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Autore: Nao Yoshikawa    16/06/2020    5 recensioni
In un giorno di pioggia e alla vigilia del suo compleanno, Sherlock ha una discussione accesa con Mycroft e questo lo porta a cercare rifugio da Victor, il suo migliore amico. Riuscirà quest’ultimo ad avere le parole giuste?
Victor poteva leggere nel suo tono la sorpresa e la commozione.
«Perché tu mi sostieni. Dici di essere strano? Io voglio essere un poeta, non credere che questo venga considerato normale. Ah, inoltre…» e gli girò attorno. «Il tuo ragazzo non è proprio un poeta provetto, al contrario mio, ma ti ha scritto una poesia, la troverai in quel libro firmato J.W. Prego, non c’è di che.»

"Seconda classificata pari merito al contest "Favole di Oggi" indetto da Fiore di Cenere sul forum di EFP".
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Sherlock Holmes, Victor Trevor
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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The best gift

Un furioso Sherlock Holmes camminava fradicio sotto la pioggia, quel pomeriggio. Aveva sentito il bisogno di schiarirsi le idee, di confidarsi magari con una delle poche persone che avrebbe potuto capirlo. Non aveva avvertito Victor del suo imminente arrivo, in realtà non lo avvertiva mai, si presentava sempre all’improvviso, ma quella volta aveva tutti i buoni motivi per farlo.
E il motivo era la sua famiglia. Anzi, per meglio dire, un litigio con la sua famiglia, con suo fratello Mycroft in particolare. Oh, non che fosse una novità, loro litigavano sempre, sette anni di differenza potevano essere pochi o anche tanti, ma non era solo quello il problema.
Sherlock si scostò i riccioli dalla fronte, arrivando di fronte la casetta della famiglia Trevor. Era fortunato, Victor non viveva lontano da lui, così poteva arrecargli disturbo quando e come voleva.
Con poca delicatezza arrivò di fronte la porta in legno, bussando rumorosamente. Nel silenzio della sua cameretta, Victor si ritrovò a sussultare. I suoi genitori non erano in casa ed era ancora troppo presto affinché tornassero. Poteva essere solo una la persona abbastanza folle da uscire con quel tempaccio maledetto.
Si precipitò giù per le scale, goffo come al solito. E ovviamente, si ritrovò davanti la figura bagnata, stanca e imbronciata di Sherlock.
«Sherlock?» mormorò Victor confuso.
Gli passò accanto, scuotendo poi i riccioli e schizzando delle goccioline d’acqua in giro.
«Io a casa non ci torno e non ci sarà niente e nessuno che mi farà cambiare idea.»
Un sospirò uscì dalle labbra del ragazzino dai capelli rossi. Sherlock era sempre così teatrale, aveva un modo tutto suo di affrontare le emozioni, che fossero di felicità, tristezza o rabbia.
«Che cosa è successo ora?» domandò, cauto. Perché capitava spesso che Sherlock litigasse con la sua famiglia, non se ne sorprendeva considerando che persona particolare fosse il suo migliore amico, ma in quel momento quest’ultimo gli pareva molto sconvolto.
«Prima devo togliermi questi vestiti bagnati di dosso, vado in camera tua.»
Victor sgranò gli occhi, andandogli dietro. C’era una cosa che Sherlock non doveva assolutamente vedere, altrimenti addio sorpresa. L’indomani sarebbe stato il quindicesimo compleanno del suo migliore amico e si era fatto in quattro per fargli un regalo decente. Alla fine aveva optato per qualcosa di artigianale, fatto proprio da lui, anche se in verità aveva iniziato subito ad avere dubbi. A Sherlock sarebbe piaciuto? Forse era troppo stupido, troppo pretenzioso? Victor sapeva essere un ragazzino insicuro, rimuginava mille volte prima di prendere una decisione. Tutto il contrario di Sherlock, ovviamente
Aveva nascosto il suo regalo, ma considerando le ottime capacità di deduzione dell’amico, dubitava che non se ne sarebbe accorto.
«Sherlock aspetta, tu non puoi, questa è violazione di privacy!» Victor entrò in camera sua di corsa, quasi cadendo in avanti. Come se fosse a casa propria, Sherlock si era tolto la giacca nero di velluto, ovviamente fradicia, ed in seguito anche la maglietta.
«Andiamo, Victor. Tu non hai una privacy, non con me», e dicendo ciò sistemò i vestiti sul termosifone per asciugarli e poi si guardò intorno. La camera di Victor era proprio quella di un artista. In verità erano entrambi artisti, lui amava la musica ed era abile con il violino, l’amico invece aveva l’anima del poeta. In realtà Victor non amava definirsi tale, ma Sherlock lo rimbeccava sempre dicendo che era troppo insicuro e con quel modo di fare non sarebbe andato da nessuna parte.
Forse non aveva torto. Forse avrebbe dovuto essere un po’ più come lui, gettarsi senza pensare.
«Hai comprato un libro nuovo? La tua pila è più alta», commentò ad un certo punto.
Eccolo lì, lo sapeva!
Victor si posizionò davanti la scrivania, sbattendo contro uno spigolo.
«Sherlock, stai divagando! Sei venuto qui per parlare di te o di quanto sia bella la mia camera?»
Finalmente Sherlock si sedette e smise di agitarsi.
«Almeno puoi darmi qualcosa con cui coprirmi? Ho freddo…» si lamentò in un modo che a Victor fece una tenerezza infinita.
Aprì l’armadio e tirò fuori una felpa, per fortuna lui e Sherlock avevano una corporatura simile. Dopodiché gli si sedette accanto, sul letto.
«Beh… che è successo questa volta?» domandò Victor, paziente. Avere a che fare con Sherlock non era facile. Quest’ultimo era intelligente, molto emotivo e spesso indelicato, ma era la persona più buona che conoscesse, questo era sicuro. Purtroppo molto spesso la gente non era in grado di comprendere quella sua anima resa ancora più turbolenta dal fatto che Sherlock avesse quasi quindici anni.
«Ho litigato con Mycroft…» borbottò, la schiena poggiata contro il muro e le braccia incrociate al petto. Victor conosceva molto bene anche il maggiore degli Holmes, si conoscevano tutti sin da bambini, e poteva capire il perché litigassero spesso.
«Oh, Sherlock… mi dispiace. Sono figlio unico e non so cosa significa, ma immagino sia… normale?»
Sherlock però scosse il capo, nervoso. Niente era normale, lui non era normale, se lo fosse stato si sarebbe risparmiato la maggior parte dei problemi. Lui e Mycroft erano tanto simili quanto diversi e suo fratello pareva divertirsi nello stuzzicarlo e provocarlo. Non che i suoi genitori migliorassero le cose, nemmeno loro lo comprendevano. E no, Sherlock non credeva di essere il classico adolescente che si sentiva incompreso, lui di fatto incompreso lo era sempre stato. Forse la colpa era anche sua, solo un pochino, in generale. In quel caso specifico no.
«Niente è normale…» mormorò. «Gli ho detto che… insomma… sì, gli ho detto di John, d’accordo?»
Le sue guance si colorarono di rosso e Victor sgranò gli occhi, sorpreso.
«Aspetta, cosa?!»
John era il nuovo ragazzo di Sherlock, nonché il primo. Si erano conosciuti a scuola e quel tipo era stato l’unico in grado di rubare il cuore al suo migliore amico.
Sherlock fece spallucce, accasciandosi.
Non aveva mai avuto problemi con quell’argomento. Era dall’età di dieci anni che sapeva di essere attratto dai ragazzi piuttosto che dalle ragazze, non si nascondeva né l’ostentava. Se il discorso saltava fuori, affermava ciò che era senza alcun problema. E poi era arrivato lui, John Watson, intelligente nella norma, ma che nel suo essere così meravigliosamente normale si era preso il suo cuore senza alcun permesso.
«Il discorso è saltato fuori abbastanza banalmente in realtà. Lo sai che io e Mycroft ci provochiamo sempre e ammetto che ho cominciato io. Gli studi all’università lo rendono fuori di testa e puntualmente il suo capro espiatorio sono io. Così gli ho detto che se continua così non si troverà mai una fidanzata», e in fondo era vero, Mycroft sapeva essere più disastroso di lui nelle relazioni interpersonali. «E lui mi ha risposto dicendo che dovrei starmene zitto e trovarmi io una ragazza, se ho tempo da perdere. Con molta semplicità gli ho detto che non ho una ragazza, bensì un ragazzo
Adesso Victor era giusto un filo meno sorpreso. Tipico di Sherlock affermare certe cose con fare disarmante e tranquillo, com’era giusto che fosse, dopotutto non c’era niente di male.
«…E lui cos’ha risposto?» domandò cauto, sapeva che probabilmente il punto focale della questione era quello. Sherlock distolse lo sguardo.
«Le solite cavolate. Che è una fase, che è un modo come un altro per attirare l’attenzione. Ah, è ha detto anche che il tipo con cui sto probabilmente vuole solo portarmi a letto. Cioè, John? Lui non lo conosce neanche, come può dire una cosa del genere?»
Victor sospirò, massaggiandosi la testa. Era praticamente l’unico – o per meglio dire era stato – l’unico a sapere del vero orientamento sessuale di Sherlock, in verità lo aveva già capito molto tempo prima che glielo rivelasse. E in verità era stato anche colui che lo copriva ai suoi appuntamenti segreti con John.
«E ha detto anche che parte della colpa è tua perché mi copri», borbottò poi Sherlock.
«… Beh, è vero che ti copro.»
«Sì, ma questo cosa vuol dire? È tutto sbagliato!»
Sherlock ne era sicuro, suo fratello non aveva capito proprio niente. Anzitutto Victor era il suo migliore amico e tra amici si faceva questo, ci si copriva a vicenda, anche lui lo avrebbe fatto se ce ne fosse stato bisogno. E soprattutto, lui non era una povera vittima delle circostanze. Non era stato John a sedurlo (forse solo un po’), né era uno sprovveduto. Sapeva perfettamente ciò che provava, ciò che voleva.  Ma no, Mycfroft lo vedeva ancora come un bambino che non veniva preso sul serio, considerandolo un povero sciocco. Era sempre stato così, ma il fatto che avesse messo in mezzo John e poi anche Victor lo aveva fatto sbottare. E poi i suoi genitori avevano peggiorato le cose: erano intervenuti cercando di rabbonire Sherlock e dicendogli che non era il caso di prendersela tanto.
Quella era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso, quello che lo aveva portato ad inveire contro suo fratello e ad uscire di casa nonostante la pioggia.
Victor poté giurare di non averlo mai visto così infuriato, e dire che era così emotivo. Non poteva capirlo, non da quel punto di vista almeno, ma poteva immaginare quanto fosse fastidioso sentirsi dire certe cose. Sapeva però che sarebbe stato inutile covare rabbia troppo a lungo, da parte di Sherlock. Erano delle brave persone gli Holmes e conosceva abbastanza Mycroft da sapere che quelli fossero dei tentativi goffi di proteggere e preoccuparsi per Sherlock.
«Sherlock, mi spiace. Ma non ti devi preoccupare, vedrai che si risolverà.»
Ma Sherlock scosse il capo. Una lacrima sfuggì al suo controllo e l’asciugò velocemente con la manica della felpa. Non si sarebbe risolto niente. Con il tempo aveva imparato a rimanere indifferente al giudizio della gente, ma con alcune persone, tipo la sua famiglia, era difficile.
«No, invece. È sempre così. Io sono quello strano della famiglia, ma è inutile cercare di dare la colpa a qualcun altro. Sono così perché sono così, punto. Non dico che debbano per forza comprendermi, ma almeno che mi lasciassero in pace. Preferisco essere ignorato che trattato come uno stupido. Io devo essere stato adottato, non può essere altrimenti», dicendo ciò sollevò lo sguardo lucido verso il tetto. «È così strano il fatto che qualcuno possa amarmi?»
Victor corrugò la fronte, puntandogli il dito contro.
«Sentimi bene, Holmes. Guarda che non è per niente difficile volerti bene, insomma ti sono acconto soltanto dalla tua vita. E poi c’è John. Lui ti ama davvero, non lo puoi sapere, ma quando non ci sei parla tutto il tempo di te, non lo sopporto più. Strano o meno chi se ne importa? Mi pare che sei apprezzato, come si dice, meglio pochi ma buoni?»
«Sì, Victor, lo so. È solo che non capisco, ma la famiglia non dovrebbe sostenerti? Perché la mia mi fa solo arrabbiare.
Allora si alzò dal letto, con fare pensieroso e dal nulla se ne uscì dicendo con fare teatrale: «L'amore della famiglia possiede un'immortalità crudele; sopravvive anche quando -svaniti stima, rispetto, fiducia- la sua scomparsa sarebbe misericordiosa
Sherlock inarcò le sopracciglia, tirando su col naso.
«E questa da dove l’hai tirata fuori?»
«Io sono un poeta, improvviso quando qualcosa m’ispira. Lo so che per adesso sei arrabbiato, ma le cose andranno meglio.»
«Tsk… ne dubito. Mi farò un regalo visto che domani compio gli anni. E me ne starò qui. O da John. O magari usciamo e andiamo da qualche parte, senti, non mi va di stare al chiuso, anche se piove!»
Victor alzò gli occhi al cielo, mentre si voltava per prendere il suo dono per Sherlock. Nonostante i dubbi, gliel’avrebbe dato in quel momento, magari lo avrebbe fatto stare meglio.
«Amh, senti, a proposito di compleanni, so che manca un giorno, ma direi che è più opportuno se te lo do adesso.»
Sherlock lo guardò, per poi alzarsi. Non aveva mai amato certi convenevoli, Victor lo sapeva ed ogni volta se ne usciva con un dono per lui.
«Non dovevi regalarmi nulla, è troppo dispendioso.»
«Non ho speso niente, fidati. Coraggio, aprilo!» lo incitò, sorridendo. A giudicare dalla forma del pacco coperto da carta marroncina, sembrava un libro. Con le guance ancora umide, Sherlock iniziò a scartarlo lentamente. Quello che si ritrovò con le mani era in effetti un libro fatto a mano, così come a mano era scritto il titolo.
«Libro delle poesie di Victor Trevor?» lesse. L’amico arrossì, portandosi una mano tra i capelli rossi.
«Lo so, il titolo fa schifo, però è provvisorio. Sai che vorrei pubblicare un libro un giorno, no? Beh, per adesso mi sono arrangiato in questo modo e visto che sei il mio primo sostenitore ho pensato di regalarti la prima copia originale di quello che… sarà poi in futuro vero libro. O una cosa del genere, alcuni le conosci già e… forse  è presuntuoso da parte mia? Oh Sherlock, ti prego, dì qualcosa!»
Sherlock era rimasto ad osservare il libro di poesie, dove dal titolo era sbavato del colore sicuramente in fase di asciugatura. Lo fissò e poi guardò Victor.
«Non è presuntuoso, è sprecato. Perché mi hai fatto un regalo del genere?»
Victor poteva leggere nel suo tono la sorpresa e la commozione.
«Perché tu mi sostieni. Dici di essere strano? Io voglio essere un poeta, non credere che questo venga considerato normale. Ah, inoltre…» e gli girò attorno. «Il tuo ragazzo non è proprio un poeta provetto, al contrario mio, ma ti ha scritto una poesia, la troverai in quel libro firmato J.W. Prego, non c’è di che.»
Sherlock batté le palpebre, commosso, mentre sfogliava le pagine di quel libro, improvvisamente ecco che la rabbia era un po’ scemata. In fondo era davvero fortunato, da un lato aveva John e dall’altro un amico come Victor.
«Devo dire che mi hai colto di sorpresa…»
L’altro sorrise, portandogli un braccio intorno alle spalle.
«Sono felice che ti sia piaciuto, ed io che pensavo lo snobbassi. Mi raccomando, custodiscilo, non esiste niente di simile al mondo. Ad ogni modo», dicendo ciò guardò l’orologio appeso al muro. «Hai detto che volevi andare da John, vero? Bene, allora andiamo, posso assicurarti che il suo regalo sarà migliore del mio.»
Sherlock alzò gli occhi al cielo. Ah, lui e la sua esagerata allegria. Non gli avrebbe detto ad alta voce che la sua amicizia era già uno dei regali migliori, sarebbe stato troppo melenso, ma dopotutto non ce n’era bisogno. Victor lo sapeva già.
«L’amore della famiglia possiede un'immortalità crudele; sopravvive anche quando -svaniti stima, rispetto, fiducia- la sua scomparsa sarebbe misericordiosa», ripeté Sherlock dopo un po’. «Ma non era tipo la citazione di un film o qualcosa del genere?»
L’amico sgranò gli occhi, sorridendo nervoso.
«Non so proprio di cosa parli! Andiamo ora, prima che ricominci a piovere!»

Nota dell'autrice
Spero che questa storia vi sia piaciuta, perché scrivere di uno Sherlock adolescente non è facile. Di Victor ho una mia idea, nel senso che me lo immagino come un ragazzo molto dolce e fragile, ma che sa tirare fuori anche la grinta. E me lo immagino come un artista, in questo caso come in un aspirante poeta. Sinceramente mi immagino bene Sherlock a litigare con Mycroft per un motivo del genere, spero di non essere andata OOC.
   
 
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