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Autore: _aivy_demi_    18/06/2020    27 recensioni
Una ragazza sbadata, disordinata e senza alcun pelo sulla lingua.
Un ragazzo famoso, allontanatosi dalla propria città in cerca di qualcosa.
Si incontrano, si detestano fin da subito.
Una simpatica commedia romantica het piena di malintesi, incontri fortuiti (e non), umorismo e una punta di ironia che non guasta mai.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Singing

is the answer

 

 

18 – Remember when




«Han, almeno tu…»
Raon guardava affranta il fratello che se ne stava poggiato sul top della cucina, accanto al lavello, le braccia conserte; quest’ultimo stava ascoltando in silenzio ciò che la signora Lee stava affermando con convinzione.
«Non posso lasciarti da sola che combini guai. Si può sapere cosa succede? E poi ritrovarti in casa con due ragazzi, così, a caso. È questo che ti ho insegnato? Che hai combinato con loro? Dì la verità.» Stava procedendo senza sosta, non stava dando alla figlia neppure la possibilità di ribattere; Raon si stava mordendo il labbro inferiore cercando di trattenere le imprecazioni createsi una dopo l’altra a distanza di qualche secondo.
Variopinte, fantasiose, particolarmente pesanti.
Non poteva parlare, sapeva che l’equilibrio già instabile si sarebbe spezzato altrimenti: il loro era un rapporto precario che si reggeva a malapena in piedi, ma se avesse aperto bocca, sarebbe stato il putiferio.
«Sicura non si tratti di una scusa? Che volevi fare, fermarti a dormire a casa di quello lì?» La madre sottolineò con disprezzo le ultime parole. Alla ragazza non era mai passato per la testa, non che avesse eliminato a prescindere l’idea di poter incontrare nuovamente l’inquilino di casa di sua nonna, non sembrava poi così male come al loro primo incontro… passarci la notte, però, quello no.
Mai.
Senza ombra di dubbio.
Aya dal canto suo se n’era stata in disparte, essendo entrata assieme ad Han: l’ex padrona di casa non aveva fiatato nel vederli assieme ancora una volta, anche se non s’era risparmiata osservandola con aria di contrariata superiorità. Vedendo però Raon in difficoltà decise di intervenire a costo di risultare stronza, impicciona o quant’altro – era comunque abituata a chi la considerava negativamente. «Mi scusi signora, se mi permette, ma non credo fosse sua intenzione fermarsi da lui.»
«Senti, Aya, per quanto possa averti voluto bene,» l’utilizzo del tempo passato del verbo non era stato affatto casuale, «non ti permetto di immischiarti in faccende che non ti riguardano. Hai deciso di non far parte più della famiglia dal momento in cui hai lasciato mio figlio, adesso ti prego di andartene.»
«Lasciala in pace, non è stata colpa s-»
«Raon, non intrometterti per favore. Signora Lee, le chiedo solo di capire: sua figlia ha avuto un incidente e sta male, è stata aiutata e non capisco dove stia il problema.»
«Il problema non è lei, ma chi era con lei.»
Naturalmente ad Aya mancava un piccolo passaggio, quello della presenza di Tae in casa di Åsli: aveva capito cos’era successo collegando i vari messaggi ricevuti, ma nulla più. Non era a conoscenza del litigio avvenuto poco prima, non sapeva neppure che faccia potesse avere il ragazzo che aveva soccorso l’amica. Nulla di necessario al momento, a lei bastava Raon non fosse seppellita da spalate gratuite di merda dalla stessa presenza che l’aveva messa al mondo, per poi abbandonare la famiglia e la propria casa qualche anno dopo in cerca di un compagno migliore e benessere economico stabile.
Un esempio di madre e moglie che ancora credeva di poter mettere becco nelle faccende private di coloro che aveva deciso di lasciare.
Coerente.
Decisamente coerente.
«Non trattare male Aya, lei non c’entra nulla in tutto questo!» La pazienza della giovane ormai s’era ridotta all’osso, aveva scavato tra le costole, scavato e scavato rischiando di consumarla da dentro.
Basta.
Era stata zitta più che a sufficienza.
Avrebbe anche potuto subire sfuriate da chi non avrebbe dovuto permettersi nemmeno di parlare, ma il limite era stato superato.
«Ti da fastidio l’idea di vedermi accanto ad un ragazzo? O forse due magari, chissà. Pensi avrei potuto portarmeli a letto e restare incinta come è successo a te, e credi che io sia così stupida per caso?»
Il sonoro ceffone la zittì e bruciò tanto da portarla alle lacrime.


«Beh, che ci fai ancora qui? Hai sparato le tue cazzate, te ne sei uscito con il tuo essere un impiccione senza speranza, hai toccato tra le mie cose e adesso non dici nulla?» Åsli aveva fatto cenno all’ospite indesiderato di andarsene indicando la porta d’entrata, invitandolo a levarsi dalle scatole. Il mal di testa era tornato più forte di prima, martellante e distruttivo.
Lui.
Raon.
La madre.
La sbornia da smaltire.
Ne avrebbe avuta per tutta la sera e la notte sicuro, altro che antidolorifico.
E quella dannata sensazione d’aver tralasciato qualcosa, qualche piccolo stupido particolare accantonato da qualche parte nel suo cervello dolorante e fastidioso.
«Sei un vigliacco, lo sai?»
Aveva parlato Tae, tagliente, cinico forse, fuori luogo di sicuro. «Lei era lì, ti ha guardato negli occhi cercando sostegno. Cosa hai fatto per lei? Un cazzo. Anzi.»
Il ragazzo gli si avvicinò tanto da spingersi contro la sua fronte, sollevando il labbro superiore in una smorfia mista a dolore e sopportazione minima. «Era sua madre, tu che avresti fatto al mio posto?»
Tae incastrò gli occhi scuri su quelli chiari e liquidi dell’altro, sorridendo sarcastico: «io avrei tirato fuori le palle e l’avrei difesa. Ed era quello che avrei fatto se tu non mi avessi fermato. Paura? Sei solo un piccoletto abituato ad avere tutto ciò che vuole senza dover lottare, ci scommetto quello che vuoi.»
«Da quale buco d’inferno sei venuto fuori, per rompermi tanto i coglioni? Perché non te ne torni dalle tue parti a mangiare riso e zuppe di pesce?»
«Sei ridicolo, ti prego non cominciare con le battute offensive, potrei divertirmi davvero. E se ti chiedi perché ti tratto così, è perché so chi sei, ho visto i tuoi video, gli edit, ti ho sentito cantare. Ah, e per la cronaca, la tua pronuncia della lingua giapponese fa cagare. Io intanto torno a mangiare riso e pesce come un cinese qualsiasi, anche se sono coreano per la cronaca ma grazie per aver spiegato qualcosa delle mie origini che nemmeno io sapevo. Tu e i tuoi luoghi comuni del cazzo statevene qui in casa rintanati dal mondo, che tanto chi ti si fila ormai… la gente si è accorta che sei sparito dalla scena, non canti più, non pubblichi più, non registri nemmeno una cover. Attento, ancora poco e non sapranno neppure come ti chiami. Puff, come una bolla di sapone che esplode. Arrivederci, mi auguro davvero Raon non sia così stupida da perdere la testa per uno che non ricorda neanche di averla baciata.»
Un sorriso sincero stampato in volto, un semplice cenno del capo, e si congedò soddisfatto.
Åsli sbuffò spazientito, rassegnato: non ne andava una giusta dal momento in cui s’era trasferito. Sapeva d’essersi allontanato da Kisha e da suo fratello, dopo tutto ciò che era accaduto era naturale. Idiota lui ad esserci cascato senza rifletterci troppo; era colpa sua, come di Erik, come di lei. Tutti e tre erano stati coinvolti in un disastro senza possibilità d’uscita, considerando che la sua compagna dell’epoca, se avesse potuto definirla tale visti i trascorsi e considerando la relazione segreta, continuava ad uscire con Erik nonostante frequentasse il fratello maggiore; non bastava uno solo, ne voleva di più a discapito di un sereno rapporto equilibrato. Ma lei non lo era mai stata, era volubile e non s’accontentava di nulla. Una stronza opportunista che aveva fatto un errore, e più d’uno, ma quello più grande lui non l’avrebbe dimenticato tanto facilmente: la cosa era diventata insostenibile, il test positivo effettuato qualche tempo dopo l’inizio dei loro incontri clandestini lo aveva fatto desistere dal mantenere ogni tipo di contatto. Aveva la certezza assoluta che il bambino non fosse il suo, lo sapeva, se lo sentiva.
Era di suo fratello.
Il padre doveva essere Erik, per forza.
Tutto avrebbe dovuto concludersi lì, con quella notizia sussurrata a bruciapelo tra gli occhi velati di lacrime. No, non era suo anche se non era affatto innocente, ma l’orgoglio non gli aveva mai permesso di richiamare Erik per sistemare a suo modo parte del disastro.
«Stronza.»
Lo disse ad alta voce tentando di rinnegare l’attrazione impulsiva e travolgente che l’aveva spinto tra le gambe di Kisha.
«Stronza!» Lo ripeté ad un volume maggiore sapendo che nessuno avrebbe comunque ascoltato e chiesto che era successo di così grave da spingerlo ad abbandonare tutto quanto. La terza volta sentì pungere gli angoli degli occhi, sfregandoli con tale energia da farsi male.
Era colpa di lei. Aveva tradito la fiducia di suo fratello per lei.
Era colpa di lei. Aveva abbandonato il gruppo e la propria casa per lei.
Era colpa di lei. Aveva mandato in fumo ispirazione e registrazioni, sempre per lei.
Avrebbe dovuto lavorare ad un singolo inedito ma Kisha aveva assorbito completamente il suo tempo, fino alla notizia che l’aveva spaccato a metà. E così ogni singola probabilità di trovare un briciolo di equilibrio se n’era andata a puttane: non aveva più combinato nulla di concreto, le visite ai vari blog ufficiali erano calate e molti fan sui social avevano smesso di chiedere – e probabilmente chiedersi – il motivo di tale prolungata assenza ingiustificata.
«Forse quello ha ragione.» Aveva riflettuto sulle dure parole di Tae, ed effettivamente erano state efficaci, pungenti, un pugno diretto allo stomaco.
Veritiere.
Canzoni, cover, ore non quantificabili ad armonizzare la propria voce, studio dei testi e dello strumento facevano tutti parte di una routine quotidiana dura e scandita da esercizi continui e sfiancanti; interagire con gli users sulle varie piattaforme inoltre era una parte fondamentale del proprio ruolo e del lavoro che aveva sempre sognato di fare, quella dell’artista musicale. Un’arma a doppio taglio, perché come aveva predetto l’indesiderato impiccione che aveva impudentemente frugato tra le sue cose, a cominciare a perdere contatto con le persone che lo sostenevano avrebbe portato solo a conseguenze negative. La reputazione andava mantenuta, era importante tanto quanto gli sforzi che aveva fatto per arrivare dov’era. E per quanto la notizia di un ipotetico bacio scambiato con quell’assurda ragazza che sembrava perseguitarlo avesse scatenato in lui un curioso senso di soddisfazione ed improvviso possesso, affiancato ad un semplice ed efficace “ma allora sei proprio un coglione” pensando di sé, decise di accantonare il fatto per quella sera. I suoi neuroni non ci sarebbero neppure arrivati, sfiancati com’erano. Un problema alla volta, si disse e senza un apparente motivo salì in soffitta, pulita e risistemata a dovere: la chitarra classica giaceva in un angolo, abbandonata a se stessa. Avrebbe dovuto riprendere a suonare almeno, sentire ancora la consistenza delle corde sotto ai polpastrelli induriti dall’allenamento costante e dalla passione che era venuta meno in quel periodo. Sì, avrebbe dovuto. Fece per prendere la custodia di tela nera quando un flash improvviso lo bloccò sul posto.

«Åsli, guarda, guarda qui è bellissimo!»
La bambina scosse il capo muovendo i codini scuri arruffati da ore intere di gioco entusiasta, sbattendo i piedi sul pavimento di legno della soffitta indicando un vecchio mobile impolverato, tarlato, consumato dal tempo. Il legno consunto mostrava tracce di spostamenti, gli angoli smussati ed i graffi su tutta la superficie parlavano da soli. Una fotografia della piccola in compagnia dei giovani genitori era racchiusa in una semplice cornice color bronzo. «Vedi? Questa sono io, questo è mio papà e questa mia mamma. Ma cosa è questo?»
«Raon, smettila. Non dovresti toccare le cose di tua nonna. Cosa direbbe se ti scoprisse?»
La voce di una donna che aveva passato da un po’ la mezza età si levò tonante dal piano inferiore richiamando l’attenzione di entrambi.
«Ecco…» sussurrò il ragazzino, «ci ha scoperti, lo sapevo! Rimetti a posto quello che hai trovato, non voglio avere guai con la signora per colpa tua, piccola peste.»
Raon strinse a sé il pacchetto che aveva appena scoperto in uno dei cassetti superiori della vetrina da salotto, su in alto a destra, spingendosi sulla punta dei piedi per raggiungerlo. L’involto sembrava essere già vecchio ed avrebbe tanto voluto aprirlo e scoprirne il contenuto.
«Lascia stare, andiamo.»

Åsli si sbilanciò stringendo la testa con una mano: da dove venivano quei ricordi sepolti, completamente dimenticati fino a poco prima? Erano lui e Raon, ne era certo, come aveva riconosciuto la pavimentazione ed il lucernaio del sottotetto.
«Ma quello…» aveva visto chiaramente il pacchetto, lo stesso che l’anziana padrona di casa teneva stretto tra le mani il giorno del trasloco, come anche la foto: cornice diversa, ma gli stessi soggetti ritratti. Frugò in tasca alla ricerca del telefono, fanculo alla giornataccia, avrebbe dovuto saperne di più: era giunto il momento di interrogare la ragazza sulle informazioni che aveva appena ricordato, aveva come la sensazione che l’aria di quella casa avesse qualcosa di particolare.
L’odore di legno in soffitta.
Il profumo degli alberi in giardino.
Le immagini.
Quelle più di tutto, quelle stavano riportando il giovane in un mondo che credeva d’aver dimenticato.









Note dell’autrice (sopportatemi per come sono, perché a una certa c’è da chiedersi che memoria di merda abbia Åsli, e non solo lui; Raon? Ancora peggio.)
Ahhh beh, le cose piano pianino si stanno mostrando.
O stanno incasinando tutto, non so.
Sicuro è che i due hanno un passato condiviso di cui non mantengono memoria non perché siano delle emerite teste di PLIN, o perché i loro neuroni facciano PLIN, ma semplicemente gli anni passano; i ricordi vengono accantonati lasciando spazio a responsabilità e vita da adulti. Io pure non ricordo tre quarti dei bambini con cui ho giocato per anni durante l’infanzia, e pure per tanto tempo continuativo: quindi perché non dovrebbe succedere anche a loro? Insomma, più si va avanti e peggio è. Ottimo, così mi piace!
Grazie grazie e ancora grazie a voi che mi supportate con commenti, interazioni, con recensioni e letture silenziose… mi date la carica e non avete idea di quanto!
Alla prossima,
-Stefy-

 

   
 
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