credi che… non si sia mai sfogata?» esalò Alekos, pieno di sorpresa.

«Chiunque, anche la persona più persa nel dolore, se riesce a sfogarlo prima o poi si sente meglio. Lei invece, da quel che mi dici, non sta mai bene. E’ sempre dilaniata e divorata dalle stesse fiamme che divorano gli altri, giorno dopo giorno.»

«Però, se la tocco, vedo la vecchia lei» gli fece notare Alekos, sorprendendolo.

Eros rimase senza parole, a quell’accenno ma, preferendo non dare false speranze al giovane, si limitò a dire: «Beh, è una cosa sicuramente curiosa. Però credimi, finché lei non piangerà i suoi morti, perché è chiaro che li reputa come una sua responsabilità, non ne verrà mai fuori. E tu rimarrai frustrato a vita.»

Alekos si accigliò, a quelle ultime parole, e bofonchiò: «Grazie, cugino. Tu sì che sai risollevarmi il morale.»

«Ora non mettere il broncio anche tu…» ironizzò Eros, sorridendo poi a Psiche quando ella entrò nello studio di danza, armata di stivaletti pelosi, giacca a vento e jeans schiariti.

Nel vedere Alekos, la dea lasciò perdere le sue borse dello shopping per correre ad abbracciarlo e, nel passargli una mano sulla corta capigliatura, esalò: «Oh, sento così tanto la mancanza dei tuoi riccioli! E’ un vero peccato che si siano rovinati così tanto da doverli tagliare.»

«Anche a me mancano. Mi piacevano» sospirò il giovane, rispondendo all’abbraccio senza alcun problema.

Eros, dopotutto, aveva avuto ragione. Se non reagiva più a Psiche e alla sua presenza sensuale, non era soltanto perché si era abituato a lei, ma perché c’era un’altra donna, nella sua mente, che lo distraeva completamente.

Nel ricevere un bacio sulla guancia da Psiche, Alekos si mise in attento ascolto delle sue avventure in giro per le vie del centro di Milano – come scoprì a quel punto – e, per tutto il tempo, desiderò portarci anche Astrea.

Desiderava davvero strapparla a quella gabbia, anche solo per dimostrarle che il mondo, nonostante tutto, era sopravvissuto a tanto odio e tanta rabbia. Sapeva però che, prima di arrivare a tanto, avrebbe dovuto farla piangere.

Il che, lo inorridiva al solo pensarci.

***

Seduto a terra accanto al divano dove la madre era sdraiata comodamente, Alekos le passava a momenti alterni degli acini d’uva mentre Érebos, in cucina, era impegnato a terminare la preparazione dei pop-corn.

Quella sera, dopo essere tornato da Milano grazie a un passaggio di Psiche, Alekos si era voluto fermare a cena dai suoi genitori per sapere come stesse procedendo la gravidanza.

Il processo di guarigione lo aveva tenuto spesso a letto e, a causa dei forti dolori, non sempre se l’era sentita di farsi vedere da sua madre. Stando ormai bene, perciò, aveva pensato di passare in visita.

Rispetto ad Artemide, comunque, la madre non sembrava risentire della presenza della neonata – Demetra aveva confermato trattarsi di una femmina – né dei suoi poteri già in formazione.

Lo faceva sentire strano, il pensiero di vedere sua madre cambiare di giorno in giorno, nonostante avesse già vissuto pienamente la nascita e la crescita delle gemelline degli zii e del figlio di Apollo e Clizia.

Non aveva quindi idea se, questi suoi sentimenti contrastanti, dipendessero dalla consapevolezza di essere un futuro fratello maggiore, o dal timore che la sorella potesse essere come le cuginette.

Adorava Xena e Buffy, ma solo Chaos sapeva come Felipe non fosse già impazzito a causa dei loro dispetti.

Ora che andavano a scuola, le difficoltà per tenerle a bada erano decuplicate e, spesso e volentieri, Artemide era stata costretta a far intervenire Érebos per candeggiare le menti dei mortali.

«Sei così pensieroso che le tue paure stanno prendendo forma sopra la tua testa» ironizzò sua madre, strappandolo a quei tetri pensieri mentre, con una mano, spazzava simbolicamente via i pensieri del figlio.

Lui sorrise imbarazzato, scusandosi e, nel mettersi in ginocchio, poggiò un bacio sul ventre arrotondato della madre per poi dire: «Sono sicuro che tu sarai bravissima e buona come il pane, Chlóe1

Il padre rise sommessamente nel sentirlo parlare a quel modo e, dopo aver consegnato una ciotola enorme di pop-corn ad Athena, ne diede un’altra ad Alekos e dichiarò: «Di sicuro, Chlóe potrà vantare su un fratello gentile e premuroso che le farà da guida.»

«Al momento, la mia guida servirebbe a poco… non so dove andare o cosa fare, in questo periodo» sospirò il giovane, passandosi stancamente una mano sul viso.

Érebos levò un sopracciglio con evidente interesse ma, senza cambiare in alcun modo il tono di voce, disse con tranquillità: «Può capitare, ragazzo. Si vede che niente ti stimola veramente, ma non è necessariamente un male. Forse, potresti scegliere un’università e studiare per qualche anno. Potrebbe liberarti la mente.»

«Se lo dici tu…» mormorò Alekos, sbuffando.

Athena lanciò un’occhiata al compagno prima elevarsi dal divano, tenersi la schiena e borbottare: «Tu non saprai dove andare, ma io sì. Al bagno. E in fretta. Voi cominciate pure senza di me, visto che non so per quanto ne avrò.»

Alekos la seguì turbato con lo sguardo, ma il padre si limitò a dire: «Non temere. E’ solo la piccola che preme sulla sua vescica, facendola diventare più sensibile.»

«Okay» assentì il giovane prima di mormorare: «Ma me lo direste, vero, se ci fosse qualcosa che non va?»

«E’ ovvio. Sei nostro figlio e, tra di noi, non ci sono segreti» ammiccò Érebos, sgranocchiando con calma alcuni pop-corn.

Alekos allora annuì, parzialmente pacificato, cincischiò per alcuni attimi con i propri pop-corn e infine, con uno sbuffo, mugugnò: «Posso chiederti una cosa?»

«Certamente» assentì il dio Ctonio, mantenendosi su un tono neutro.

«Come approcceresti una donna, sapendo di doverla far soffrire, prima di farla stare bene?»

Sbattendo confuso le palpebre, Érebos fissò il figlio senza capire bene la sua domanda e Alekos, passandosi nervosamente le mani sul viso, brontolò un’imprecazione prima di ritentare.

«Eros è convinto che Astrea non abbia ancora pianto i suoi morti, e questo la bloccherebbe in quel loop senza fine. Sai, la faccenda di elaborare il lutto e tutto il resto…»

La divinità Ctonia assentì e Alekos, con maggiore coraggio, aggiunse: «Ecco, io mi troverei anche d’accordo con lui, se non fosse che non voglio farla piangere.»

«Oh… è encomiabile che tu tenga alla sua felicità ma, in effetti, il discorso di Eros ha un suo perché. Esculapio tentò più volte di venire a patti con lei, in merito a questo, ma non riuscì mai a fare breccia nel suo animo. Neppure gli oneiroi riuscirono in questo, e Hypnos ricevette un secco ‘non mi scocciare’ circa una ventina d’anni addietro. Quanto a me, non ripeterò ciò che mi disse per pura gentilezza nei tuoi confronti. Forse però, tu, potresti riuscirvi.»

«Quindi, sarò davvero costretto a farla ulteriormente soffrire?» borbottò Alekos, accigliandosi non poco.

Il dio Ctonio lo fissò con attenzione, ne studiò il nervosismo palese, l’ansia con cui ticchettava le dita su un ginocchio, o il modo in cui le sue labbra venivano lappate continuamente.

Alekos non stava chiedendogli solo un consiglio. Era completamente al buio, perso nel suo personale dramma, e non solo perché aveva paura di far soffrire Astrea. C’era ben altro, nelle sue domande.

«C’è più di un motivo, per cui non vuoi vederla soffrire? A parte quello più ovvio?» gli domandò allora il padre, poggiando sul tavolino da salotto la sua ciotola di pop-corn per dare un peso maggiore alle proprie parole.

Poteva anche essere la divinità Ctonia dell’oscurità, il Sommo Érebos che tutti temevano, ma non riusciva a vedersi molto in parte, con dei pop-corn in una mano e una Coca-Cola nell’altra.

Alekos lanciò uno sguardo al corridoio dove era svanita sua madre, prima di mormorare: «Potrebbe… esserci dell’altro.»

«Ed è una cosa che posso sapere, o preferisci parlarne solo con Eros? Vedo che ultimamente vi sentite spesso» gli domandò ancora il padre, sorridendogli comprensivo.

Il figlio rise imbarazzato, annuendo, ma disse: «Beh, il fatto che tu l’abbia notato, depone già a mio sfavore. Comunque, credo di provare qualcosa per Astrea, ma non riesco a capire se il mio interesse è più che altro dettato dal mio desiderio di salvarla, o se veramente ci sia dell’altro.»

Érebos assentì pensieroso, preferendo non lasciarsi andare a battute inerenti al fatto che Alekos si fosse innamorato o meno di una donna – cosa che sarebbe avvenuta con Ares presente, per esempio.

Rammentava bene lo stordimento da lui provato quando, dopo millenni passati al fianco di Nyx, la loro passione era scemata, lasciandoli liberi da legami profondi se non il rispetto e l’affetto reciproci.

Questo vuoto nel cuore lo aveva lasciato in qualche modo stranito, ma non in senso negativo. Gli aveva concesso di vedere il mondo con occhi nuovi, e questo lo aveva portato a guardare con occhi diversi anche le persone.

Nyx si era persino divertita, al pensiero di trovargli una nuova compagna, e lui l’aveva lasciata fare al solo scopo di dirle sempre di no in risposta.

Questo loro strano gioco, però, non aveva tenuto in debito conto l’ironia con cui Chaos sapeva sparigliare le carte… generando casualità laddove nessuno avrebbe mai pensato.

Pur conoscendo Athena da secoli, Érebos non aveva mai fatto parte della cerchia ristretta dei suoi amici – di cui invece faceva parte Nyx – ma, quando ella aveva deciso di andarsene dall’Olimpo, lui l’aveva aiutata a decidere.

Trovarla in lacrime, furiosa e scarmigliata dinanzi alla casa di Nyx e indecisa se entrare o meno, aveva mosso istintivamente il suo corpo verso di lei.

Athena si era scusata con lui per quell’improvvisata, ma il dio Ctonio l’aveva pregata di non pensarci e di dirle, piuttosto, come potesse donarle di nuovo il sorriso.

Spontaneamente, allora, la dea gli aveva parlato della sua ultima lite col padre, di come lei si sentisse fuori posto e fuori fase, sull’Olimpo, e di quanto desiderasse tornare nel mondo degli uomini.

Era stato a quel punto che lui le aveva proposto di visitare nuovamente il mondo umano che, per troppo tempo, non l’aveva vista camminare tra le genti come semplice donna, e lei aveva accolto l’idea con entusiasmo.

Nelle settimane successive, Athena era tornata spesso alla sua porta per chiedere ulteriori consigli o per sottoporgli proposte diverse. Quando, infine, il giorno della partenza era giunto, Athena lo aveva ringraziato con un abbraccio e un bacio, esprimendogli poi con un sorriso tutta la sua gratitudine per l’aiuto che lui le aveva dato.

Quel sorriso, il tempo passato assieme gomito a gomito e la scoperta di una Athena che lui mai aveva conosciuto realmente, avevano infine congiurato contro di lui.

La casualità che nessuno aveva considerato aveva iniziato a far parte della sua vita.

Nel corso dei decenni, quindi, Érebos l’aveva seguita in silenzio, ne aveva ammirato l’intraprendenza e la curiosità, si era innamorato di lei un passo alla volta, da lontano, senza mai turbarla con i suoi sentimenti. E aveva sentito il proprio cuore andare in pezzi quando, per la prima volta, Athena si era innamorata di un uomo.

Quel mortale, quel giovane di bell’aspetto e belle speranze, era riuscito laddove nessun altro, divinità comprese, era mai riuscito, e lui si era sentito un codardo per tutto il tempo. Mai si era fatto avanti, credendo in se stesso e nei propri sentimenti, e persino Nyx lo aveva rabberciato in tal senso, lagnandosi con lui per la sua viltà.

Così, ancora una volta, era rimasto nell’oblio, beandosi comunque per la felicità di Athena. Perché, prima ancora che alla propria, lui aveva pensato al benessere di colei che aveva imparato ad amare.

Per questo, l’incidente di Miguel e la morte di Alekos lo avevano spinto a tanto. Il suo amore per Athena lo aveva condotto su un sentiero che, solo per merito della benevolenza di Chaos, non si era tramutato in un disastro.

Se Alekos provava anche soltanto qualcosa di simile per Astrea, quindi, doveva metterlo in guardia dagli errori che lui aveva commesso, e che lo avevano condannato al silenzio per anni e anni.

«Sai che amavo tua madre da ben prima della tua nascita, no?» iniziò col dire allora Érebos, vedendolo annuire. «Sai anche che non provo gelosia nei confronti di tuo padre.»

«Certo. Me lo hai detto molte volte, e comunque ricordo bene come ti comportasti con lui, nell’Oltretomba, salvando dal Lete i suoi ricordi» annuì sereno Alekos.

«Ciò che forse non ti ho mai detto è che, però, mi sono sentito spesso un idiota per non essermi fatto avanti prima, con tua madre» ammise il dio, sorprendendo un poco il figlio adottivo. «Forse, tua madre avrebbe comunque avuto bisogno dell’amore di tuo padre, per sentire dentro di sé il desiderio di avere un compagno, chissà. Ma forse avrei potuto essere fin da subito io, quel compagno, e tu avresti potuto essere davvero mio figlio. Nessuno può saperlo, ma l’essermi tenuto nell’ombra mi fa credere di essere stato un vile... e anche un idiota.»

Alekos sorrise comprensivo, ben sapendo quanto fosse difficile, per una divinità, ammettere i propri errori, anche se soltanto in campo affettivo.

«Ho imparato molte cose, parlando con Chaos prima di venire risucchiato dentro il mio personale loop metapsichico, e so che una cosa molto importante è questa; il filato della vita offre linee guida, non un percorso prefissato perché, alla fine, siamo noi a decidere come vivere. Forse, in quel momento, neppure tu eri pronto per essere il suo uomo. Chissà» chiosò Alekos, scrollando le spalle.

«E’ possibile» annuì il dio.

«Quello che so con certezza è questo; aver avuto te e mio padre, nella mia vita, mi ha dato molto. Ringrazio ogni giorno per il tempo che ho passato con Miguel, piuttosto che per il tempo che ho passato e passerò con te» gli disse con sincerità Alekos. «Se mai dimostrerò di essere degno di voi, saprò di aver fatto un buon lavoro nella mia vita.»

«Lo stai già facendo, credimi, e penso di poter parlare anche a nome di Miguel, dicendoti questo» lo rincuorò il padre. «Tutto ciò per dirti che, se senti che potrebbe esserci qualcosa di più, nei sentimenti che provi per Astrea – a parte il genuino interesse di salvarla – devi scoprire cos’è e prenderlo a piene mani. L’immortalità è bella, ma sprecare anche un singolo giorno senza la persona amata è, per me, un’autentica assurdità.»

Alekos assentì grato e ammise: «E’ difficile capire cosa provo. La vedo così debole e fragile che, spontaneamente, vorrei sempre difenderla, eppure…»

«… eppure, sai che non è sempre stata così, che in passato non aveva bisogno di essere difesa, e che forse di quella persona potresti innamorarti senza alcun dubbio a seguirti come un’ombra» terminò per lui il padre, annuendo.

Sbuffando, il giovane asserì con una certa veemenza: «A volte, mi fa davvero arrabbiare. Vorrei scuoterla fino a far riemergere la dea che è in lei – e che io ho visto – ma che Astrea tiene saldamente per le redini. E’ come se si vergognasse di essere una divinità!»

Quel nervosismo inaspettato fece sorridere Érebos, confermandogli quanto il figlio fosse piuttosto preso dalla dea della giustizia. Era palese quanto fosse forte in lui il desiderio di strapparla ai suoi demoni, così da poterla finalmente conoscere davvero.

Tutto ciò, però, doveva avvenire con i tempi giusti, o Astrea si sarebbe chiusa a riccio ancor di più, relegando fuori dal suo cuore anche Alekos.

Prima ancora di poter parlare, però, Érebos vide tornare Athena che, le mani poggiate sulla schiena in posizione dolente, dichiarò: «Scusate, non ce la facevo più… ero troppo curiosa, e il bordo della vasca fa schifo, come sedia, perché è deplorevolmente duro. Ero stufa di stare seduta lì sopra ad aspettare che finiste di parlare.»

Sia Alekos che Érebos scoppiarono a ridere e Athena, nel sistemarsi di nuovo sul divano, diede una pacca sul braccio al figlio e aggiunse: «So ascoltare come un maschio, non temere. Non mi sdilinquirò come farebbe Afrodite. Promesso.»

Il figlio, però, scosse il capo, negò di avere problemi in merito a eventuali sdilinquimenti e, più sereno, parlò anche con la madre dei dubbi che lo attanagliavano. Dopotutto, due teste erano meglio di una. Se erano tre, era meglio ancora.

***

La notte era fredda e sferzata da un vento umido che le scompigliava i capelli, le feriva le membra e la faceva sentire ancor più sola e triste.

Rannicchiandosi più che poté sotto i pochi cenci che era riuscita a raccattare, Astrea serrò gli occhi per impedire alla polvere di ferirle le sclere già arrossate.

Tutto il suo corpo gridava di dolore, implorando per un attimo di requie ma perché, proprio quella sera, lei sentiva così tanto i morsi della fame e il grido delle sue carni?

Perché, proprio quella sera, ogni sua volontà di resistere stoicamente al dolore le sembrava inutile?

Perché, proprio quella sera, lei provava pena per se stessa?

Sei la regina di questo regno, perciò puoi fare quel che vuoi

Le parole di Alekos riverberarono dentro di lei come un martello, percuotendola e ricordandole in ogni momento quanto poco, dell’Astrea di un tempo, fosse rimasto.

Lei non era la derelitta che arrancava lungo le vie, o l’infima creatura vittima di un’ecatombe. Non lo era mai stata, e il solo fatto di volerla apparire era una menzogna bella e buona.

Il fatto di volersi punire ad vitam, ripercorrendo ogni giorno della sua esistenza le pene sofferte dal popolo giapponese, poteva forse avere un sentore di contrizione, ma non portava a nulla.

Cosa aveva imparato, in quei decenni fatti solo di dolore e disperazione? Nulla.

Cosa aveva fatto per riscattarsi dal baratro in cui era caduta? Nulla.

Si era rannicchiata in un angolo a lagnarsi per le colpe che presumeva di avere, ma non aveva agito. Non aveva fatto un accidente di niente, per aiutare le persone che avevano subito un tale scorno da parte del destino!

Risollevandosi da terra con espressione irritata e determinata assieme, Astrea fissò gli occhi di colomba sull’oceano scuro che ancora attendeva l’alba. Tutto era immoto, esattamente come lo era stata lei fino a quel momento.

Si era lasciata trascinare dalla corrente, niente più che una foglia in balia del vento degli eventi ma mai, una sola volta, aveva provato a cambiare lo stato delle cose.

Lei, che era stata fregiata del titolo di divinità, si era comportata come neppure il più misero degli umani avrebbe fatto.

«E’ ora di dire basta» sibilò Astrea, stringendo la mani a pugno contro i fianchi smagriti.

Reclinando lo sguardo, sbuffò irritata e, prima che il sole sorgesse per una nuova alba, un’altra luce si espanse sull’ignara Hiroshima.

Era giunto il tempo.

 

 

1 Chloé: significa “germoglio”, “piantina nascente”.

  
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