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Autore: Carme93    17/06/2020    2 recensioni
Pronti a partecipare a una competizione fuori dagli schemi?
Due famiglie, 80 città e un premio a sorpresa.
Chi vincerà?
[Storia partecipante alla challenge "Il giro d'Italia in 80 storie" indetta da Ghostmaker sul forum di EFP]
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo quinto
 
 


 
Il tesoro della Carboneria
 
 



 
Un fascio di luce penetrò nella camera, annunciando che una nuova trionfale giornata di sole era appena sorta.
Maria sbuffò e nascose la testa sotto il lenzuolo. Era stata una reazione spontanea, ma, man mano che il sonno l’abbandonava, ricordò dove si trovava. Si scoprì e si guardò intorno ancora frastornata: la camera era un vero delirio. La sera prima, o meglio la notte, quando erano rientrati, aveva letteralmente lanciato zaino e vestiti a terra e  aveva occupato il bagno prima ancora che Ludovico potesse dire a, dopodiché si era fiondata nel suo letto.
Era incredibile trovarsi in quella stanza, anche se in realtà non si era partita da nemmeno una settimana, ma sembrava un’infinità. A dire la verità quando suo padre aveva coinvolto lei e suo fratello in quell’assurda gara, non si aspettava di rivedere casa sua prima di settembre e dell’inizio della scuola, ma si era totalmente sbagliata.
Si coprì il volto con le mani: non era per nulla sicura che fosse stata una buona idea tornare a casa. In quel momento percepì quanto le mancasse la sua vita prima della gara. Ok, sì era melodrammatica. Ludovico non avrebbe mai dovuto conoscere quei pensieri! Fortunatamente non era dotato di poteri paranormali.
Suo padre era un uomo particolarmente dedito al lavoro, il tipo di persona che quasi si dimentica anche del mondo che lo circonda, per cui Maria non ricordava quando fosse stata l’ultima vacanza tutti insiemi e, per giunta, così lunga. Per questo quando qualche settimana prima suo padre aveva loro annunciato che avrebbero partecipato a quella gara non si era rifiutata: per un’estate i suoi amici avrebbero potuto aspettare.
Respirò profondamente, quasi a farsi coraggio, e si alzò. Recuperò lo zaino, lo svuotò e scelse dei vestiti adatti: ora sapeva a che cosa andava incontro, a differenza di quando era partita. Prese anche il suo computer - quello di suo padre non aveva buoni programmi di grafica e video - e il suo mp4 che aveva dimenticato, in modo da non doversi sorbire Ludovico e i suoi monologhi anche durante i viaggi. Ne era sicura, anche suo padre, a volte, faceva finta di ascoltarlo. Si sentiva l’assenza della madre in questo.
Maria costatò che suo padre e Ludovico ancora dormivano e ne approfittò per prepararsi con calma, solo dopo si premurò di svegliarli.
«Come facciamo con la colazione?» chiese con una punta di crudeltà visto che il padre stava riemergendo dal mondo dei sogni troppo lentamente.
«Mmm» replicò lui in modo tutt’altro che intellegibile.
«Non c’è niente in frigo».
«Io ho fame» disse Ludovico raggiungendoli.
«Sparite» borbottò Saverio. «Lasciatemi il tempo di alzarmi».
«Se ci fosse mamma» borbottò Ludovico.
«Facciamo colazione fuori» sbottò suo padre. «Insomma dobbiamo andare in piazza Carlo Alberto, no? Ci sono un’infinità di bar lì… E, Ludovico, non ti azzardare a dire a tua mamma che non ti do da mangiare!».
Maria scoppiò a ridere e andò in camera a recuperare le sue cose per portarle nell’ingresso. Li attese disegnando. «Prendiamo la macchina?» chiese al padre quando finalmente fu pronto.
«Non credo ci convenga».
«Non vorrai prendere l’autobus?» borbottò Ludovico.
«Quanto ci hai messo? Nemmeno fossi una ragazza» lo redarguì Saverio. «Prendiamo un taxi, ma non ti ci abituare».
Maria si accigliò, ma non disse nulla: prendere un taxi era uno spreco e avrebbe contribuito a inquinare quella città. Casa loro non era particolarmente lontana dal centro, trovandosi proprio ai margini del quartiere San Paolo. I suoi avevano preso casa proprio vicino al Politecnico.
«Allora muoviamoci» disse Maria precedendoli.
Il taxi impiegò un buon quarto d’ora ad arrivare, così attesero nell’ingresso visto che il sole cominciava ad essere molto caldo.
Maria non aveva avuto troppa difficoltà a risolvere l’indovinello: aveva studiato la Mole Antonelliana a scuola e sapeva che, in origine, avrebbe dovuto essere un tempio israelitico, ma poi gli Ebrei non l’avevano più voluto e l’aveva acquistato il Comune, tanto che poi era diventato simbolo della città.
Piazza Carlo Alberto la conosceva fin troppo bene e quella mattina era affollatissima a causa dell’alta presenza di turisti, perciò il taxi gli lasciò in una via laterale.
«Finalmente colazione!» trillò Ludovico.
«No» lo fermò Saverio. «Prima cerchiamo di capire perché ci hanno detto di venire qui».
«Ma io ho fame».
«Non sei un bambino» sbottò Saverio. «Resisti cinque minuti».
«Che siano cinque minuti però» ribatté il ragazzo.
Saverio si passò una mano tra i capelli, segno che era nervoso.
«Dove andiamo?» chiese Ludovico petulante.
«Direi di avvicinarci alla statua» replicò Maria precedendo una rispostaccia di suo padre. «L’indovinello dice che ci aspettano dove cavaliere vittorioso risiede».
«Ottima idea».
Non fu facile spostarsi in mezzo alla folla e con quel caldo.
«Cinque minuti stanno passando» ricordò Ludovico ignorando le occhiatacce che ricevette in risposta.
«Non vedo nessuno della tv, voi?» disse suo padre guardandosi intorno.
«Nemmeno io» sbuffò Maria che cominciava a sudare e sentire fame tanto quando il fratello.
«Mi sa che hanno lasciato qualcosa» disse Ludovico attirando la loro attenzione. Il ragazzo gli superò e si appoggiò alla statua.
«Che cavolo fai?» strillò Maria indignata. «Non ti puoi arrampicare!».
«Se devi dedicarti al vandalismo non lo fare in pieno giorno e davanti a tuo padre!» sbottò Saverio.
«Oh, calmatevi» ribatté Ludovico tirando con il braccio una delle due buste che erano state appiccicate sulla parte alta della base di pietra. «Ecco a voi».
Maria e Saverio, sorpresi, fecero per prendergliela dalle mani, ma lui  la tenne alta ben lontana dalla sorella e facendo sbuffare il padre. «Io l’ho trovata, io l’apro».
«Sbrigati!» lo incitarono in coro Saverio e Maria.
«“Oh, cercatore, un quesito semplice ti pongo per iniziare il nostro viaggio”» lesse Ludovico, poi si bloccò. «Che lingua è?» disse mostrando il foglio agli altri due.
C’era scritto: oiroif èffac.
I tre si fissarono incerti.
«Sembra uno di quei giochi enigmistici» borbottò Saverio.
«Già, ma non è un rebus, non ci sono immagini da collegare alle parole» aggiunse Maria.
Si scervellarono per una decina di minuti, poi all’improvviso Ludovico gridò entusiasta. «Ho capito! Questa gara così mi piace! Dai, seguitemi!».
 
 
 
*
 
 
Samuele appoggiò la fronte sul vetro, ma non ottenne nessun sollievo al caldo che provava, né chiudere gli occhi lo aiutò a isolarsi e ignorare la voce gracchiante della zia: erano ore che si lamentava per l’indovinello che li era stato consegnato ad Asti. A Samuele sfuggì un sorrisetto al pensiero della notte precedente: la zia si era fissata che dovevano risolvere l’indovinello prima di dormire e le sue proteste e quelle della madre non erano servite a nulla. Penelope Silvestri era riuscita a sparare interpretazioni una più fantasiosa dell’altra; stanco e desideroso di dormire, Samuele aveva sentenziato che il simbolo del Torino era il toro, quindi l’indovinello parlava di Torino ed era quella la loro prossima metà. Naturalmente la zia lo aveva immediatamente zittito, affermando che il calcio non c’entrasse nulla, ma fortunatamente Ambra era intervenuta e l’aveva fatta ragionare: Torino era il capoluogo del Piemonte, non avrebbero mai potuto non recarsi anche lì e il ragionamento filava. Così finalmente avevano dormito almeno finché la zia non li aveva buttati giù dal letto per non perdere il treno.
«Bene, non perdete tempo!» strillò Penelope mentre il treno si fermava.
Ambra sospirò.
Samuele le seguì, evitando di commentare: non gli dispiaceva visitare città mai viste, ma la zia era veramente pesante quando era in modalità competitiva.
Per essere una fisica, il suo approccio alla ricerca del loro nuovo problema, ossia scoprire chi fosse il vittorioso cavaliere dell’indovinello, si rivelò alquanto discutibile: stava fermando tutti i passanti per chiedere dove potesse trovare la statua di un cavaliere. Decisamente un ottimo piano.
Samuele sospirò e, dopo aver convinto la madre, alquanto esasperata dal dover controllare la sorella, si mise a fare qualche ricerca su Google: internet non era la risposta a tutto, ma sicuramente in quel momento sarebbe stato più efficace che interrogare tutti i pendolari presenti alla stazione di Torino in una calda mattina di luglio. Lanciando un’occhiata alla madre e alla zia per essere sicuro che non si allontanassero troppo, scrisse statua cavaliere vittorioso torino e attese i risultati della ricerca. Aprì il primo articolo chiedendosi se non stesse sbagliando tanto quanto la zia: quante statue del genere esistevano a Torino? Scosse la testa e provò a cercare su vari siti.
«Mi prendono tutti per pazza!» sbottò Penelope avvicinandosi.
«Ma se sembra che stai per saltar loro addosso» sbuffò Ambra.
Samuele alzò gli occhi al cielo, poi notò le ricerche correlate.
«Smettila di giocare» lo rimproverò la zia. «Stai perdendo tempo. Usciamo da questa stazione».
«Piazza San Carlo».
«Cosa?!» chiesero in coro le due donne.
«C’è una piazza molto importante che si chiama così».
«È perché mai dovremmo andare lì?» chiese Penelope come se avesse a che fare con uno stupido.
Samuele si trattenne dal farle la linguaccia e disse: «Al centro della piazza c’è la statua di Carlo Alberto, che è stato un re importante del Regno di Sardegna. La piazza poi è nella parte centrale della città».
«Potremmo provare» disse Ambra.
Penelope assunse un’espressione scettica, ma non ebbe motivo di non seguire quel suggerimento.
Samuele sperò per tutto il tragitto in taxi di aver ragione: la zia avrebbe dovuto ricredersi sulle sue capacità!
La piazza era molto grande e affollata, ma non impiegarono molto a raggiungere la statua posta al centro, anche perché Penelope sembrava un piccolo treno in corsa ben decisa a non fermarsi davanti a niente e nessuno e la maggior parte delle persone tendeva a spostarsi vedendola.
Con grande soddisfazione di Samuele trovarono una busta alla base della statua, ma fu una sensazione di durata fin troppo bene: Penelope, dopo aver aperto con foga la busta e lettone il contenuto, gettò uno strillo.
«Ma che fai?» la richiamò Ambra. «Ci guardano tutti!».
«Un nuovo giochino!» sbottò Penelope come se fosse una risposta sufficiente.
 
 
oiroif èffac
 
Samuele sbuffò e comprese che se non avessero risolto anche quell’enigma, non avrebbe mai convinto la zia ad andare a fare colazione. Sospirò e con la madre si sedette su una panchina libera. Penelope andava avanti e indietro borbottando.
«Forse è scritto in un’altra lingua o in dialetto torinese» propose Ambra e cominciò a fare diversi tentativi con il traduttore dello smartphone.
A Samuele quell’ipotesi non convinceva per nulla: quelle due parole non sembravano avere il minimo senso né in italiano né in nessun’altra lingua. Magari era un anagramma, così tirò fuori un quadernino dallo zaino e fece qualche tentativo.
«Non è nemmeno portoghese» borbottò Ambra.
Samuele la ignorò: la prima parola non gli aveva suggerito nulla, ma la seconda sì. Si raddrizzò e scrisse a lettere maiuscole: Caffè. Aveva senso in italiano, anche se non capiva a che cosa si riferisse. Ma se fosse stato un anagramma avrebbe dovuto trovare una parola di senso compiuto anche con le lettere di oiroif. In effetti usciva fiori, ma rimaneva la o. Caffè o fiori: avrebbero dovuto scegliere? Ma non era troppo vago? Insomma di fiorai e bar ce ne dovevano essere infiniti a Torino. In più non lo convinceva la o in più.
Tornò ad appoggiare le spalle alla panchina e sospirò: quella scritta gli ricordava qualcosa. Ma che cosa? Poi ebbe l’illuminazione. «Lo Specchio delle Brame!».
«Eh?». Ambra sollevò gli occhi su di lui. «Che hai detto?».
«Lo specchio dell’Emarb!». Sua madre lo fissò stranita. «Lo specchio di Harry Potter! La scritta al contrario!».
«Quello in cui si può vedere il desiderio più profondo?» chiese Ambra tentando di capire.
«Sì».
«Ma che stai farneticando?» sbottò Penelope.
«Si deve leggere da destra a sinistra. Semplice».
Le due donne si fissarono, poi Ambra prese il foglio e lesse lentamente: «Caffè Fi-Fio-rio. Caffè Fiorio».
«Dev’essere un bar» disse Penelope.
«Chiediamo» decise Ambra alzandosi e avvicinandosi al primo passante.
Samuel sorrise alla zia e quella sbuffò. «Ok, ok, ti devo un favore».
Il ragazzino si diresse nella direzione indicata dal passante con grande soddisfazione.
 
 
 
*
 
 
Ludovico era stravaccato su un divanetto e ben intento a consumare la sua meritata colazione; mentre Maria non aveva occhi che per gli arredi ottocenteschi, le sedie di velluto rosso, la tappezzeria che decorava le pareti, gli affreschi e le sculture, i giochi dei riflessi degli specchi che decoravano le salette e infine il pianoforte a coda che occupava un angolo: quel posto era stupendo. Naturalmente conoscevano quel bar, era uno dei più antichi di Torino, tanto antico che si diceva che fosse stato il ritrovo dei nobili durante la Restaurazione, degli intellettuali e politici durante il Risorgimento e continuasse a esserlo ancora oggi. Sospirò chiedendosi come fosse possibile che suo fratello, impegnato a ingozzarsi, e suo padre, annoiato, non si lasciassero trascinare da quell’atmosfera meravigliosa. Maria si alzò e si allontanò per ammirare più da vicino i quadri di Francesco Ganin e Giuseppe Baglioni.
Il Caffè Fiorio sembrava gridare da ogni angolo Arte e Cultura.
Purtroppo non era il genere di locale che un’adolescente squattrinata potesse permettessi normalmente, ma quella volta era la rete televisiva che offriva la colazione. Eppure Maria non sentiva fame, la sola bellezza di quel posto sembrava saziarla e appagarla come raramente le capitava.
«Maria».
Ed ecco che Saverio Rinaldi con il suo solito tempismo rompeva l’incanto del momento. Era mai possibile che non potesse allontanarsi? Nemmeno fosse una bambina! Si voltò e si accorse che il padre e il fratello erano stati raggiunti da un cameraman e da altre due persone, probabilmente degli addetti della televisione. Forse finalmente avrebbero scoperto la prova che avrebbero dovuto affrontare, sospirò e si avvicinò.
«Ora ci siamo tutti» disse Saverio.
«Bene» disse il cameraman. «Per ora abbiamo cercato di seguirvi dall’alto, con delle telecamere poste alla stazione e in Piazza Carlo Alberto, ma adesso i miei colleghi vi microfoneranno e vi consegneranno dei berretti con delle telecamere incorporate, così vi seguiremo in tutti i vostri spostamenti».
I Leones annuirono e si lasciarono microfonare.
«In che cosa consiste la gara di oggi?» domandò Saverio.
«Non l’avete ancora capito?» replicò il cameraman.
«No» rispose Ludovico che era tornato alla sua colazione. Come faceva a non ingrassare con tutto quello che mangiava?
«È una caccia al tesoro, naturalmente».
Maria sgranò gli occhi per la sorpresa: effettivamente avrebbero dovuto comprenderlo.
«Questo è vostro, anche se immagino voi conosciate bene la città» continuò il cameraman indicando uno zaino che fu consegnato a Maria. «Dentro ci sono delle borracce con acqua fresca, una mappa della città, una di quelle turistiche, ci sono anche delle cose da mangiare. Dovrete spostarvi a piedi».
«Ah, questo è il prossimo indizio. Buona fortuna» disse il gestore del bar con un sorriso.
 
 
 
*
 
 
«Bello» sospirò Samuele a bocca aperta. Non aveva apprezzato la visita guidata al Museo Egizio, ma quella sala era fantastica. Vi erano due file di statue enormi, che dovevano rappresentare i faraoni egizi, i visitatori vi passavano in mezzo - e il soffitto era blu notte e trapuntato di stelle - e non potevano che sentirsi totalmente minuscoli e impotenti. Samuele sapeva che era tutta una sceneggiatura, ma lo colpiva profondamente.
«Questa volta la vedo dura» borbottò Penelope asciugandosi la fronte con un fazzoletto.
Samuele non poteva darle torto: quando erano arrivati al Caffè Fiorio avevano scoperto, anche se avrebbero dovuto intuirlo, che quella volta avevano in serbo per loro una caccia al tesoro. Naturalmente era un ottimo modo per percorrere la città a piedi e visitarla meglio, ma Penelope Silvestri non l’aveva presa per nulla bene, in quanto perfettamente consapevole del loro enorme svantaggio rispetto ai Leones che vivevano in quella città e la conoscevano perfettamente. Per conto suo sperava che gli organizzatori della gara li avrebbero permesso di gareggiare anche nella loro città.
Comunque al Caffè Fiorio, oltre l’equipaggiamento, era stata consegnata loro una pergamena. Penelope aveva chiesto una bevanda alcolica, stupendo un po’ tutti, tranne Ambra, ma, al di là del suo evidente terrore, c’era poco da interpretare in quel caso: sulla pergamena vi erano strani simboli, probabilmente geroglifici, ma non era servito leggerli. La soluzione era semplice: il Museo Egizio di Torino, la stessa Penelope vi era arrivata subito.
«E falla finita! Sei sempre esagerata» sbottò Ambra e la sua voce risuonò nella sala. «I Leones hanno un forte vantaggio, ma non mi dire che vuoi arrenderti».
«No, ma sicuramente ci supereranno in classifica».
«E allora? La gara è appena all’inizio! Com’è che si dice? Vincere una battaglia, non basta a vincere la guerra».
«Una cosa del genere» ammise Penelope.
«E poi non abbiamo ancora perso. Proviamoci».
Penelope sbuffò e annuì. «E sia. Non permetterò a Rinaldi di prendermi in giro».
Ambra alzò gli occhi al cielo, ma non replicò.
I Threesome Strange avanzarono nella sala affollata di visitatori osservando tutte le statue alla ricerca di un nuovo indizio che li avrebbe indirizzati alla tappa successiva.
Si rivelò più difficile di quanto avessero immaginato: i turisti non li aiutavano e questa volta l’indizio era stato ben nascosto.
Tornarono sui loro passi, ma ancora una volta non trovarono nulla.
«Non è possibile!» sbottò Penelope.
«No, infatti. L’indizio dev’essere in questa sala. Ci hanno invitato esplicitamente a venire qui, insomma non avremmo potuto cercarlo per tutto il Museo!» replicò Ambra.
«Ci dev’essere sfuggito» disse Samuele alquanto annoiato.
«Sicuro» concordò Ambra. «Ricontrolliamo, questa volta con maggiore attenzione e ognuno per conto proprio».
Gli altri due annuirono e si allontanarono. Samuele, memore della busta appiccicata alla base della statua di Carlo Alberto, decise di avvicinarsi e controllare ogni centimetro delle statue. Fece così, per almeno un paio di volte, ma senza successo.
«Ragazzino, che stai facendo?».
Samuele sobbalzò e si voltò verso una guardia che lo guardava malissimo. Balbettò conscio che avrebbe dovuto spiegarle che lui era quello della gara televisiva, ma la guardia non sembrava per nulla contenta; in più si ricordò in quel momento che gara o non gara in fondo quello era un museo e non poteva toccare ciò che era esposto a suo piacimento. «Ehm».
«Sei solo? Dove sono i tuoi genitori?» riprese la guardia.
Samuele si guardò intorno, ma della madre e della zia non c’era traccia. «Non sono solo».
«Ti sei perso?».
Non era un bambino piccolo! «No, no, mia madre e mia zia sono da queste parti» rispose. «Mi dispiace, non sapevo che non potevo toccare».
«Fai lo spiritoso?» replicò la guardia. «C’è un cartello enorme all’ingresso».
Samuele boccheggiò. E chi l’aveva visto?
«Mi scusi» rispose per essere il più diplomatico possibile e per cacciarsi fuori dai guai.
«Tua madre è qui?».
«Sì» rispose prontamente Samuele. Da qualche parte.
«Allora, vieni, aspettala fuori».
«Ma perché?».
«Perché così ti tengo d’occhio».
Samuele si trattenne a stento dallo sbuffare. Quello poi! «Non le tocco più le statue» borbottò.
«Fuori» replicò la guardia.
Il ragazzino decise di obbedire pur di non attirare l’attenzione di tutti, sarebbe stato molto imbarazzante.
Una volta fuori si accostò al muro a braccia conserte e lanciò un’occhiataccia alla guardia. Annoiandosi cominciò ad andare avanti e indietro evitando di urtare la gente che passava. A un certo punto l'occhio gli cadde su un tubo in un angolo. Lo ignorò pensando a qualche reperto. Poi il suo sguardo tornò lì. Che ci faceva sul pavimento e soprattutto con quei colori sgargianti. Si guardò intorno, ma la guardia non era nei paraggi. Il suo cuore batteva a mille sia perché non era sicuro che non si sarebbe messo nei guai sia perché pensava di essere vicino alla soluzione.
C’era scritto Threesome Strange. Si trattenne dallo strillare.
Doveva dirlo alla mamma e alla zia, ma non aveva cellulare. Magari questa era la volta buona che gliel’avrebbero comprato! Si strinse nelle spalle e decise di aprilo da solo. Prima o poi sua madre e la zia sarebbero uscite.
Dentro il tubo c’era una pergamena, la aprì e la srotolò.
 
Quello sì che era un codice da decifrare! Era proprio come i giochi che trovava a volte sul Topolino!
Si passò una mano tra i capelli e decise di mettersi al lavoro. Quella mattina la zia si era sbilanciata affermando che se avessero vinto, gli avrebbe fatto un bel regalo e alla zia non mancavano i soldi. Non che fosse una persona venale, ma perché rifiutare? In più in ogni città gli sponsor mettevano in premio cose interessanti e non sarebbe stato male vincere.
Tirò fuori il blocchetto dallo zaino e ricopiò i simboli. Di solito riusciva a risolvere quel genere di giochi del fumetto. Segnò i simboli uguali, poiché dietro di essi doveva celarsi la stessa lettera.
Erano due parole e c’erano tre lettere che si ripetevano.
«Allora» si disse, «le ultime dovrebbero essere delle vocali… in italiano ci sono poche parole che finisco per consonante…».
Si segnò le cinque vocali in un angolo del foglio in modo da fare i tentativi.
«Allora sei qui! Accidenti, mi stavo preoccupando!».
Samuele sobbalzò per la seconda volta nel giro di poco, ma questa volta era sua madre al quanto arrabbiata e non la guardia. Il che era peggio. Si affrettò a spiegarle che cos’era successo e a mostrar loro il codice. Come prevedibile la zia Penelope lo trascinò con sé, tacitando i rimproveri di Ambra sul nascere, il che per una volta tornò utile a Samuele.
«Che se poi gli compraste un cellulare, sarebbe anche meglio» borbottò Penelope in modo fin troppo udibile.
Ambra sbuffò. «L’anno prossimo».
Samuele condivise con loro i suoi ragionamenti e sedettero insieme in un bar.
«Beh, queste sono due consonanti» disse indicando i due rettangoli nella prima parola.
«Come fai a esserne sicuro?».
«Beh è difficile che ci siano parole con due vocali uguali no?».
«E comunque dev’essere un posto importante di Torino» disse Ambra.
«Facciamo dei tentativi» propose Penelope. «Torre è troppo piccola, però ha la doppia».
«Villa… è troppo piccola…» tentò Ambra.
«Palazzo!» strillò Penelope. «Prova» ordinò al ragazzino.
Samuele scrisse le lettere sopra i simboli e in effetti aveva senso, poi riportò quelle uguali nella parola di sotto. Adesso avevano Palazzo ??al?
«C’è il Palazzo Madama» disse Ambra. «È abbastanza importante per farcelo visitare».
«Sì, ma non ci va» sospirò Samuele.
«La luna sarà una vocale» ragionò Penelope. «Ua… Ia… Ea…».
Samuele provò la tattica più vecchia del mondo e ripeté tutte le consonanti ad alta voce. «Buale non esiste… al massimo ducale… ».
«Duale» propose Penelope.
«Ma così la seconda lettera non è uguale all’ultima» ribatté Samuele.
«Scusate, reale?».
Penelope e Samuele si voltarono verso Ambra e strillarono. «Reale!».
«Se abbiamo ragionato giusto, dovremmo cercare un Palazzo Reale» sospirò Ambra ignorando le loro espressioni eccitate.
Ma questa parte non fu difficile perché comunque bastò chiedere informazioni e tutti erano molto felici di farsi riprendere dalla telecamera che portavano con loro.
Il tragitto a piedi non fu lungo, ma sotto il sole di tarda mattina fu comunque pesante, neanche a dirlo avevano già svuotato tutte le bottigliette che gli avevano dato in dotazione.
«Ah, Ah!» quasi urlò Penelope facendo pensare ad Ambra che la sorella doveva essersi presa una bella insolazione, ma quando vide dove si dirigeva a passi di marcia sbuffò.
Nel cortile del Palazzo Reale c’erano i Leones!
«Vi abbiamo raggiunto!» urlò ancora Penelope facendo girare molti turisti. «Di fronte alla nostra intelligenza non serve a nulla la vostra conoscenza della città, che tra l’altro trovo molto sleale».
Saverio alzò gli occhi al cielo. «Ma quale intelligenza? La tua?».
«Come osi?».
«Vi stavo cercando» disse una voce costringendoli a voltarsi: era il professore di Storia dell’Arte che avevano conosciuto ad Asti. «Ma ho riconosciuto la sua voce».
Samuele si coprì la bocca con una mano per nascondere il suo sorriso divertito: quello era decisamente un insulto.
Penelope Silvestri gonfiò il petto e gli lanciò un’occhiataccia. «Adesso dovrei dire qualcosa come “è un piacere rivederla”, ma sinceramente non mi va di dire bugie».
«Sentimento reciproco» replicò lui. «Sarò la vostra guida».
«Perché?» chiese Penelope.
«Perché sto scrivendo un saggio sul Palazzo Reale e mi è stato chiesto esplicitamente di farlo».
«Ed è anche pagato».
«Naturalmente, in caso contrario non sprecherei il mio tempo con lei».
Gli occhi di Penelope lampeggiarono, ma Ambra le strinse il braccio e le fece cenno di tacere.
«Come senz’altro saprete» e qui lanciò un’occhiata a Penelope, «il Palazzo Reale è uno degli edifici più antichi di Torino. Nelle stanze di questo imponente palazzo sono stati ospitati nobili, politici e rappresentati di Stato stranieri. Come potrete vedere quando entrerete all’interno, i saloni sono molto belli».
«Ci vuole una laurea per sapere queste cose» borbottò Penelope beccandosi varie occhiatacce.
«Il palazzo è stato progettato dall’architetto Amedeo di Castellamonte ed è stato residenza dei Savoia fino al 1865. Volutamente, con il suo evidente significato politico, lo stile architettonico si rifà alla reggia di Versailles».
Penelope sbadigliò palesemente. «Scusi, parlerà ancora a lungo?».
Il professore le lanciò un’occhiataccia. «No, ho finito. Visitatelo da soli».
«E dove troveremo l’indizio?» chiese Saverio.
«Non lo so».
«Lo sta facendo apposta!» lo accusò Penelope.
«Lo dimostri» replicò il professore. «Buona visita». Fece un breve inchino, alquanto derisorio, e si allontanò.
«Complimenti, ora ci toccherà cercherà in ogni angolo di questo palazzo! E se non te ne sei accorta, è enorme!» sbottò Saverio. «Andiamo» disse ai figli.
«Beh, Rinaldi ha ragione» sbuffò Ambra. «Non puoi stare zitta almeno quando serve?».
«Non sopporto quell’uomo. Muoviamoci, è la nostra possibilità di superare i Leones».
Ambra lanciò un’occhiata sconsolata al palazzo e si avviarono verso l’ingresso.
 
La più felice di quella visita, però, era Maria. Era già stata da piccola nel Palazzo Reale, ma era passato troppo tempo.
All’ingresso aveva comprato una brochure che descriveva il Palazzo. «Questo piano è definito Primo Piano Nobile…» disse leggendo ad alta voce.
«No, ti prego» la zittì Ludovico. «Ha appena finito quello. Stai zitta, troviamo l’indizio e andiamo a pranzare».
Maria sbuffò e s’imbronciò: non trovava mai nessuno con cui condividere la sua passione per l’arte. In compenso la necessità di trovare l’indizio li costrinse a visitare tutte le meravigliose sale, da quella Cinese, - rimase per tutto il tempo con il collo in alto per ammirare gli affreschi della Galleria di Daniel, pittore austriaco di fine ‘600, la sala del Trono, l’appartamento d’inverno del re. Tutto. Ogni stanza. Fu meraviglioso. Non disse nemmeno di aver visto  una busta rossa sotto una sedia particolarmente rifinita al secondo piano, si godette il giro e solo dopo li condusse lì e fece finta di accorgersene.
«Oh, era ora» commentò Ludovico.
«C’è solo una busta» sbuffò Saverio. «Penelope Silvestri ci ha fregati! Come abbiamo fatto a non vederla prima?».
«Chissà» replicò Maria. «Che cosa dice?».
Saverio si schiarì la gola e lesse: «Oh, viandante quasi a metà del tuo viaggio già sei.
Orsù, fermati e ristora le tue membra e il tuo animo laddove anche il Conte Benso di Cavour prese posto».
«Ottimo, si va a mangiare» disse Ludovico.
«Ma dove?» chiese Maria.
«Ristorante del Cambio» rispose Saverio mettendo il biglietto in tasca.
«Ci offrono il pranzo lì? Che forza!» strillò Ludovico precedendoli a grandi passi fuori dal palazzo.
 
Il Ristorante del Cambio era veramente meraviglioso: sale più antiche si intrecciavano a quelle più moderne. A Maria piacque molto. Non ci era mai entrata. Suo padre invece doveva esserci stato altre volte, probabilmente con i colleghi. Era decisamente un ristorante di lusso.
Furono fatti accomodare dai camerieri e li fu servito persino un piccolo aperitivo. Poi andò il cuoco a salutarli e disse loro che, considerata la natura della gara, era già stato scelto un menù tipico, anche se a lui piaceva rinnovare un po’ i piatti.
Ludovico fu senz’altro il più felice.
Per antipasto mangiarono il vitello tonnato, un piatto della tradizione torinese molto delicato e servito freddo. Il cuoco li spiegò che era stato realizzato con uno taglio di carne di fassone, marinata nel vino bianco e aromatizzata variamente. Il nome del piatto deriva dalla salsa tonnata che ricopre le fette di carne.
A Maria quasi divertiva sentir parlare lo chef, perché assomigliava a artista che descriveva la propria opera.
Per primo, invece, furono serviti gli agnolotti alla piemontese. In questo caso vennero deliziati con la narrazione del fantomatico cuoco Angiolino, ipotetico inventore della ricetta. Maria aveva sempre pensato che fosse solo della pasta ripiena! Ciò che la colpì maggiormente fu la tendenza dei contadini – alla cui tradizione sembrava appartenere quel piatto - a non sprecare nulla tanto da creare quella pasta per riutilizzare gli avanzi di arrosto.
Infine il dessert fu il Bonét del Cambio, che altro non è che un budino servito freddo e preparato con amaretti, rum e ricoperto di caramello. Era difficile che mancasse sulle loro tavole nei giorni di festa.
Maria mangiò con vero piacere e Ludovico fece il bis di tutti i piatti.
«Ecco a voi signori, speriamo che sia stato di vostro gradimento».
«Oh, sì, tutto fantastico» replicò Ludovico.
«Quello è il conto?» chiese allarmato Saverio indicando il foglio arrotolato su un piattino, che il cameriere porgeva loro.
«Oh, no, signore. Come saprà è tutto offerto dal programma. Questo è il vostro indizio. Buona fortuna».
«Grazie» replicò Maria per tutti.
Ludovico, contento e sazio, aprì l’indizio e lesse:

“Tonio è un personaggio secondario de I promessi sposi di Manzoni. E insieme a Gervaso presenziò, in qualità di testimone, al matrimonio segreto. Agnese, la madre di Lucia, non era convinta di tale tentativo, ma cedette. Trovata, però, che fu fatale. Risoluto il curato don Abbondio mandò tutto a monte. Ordunque Renzo e Lucia, questi i nomi dei due fidanzati, dovettero trovare una soluzione. Cara a tutti costò quella notte. Arditi furono i due giovani a lungo da quel giorno. Rimasero divisi per molto tempo e vissero molte avventure. Innanzitutto, lui fu accusato di sedizione. Gertrude poi incontrò Lucia, ma era tutto tranne una suora. Nottetempo Lucia fu rapita. Ancora ardimento fu richiesto e non mancò a nessuno dei due, così come l’aiuto del Signore. Noi ora possiamo raccontarvi il lieto finale. Orbene i due tornarono nella loro casa e vissero felici e contenti”.
«Penso che la mia digestione ne risentirà» commentò Saverio.
«Credo che un caffè non sarebbe male» disse invece Ludovico cercando di attirare l’attenzione di un cameriere.
Maria sospirò: quella giornata si stava rivelando fin troppo lunga.
 
 
 
*
 
 
 
Samuele sedette immediatamente su una poltroncina rossa e si beò del fresco che regnava nella vasta platea.
«Samuele, non mi sembra il caso di stravaccarsi così. Non siamo a casa» lo richiamò Ambra.
«Lascialo stare» intervenne sorprendentemente Penelope. «Fa un caldo terribile e mi sa che abbiamo mangiato troppo».
Ambra sospirò, ma non ribatté: non era da tutti i giorni mangiare in un ristorante di lusso come quello in cui erano stati ospiti, quindi logicamente non si erano trattenuti. Naturalmente, dato il caldo e la caccia al tesoro in corso, avrebbero dovuto mantenersi leggeri.
«Il Teatro Carignano» disse Penelope guardandosi intorno.
«A quanto pare è molto antico» borbottò Ambra.
«Basta che non riappaia quel professore da quattro soldi».
Ambra si accigliò, ma non commentò.
Samuele, per conto suo, continuava a guardarsi intorno: era un posto enorme e la loro voce riecheggiava in modo impressionante.
«Dite che dovremmo cercare l’indizio a caso?».
«Non abbiamo molta scelta» replicò Penelope alzando le spalle. «Forza, Samuele, datti una mossa».
Samuele sbuffò. «Andate avanti voi» replicò. «Vi raggiungo».
«Sì, sì, molto furbo. Muoviti» lo redarguì Penelope.
«Lo sai che mi dà fastidio perderti di vista».
«Forse dovremmo dividerci le zone nelle quali cercare» disse Penelope, fissando le gallerie con aria stanca e seccata.
«Io controllo tutta questa fila» disse Samuele decidendo di alzarsi. «Voi l’altra. L’indizio potrebbe benissimo essere sotto una sedia».
«Va bene» assentì Ambra. «E poi controlliamo il palco».
«Dopo Asti avrei preferito non vederne più un uno» borbottò Penelope e Samuele, per una volta, non le poteva dare torto.
Nella platea non trovarono nulla e nemmeno sul palco.
«Oh, guarda chi c’è».
«Rinaldi» sbuffò Penelope. «Speravo proprio di non incontrarti per un po’».
«È reciproco» replicò Saverio avanzando in compagnia di Maria e Ludovico.
Samuele sorrise all’istante ai due ragazzi: Maria aveva i capelli legati in una coda stretta e leggermente disordinata, ma era comunque molto carina.
«Bene, allora sparisci» ribatté Penelope palesemente infastidita.
«Con vero piacere, ma prima, per caso, avete trovato qualcosa?».
«No, ancora n-» iniziò Samuele sorridendo a Maria.
«Zitto tu! Sono i nostri avversari!» lo redarguì la zia con un’occhiataccia.
Samuele si zittì dispiaciuto: avrebbe volentieri continuato la ricerca con Maria anziché con la zia che stava diventando sempre più irritabile.
«Diamo un’occhiata ai palchi allora» disse Saverio ai figli.
«Eh, bravo, lo stupido!» sbottò Penelope fulminando Samuele. «Ora ti sbrighi e ti fai il giro dei palchi anche tu».
Samuele sollevò gli occhi, scorse rapidamente le file di palchi e poi tornò a fissare la zia chiedendosi se fosse pazza.
«Tranquillo, ti aiuteremo anche noi» sospirò Ambra.
E così ripresero a cercare. Samuele fu fortunato e, in caso contrario chi l’avrebbe sentita la zia, in uno dei palchi, adagiato su una sedia di velluto rosso, trovò due Vangeli. Ne prese uno e lo guardò con attenzione, accorgendosi che un segnalibro dorato segnava una pagina ben precisa con dei versetti sottolineati. Quello doveva essere l’indizio, ma non gli sembrava che vi fosse nessun gioco enigmistico: era un brano della Passione di Cristo, precisamente la parte finale dedicata alla sepoltura.
Non aveva la minima idea come comportarsi questa volta, ma comprese che era meglio non mettersi a urlare e attirare l’attenzione: i Leones stavano controllando i palchi opposti e la zia non avrebbe gradito se li avesse aiutati. Prese il Vangelo e lo ripose nello zaino, poi andò a cercare la mamma e la zia. Dovevano svelare il nuovo indizio e procedere, magari preservando il vantaggio che avevano guadagnato.
 
 
 
 
  *
 
 

«Ma che ci dobbiamo fare qui?» si lamentò Ludovico.
«Zitto» lo redarguì Saverio. «Siamo pur sempre in chiesa».
«La cappella della Sacra Sindone è molto bella» bisbigliò Maria guardandosi intorno. C’erano stati più volte naturalmente, grazie a visite d’istruzione varie. «Hanno impiegato più di ottanta anni per costruirla».
«Sai che roba» borbottò Ludovico, beccandosi un’occhiataccia dal padre.
Maria lo ignorò e continuò a osservare il lavoro compiuto secoli prima dall’architetto barocco Guarino Guarini, che aveva portato a termine il progetto di Bernardino Quadri. Si chiese se un giorno il suo nome sarebbe mai stato legato a un’opera del genere. L’unico modo per rendere eterno l’uomo.
«Cominciamo a rovistare?» chiese Ludovico, ma poi alzò le mani in segno di resa quando vide l’espressione dei suoi compagni di squadra. «Va bene, va bene, siamo in chiesa. Allora che facciamo?».
Saverio si passò una mano tra i capelli: non ne aveva la minima idea.
«Guardate la cupola» attirò la loro attenzione Maria. «Non è fantastica? Sei giri di archi sovrapposti e disposti in modo da restituire in pianta la proiezione di esagoni ruotati in degradazione prospettica…».
«Dov’è l’indizio?» la interruppe Ludovico.
Maria lo fulminò. «Quale indizio?».
«Quello che stiamo cercando».
«Sei un ignorante!».
«Ragazzi, per favore» sbuffò Saverio. «Fa un caldo terribile e sono le tre del pomeriggio. Maria non è il momento di fare la guida turistica».
Maria si gonfiò per la rabbia e strinse le braccia al petto. «Bene, allora arrangiatevi. Chiamatemi quando avrete trovato l’indizio».
«Non abbiamo bisogno del tuo aiuto» replicò Ludovico.
Saverio sospirò, ma lasciò perdere non avendo alcuna intenzione di discutere con loro.
Come promesso Maria non mosse un dito e i due uomini impiegarono almeno un quarto d’ora per trovare il nuovo indizio.
«Eccolo» disse Ludovico strappando un foglietto dalla recinzione di marmo che divideva l’altare, dov’era conservata la Sacra Sindone, dal pubblico. «È un articolo di giornale» aggiunse perplesso mostrandolo al padre.
Maria li raggiunse subito, segno che non li aveva persi d’occhio nemmeno per un istante.
«È datato 11 gennaio 1821» lesse Saverio.
«Wow, prepariamoci a un viaggio del tempo» celiò Ludovico.
«Te l’hanno mai detto che sei proprio stupido?» proruppe Maria che ancora non l’aveva perdonato.
«L’articolo parla dell’arresto di alcuni studenti universitari, accusati di far parte di un’associazione segreta. Il giorno dopo sono scoppiati disordini e proteste da parte del corpo studentesco».
«E quindi?» chiese perplesso Ludovico.
«E quindi andiamo a dare un’occhiata nel luogo di cui parla l’articolo» disse Saverio. «Il Cortile del Palazzo dell’Università».
«Questa abbuffata di arte e cultura mi ucciderà» mormorò Ludovico. «Non possiamo fare merenda prima? Ho fame».
«Ma se hai mangiato un sacco a pranzo!» sbottò Maria.
«Ho digerito» replicò Ludovico, come se fosse ovvio.
 
 
*
 
 
Il silenzio pomeridiano, interrotto solo dall’ansimare affaticato e accaldato dei Threesome Strange, aleggiava sul cortile e sembrava quasi essere tornati indietro nel tempo.
Il porticato, le statue e i busti commemorativi di regnanti e accademici importanti colpiva la fantasia di Samuele. «Ma tutte le università sono così?» chiese affascinato.
«Dipende» rispose Penelope, visibilmente provata dal caldo e dalla stanchezza.
«Da cosa?» insisté Samuele.
«Da quanto tempo sono costruiti i locali che occupa» spiegò Penelope impaziente.
«Se te lo stai chiedendo, da noi le strutture sono abbastanza recenti. D’altronde l’università stessa è stata fondata alla fine degli anni ‘60» intervenne Ambra prima che il figlio facesse scoppiare la zia con le sue domande. Non ci teneva a sentirla sbraitare. Anche lei cominciava a sentirsi stanca.
«Non ci resta che cercare. Dappertutto» sospirò Penelope guardandosi intorno affranta.
«Almeno è più piccolo del Teatro Carignano» disse Samuele, guadagnandosi, però, un’occhiataccia della zia. «Che ho detto?» si lamentò.
«Lascia stare» ridacchiò Ambra.
Osservandole Samuele si chiese se da vecchio sarebbe diventato anche lui in quel modo: faceva caldo sì, ma non così tanto da lamentarsi in continuazione. Si mise a lavoro sperando che la zia fosse abbastanza allo stremo per cedere a una pausa in gelateria.
«Facciamo così» propose Ambra. «Samu, tu guardi tutte le statue; Penelope, tu il muro interno e io il colonnato esterno e il pavimento».
Samuele e Penelope non ebbero nulla da obiettare e così si misero a cercare seguendo uno schema per quanto possibile logico per non farsi sfuggire nulla. O almeno quella era la speranza.
Attaccata a una statua, verso la metà del portico, il ragazzino trovò la ormai familiare busta rossa e gridò in modo da richiamare l’attenzione della madre e della zia.
Penelope quasi gliela strappò di mano e l’aprì. Dopodiché imprecò abbastanza sonoramente da far ridacchiare Samuele e suscitare i rimproveri di Ambra.
Il ragazzino riuscì a impadronirsi del biglietto, mentre la madre cercava di tranquillizzare la sorella in preda a un principio di crisi di nervi.
Era un altro indovinello, com’era prevedibile: d’altronde se avessero raggiunto la meta ci sarebbero stati quelli della tv ad attenderli.
Lesse a bassa voce:


Oh, viandante, un ultimo sforzo devi or compiere.
Ormai la meta è vicina.
Recati laddove il fiume scorre placido e cammina fino al falso borgo.
Orsù, con attento occhio cerca e vedrai, presto, troverai la chiave del tesoro”.
 
Non suonava tanto male: dopotutto diceva che erano vicini alla fine e che avrebbero addirittura trovato la chiave del tesoro! Chissà perché la zia proprio non sopportava quei giochi, dopotutto era divertente!
Certo, bisogna capire quale fosse la prossima tappa: dal primo indovinello avevano scoperto che Torino era sorta su quattro fiumi, anche se, naturalmente, il più importante era il Po. E il fiume scorreva tutto sommato placidamente per tutta la città, anche perché erano in estate. Quindi avrebbero dovuto scoprire qualcosa su un falso borgo. Che fosse un cartellone pubblicitario o qualcosa di simile?
«Andiamo a prendere un gelato?» chiese alla madre.
«Sì, meglio» disse Ambra.
«Sì, un posto con l’aria condizionata» assentì stranamente Penelope.
«Non è che ti sei presa un’insolazione? Già sei insopportabile di norma» borbottò Ambra, ma non ricevette risposta.
 
 
 
*
 
 
 
«Adoro questo posto» sospirò Ludovico espirando.
«Si muore di caldo» ribatté Maria. «Avrei preferito un luogo al chiuso e con l’aria condizionata».
«Siete sicuri che questo è il posto giusto?» chiese Saverio, guardandosi intorno. «Sono d’accordo che il fiume dell’indovinello è il Po, ma il falso borgo…».
«È il borgo medievale dentro il parco» lo interruppe Maria. «È falso perché è stato costruito alla fine dell’‘800 in occasione di un’esposizione universale».
«Se lo dite voi».
«Prima ci fermiamo al chiosco» disse Ludovico precedendoli.
Saverio e Maria lo seguirono, anche perché anche loro avevano bisogno di una pausa.
Il parco del Valentino era affollato di turisti nonostante il caldo ed era difficile muoversi senza urtare qualcuno. Il borgo doveva essere strapieno, anche se si avvicinava l’ora della chiusura.
Fu impossibile trovare un tavolino o una panchina libera, così i tre consumarono il loro gelato in piedi in un punto meno affollato.
«Secondo voi in che cosa consiste il tesoro?» chiese Ludovico.
«Non lo so» replicò Maria pensierosa. «Speriamo che sia qualcosa di bello».
«L’importante è che finiamo e recuperiamo qualche punto in classifica» borbottò Saverio.
«La tua rivalità con Penelope Silvestri raggiungerà vette parossistiche» sospirò rassegnata Maria.
Conclusa la pausa, la ragazza si assicurò che le bottigliette nello zaino fossero piene e poi si misero in cammino. Anche lei amava molto quel parco, ma, a differenza del fratello, lo preferiva in primavera quando c’era una temperatura accettabile e pochi turisti.
Il borgo medievale era stato costruito tra il 1882 e il 1884 e, nelle intenzioni dei suoi creatori, avrebbe dovuto essere rimosso subito dopo l’Esposizione, ma, com’era accaduto molte altre volte, alla fine la costruzione era rimasta.
Si avventurarono all’interno del borgo con una certa fatica.
«Dov’è che dobbiamo andare?» chiese Ludovico.
Maria estrasse l’indovinello dalla tasca e lo rilesse: «Niente. Dice solo di cercare con attenzione».
«Magnifico».
«Un ago in un pagliaio» sbuffò Saverio osservando affranto la fiumana di turisti che si riversava in quelle stradine dalla foggia antica.
«Ci dividiamo o rimaniamo uniti?» chiese Maria.
«Rimaniamo uniti. C’è troppa gente» borbottò Saverio.
«Guarda che non siamo bambini» si lamentò Ludovico.
«Lo so, ma vostra madre è stata categoria: se vi manca un solo capello al suo ritorno, se la prende con me».
Maria ridacchiò.
«Veramente pensavo di rasarmi» commentò Ludovico con un ghigno.
«Chiama tua madre e diglielo» replicò Saverio.
«Muoviamoci» gli esortò Maria scuotendo la testa.
Lì faceva ancora più caldo e non fu per nulla una visita rilassante, tanto che la ragazza arrivò a invidiare i turisti che allegramente erano interessati soltanto a farsi più selfie possibili.
Nonostante le premesse sconfortanti, fu, però, molto semplice trovare l’indizio successivo. Nella via del borgo dedicata ai prodotti tipici trovarono un vero e proprio comitato di benvenuto. Per un attimo pensò con sollievo che fossero giunti alla fine, ma in realtà erano solo commercianti torinesi, felici di un po’ di pubblicità su scala nazionale, che li offrirono tutte le loro specialità.
Ludovico e Saverio apprezzarono molto, Maria per conto suo trovava ironico che cercassero di farle conoscere la città in cui era nata e cresciuta.
Alla fine, dopo che ebbero ripreso fiato e si furono rinvigoriti a sufficienza – Ludovico sembrava leggermente brillo, ma non c’era da stupirsi dato l’entusiasmo con cui aveva degustato i vini ˗, un uomo, in abiti di foggia medievale, con un inchino le consegnò un sacchetto rosso di medie dimensioni.
I Leones ringraziarono e si allontanarono alla ricerca di un posto all’ombra. Solo a quel punto Mara tirò i lacci del sacchetto e ne tirò fuori il contenuto: una mappa muta, senza nomi delle vie, e con un enorme x nera disegnata su un punto, e una chiave.
«Proprio come Jack Sparrow» si esaltò Ludovico.
«Peccato che tu non assomigli per nulla a Johnny Depp» bofonchiò Maria.
«Sei solo gelosa. Le ragazze ad Asti non la pensavano così» ghignò Ludovico.
«Ragazzi, credo di aver capito dove dobbiamo andare».
«Davvero?» chiese Ludovico. «Allora andiamo! Non vedo l’ora di scoprire che cosa c’è dentro il forziere».
 
 
 
*
 
 
«Siete i Threesome Strange?» chiese loro un signore in giacca e cravatta.
Samuele lo soppesò per un attimo.
«Sì, ma non concediamo autografi» lo liquidò acidamente Penelope.
«Sono una tassista. Mi è stato chiesto di accompagnarvi alla prossima tappa».
«Non dovevamo spostarci a piedi?» chiese sorpresa Ambra.
«Sì, ma l’ultima tappa è lontana e impieghereste troppo tempo».
I tre seguirono l’uomo fino al suo tassì e si accomodarono.
Vi fu un momento di silenzio: loro tre si erano stretti nei sedili posteriori e il tassista li fissava dallo specchietto senza dar segno di voler mettere in moto.
«Che aspetta?» sbottò Penelope.
«Che mi diciate dove andare» replicò con ovvietà il tassista.
Penelope spalancò la bocca, ma era tanto sorpresa che non ne uscì nemmeno un improperio.
«Signora, al parco non vi hanno dato una mappa?».
«Sì» rispose Ambra, poiché Penelope non dava segni di ripresa, «ma non c’è scritto nulla. Solo una x». Gliela mostrò e il tassista annuì.
«Dovete guidarmi voi».
«Ah, ok» sospirò rassegnata Ambra. «Allora, vada dritto».
«Per quanto, signora?» chiese il tassista mettendo in moto.
Ambra osservò la mappa e bofonchiò: «Finché non raggiungiamo una curva che ci porta più vicino al fiume?».
L’autista si passò una mano tra i capelli. Samuele si coprì la bocca con una mano per non farsi vedere mentre ridacchiava: chissà se l’uomo si stesse chiedendo se l’avessero pagato abbastanza per sopportare un simile supplizio in un caldo pomeriggio di luglio.
«Dammi qui, lo guido io» intervenne Penelope. «Giri qui» urlò a un certo punto facendo saltare il povero autista, che però tirò dritto. «Che fa non sente?».
L’uomo, con una mano sul cuore, mormorò: «C’era il divieto d’accesso».
«E quindi? Non possiamo perdere tempo! La nostra è una gara, lo sa?».
Nessuno le rispose.
«Allora giri alla prossima».
«Ne è sicura?».
«Certo!».
Samuele si accigliò e, quando si rese conto che la zia stava seguendo una strada tutta sua, e non quella più lineare, si adagiò meglio sul sedile convinto di potersi concedere un pisolino.
«Signora, ma ne è sicura?» chiese nuovamente dopo un po’ l’autista. Ormai si era già asciugato la fronte con un fazzoletto almeno un paio di volte.
«Faccio io» sbottò Ambra riprendendosi la mappa ed estraendo una penna dallo zaino. Colorò il percorso di blu e poi porse la cartina all’autista. «Ecco, noi vorremmo che lei seguisse questo percorso».
Samuele fissò la madre: la disperazione rendeva geniali.
«Quanto ci vuole?» si lamentò Penelope dopo un po’.
«Se, come al solito, non avessi fatto di testa tua, non avremmo perso tanto tempo» replicò Ambra.
Samuele nel dormiveglia si accorse che stavano salendo in alto e che si stavano allontanando dal centro, che avevano visitato durante la giornata.
«Eccoci» disse l’autista parcheggiando.
«Era ora!» sbottò Penelope scendendo dalla macchina.
«Grazie» dissero Ambra e Samuele.
«Questa è la Basilica di Superga. Buona fortuna» concluse il tassista.
Alcuni addetti della televisione li affiancarono all’istante per controllare i microfoni e la telecamera che era stata loro affidata.
«Siamo pronti per la diretta finale» gli avvertì uno.
In effetti Samuele riconobbe immediatamente il giovane conduttore, il signor De Vecchi, la sindaca della città con la sua fascia tricolore, l’assessore Giannizzeri e un gruppo di uomini in giacca e cravatta di cui, avvicinandosi, distinse gli stemmi ricamati in alto vicino alla spalla sinistra: era senza parole, doveva essersi sbagliato per forza, eppure alcuni di loro li conosceva!
«Oh, no! Ci hanno fregato!» sbottò Penelope. Samuele seguì il suo sguardo e notò subito i Leones poco distanti dalle autorità.
«Oh, finalmente» li accolse Ludovico. «Quanto ci avete messo? Ci hanno costretto ad aspettarvi per vedere cosa c’è nel forziere!».
Maria salutò gentilmente, sebbene fosse altrettanto curiosa.
Penelope incrociò le braccia al petto e s’imbronciò.
Per fortuna sia lei sia Saverio sembravano troppo stanchi per litigare.
«Bene, signore e signori, benvenuti a questa quinta tappa del nostro meraviglioso viaggio attraverso il nostro bel paese!» trillò il giovane conduttore, segnando l’inizio della diretta e quindi della conclusione della gara. «Vi invito a un minuto di silenzio per ricordare il Grande Torino e la strage del 4 maggio 1949».
Un silenzio quasi irreale si dispose sulla spianata di fronte alla basilica. Samuele conosceva quella storia, avendola sentita più volte. Era triste pensare che un’intera squadra di giovani calciatori fosse finita in quel modo. Alle volte il destino era spaventoso. Si costrinse a non pensarci e a prestare attenzione al conduttore che aveva ripreso a parlare. Fu più noioso del solito, in quanto oltre i soliti ringraziamenti e i saluti istituzionali, riepilogò gli indovinelli e i vari luoghi visitati.
«Concludiamo la caccia al tesoro» continuò il giovane conduttore e fece segno a Ludovico, che, tutto contento, si avvicinò allo scrigno, posto al centro, brandendo una chiave. Samuele si accorse che a loro mancava. Di quella ce n’era una sola.
«Wow» disse il ragazzo.
Maria e Saverio si avvicinarono per guardare.
«Siamo ricchi!» disse estasiato Ludovico, riempiendosi le mani di monete d’oro.
«Non per deluderti» intervenne il giovane conduttore, «ma sono di cioccolata».
Ludovico lo fissò a bocca aperta, poi sospettoso ne aprì una e se la ficcò in bocca imbronciato.
«Bene, inoltre abbiamo deciso di fissare un punteggio in base alla difficoltà dell’indovinello da decifrare e in base all’ordine d’arrivo nel luogo prestabilito. 10 punti per quelli difficili come il primo, quello di Palazzo Reale, Ristorante del Cambio, il parco del Valentino e infine quello che vi ha portato qui. I dieci punti vanno a chi è arrivato per primo, l’altra squadra ne avrà punti; per le altre tappe avranno 6 punti i primi, 3 i secondi. Bene, al primo posto abbiamo i Leones con 52 punti, secondi i Threesome Strange con 28».
«Anzi» sospirò Penelope, lanciando occhiatacce a Saverio.
«I vincitori di questa tappa saranno premiati dal presidente del Torino».
Samuele quasi non stava fermo per l’emozione.
«Che hai?» gli chiese la zia.
Come che aveva? Se i Leones venivano premiati da quelli Torino, allora loro sarebbero stati premiati da quelli della Juventus!
«Il premio è un borsone con la divisa e tutto il completo da calcio del Torino più un pallone firmato dall’intera squadra».
Ludovico si appropriò del premio.
«Bene, mi accontento delle cioccolate» borbottò Maria.
«I secondi vengono premiati dal presidente della Juventus».
Samuele era eccitatissimo quando strinse la mano del presidente, senza contare i tre giocatori portati in rappresentanza! Quasi svenne quando Dybala accettò di farsi un selfie con lui. I suoi compagni di scuola non ci avrebbero mai creduto.
«Il punteggio finale vede i Leones nuovamente in testa con ben 156 punti e, invece, secondi i Threesome Strange con 144» annunciò il conduttore. «Signori e signori, grazie, per l’attenzione, ci rivediamo domani ad Alessandria!».
 
 
Angolo dell'autrice:

Ciao a tutti!
Questo capitolo è molto più lungo degli altri, ma spero che vi piaccia lo stesso!

Il titolo naturalmente rimanda all'associazione segreta, la Carboneria, in quanto era mio intento far visitare luoghi alle due squadre legati al Risorgimento. 

I monumenti e i luoghi visitati sono tratti dagli Itinerari del Risorgimento realmente presenti su museotorino.it:

Itinerario 1 – I luoghi di comando
Cappella della Sindone

Itinerario 2 – Moti e cospirazioni
Cortile del Palazzo dell’Università degli Studi
Caffè Fiorio

Itinerario 3 – La modernizzazione
Parco del Valentino

Itinerario 4 – I padri della patria
Ristorante del Cambio
Museo egizio
Teatro Carignano
 

Ho voluto inserire la Basilica di Superga  in ricordo della strage del 1949. Sarebbe stato perfetto se fossi riuscita a pubblicare il capitolo a maggio, ma spero valga lo stesso.

Per quanto riguarda il Museo Egizio, ricordo di aver visto la sala descritta anni fa, ho provato anche a cercare delle immagini su internet ma quelle che ho trovato sono ben diverse dai miei ricordi.

A presto,
Carme93
   
 
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