Anime & Manga > TSUBASA RESERVoir CHRoNiCLE / xxxHOLiC
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Autore: steffirah    16/06/2020    0 recensioni
In un regno del Paese d’Arabia viveva una giovane principessa. I suoi occhi splendevano di tutte le sfumature della malachite, e si diceva che i suoi capelli dorati avessero catturato i raggi del sole nel giorno della sua stessa nascita. La sua pelle era diafana, come le piume di un cigno, le sue labbra avevano il raro e ricercato colore dei rubini, il suo portamento mostrava un’eleganza senza pari. La sua voce, dolce e cristallina, suonava alle orecchie di tutti persino più piacevole del cinguettio degli uccelli. [...] Il suo popolo bramava il giorno in cui sarebbe stato regnato da una beltà tanto eterea, ma la giovane principessa non sembrava esserne interessata. Sin da bambina aveva sempre provato un certo fascino per l’avventura, aveva letto storie su storie di luoghi esotici e lontani, sognando di potercisi recare un giorno. Attendeva intrepida qualcuno che la portasse lontano...
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One-shot basata sul tema del "Tsubasa Month" (maggio 2020): Day 20 Fairytale
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Fay D. Flourite, Kurogane, Sakura, Syaoran
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Tale of a Journey, Tale of Love







 
このまま君を本当に失う
その前に


- “SONIC BOOM” -








In un regno del Paese d’Arabia viveva una giovane principessa. I suoi occhi splendevano di tutte le sfumature della malachite, e si diceva che i suoi capelli dorati avessero catturato i raggi del sole nel giorno della sua stessa nascita. La sua pelle era diafana, come le piume di un cigno, le sue labbra avevano il raro e ricercato colore dei rubini, il suo portamento mostrava un’eleganza senza pari. La sua voce, dolce e cristallina, suonava alle orecchie di tutti persino più piacevole del cinguettio degli uccelli.
Era ciò di più prezioso che possedeva quel regno, una bellezza sbocciata in un giorno di ciel sereno, circondata da petali di fiori rosati. Si tramandavano molte leggende su di lei, e alcune supponevano che fosse una reincarnazione di una divinità. Altrimenti non si spiegava come mai, ogni volta che veniva ricoperta da gioielli, veli e drappeggi colorati, ella stessa brillasse più di qualsiasi gemma.
Il suo popolo bramava il giorno in cui sarebbe stato regnato da una beltà tanto eterea, ma la giovane principessa non sembrava esserne interessata. Sin da bambina aveva sempre provato un certo fascino per l’avventura, aveva letto storie su storie di luoghi esotici e lontani, sognando di potercisi recare un giorno. Attendeva intrepida qualcuno che la portasse lontano, ma finché era il sultano – ossia suo fratello, ora che avevano perso i loro genitori – a dover decidere per lei, non si sarebbe spinto oltre i regni più vicini, con cui creare alleanze fruttuose. Le avrebbe trovato un principe, un visir o un altro sultano che avessero potuto portare beneficio al regno più che a lei stessa. Non perché non la tenesse a cuore, ma perché purtroppo il compito di un sovrano metteva il benessere del suo popolo prima di ogni altra cosa.
Ecco perché, incapace di sopportare ad oltranza quella situazione, decise di scappare. Una notte di luna piena indossò un’umile tunica priva di ricami sui pantaloni dalle cavigliere decorate, facendoseli prestare dalla sua più fidata ancella; si avvolse in un mantello color sabbia, coprendo totalmente le sue fattezze, e dopo essersi accertata che tutti dormissero sgusciò nell’ampio giardino, nascondendosi alle guardie. Disse addio agli uccellini che avevano nella grossa gabbia, liberandoli, incerta di quando sarebbe ritornata, se mai sarebbe ritornata, sentendosi tuttavia più leggera. Aveva sempre desiderato farlo, per quanto amasse ascoltare quotidianamente il loro canto. E con questo gesto, sperava di far capire al sultano quale era stata la sua decisione.
Nel timore però che le guardie potessero accorgersene si arrampicò in fretta su un albero, con estrema agilità essendo abituata a farlo sin da bambina, e raggiunse la cima delle mura.
Rivolse un ultimo sguardo al palazzo, a quelle torri e cupole familiari, sentendosi già malinconica. Sarebbe stata ancora in tempo per tornare indietro, in un posto sicuro, dove non aveva nulla da temere; ma i suoi desideri, repressi per tanti anni, erano troppo forti, e così decise di procedere verso quell’ignoto viaggio, dovunque esso l’avrebbe condotta.
Cercò un punto in cui appigliarsi per scendere e, correndo e nascondendosi tra i vicoli di quella città che conosceva a memoria, riuscì a raggiungere il porto senza troppi intoppi. Il suo piano prevedeva imbarcarsi senza farsi notare, ma purtroppo per lei ben presto fu scoperta da due uomini mentre tentava di infiltrarsi in una stiva. Fortuna volle che fossero due viaggiatori stranieri che condividevano il suo sogno e, nonostante la sua azione fosse tipica di una ladruncola, non la denunciarono.
Dato che parlavano la sua lingua riuscì a spiegarsi, senza entrare troppo in dettagli, e scoprì che stavano per navigare verso Est, in modo tale che il più grande dei due, quello più tozzo, con capelli d’ebano e occhi purpurei, potesse ritornare a casa.
Il compagno di costui, un uomo alto e mingherlino, dai capelli quasi bianchi e gli occhi simili a zaffiri, decise di accompagnarla in questo viaggio. Quando lo ringraziò lui si strinse nelle spalle, spiegando: «Non ho nulla di meglio da fare, e poi anch’io preferisco visitare quanti più regni possibile».
«E non tornare nel tuo», aggiunse l’altro, lanciandogli una frecciatina.
A quanto pareva i due si conoscevano bene, era da più di venti lune che viaggiavano insieme e ormai si erano abituati perfettamente alla personalità del compagno.
«Questo è un dettaglio», ridacchiò il biondo, sorvolando sulla cosa.
«Io ho intenzione di ritornare, un giorno. Ma prima, ho bisogno di conoscere altri posti, altre persone, altre culture e imparare da esse», specificò la principessa, tenendoci a precisarlo.
In cuor suo, sentiva che dovunque il destino la avrebbe mandata avrebbe imparato una grande lezione.
Dopo essersi presentati i tre salparono, trascorrendo all’incirca un mese a bordo di quella nave, prima che venissero sorpresi da una tempesta. A causa dei danni subiti e della scarsezza di viveri erano stati costretti a rifugiarsi su un’isola interna dell’Impero della Cina, con grande disdegno di Kurogane che non vedeva l’ora di ritornare nel suo regno in Giappone. Stizzito, fu più scorbutico del solito nel contrattare con gli altri, ma per fortuna Fay – che fungeva da interprete – cercò di placare gli animi di tutti.
La principessa si accodò a loro, alloggiando con essi presso un locale che affacciava su quella baia, definita in lingua locale “porto profumato”.
Quella stessa prima notte lì, per quanto placida e silenziosa, Sakura non fu in grado di prendere sonno. Ciò era dovuto soprattutto all’esperienza appena vissuta, che sembrava averle smosso tutti gli organi, impaurendola, e il suo unico conforto era stato vedere quanto i suoi due compagni di viaggio fossero abili navigatori. Decise pertanto di uscire a fare una passeggiata, seguendo la linea della costa.
Si travestì come aveva fatto il giorno della sua fuga e sgattaiolò via dalla finestra, calandosi giù senza fare alcun rumore. Si tenne lontana dagli sguardi degli altri viandanti, scivolando via dal porto per raggiungere velocemente una zona aperta, immersa nella natura. Si inginocchiò per togliersi le calzature, affondando i piedi nella sabbia, nostalgica. Ne prese una manciata e se la fece scivolare tra le dita, sospirando. Era così diversa lì, più ruvida e granulosa.
Si rimise in piedi, spostandosi verso la riva, affondando nell’acqua fino alle caviglie. Era più calda della sua terra d’origine. Passeggiò per un po’ sulla battigia, sollevando lo sguardo sulla luna alta nel cielo. Era così grande, perfettamente tonda, e luminosa. Talmente tanto che la luce delle stelle impallidiva a confronto.
Sentendosi rasserenata si rilassò tanto da non avvertire alcuna altra presenza oltre se stessa e la natura che la circondava, finché non inciampò in qualcosa. Per poco non cadde, ma prontamente delle mani la afferrarono, riportandola sulla rena prima che finisse completamente in acqua.
La principessa si voltò alle sue spalle, trovandosi con sgomento un giovane davanti, che sembrava avere più o meno la sua età. Si chiese come avesse fatto a non notarlo prima, visto che con quella lunga casacca di broccato, che indossava su pantaloni bianchi che sembravano di seta, non passava certamente inosservato.
Lo osservò ammutolita, notando la preoccupazione e gentilezza che affioravano da quel viso. Era splendido, la luna sembrava quasi passargli attraverso, rendendolo ancora più luminoso. Avvertì un’ignota e incomprensibile fitta allo stomaco, mentre realizzava di non aver mai incontrato una persona tanto bella.
«Chi sei?»
Le parole le sfuggirono dalle labbra, non tenendo neppure in considerazione il fatto che lui avrebbe potuto parlare un altro idioma. Anche perché il suo abbigliamento era quello tipico locale.
Eppure parve capirla, perché sgranò gli occhi, tirandosi indietro. Si guardò intorno, incerto, prima di indicare se stesso.
«Parli con me?»
La principessa sollevò un sopracciglio, poco convinta.
«Sei l’unica persona presente qui oltre a me, no?»
Lui stavolta spalancò persino la bocca, sembrando incredulo.
«Riesci a vedermi? E a sentirmi? E…» Allungò timidamente una mano, sfiorando appena il dorso della sua con un polpastrello, esitante. «A percepirmi?»
La sua voce, tanto profonda, tremava dall’emozione.
Confusa, la principessa fece scivolare lo sguardo dal suo viso alla sua mano, capovolgendo la propria per stringergliela, confermando. Avvertiva il suo calore contro la propria epidermide, seppure fosse fioco, quasi… evanescente.
Tornò a guardarlo e lo trovò con le labbra serrate e le lacrime agli occhi. Allarmata lo lasciò, chiedendosi cosa avesse detto o fatto di male, ma lui si asciugò rapidamente prima di mostrare alcuna debolezza, aprendosi in un caldo sorriso.
«È una così lieta notizia. Non so più quante stagioni sono trascorse da quando sono stato visto, sentito o toccato per l’ultima volta.»
Provando compassione dinanzi ad una simile scoperta, Sakura avvertì il proprio cuore stringersi in una morsa. Posò di nuovo una mano sulla sua, rassicurandolo con uno sguardo.
«Come ti chiami?» gli domandò incuriosita.
Lui parve pensarci su, prima di rispondere un po’ impacciato: «Non ricordo il mio titolo regale, ma il mio nome è Syaoran».
La principessa piegò la testa su un lato, udendo quelle inaspettate parole.
«Titolo regale?»
Lui annuì, spiegando in difficoltà: «Non mi restano molti ricordi del mio passato, so solo che vivevo in un palazzo. Mia madre era un’imperatrice… Non quella che c’è adesso». Scosse il capo, mortificato. «Mi dispiace, è tutto così confusionario. So che suona assurdo, ma -»
«Ti credo», lo interruppe, guardandolo schietta. «Poi cos’è successo?»
Lui la fissò basito, prima di continuare commosso: «Penso che stesse cercando di darmi in sposa qualche principessa, prima che io scappassi. Da quel momento in poi i miei ricordi diventano completamente bui».
La principessa lo ascoltò col fiato sospeso, chiedendosi se le sue orecchie non la stessero ingannando. Possibile che lui avesse vissuto il suo stesso destino?
«Tu, invece, come ti chiami?»
«Sakura», rispose, incerta se dovesse condividere o meno la sua storia. D’altronde, lui sembrava averle rivelato tutto ciò che ricordava.
«È un piacere conoscerti. Come mai ti trovi in questo Paese?»
Decise di confessare tutto, almeno a lui, ma solo mentre lo faceva si rese conto che lui riuscisse effettivamente a capirla.
«Siete una principessa in fuga, quindi?» ripeté incredulo, aprendosi in un piccolo sorriso. «Sembra quasi la mia storia.»
«Puoi darmi del tu, Syaoran. Io farò altrettanto.»
Lui rimase sgomento per un attimo, prima di acconsentire a ciò.
Rimasero quasi fino all’alba a conversare, Sakura raccontandogli della sua vita a palazzo, Syaoran delle conoscenze – comprese quelle linguistiche – che aveva acquisito nel corso del tempo.
Solo quando il cielo cominciò a tingersi di una sfumatura più nivea Sakura si rese conto che sarebbe stato meglio tornare dai suoi compagni, per quanto le dispiacesse congedarsi dal suo nuovo amico. Lui si propose di accompagnarla, anche perché a sua volta lo feriva l’idea di tornare nella completa solitudine, ora che finalmente aveva avuto la possibilità di conoscere qualcuno. E inoltre, nessuno dei due sapeva per quanto tempo Sakura sarebbe rimasta.
La scortò pertanto fino al luogo in cui pernottava, dove lei trovò già svegli Kurogane e Fay, pronti a rimproverarla per non averli avvisati che usciva. Si scusò, attendendo da parte loro un qualsiasi riferimento al giovane al suo fianco, che tuttavia mai arrivò. Sconsolata gli rivolse un’occhiata, notando che nonostante la mestizia che tingeva le sue iridi si sforzava di mostrarle un sorriso.
«Resta», sillabò muta, cogliendolo di sorpresa.
Annuì solo perché non aveva un vero e proprio posto a cui tornare, e lei si felicitò di questo, accontentandosi anche solo della sua vicinanza.
Trascorsero gli ultimi giorni su quell’isola insieme, chiacchierando ogni volta che restavano soli di tutto ciò che passava loro per la testa. Syaoran le illustrò le tradizioni locali, narrandole di una leggenda che si tramandava su due amanti sventurati, separati dagli dèi, per i quali in quella notte d’estate si lanciavano lanterne nel cielo.
Sakura seguì quella tradizione, facendo volare via una lanterna guidata da Syaoran. Sembrava tutto così magico e meraviglioso, con quelle luci, quelle voci gioviali, quegli addobbi e quegli abiti sfarzosi, ma la fanciulla era irrequieta. E difatti, quando rincasò, le giunse la notizia che parzialmente si aspettava: la nave era stata riparata, avevano ottenuto tutto ciò di cui avevano bisogno. Presto sarebbero ripartiti.
Nell’udire ciò quasi le si spezzò il cuore, non sentendosi pronta a ripartire. Non ancora, almeno. Il suo desiderio di scoprire le meraviglie di altri mondi restava, ma in quel momento era offuscato da qualcosa di più grande. Dal sentimento che stava sviluppando per Syaoran. Forse, se gli avesse chiesto di andare con loro, avrebbe accettato…
Si alzò dal letto, decisa a parlargliene, ma proprio in quel momento comparve nella buia stanza una figura fluorescente. Era una fata.
Sakura la guardò a bocca aperta, abbagliata dal suo splendore, ed ella le si avvicinò, sembrando sofferente.
«Mia cara principessa, favorita dagli dèi. Mi stai portando via ciò che ho di più prezioso. Avevo giurato a me stessa che, una volta incontrata una donna bellissima, più bella di me, che riuscisse a sciogliere il suo cuore, lo avrei lasciato andare. Ma non posso farlo. Il mio amore per lui è troppo grande. Per questo, farò ciò che è necessario.»
Pronunciate tali parole, incantevoli quanto sinistre, ella sparì in un minuscolo bagliore tintinnante.
Sakura fissò il vuoto per lunghi istanti, chiedendosi cosa intendesse dire la fata. Ma poi, comprese.
Doveva raggiungere Syaoran, prima che fosse troppo tardi.
Si affacciò dalla finestra circolare, sapendo che lui di solito la attendeva nel boschetto lì fuori, e lo intravide inginocchiato tra gli alberi. Aveva le mani sulla testa, come fosse in agonia, e attorno a lui fluttuava quella luce evanescente, in una danza seducente.
«No… Syaoran!»
Lo chiamò a pieni polmoni, ma lui sembrava non udirla. Si affrettò ad uscire di lì, scendendo come al solito dalla finestra, ma per quando lo raggiunse lui s’era già alzato e le aveva dato le spalle, andando via.
«Aspetta!» lo implorò col fiatone, correndogli dietro.
Riuscì finalmente a raggiungerlo in un piccolo spiazzale, a malapena illuminato dalla luce lunare. Gli afferrò un braccio, percependolo più incorporeo di prima. Quasi le si bloccò il cuore, mentre lui si arrestò, continuando a mostrarle le spalle.
La principessa prese un profondo respiro, facendosi coraggio.
«Non importa quello che ti ha detto la fata! Non mi interessa, e non deve coinvolgerti!» esclamò risoluta, determinata a non farlo andare via. Sapeva che l’amore che lei stessa provava per lui era più forte, perché andava oltre le apparenze, oltre le possibilità.
«Non importa…?» ripeté debolmente. Le sue spalle tremarono, quasi fosse scosso dai singulti. «Vorrei davvero che non importasse…» mormorò ferito, la sua voce si infranse, insieme al cuore della fanciulla.
«Che cosa ti ha detto?» domandò debolmente, portandosi le mani al petto, preparandosi a qualsiasi risposta avesse ricevuto.
Lui si voltò per fronteggiarla, sorridendo dilaniato. Le lacrime gli scivolavano sul viso, sembrando incessanti, e ben presto bagnarono anche quelle di Sakura.
«Mi ha detto la verità. Mi ha dichiarato il suo amore, o meglio, la sua ossessione per me. Mi ha fatto ricordare che mi ha legato indissolubilmente a lei, che mi voleva al punto tale da farmi divenire un non-essere, uno spirito che vaga da secoli, rendendomi muto, invisibile e intangibile agli altri. Quando mi soggiogò aveva promesso che un giorno mi avrebbe lasciato andare, se qualcuno fosse mai riuscito a vedermi. Ma in realtà lo riteneva impossibile, dava per scontato che quel giorno non sarebbe mai giunto, e ora che ci sei tu…» Trattenne un singulto, serrando i pugni. «Ora che ci sei tu, non ha intenzione di perdere contro di te. Non vuole cedermi a te, perché teme che tu possa portarmi via, e per questo mi ha legato maggiormente a sé e ora… Ora sto svanendo, per essere accolto nel suo regno…»
Tacque, tremando, e Sakura oltre al dolore scorse anche la paura. La paura di finire in gabbia, di essere costretto a vivere una vita indesiderata. E la sentiva così sua.
Si asciugò le lacrime, facendo qualche passo in avanti, per giungere a pochi centimetri da lui.
«Non accadrà. Troverò un modo per salvarti», gli promise.
Posò le mani sulle sue braccia e si sollevò sulle punte, poggiando le labbra sulle sue. Le sue labbra, seppure inconsistenti quanto una nebbiolina, erano morbide e calde.
Si tirò leggermente indietro, con una sensazione di leggerezza che le avviluppava tutto il corpo. Lui mantenne le palpebre chiuse per qualche altro istante, prima di schiuderle e sorridere, guardandola grato. La strinse tra le sue braccia e lei ricambiò la stretta più che poteva, nel timore che potesse scomparire da un momento all’altro. Sentiva davvero che il suo corpo stava svanendo, che diveniva sempre più intangibile, e ciò la terrorizzava. Pregò con tutte le sue forze finché, con spavento di entrambi, da una nuvoletta di fumo smeraldino non apparve un genio.
«Chi sei?» domandò riprendendosi in fretta il ragazzo, ponendosi dinanzi alla principessa.
«Sono un genio, apparso per rispondere alla preghiera della principessa del mio regno.»
Fece un inchino in direzione di Sakura, lasciandola perplessa. Poi però ella realizzò il senso delle sue parole.
«Tu puoi…» Strinse una mano di Syaoran nella sua, sperandoci con tutta se stessa. «Puoi liberarlo? Puoi farlo tornare com’era?»
«Se è questo il desiderio della mia padroncina, certo!»
Schioccò le dita e un vortice di nubi colorate avvolse la figura di Syaoran. Sakura si coprì gli occhi dinanzi ai bagliori che lo seguirono, trasalendo nell’udire grida di disperazione librarsi fino al cielo. Si sollevò un forte vento che la fece arretrare, mentre l’ombra della fata usciva da quella spirale, gemendo col cuore a pezzi, divenendo un tutt’uno col nero della notte.
Sakura si sentiva un po’ in colpa per quell’azione, ma era necessario per poterlo aiutare. Per non farlo sentire più solo. Per ridargli una vita.
Non appena il fumo evaporò nell’aria, levandosi in miriadi di pulviscoli del colore delle spezie, Sakura corse verso Syaoran, prendendolo tra le sue braccia.
Lo chiamò più volte, ma non riapriva gli occhi.
«Genio, perché non mi risponde?» domandò disperata.
«L’ho liberato dalle catene che lo tenevano legato alla fata, ma non ha ancora ricominciato ad esistere. Deve tornare in possesso di tutta la memoria della sua vita perduta.»
«Cosa posso fare?»
«Servirebbe un frutto dell’albero magico che cresce affianco alla Caverna delle Meraviglie, è l’unico che potrebbe aiutarlo a recuperarla più in fretta.»
La principessa assentì, determinata stavolta a fare tutto da sola. Lo ringraziò, e quando gli chiese perché lo aveva fatto lui rispose soltanto: «Lo devo a vostra madre, gli sono debitore in eterno». E detto ciò scomparve in una scia che penetrò il medaglione con lo smeraldo che sua madre le aveva donato al suo raggiungimento della maggiore età.
Lo strinse tra le dita, ringraziando entrambi, prima di dedicarsi completamente a Syaoran. Pensò a come avrebbe potuto trasportarlo fino all’ostello, ma fortunatamente per lei Kurogane e Fay erano andati a cercarla, non vedendola arrivare.
«È ora di partire, che stai combinando?»
Spiegò loro tutta la situazione, guardando l’omone con occhi imploranti.
«Per favore, ho bisogno di tornare quanto prima nel mio Paese.»
«Anche io devo tornare quanto prima, ho un compito da portare a termine», ribatté lui, seccato.
Sconsolata chinò il capo, mormorando: «Mi dispiace. Non avrei dovuto coinvolgervi in questa storia. Andrò da sola».
«Da sola no, io vengo con te», le fece l’occhiolino il biondo, guardando in maniera eloquente il loro compagno di viaggio.
Egli sbuffò rumorosamente, prendendosi il giovane privo di sensi in spalla.
«E va bene! Torniamo in Arabia, ma poi si riparte subito per il Giappone. E non voglio più discutere a riguardo», sentenziò, apportando un’immensa felicità nella fanciulla.
Il viaggio di ritorno durò meno dell’andata, grazie anche alle favorevoli condizioni meteorologiche e al mare piatto come una tavola.
La fanciulla vegliò notte e giorno sul suo principe, senza mai separarsi da lui. Talvolta la sostituivano i suoi compagni di viaggio, in modo tale che potesse riposare anche lei, ma per essergli accanto cercava di restare sveglia quanto più tempo possibile.
Una volta approdati nel suo regno indicò loro la strada per raggiungere la Caverna, facendoli attendere in prossimità di essa. Cercò l’albero di cui le aveva parlato il genio e, ricordando una vecchia fiaba che le narrava sua madre, seguì un percorso sotterraneo, raggiungendo un minuscolo paradiso terrestre. Quel luogo abbondava di acqua e vegetazione, come se si trovasse in un’altra era, in un altro mondo. Si guardò attorno estasiata, sorridendo dinanzi a quei pappagalli e agli uccelli dalle piume turchesi che si libravano in volo al suo passaggio, zigzagando tra le innumerevoli cascate d’acqua.
Giunta al centro trovò il leggendario albero di cui parlava il Genio, di cui non avrebbe mai supposto la reale esistenza. Sua madre le aveva raccontato che, quando ci si recava lì, bisognava pregare alla divinità protettrice e spiegarle la ragione del furto. Si inginocchiò, giungendo le mani in preghiera, e chiuse gli occhi, narrando l’accaduto. Sapeva che, se il proposito sarebbe stato nobile, non sarebbe accaduto nulla di male al ladro. Se, invece, si era spinti da intenti egoisti, la divinità adirata ne avrebbe reclamato la vita.
Pensò intensamente a Syaoran, a quanto avesse sofferto, a quanto dovesse essersi sentito solo e abbandonato, al vuoto che aveva in sé e a quanto desiderasse riempirlo, per poterlo vedere sorridere. Pensò alla miseria di quella sua secolare vita e, con le lacrime che le scorrevano sul viso, afferrò una di quelle mele dorate. Non appena le sue dita si posarono sulla sua buccia, essa si staccò automaticamente dal ramo, finendo perfettamente nel suo palmo. Se la portò accanto al cuore, ringraziando la divinità, prima di uscire di lì.
I quattro trovarono riparo in una casa abbandonata per quella notte, e, con l’ausilio di Fay, la principessa preparò un decotto con la mela, in modo tale che Syaoran potesse berlo. Gli tenne la testa mentre lo aiutava ad ingurgitarlo, mentre Kurogane stava di guardia e Fay vegliava su di loro a distanza. Fece sì che svuotasse la ciotola, prima di posarla su un lato e guardarlo in attesa. Il suo cuore batteva allo stesso ritmo dei tamburi, scandendo minuti accelerati. La bussola della sua mente si stava perdendo, il suo ago puntava su vari interrogativi.
E se non l’avesse riconosciuta?
E se l’avesse dimenticata?
E se il suo sentimento non era ricambiato?
«Syaoran, apri gli occhi…» lo implorò con un filo di voce, stringendogli una mano.
Le sue palpebre fremettero, e lei sentì un sorriso farsi breccia sul proprio viso.
Finalmente egli riaprì gli occhi, con un po’ di fatica, e piegò leggermente la testa verso di lei, mettendola a fuoco. Le rivolse un minuscolo sorriso intriso di dolcezza, mentre sollevava una mano per carezzarle il volto.
«Principessa…»
Lei ridacchiò tra le lacrime di gioia che la stavano sopraffacendo, scuotendo la testa.
«Solo “Sakura”.»
Lui ricambiò con una leggera risata e si risollevò di poco, per accoglierla tra le sue braccia.
«Grazie per tutto quello che hai fatto per me, Sakura. Hai dato un senso alla mia esistenza.»
«L’ho fatto perché ti amo», singhiozzò lei, vittima di una gioia indomabile.
«Ti amo anch’io.»
Quella confessione bastava ad entrambi, per sentirsi finalmente felici, completi e realizzati.
Il mattino seguente raggiunsero il palazzo, dove la principessa fu accolta con calore – e un leggero rimprovero – dal sultano, preoccupatissimo per lei. Ringraziò coloro che gliel’avevano riportata sana e salva, e Sakura glielo lasciò credere, perché desiderava che ciascuno di essi venisse premiato. Permise pertanto a Fay e Kurogane di ripartire verso la loro meta insieme a vari doni e ricchezze e, dopo che se ne furono andati, gli espresse il suo desiderio di poter sposare Syaoran.
Dopo aver scoperto delle sue origini natali, il sultano gli concesse la mano della principessa. I due celebrarono così le loro nozze, avvolti nelle stoffe più pregiate e cangianti e i più ricchi gioielli, incorniciati dal giubilo del popolo per quell’evento tanto atteso e il ritorno della loro amata principessa.
In seguito al loro matrimonio viaggiarono ed esplorarono diversi regni finché potevano, assumendo poi le redini del regno quando toccò a loro, lasciando rigogliose terre e invidiabili tesori ai loro figli.
Fu una vita lunga e felice, piena di allegria, scoperte, passione e comprensione. Una vita che entrambi avevano bramato, per anni e anni, e che infine erano riusciti a ottenere.














 
Angolino autrice:
Helloooo! Se qualcuno di voi mi ha dato per dispersa, sappiate che è colpa dell'università; tuttavia, oggi ho deciso di festeggiare il primo esame dato di questa sessione (nonché l'ultimo scritto di giapponese, per cui mi piange il cuore T///T).
Mi restavano solo due shot dei prompt del mese, e alla fine ho optato per questa favoletta: essa è liberamente ispirata a 
Aladdin
(sia il film che il cartone Disney), “L'amore di Qamar al-Zamàn e di Budùr” (fiaba di Le mille e una notte) e un otome game chiamato “Niflheim”. [Confesso che l'intenzione era ambientare qualcosa in un paese arabo, e alla fine comunque sono finita in Cina. Come vedete sono molto coerente, già!]
La canzone all'inizio è la opening di Shunraiki, e la parte ripresa recita: "Di questo passo finirò col perderti davvero, ma prima che ciò accada..." (traduzione mia).
Grazie mille per aver letto, spero vi sia piaciuta e sia stata di buona compagnia :3
Steffirah
  
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