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Autore: Vulpes Fennec    15/06/2020    0 recensioni
Ispirata dalle parole della vecchia canzone di Claudio Villa " La capinera" e la serie animata "Miraculous Ladybug & ChatNoir".
Tratto dal testo:
"... I monelli giocavano per strada, e tra di loro una bambina dalla chioma corvina cercava di riprendere un nastro cremisi, che faceva coppia con uno che le teneva metà dei capelli raccolti in un codino.
La bambina mi osservò sorridendomi, ..."
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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"Adrien! Adrien! Dove sei?"

Ero a pochi metri da lei,non volevo farmi trovare da nessuno, ma forse solo lei poteva davvero trovarmi e stanarmi. Se mi avesse trovato non mi avrebbe dato davvero fastidio, avevo voglia di sentire il suo caldo abbraccio, il suo profumo rassicurante e la sua morbida voce.

"Eccoti quì" Mi aveva trovato. "Cosa ci fai qui sotto?" Non risposi, non volevo,avevo un nodo alla gola, un ansia profonda o un capriccio infantile."Non vieni a ballare con me? Mi serve un bel principe che mi faccia da cavaliere" Iniziai a singhiozzare, non so nemmeno io il perchè. Avevo gli occhi annebbiati da grossi lacrimoni. Cosa mi tormentava? Non lo ricordo, eppure ricordo lei che si era accucciata con me sotto il tavolo della sala da pranzo, ignorando gli invitatinell'altra sala, e mi cullava. I suoi capelli biondi mi solleticavano il viso.

Poco dopo quel il nodo che avevo in gola iniziò a sciogliersi.

I suoi occhi, che erano come i miei, mi guardavano con amore profondo e compassione, come se avessero sofferto anche loro lo stesso dolore che provavo io.

 

La percezione del dolore cambia a seconda delle esperienze vissute. Ricordo quel dolore provato come se fosse stato il peggiore di tutta la mia vita, ma in effetti cosa ne sa un bambino di 5 anni di dolore? Eppure, anche sequel dolore poteva essere senza senso per un adulto , per lei non lo era, ogni mio dolore lo viveva come suo, se non altro ero parte di lei, ero frutto del suo grembo. L'amavo, e mi era stata portata via pochi anni dopo.

Mia madre era affascinante, e il suo fascino era indelebile nelle memorie altrui.Mio padre era stato così ossessionato da quella bellezza da averla cresa la sua musa.

 

Il bicchiere nella mia mano era troppo leggero, avevo finito tutto il whisky.

Ne versai dell'altro.

La mia testa era una confusione unica. Dovevo rallentare i pensieri, non riuscivo più a stargli dietro, troppo veloci, confusi e mescolati l'uno con l'altro.

Il bicchiere era tornato leggero. Però mi fermai.

Mi sentii chiamare.

Marinette si avvicinava, a passo di danza attraversando la pista da ballo, Che visione affascinante.

"Adrien, smettila di cercare il fondo del bicchiere e vieni a ballare"

"Marinette!" la rimproverai "le buone maniere, per favore"

"Tu rimproveri me?" mi squadrò con tono accusatorio, non sembrava la solita Marinette, era ferma, decisa. "Sei tu che mi hai abbandonato con tuo padre. Grazie al cielo poi è arrivato il signor Bourgeois a prendere il mio posto nella conversazione"

Quel nome mi riportò alla realtà. "Mio padre e il padre di Chloè stanno parlando ora?"chiesi allarmato. Non la lasciai rispondere, mi alzai e li cercai con lo sguardo, ma non li vidi. Purtroppo incrociai lo sguardo con quello di Chloè che effervescente mi saltellò incontro facendosi spazio tra la gente, ignorandoli completamente. Appena notò Marinette che era al mio fianco il suo sorriso prese una strana piega, era inquietante, era un sorriso soddisfatto, superiore, sadico.Terrificante. Evitando i convenvoli presi per mano Marinette e fuggii con lei, e mi girai solo per vedere quel sorriso raccapricciante spegnersi sulla faccia di Cholè.

La portai sulla pista da ballo. Così circondati da gente, troppo presa dal proprio partner e dal non farsi calpestare i piedi, eravamo in totale intimità. La strinsi a me, come se al mondo non esistesse la gravità e lei fosse l'unica cosa che poteva tenermi coi piedi saldi per terra.

Il mio cervello si calmò e iniziai a pensare lucidamente, forse prima avevo bevuto troppo e ora stavo riprendendo lucidità.

"Adrien, che cos'hai?"Mi guardava negli occhi, e io mi sentii annegare in quel mare. Sentii quel nodo alla gola, una sofferenza inconcreta, come un bambino di 5 anni e il suo capriccio.

Come potevo dirgli la verità? Come potevo io sfuggire da quella realtà?

Avevo vent'anni eppure mi sentivo costretto a seguire la strada data da mio padre.

"Nulla di cui preoccuparsi Marinette, mio padre non ha ancora capito che non sono più sotto il suo potere"

"E' successo qualcosa per cui dovrei preoccuparmi?"

"No, ho tutto sotto controllo"

"Me ne dovrò andare?"

Mi girava la testa, ci fermammo in mezzo la sala da ballo, dando non poco fastidio alle altre coppie.

Camminammo fuori dalla sala. Abbastanza lontani da tutti, ripresi il contatto visivo diretto con lei, e i suoi occhi fatti di oceano puro stavano straripando dai suoi deboli argini.

"Marinette, non te ne dovrai andare. Tranquilla. Non voglio che tu te ne vada, voglio che tu possa restare sempre con me" a quelle parole lei arrossì e iniziò a balbettare frasi senza senso. Eccola lì, la mia Marinette. Non riuscii a non ridere. Poi ripresi le mie parole mentalmente e mi resi conto di quello che avevo detto e iniziai ad incespicare con le parole pure io. Le uniche parole di senso compiuto che riuscii a mettere in fila furono " Credo di essere ancora sbronzo" e lì il nostro buffo balbettio si fermò e si fece serio.

"Già, lo credo pure io"disse lei cercando di colmare il silenzio teso e imbarazzante che avevo creato.

"Si, emm...infatti, non volevo dire..." mi fermai, inspirai e mi ricomposi "Mi sono spiegato male, scusa Marinette. Sei una persona a me carissima e un'amica fantastica e condividere la mia casa con te mi fa solo piacere"

Mi sorrise, ma aveva un non so chè di spento nei suoi occhi.

"Ti porto a fare un giro per la casa " dissi cercando di sviare il discorso, così dicendo la presi per mano e la portai via con me, su per le scale.

 

Le parlai della mia famiglia, della crescita di mio padre come stilista e così raccontando la portai nel suo laboratorio, uno spazio enorme dalle vetrate ampie, che mostravano in ogni piccolo dettaglio il giardino e il cielo stellato, e pieno di tessuti e manichini. Marinette ne era affascinata, si avvicinava alle creazioni e le contemplava. Faceva per avvicinarsi con una mano a toccarle, ma a pochi centimetri dai tessuti e le cuciture si fermava,e tracciava con essa una piccole danze nell'aria.

Cercai di capire cosa trovava di affascinante il quei manichini mezzi vestiti, ma con lei affianco non riuscivo proprio.

Continuando quello strano balletto, in cui lei si faceva largo tra i manichini e le stoffe  apprese, trovò un enorme scrivania, la scrivania di mio padre.

C'era una cornice sul tavolo, in bella vista, sempre a disposizione di colui che si prestava a lavorare, Marinette la contemplò, io sapevo già cosa ritraeva.

Lo sguardo di Marinette iniziò a passare dalla foto a me, squadrandomi, incredula. "Siete uguali" disse lei sussurrando, come se quella somiglianza fosse un qualcosa di mistico.

"Ha i tuoi occhi, cioè,tu hai i suoi occhi, e anche capelli e il sorriso e...e....è..."trattenne il fiato "E' bellissima" fini io per lei. "Sì sì,lo siete, cioè, lo sei. No! Si!, lei no, Cioè lei, si" iniziò ad incespicare talmente tanto con le parole che non potei fare altro se non scoppiare in una fragorosa risata.

"Allora sai ridere ogni tanto" disse una voce alla porta.

"Sei arrivato finalmente!" dissi rimproverando Ninò.

"Sempre elegantemente in ritardo caro mio. E voi invece? Siete scappati dalla festa per imboscarvi?"

Marinette iniziò, come suo solito un arringa difensiva senza capo ne coda, composta da frasi sconclusionate.

"Calma Marinette, stavo solo scherzando" la fermò Ninò

In quel momento entrò anche Alyà nella stanza, aveva la faccia scura, mortificata.

"Possiamo andarcene?"

"Alyà cos'è successo?"Le si avvicinò Marientte abbracciandola.

"Chloé mi ha preso di mira mentre prendevo qualcosa al buffet. Non me la sento di parlarne,voglio solo tornare a casa" disse singhiozzando.

Marinette lasciò il posto alle braccia di Nino e lei si fiondò a seguirmi giù dalle scale.Non ci vedevo più dalla rabbia. Quella era la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Ero talmente adirato che ricordo a malapena ciò che successe appena  trovai Cholè, circondata dalle sue amiche,vicino la sala da ballo.

Ricordo il suo sguardo che da superiore, mentre chiacchierava con le amiche, che si accigliò appena la strattonai per un braccio, fino a riempirsi di puro terrore quando alzai la voce e le iniziai a stritolare le braccia per non farla andare via.

Un flusso di pensieri mi uscì dalla bocca, tutto quello che pensavo su di lei, quanto mi disgustasse il suo comportamento inaccettabile e quanto mi ripelleva l'idea di un matrimonio combinato con lei.

Mi fermò di forza Ninò, che a sentirmi imprecare contro Cholè si scapicollò giù dalle scale.

Quando vidi lo sguardo di Marinette mi risvegliai. Mi vergognai. Lei era terrorizzata, con le braccia al petto, come per proteggersi da un momento all'altro. Non staccava gli occhi spaventati dai miei, i miei erano carichi di ira e i suoi di lacrime.

Mi divincolai dalle braccia di Ninò, che però non sembrava sicuro di voler mollare la presa.

Tutta la gente era rivolta verso di noi ad osservare la scena. Chloè fu accolta dalle sue amiche e i nostri genitori si misero tra di noi.

Lo sguardo di mio padre era terrificante, ma gli tenni testa.

"Adrien, fa subito le tue scuse "

Non dissi una parola e rimasi fermo sul suo sguardo, nella speranza che vacillasse.

"Adrien! Fa subito le tue scuse a Chloè, a suo padre e a tutti gli ospiti" Alzò leggermente i toni. Vacillai con lo sguardo nel vedere tutti gli sguardi puntati addosso. Marinette era ancora lì, tesa, ma meno impaurita.

Tornai con lo sguardo su quello di mio padre.

"Non è così che ti ho educato"

Marinette fece un passo titubante in avanti. La fermai con un semplice gesto della mano.

"Non sono io che dovrei fare le mio scuse, non pensi? Tutte quelle cose che ho detto le penso davvero. E Chloè non è l'unica colpevole di questa situazione."

Poi con gesto teatrale mi guardai intorno "Mi scuso con tutti i presenti per la scenata di poco fa. Buona serata"

Presi per mano Marinette,diedi una pacca di intesa sulla spalla di Ninò, raggiungemmo Alyà e ce ne andammo.

Prendemmo due auto separate, entrambe dirette a casa mia, lontane da quella prigione di luci e convenevoli.

Il silenzio che ci accompagnò fino a casa era tombale. L'auto di Ninò si fermò subito dopo dietro la nostra, ma non scesi subito.

"Marinette, mi spiace per quello che hai visto"

Lei era pensierosa eppure rispose con un semplice "Non ti preoccupare, io sto bene. Tu invece?"

La dolce Marinette, che con un sorriso e parole confortevoli metteva sempre davanti gli altri a se stessa.

Non feci in tempo a rispondere che un esaltato Ninò mi aprì la portiera.

"Non ci posso credere che hai risposto così a tuo padre. Finalmente! Era ora che tu dessi una svolta simile alla tua vita! Ci avevi provato con le buone e non ci era arrivato quel palo in cul..." "NINO'!" Lo ammonì Alyà. Lo guardammo tutti sotto shock e scoppiammo in una fragorosa risata.

Entrammo in casa e festeggiammo per conto nostro, tra alcolici, scherzi e balli scalzi.

Dopo qualche ora Marinettesi addormentò su una poltrona e Ninò sul divano. Presi in braccio Marinette che profondamente addormentata non fece storie e la posai sul letto.

Mi raggiunse Alyà sull'uscio della camera

"ci puoi pesare tu a metterle il pigiama?"

"Certo"

Mentre Alyà pensava a Marinette io uscii in giardino.

Tra una boccata d'aria e una di tabacco i pensieri mi affollavano. La carica di adrenalina della lite era ormai scemata e si faceva largo l'ansia per ciò che avevo fatto. Rispondere così a mio padre non era decisamente nei miei piani di bravo figlio. Eppure altre frasi, più articolate,meglio formulate e dal significato più forte presero possesso dei miei pensieri.

Però non gli diedi tanta attenzione. La storia non è fatta né dai sé nei da ma.

"Cosa ti turba ?"chiese Alyà alle mi spalle.

"Niente, stavo ripensando a ciò che è successo. Che giornata"

"Sei preoccupato?"

"Sempre, come non potrei? Ho paura della risposta di mio padre. Ora come ora vorrei solo andarmene via."

"Fallo" Guardai Alyà negli occhi, aveva un espressione serissima e io non riuscii a fare altro se non aprire la bocca per dire qualcosa, ma rimasi muto.

 

   
 
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