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Autore: Sheep01    18/06/2020    2 recensioni
[IT, Reddie]
Eddie aveva sempre considerato affascinanti le macchine d'epoca, ma non disdegnava mai un secondo sguardo a quelle autovetture un po' datate, di qualche decennio. Gli ricordavano, in qualche modo, gli anni della sua infanzia. Per qualche strana ragione non riusciva mai a rammentare con chiarezza gli anni passati a Derry, ma la Station Wagon color sabbia che possedeva sua madre, quando ancora abitavano in quella sinistra cittadina del Maine, la ricordava eccome.
Per quel motivo, adesso era fermo ad osservare quella Ford Sierra, color rosso sbiadito, parcheggiata sul ciglio della strada. Non doveva stare poi così a cuore al suo proprietario considerata l'usura della scocca e il disordine che regnava sovrano, al suo interno.
Eppure, in una certa misura, quel disordine gli sembrò improvvisamente familiare. E il ricordo di Derry tornò a far capolino nella sua memoria in un assolato pomeriggio californiano.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Parte uno

 

Derry, Maine, 1994

 

Verso la fine di aprile, Richie aveva ricevuto in regalo una macchina.

Aveva raccontato che suo padre si era presentato in camera sua una domenica mattina e lo aveva svegliato bruscamente, sganciandogli addosso un paio di chiavi.

«Una volta mi hai detto che il rosso è uno dei tuoi colori preferiti.»

Suo padre non aveva immaginato i motivi di quella preferenza, ma aveva fatto la scelta giusta.

Una vecchia Ford Sierra di seconda mano, rosso fuoco, antiquata e senza servosterzo. I finestrini a manovella.

Quando Eddie lo aveva visto imboccare la via di casa, a bordo di quell'auto per la prima volta, gli era sembrata la cosa più bella su cui avesse mai posato gli occhi.

«Una volta finito il liceo, Spaghetti, con questa macchina ce ne andremo via, il più lontano possibile da Derry», Richie lo diceva spesso, lo diceva ogni volta che lo scarrozzava in giro per la città.

Si erano quasi spinti a Bangor, una volta, ma erano rientrati prima di arrivarci perché Sonia, la madre di Eddie, aveva minacciato solide ripercussioni se fosse tornato dopo il tramonto. E già si sentiva sufficientemente in colpa per non averle detto di essere fuggito a bordo di un'auto per una gita fuori porta con quel disgraziato di Tozier.

L'idea di spingersi tanto lontano era stata stimolante, per una buona mezz'ora: con i finestrini abbassati e la musica gonfiata ad alto volume dalle casse dell'autoradio, Eddie aveva fantasticato di essere davvero in fuga da Derry, assieme ad uno dei migliori amici che avesse mai avuto. Se ci pensava per qualche istante la prospettiva lo allettava più di quanto concesso. L'importante era non dilungarsi troppo sul pensiero fino a farlo diventare spaventoso. La fuga e il distacco erano spaventosi.

Spaventoso come il vuoto incolmabile che avevano lasciato i Perdenti.

La prima ad andarsene era stata Beverly, un pomeriggio di quattro anni prima, alle porte di una nuova entusiasmante estate, priva di incubi. Con il suo congedo aveva inconsapevolmente dato via a un esodo senza tregua. Nel giro di due anni Eddie aveva dovuto dire addio a tutti gli altri.

E ora non gli restavano che Richie e Mike.

Mike, troppo preso con le lezioni private e il lavoro alla fattoria. E Richie... Richie che solo all'idea di veder sparire così come era successo a tutti gli altri si sentiva mancare il respiro, come quando era convinto che suoi attacchi di panico fossero asma.

Richie che non faceva che promettergli che un giorno lo avrebbe portato via con sé. Richie che aveva grandi sogni e ambizioni ma che non dimenticava mai di ritagliare a Eddie un angolo del suo futuro.

«Che mi dici della California?» gli chiese un tardo pomeriggio primaverile. Aspettavano il tramonto, sdraiati sul cofano della macchina che ormai era diventata molto di più di una vettura, ma lo stupido sogno, l'ideale di un avvenire meno deprimente.

«Che è uno Stato dal clima piuttosto caldo.»

«Oh, questa sì è divertente, aspetta che me la segno mentalmente per quando dovrò trovare una battuta appropriata sulla California.»

«Me lo hai chiesto tu...»

«Intendevo...» si voltò su un lato, il gomito piegato a sorreggergli la testa. Eddie dovette voltarsi appena, per guardarlo, sdraiato com'era al suo fianco, «che ne dici di un viaggio verso la California, una volta preso il diploma?»

«Penso che a mia madre verrebbe un colpo se solo le accennassi all'idea, Richie.»

«A tua madre verrebbe un colpo se ti sapesse sdraiato sul cofano della mia macchina, sotto al sole, a bruciare la tua delicata epidermide spettrale.»

«Non infondermi false speranze.»

«Eddie Spaghetti!» rispose con voce scandalizzata e una parte di lui si pentì rapidamente di una battuta tanto infelice. Sonia non meritava certo tanta ingratitudine. Forse giusto un po', data la natura dei suoi comportamenti abusivi ma non sotto forma di un augurio simile.

«Non credo che mi permetterà mai di andare da nessuna parte. Sai perfettamente quale università dovrò frequentare una volta preso il diploma.»

«Lo so, lo so, Bangor. Ringrazia il cielo che Derry non abbia università o ti toccherebbe tornare a casa per pranzo ogni giorno.»

«Appunto. Sperare che mi permetta di partire con te per un viaggio simile è come sperare che la tua boccaccia si inaridisca.»

«Sei sempre così romantico, Eds... quasi quasi mi commuovo.»

Eddie sorrise a mezza bocca, schermandosi il viso con una mano. Il sole non era così caldo ancora, ma sufficiente a rendergli la visuale poco agile. A malapena riusciva a guardarlo per bene. Gli piaceva guardare Richie, ma questo non lo avrebbe ammesso mai.

«Io non sono sicuro di volerci andare all'università», gli confessò lui tornano a sdraiarsi sul cofano, allungando le braccia fino a sfiorargli la testa. Ogni scusa sembrava buona per poterlo toccare. Era stato così sin da ragazzini, non glielo avrebbe impedito ora. Come gli piaceva guardare Richie, gli piaceva anche essere toccato da Richie. Un altro di quei pensieri che avrebbe conservato gelosamente per se stesso, perché non sapeva, ancora, dove volessero andare a parare.

«Lo avevo immaginato. Non ne hai mai parlato seriamente.»

«Sì, voglio dire... ho mandato qualche domanda, per non insospettire i miei ma per quello che voglio fare io non credo sia necessario continuare con questa buffonata dello studio.»

«Lo studio non è una buffonata, Richie...»

«Sai che cosa voglio dire.»

Eddie lo sapeva perfettamente. Da bambino Richie aveva confessato loro di voler diventare ventriloquo. Le sue leggendarie Voci, le imitazioni che somigliavano sempre e solo alla voce di Richie Tozier. Un futuro disastro, a detta di tutti. Con il passare degli anni le sue ambizioni si erano trasformate. L'iscrizione al club scolastico di teatro aveva probabilmente messo le basi a quello che si augurava sarebbe stato il suo futuro. Durante lo spettacolo di fine anno di due primavere precedenti, la sua improvvisazione teatrale era divenuta leggendaria. Un po' sopra le righe, così come aveva sottolineato il preside vagamente infastidito dalle troppe imprecazioni, ma avvincente e divertente, come non ci si sarebbe atteso da un ragazzo di soli quindici anni. Non erano necessari gli studi per un talento naturale. Forse sarebbe stata sufficiente la sua intraprendenza per costruirci attorno una carriera, e una buona dose di fortuna.

Ma Eddie sapeva che nonostante la sua riluttanza ad ammetterlo, Richie era un tipo sveglio che non aveva mai avuto particolari problemi a scuola. Uno studente brillante, malgrado la sua scarsa propensione allo studio. Aveva del potenziale così elevato che se solo avesse voluto eccellere avrebbe potuto farlo con uno schiocco di dita. Un dono che Eddie gli invidiava. Quella e quella sua capacità esplosiva di esprimersi liberamente su qualsiasi argomento. Una capacità che spesso lo aveva messo nei guai, ma che mai gli aveva impedito di essere se stesso.

O questo era quello che aveva creduto a lungo. Fino a quando la sua coodipendenza con Richie non era diventata essenziale, una volta slacciati i legami con il resto del gruppo. In quegli ultimi anni aveva imparato a comprenderne le sfumature. Richie continuava a parlare tanto, troppo, spesso a sproposito, ma era capace di straordinari momenti di tranquillità. Diveniva spesso quieto e riflessivo, quando erano assieme. Erano i momenti in cui Eddie aveva cominciato a comprendere meglio la sua vera natura. Riempire i silenzi per Richie era una necessità per impedirsi di pensare. O per impedire agli altri di capire cosa gli passasse davvero per la testa. Una maschera dissacrante e rumorosa che sovente non rifletteva quello che sentiva. Il più delle volte, ora, con Eddie quella maschera cadeva. E lui ne riconosceva il privilegio, la fiducia che Richie riponeva nei suoi confronti; a volte se ne sentiva sopraffatto, tanto da riconoscere con difficoltà i suoi sentimenti a riguardo.

«Sono sicuro che qualsiasi decisione prenderai, sarà quella giusta», si ritrovò a dire, seguendo il flusso dei suoi pensieri.

«Dio, no, sei inquietante quando parli così, Spaghetti.»

«Preferisci che ti insulti?»

«Sempre.»

Gli tirò una sberla sullo stomaco, che Richie incassò con un eccesso di smorfie e proteste.

«Quelle tue mani ossute sono veramente mortali.»

«Non ho le mani ossute.»

«Sì che ce le hai. Sei il ragazzino più ossuto che abbia mai conosciuto. Quelle tue gambette secche sotto ai pantaloncini che metti a educazione fisica, sono così imbarazzanti», disse imitando malissimo la voce di quella che doveva sembrare una vecchia signora di fine secolo.

«Ma la pianti?! Non sono un ragazzino. E non ho le gambe secche! Sono arrivato primo nella gara di atletica la scorsa settimana!»

Gli sganciò un pugno sul fianco, strappandogli un singhiozzo decisamente più realistico. Ma si guardò bene dallo scusarsi.

«Va bene, va bene, ma tu piantala di prendermi a pugni. Se mi riempio di lividi i miei penseranno che che la mia ragazza sia una specie di infoiata.»

Eddie alzò gli occhi al cielo.

«Non ce l'hai una ragazza.»

«Come no?»

«No...» si voltò a guardarlo, cercando di scovare la menzogna nel suo sguardo.

«E tua madre, allora?» gli rispose, prima di ritrarsi per evitare ulteriori ripercussioni e mettersi a ridere come avesse fatto la battuta più divertente del secolo.

Avrebbe dovuto sentirla arrivare a un chilometro di distanza. Eppure sapeva che Richie flirtava un po' con tutte, in modo più o meno esplicito, ma anche questo suo modo di fare Eddie lo aveva sempre interpretato come l'ennesima esagerazione, solo per mantenere ad un certo livello, l'immagine che voleva dare di sé. Di fatto non era mai arrivato a concretizzare qualcuno di questi interessi. Anche se Eddie ricordava con una certa riluttanza quella ragazza che recitava con lui nel club di teatro e con la quale aveva preso a spendere molto tempo l'anno precedente. Con la scusa del ripasso forzato di alcune scene della commedia che avrebbero dovuto portare in scena assieme, Richie aveva preso a dedicarle più tempo del necessario, sottraendone di fatto a quello che aveva sempre dedicato alla loro amicizia. Inutile negare quando Eddie ne avesse sofferto. Nonostante la preziosa amicizia di Mike. Nonostante Richie, in seguito alla benedetta rottura, gli avesse confessato che non gli era poi piaciuto così tanto baciarla, ammettendo, di fatto, che quella della recitazione non era stata altro che una scusa. L'episodio si era risolto rapidamente, senza troppi drammi, ma ancora una volta, Eddie aveva dovuto affrontare il rimestio della propria coscienza, il disordine dei propri sentimenti.

Si chiedeva spesso se non fosse il caso di mollare un po' la presa. Se cominciare ad allentare la corda non fosse una buona idea, in previsione di un futuro che li avrebbe probabilmente separati.

Sua madre non faceva che ricordargli quanto malsana fosse quella sua amicizia con il ragazzo dei Tozier. Di quanto fosse deleteria la sua influenza.

Non concordava certo sulla seconda affermazione, ma era poi così sicuro che non avesse sviluppato un nocivo attaccamento a Richie? Che non si fosse aggrappato alla sua amicizia in modo del tutto inappropriato, dopo che Bill (che si era guadagnato la palma di migliore amico per tutto l'arco della sua infanzia) se n'era andato?

Voleva bene a Richie. Voleva davvero bene a Richie. Ma odiava come lo faceva sentire, a volte. Odiava se stesso per permettersi di sentirsi a quella maniera. Lo trovava ingiusto, anche nei suoi confronti.

«A proposito di atletica... hai parlato alla mia ragazza della proposta del professore di ginnastica?»

Eddie fu di nuovo costretto a destarsi dalle sue elucubrazioni mentali e fissarlo un po' perplesso alla menzione di sua madre.

«Uhm...» borbottò, rimettendosi finalmente seduto, raccogliendo le gambe per incrociarle sul cofano. A vederle così sembravano davvero ossute come diceva Richie.

«Non glielo hai detto...» lo sentì aggiungere con una nota esasperata nella voce.

«Sto cercando il momento giusto», specificò con una certa stizza, «Non voleva nemmeno partecipassi agli allenamenti. Figuriamoci se acconsentirebbe a farmi partecipare a una competizione».

«Magari non farebbe tante storie ora, dopo tutti i progressi che hai fatto. Insomma, non hai mai avuto crisi respiratorie da dramma vittoriano. Non hai mai avuto bisogno del tuo stupido respiratore sparacanfora: sei sano come un pesce.»

«Non secondo mia madre...»

«Secondo i dottori, sì, però. E a meno che la laurea non l'abbiano comprata al mercatino delle pulci della domenica mattina...»

«Lei se ne sbatte di quello che dicono i dottori, lo sai meglio di me», lo interruppe bruscamente.

«È perché mamma Kappa si preoccupa per tutto quello che pensa e fa il suo Eddie Pisellino», Richie si era rimesso seduto a sua volta. La voce seria, in uno di quei rari momenti in cui scherzare non era la sua priorità, «Non è il caso che il suo Eddie caro faccia l'università troppo lontano da casa, e figuriamoci se con i suoi inesistenti problemi di salute possa permettersi di frequentare i corsi di atletica, per non parlare poi del suo pessimo gusto in fatto di amicizie, con quel ragazzo di colore che nemmeno va a scuola e quel disadattato del figlio del dentista... non è importante come il suo bimbo si senta davvero, mamma Kaspbrak sa di cosa ha bisogno il piccolo Eddie.»
Eddie serrò le labbra, colpito sul vivo. Non era un discorso che affrontavano per la prima volta e purtroppo non conduceva mai a niente di buono.

«Non ho voglia di discuterne, Richie».

«Ignorare l'argomento non farà sparire il problema, sai?»

Eddie gli puntò addosso uno sguardo infastidito.

«E questa da dove salta fuori, dai biscotti della fortuna cinesi?»

«Ma come si pelmette di fale queste affelmazioni, signole?»

«Non è divertente, Richie.»

«Non lo è nemmeno il fatto che tu non riesca a fare quello che desideri».

Eddie cercò qualcosa con cui controbattere ma tutta la foga battagliera si era esaurita rapidamente. Sapeva che Richie aveva ragione, ma non era pronto ad ammetterlo e in ogni caso che sarebbe cambiato anche se lo avesse fatto? Non sarebbe mai riuscito a contrapporsi al volere di sua madre. Ci era riuscito solo una volta, in diciassette anni. Quando voleva impedirgli di rivedere i suoi amici dopo essersi rotto un braccio. L'aveva affrontata, aveva vinto la sfida. Rincorreva da allora, quella spinta di coraggio mai più ritrovata.

«Le faccio ugualmente alcune delle cose che desidero. Solo, non sempre è necessario che lei lo venga a sapere.»

«Tipo farti scarrozzare in giro dal mio bolide?»

«Fra le altre cose, sì.»

«Non insisto solo perché non hai ribattuto sul fatto che la mia auto sia un bolide. Finalmente ho avuto la conferma che la apprezzi», gli si avventò addosso, per strizzarlo in un abbraccio improvviso e del tutto inaspettato.

«Dai, Richie! Apprezzo la tua macchina, ma non te!»

«Dovresti dirlo con un po' più di convinzione per farmelo credere, Eds.»

«Non chiamarmi, Eds! Lo odio! Odio quando fai così!»

Richie lo lasciò andare, regalandogli una smorfia a cui Eddie rispose con un gestaccio.

«Dai, Spaghetti, ti riaccompagno a casa. Prima che mamma Kappa metta al bando anche le tue finte scappatelle in farmacia.»

Eddie lo fissò con disappunto, ben consapevole di aver mentito a sua madre per l'ennesima volta, sulle motivazioni della sua uscita pomeridiana, senza che lui dovesse ricordarglielo ogni santo momento. Lo guardò scendere dal cofano della macchina e si sistemarsi addosso quella sua t shirt lisa e ingombrante dei Guns 'n' Roses.

Accettò la mano che gli porse per aiutarlo a scendere e quando gli permise persino di scegliere la stazione radio, Eddie seppe che Richie, in qualche modo, si sentiva in colpa per aver sollevato di nuovo la spinosa questione.

 

Fu con quella stessa macchina che Richie passò a prenderlo la sera del ballo di fine anno.

Ma non davanti alla porta di casa, no.

L'aveva parcheggiata in una delle vie laterali, era sceso dall'auto e poi aveva aspettato che Eddie lo raggiungesse.

Eddie non gli aveva spiegato come era riuscito a convincere Sonia a partecipare a quello stupido ballo. Nemmeno ci voleva andare. Ma poi Richie aveva insistito, rassicurandolo del fatto che tutto avrebbero fatto fuorché presentarsi a scuola per il ballo. Corpi danzanti di adolescenti arrapati che si sarebbero battuti per un sorso di schifoso punch. La maggior parte dei quali costretti a far da tappezzeria, a osservare coppiette felici che si scambiavano fluidi per via orale. Non avrebbero fatto quella fine, oh no. Sarebbero passati a prendere Mike e si sarebbero fatti un giro celebrativo di Derry, per chiudere a gloria la fine dell'anno scolastico e della tortura degli anni del liceo. In compagnia delle uniche persone che avevano contato davvero durante gli anni scolastici.

Eddie aveva pensato che fosse una bella idea e aveva intessuto una scusa abbastanza convincente per Sonia, concedendole l'assurdo coprifuoco delle undici.

Richie lo aveva aspettato con un sorriso spavaldo e l'aria di chi non aveva proprio niente da perdere: «Il vostro cocchiere per la serata, messere».

Indossava un paio di jeans troppo corti per le sue gambe diventate lunghissime durante gli anni dell'adolescenza. (Richie sarebbe diventato un vero e proprio gigante, in pochi anni) e una camicia dai colori sgargianti ai quali aveva abbinato un paio di assurde bretelle rosa.

«Hai intenzione di attirare l'attenzione di tutti i bulli di Derry?»

«Siamo troppo grandi per avere dei bulli, Eds, adesso siamo noi che dettiamo le regole.»

Gli aveva persino aperto la portiera dell'auto con un mezzo inchino. Eddie, che aveva dovuto fingere di andarci davvero al ballo e indossava un paio di pantaloni eleganti e una camicia azzurra da chierichetto, si sentì un po' fuori posto.

 

«Derry fa schifo al cazzo anche vista dal punto panoramico», commentò Richie che già si era acceso una sigaretta, seduto sull'erba bagnata di quella strana serata di inizio estate. Sembrava non gli importasse mai di sporcarsi, di imbrattarsi i vestiti. A volte sembrava non gli importasse dell'apparenza che dava di sé a chicchessia.

Mike gli era seduto accanto e respirava a pieni polmoni l'aria fresca della sera. Doveva essere stato più grato di Eddie, per quel gradito diversivo. Mike non si era mai fatto molti amici. Lavoro e studio da casa erano deterrenti piuttosto rilevanti a quella sua condizione. Come tutti, sperava un giorno di poter scappare da quella città maledetta, sebbene le occasioni per realizzare quel suo desiderio segreto di andarsene in Florida, sembrassero piuttosto misere.

«Sembra che ti osservi con mille occhietti malefici», disse solo, confermando la sensazione comune.

Derry aveva rischiato di trasformarsi nella loro tomba, nella lontana estate dell'89. La maggior parte di loro adesso era al sicuro. Uno alla volta erano riusciti a fuggire dai suoi artigli. La promessa di tornare, sancita col sangue, solo se IT fosse tornato in futuro. Una cosa che sembrava così lontana, così nebulosa, ormai. Tanto da aver impedito a chi era rimasto di farsi troppe domande sul perché nessuno del resto del gruppo avesse più tentato di mettersi in contatto con loro, una volta trasferiti altrove. A Mike, Richie e Eddie non sembrava più così importante ormai.

Ma era importante il legame che erano riusciti a conservare fra loro tre. Come gli ultimi strascichi della fine di un'era.

Eddie aveva arrotolato fino al ginocchio i pantaloni per evitare si bagnassero (se sua madre se ne fosse accorta sarebbe stata la fine delle sue scorribande serali), e stringeva fra le mani una lattina di birra che non si decideva ad assaggiare. Ma sapeva che nessuno lo avrebbe giudicato o deriso per questo. Era al sicuro con i suoi amici.

L'autoradio della macchina di Richie, rimasta accesa a pochi passi da loro, mandava le note di una canzone che ricordava vagamente.

Eddie non voleva approfondire sulle motivazioni che lo avevano portato a quella conclusione, ma la serata gli era sembrata, da subito, permeata di una malinconia imprevista. La celebrazione più triste e patetica della storia.

«Secondo voi per quale motivo i nostri genitori hanno deciso di restare in questo posto per così tanto tempo?», domandò Richie a un certo punto, la voce un po' arrochita, forse per via del fumo, forse per via dell'umidità, «voglio dire, cosa può aver fatto scattare loro nel cervello l'idea: Sì, questo è il posto in cui vogliamo far crescere i nostri figli. Insomma... lo capirebbe anche un deficiente che questa città è una trappola.»

«Personalmente non credo di fare testo, Richie. La mia famiglia vive qui da generazioni, per via della fattoria e... tutto il resto», rispose Mike, stringendosi nelle spalle. Un modo bizzarro per chiedere scusa per la banalità delle sue motivazioni.

«D'accordo, riformulo: cosa può aver fatto scattare nel cervello l'idea di tutti gli altri genitori che non siano quelli di Mike?»

Eddie alzò lo sguardo, intercettando quello di Richie dalla parte opposta.

Non gli sembrò il caso di cucire spiegazioni su una donna rimasta vedova troppo presto, da aver trovato in Derry una soluzione di comodo. Inoltre aveva come l'impressione che la domanda di Richie fosse più retorica che altro.

Lo guardava però in modo strano, da tutta la serata. E la cosa non riusciva a trasmettergli alcuna tranquillità.

E i suoi dubbi, le sue paure, e le sensazioni a cui non aveva voluto prestare sufficiente attenzione, furono confermate da quello che Richie aggiunse poco dopo.

«Probabilmente è la domanda che si sono fatti anche i miei genitori: perché restare a Derry, dopotutto?», esordì dopo essersi preso tutto il tempo di finire la sua sigaretta, «perché... ci trasferiremo in California, prima della fine dell'estate.»

Il tono di Richie era così serio e privo di qualsiasi allusione che Eddie non faticò a credere che fosse vero. E non riuscì nemmeno a impedire al suo cuore di battere improvvisamente più rapido di quando non gli fosse concesso, quando non correva su una pista di atletica.

«Sul serio, Rich?» fu Mike a interrompere lo scioccato ma arreso silenzio dopo lo sgancio della bomba.

Eddie aveva sempre temuto che Richie sarebbe stato il prossimo. Ma era una di quelle prospettive che non aveva voluto affrontare. Per non lasciare che il panico si prendesse la libertà di viaggiare indisturbato nella sua testa, nei suoi polmoni.

Perciò non si era preparato a sufficienza per una simile evenienza. Per una simile confessione.

Cercò con la mano qualcosa nelle tasche. Quel suo inalatore fantasma a cui aveva imparato a fare a meno, dopo aver scoperto che si trattava di un imbarazzante placebo. Lo stupido inganno di una madre che preferiva tenere al sicuro il proprio figlio, facendogli credere di essere un delicato fiore da proteggere, un trucco mentale per tenerlo inchiodato alla paura.

Quando si rese conto che ciò che cercava non era lì, l'attacco di panico divenne dirompente e inarrestabile.

A malapena sentì la conferma di Richie alla domanda di Mike. Si issò sulle gambe, scivolando quasi sul terreno umido e si allontanò barcollando verso la macchina.

Il respiro.

Gli mancava il respiro. Il mondo era diventato improvvisamente un posto oscuro e irriconoscibile. Le luci malefiche delle abitazioni di Derry adesso invisibili ai suoi occhi.

«Eddie! Eddie...» la voce di Mike? La voce di Richie? Lontane, ovattate, su un altro pianeta.

«Eddie guardami, respira. Respira...»

Ma non riusciva a respirare. A che serviva respirare? Se la fine di quell'estate si sarebbe portata via anche Richie? E poi che sarebbe successo? Se ne sarebbe andato anche Mike? E lui sarebbe rimasto a marcire, per sempre in quella cittadina del Maine. Da solo. A ingrigire e veder calpestate le opportunità di una vita migliore un pezzo alla volta, anno dopo anno.

«Eddie, respira...»

Un tantra.

Respira.

La voce di Richie. Ora ne era certo. La mano di Mike che gli accarezzava la schiena.

Respira.

Senza fretta.

Respira.

Il mondo riprese lentamente colore, la musica dell'autoradio tornò ad essere nitida. Il rumore del proprio cuore, ancora accelerato ma non fatale.

«Eccolo qui, mister Spaghetti. Bentornato», Richie gli sorrideva, tenendogli le mani, ma dietro le lenti di quei suoi occhiali a fondo di bottiglia Eddie gli riconobbe tutto lo sgomento di essere stato costretto ad assistere a una di quelle sue crisi improvvise, dopo tanto tempo.

«È tutto okay?», gli chiese ancora, per sicurezza. Eddie si limitò ad annuire, una due, tre volte, per accertarsene lui stesso.

«Scusatemi...» sibilò, la voce che probabilmente ci avrebbe messo un bel pezzo per tornare a livelli ottimali.

Ma Mike scuoteva la testa e Richie gli tirò una ciocca di capelli.

Sorridevano, ma entrambi sapevano di avere nel cuore lo stesso identico dolore.

 

Richie lo aveva accompagnato a casa alle undici meno un quarto. Senza spingere la macchina fino al vialetto della sua abitazione, convinto che Sonia stesse aspettando il figlio in piedi, sulla porta di casa, vigile come una sentinella.

«Il venerdì sera c'è il suo programma preferito sulla ristrutturazione delle case. Non mi aspetterà sulla porta di casa.»

«Non si può mai sapere. Potrebbe avere un lungo binocolo. Con un occhio al televisore e l'altro al vialetto di casa.»

«Che cosa pensi che sia, mia madre, una specie di camaleonte?»

Richie sbuffò una risata divertita.

«Eddie, amore mio, non credo che tu voglia sapere a quale animale io paragoni tua madre.»

Eddie gli lanciò uno sguardo d'ammonimento.

«No, infatti, non lo voglio sapere. Sarebbe una battuta sgradevole e scontata».

Rilasciò piano il fiato, arreso al fatto che la serata si fosse conclusa con quell'aura malinconica. Avevano continuato a tenersi compagnia dopo la crisi di panico di Eddie ma l'atmosfera era irrimediabilmente cambiata, nonostante Richie avesse cercato in tutti i modi di mantenere alti gli animi, con quel suo modo assurdo e rumoroso che aveva di alleggerire la tensione. Ma Eddie non vedeva come sarebbe stato possibile, anche al più abile degli intrattenitori, di rallegrare lo spirito di chicchessia dopo aver sganciato la notizia che il gruppo si sarebbe assottigliato ulteriormente, prima della fine dell'estate. Sarebbe successo comunque, questo poteva dirlo con estrema facilità, ma avrebbe avuto la certezza, quantomeno, che Richie, qualsiasi fosse la meta che si era prefissato di raggiungere per ottenere quel successo da cabaret a cui aspirava, avrebbe comunque avuto un posto a cui tornare. Un porto sicuro, come la casa dei suoi genitori. Per le feste comandate. Per alcuni stupidi anniversari famigliari.

Ma un trasloco, un vero trasloco, dall'altra parte degli Stati Uniti niente meno. Ironico come i loro fantasiosi piani di fuga per l'estate si fossero fusi con la meta definitiva della famiglia Tozier.

Ironico e crudele.

«Grazie per il passaggio, Richie», disse allora, nessun motivo per restarsene lì, in silenzio, affatto propenso ad aggiungere altro a tutte le parole che erano già state dette. Si slacciò la cintura di sicurezza e aveva già la mano alla portiera, quando Richie lo afferrò per un braccio.

«Eddie, aspetta», disse e quando Eddie si voltò concedendogli la sua attenzione, si rese conto che Richie, per la prima volta dacché lo conosceva, sembrava in difficoltà a proseguire.

Ancora una volta si impedì di scostare la mano. Le dita di Richie erano calde sulla sua pelle, la sensazione piacevole, l'atmosfera sospesa. E quello no, non era sicuro gli piacesse poi così tanto.

Sentì il calore risalirgli su per il collo, ignaro che presto avrebbe raggiunto il suo viso.

«Sto bene», rispose a intuito a una domanda che Richie non aveva posto.

«No, cioè, sì... lo so che stai bene, ora», lo ascoltò borbottare, e sentì allentare la presa al suo braccio, titubante. Eddie gli impedì di scostarsi trattenendo la sua mano con la propria. Non voleva lasciarlo andare. Una metafora o meno di quello che sarebbe successo da lì a poche settimane; non avrebbe potuto trattenerlo per sempre, ma fintanto che erano insieme, poteva continuare a convincersi di poterlo fare.

«È stata una bella serata, meglio del ballo di fine anno», sentì il bisogno di dirgli.

Richie sorrise appena.

«Sì, a che serve andare ai balli di fine anno se non si trasformano in intrattenimento da tragedia splatter come quella di Chamberlain?»*

«Questa era grottesca, Richie.»

«Nah...»

Eddie scosse la testa, ben consapevole di doversene andare davvero adesso. Nemmeno seppe perché lo fece, ma si chinò su di lui per posargli un bacio sulla guancia. Gratitudine per aver di nuovo alleggerito l'atmosfera, condivisione di un istante che avrebbe potuto ricordare a lungo, un congedo affettuoso e grato.

Sentì Richie sussultare appena e solo in quel momento si rese conto di aver fatto un passo più lungo della gamba. Indeciso se scusarsi o meno e rendere ancora più imbarazzante l'accaduto si ritrovò a guardarlo negli occhi, i visi ancora troppo vicini, le mani ancora intrecciate fra loro.

Un istante rinchiuso in un limbo che Eddie adesso aveva il terrore di spezzare.

E Richie sembrò essere dello stesso avviso perché non fece nulla, non disse nulla a lungo o così parve a Eddie, si limitava a guardarlo negli occhi, alla ricerca di una risposta che Eddie non era certo di potergli dare.

Ma quando Richie si avvicinò di più non si scostò di un millimetro, quando sentì il suo respiro sul viso non trasalì affatto. I suoi occhi si chiusero, in un riflesso incondizionato e quando avvertì la pressione delle sue labbra sulle proprie, le accolse con sollievo. Come se non avesse atteso che quello per tanto tempo.

Il suo primo bacio.

Con Richie.

Lo lasciò fare finché non sentì il bisogno di ricambiare, di fargli capire che non sembrava sbagliato. Che forse non ci aveva mai pensato davvero ma che forse lo aveva sempre sperato.

Non poteva essere sbagliato quello sfarfallio nello stomaco. Non ci aveva mai creduto alle dicerie sulle farfalle e le gambe molli ma la sensazione sembrava proprio quella. Come se qualcosa gli si agitasse dentro, accendendolo di un calore che stavolta non era indignazione, rabbia o paura. Una sensazione tutt'altro che sgradevole.

Quando gli occhiali di Richie gli scivolarono giù dal naso e andarono a cozzare su quello di Eddie, sembrò il momento adatto per interrompere flusso di pensieri e smancerie.

Risero entrambi, imbarazzati, confusi, felici.

Ci avrebbero riprovato senza occhiali non fosse stato così tardi.

Eddie non aveva mai odiato tanto un coprifuoco.

 

Questo non impedì loro di rifarlo, nei giorni a venire, nelle settimane a venire.

Senza mai parlarne troppo, come un segreto che non aveva necessità di essere definito. Al sicuro da occhi indiscreti, nell'abitacolo di quell'auto che ormai era diventato il loro posto sicuro.

Non era cambiato molto fra loro: non il carattere gioviale e rumoroso di Richie, non i battibecchi insensati e sopra le righe. Non le risate, non le canzoni cantate a squarciagola con Mike, giù ai barren. Ma nemmeno quelle brevi fitte d'ansia al ricordo che presto o tardi l'estate sarebbe finita e avrebbe accompagnato Richie lontano.

Avevano tacitamente deciso di far sì che quelle settimane importassero.

Di far sì che sarebbero rimaste uno splendido ricordo.

Poco importava se a volte Eddie si chiedeva che ne sarebbe stato di tutto quanto una volta finito. Poco importava della paura che si portava dietro la scoperta di aver finalmente dato un nome a quei sentimenti repressi che provava nei confronti del suo migliore amico, del fatto che agli occhi di molti sarebbe sembrato sbagliato, disgustoso, anomalo.

Non c'era stato mai niente che sembrasse tanto giusto nella sua vita. Aveva deciso di goderselo, fintanto che sarebbe durato. Tragicamente sicuro (come solo un adolescente può esserlo, nell'innocenza della sua gioventù) che non ci sarebbe mai stato niente altro di simile nel suo prossimo futuro.

«Dovresti venire con me in California», gli disse un giorno Richie, guardandolo negli occhi, le labbra ancora squisitamente arrossate dai suoi baci.

«Avevamo deciso di non parlarne, Boccaccia...»

«Lo so ma non riesco a non pensarci», ribadì con urgenza, riconoscendo la sua riluttanza, trattenendolo con una mano per impedirgli di allontanarsi, per non creare una distanza anche fisica fra loro. «Dovresti. Puoi partire con noi. I miei genitori non avrebbero nulla da ridire.»

«I tuoi... ?»

«Sì, potrebbero parlare con tua madre, magari convincerla ad affidarti a noi per qualche tempo.»

«Richie...»

«Potresti vedere come ti trovi, potremmo frequentare lì insieme l'università.»

«Credevo che non volessi andare all'università.»

«Ma se ci fossi tu, sarebbe diverso.»
«Richie, no.»

«Eddie, sì. Non posso pensarti qui solo questo autunno. A frequentare corsi barbosi di una facoltà che nemmeno ti sei scelto da solo.»

«Non sarei da solo, ci sarà Mike... Mike non andrà da nessuna parte.»

«Quindi ti basta questo? Avere Mike?» nella voce di Richie uno sconforto e un impeto che non sapeva riconoscergli.

«No, non mi basta Mike. Vorrei avervi tutti qui con me, come quattro anni fa. E vorrei che non te ne andassi affatto. Ma Mike e Derry è tutto quello che mi resta.»

«Non se verrai con me... torneremo a prendere anche Mike, potremmo...»

«Richie...» era certo che qualsiasi giustificazione avrebbe discusso, Richie si sarebbe intestardito a proseguire e ribattere con argomenti altrettanto convincenti.

Per quello Eddie lo guardò dritto negli occhi e decise di dargli una risposta definitiva, a scanso di equivoci.

«Non verrò in California con te adesso», disse duramente.

Probabilmente Richie avrebbe preferito ricevere un cazzotto in faccia. Perché un'espressione tanto delusa e addolorata non gliel'aveva vista mai.

«Sei proprio uno stronzo, sai, Richie? Avevamo deciso di non parlarne», aggiunse, fissando fuori dal finestrino della macchina, parcheggiata ai limiti della città, poco distante dal ponte dei baci. Non voleva guardarlo in faccia, non sentirsi costretto a ritrattare tutto e dirgli che scappare in California con lui, con una famiglia splendida come la sua sarebbe stata la prospettiva migliore mai immaginata.

Alimentare una simile speranza, concedersi di fantasticarci su, avrebbe potuto essere estremamente pericoloso. Sapeva che i prossimi anni sarebbero stati duri, forse anche peggio. Ma sapeva anche di doversela cavare da solo. Di dover ritrovare quel coraggio che da ragazzino lo aveva visto issarsi come un colosso contro quella madre che gli stava impedendo di vedere i suoi amici nel momento del bisogno. Sarebbe stato un lavoro lungo e doloroso. Per questo non poteva permettere a Richie di forzare la mano.

«Ci verrò in California, un giorno. Ma devi concedermi del tempo.»

Un giorno avrebbe parlato con sua madre. Le avrebbe detto delle competizioni di atletica, le avrebbe detto di aver superato con successo i check-up medici, di non essere il ragazzo fragile che gli aveva sempre fatto credere di essere, le avrebbe confessato di voler frequentare l'università a New York magari, che andarsene da Derry non avrebbe significato abbandonare lei o amarla di meno, le avrebbe detto di aver baciato un ragazzo senza vergogna. Le avrebbe confessato di essere innamorato di lui.

Richie rilasciò quello che aveva l'aria di essere un singhiozzo. Eddie dovette ignorare la stretta allo stomaco, l'allarmante senso di colpa, ancora una volta, per non tornare sui propri passi, dopo aver preso una decisione tanto importante. Dopo esserselo ripromesso solennemente.

Ma si voltò per guardarlo e gli prese la mano.

«Sei proprio un pappamolla», si accanì, sperando di scuoterlo abbastanza, con dinamiche che sperò non si fossero esaurite per uno screzio.

«... disse Scrooge che odiava il Natale», rispose Richie dopo un istante, tirando su con il naso e spingendo con veemenza gli occhiali al suo posto.

«La scorsa settimana ero il Grinch, non capisco se questa sia un'evoluzione o meno.»

«Ne ho in serbo altre per te... Spaghetti, se credi che abbia finito ti sbagli di grosso.»

Non ci fu nessun altro bacio quel giorno, ma quando Richie poggiò la testa sulla sua spalla, Eddie segnò anche quello come uno dei momenti più significativi di quella strana, deprimente estate.

 

Eddie aveva salutato Richie per l'ultima volta il 20 agosto del 1994.

Lo aveva abbracciato tanto stretto che quasi si convinse di aver sentito lo scricchiolio delle sue ossa. Sua madre li aveva visti, sbirciando il loro congedo da dietro le tende della finestra del soggiorno. Lo sguardo di disapprovazione per quella pubblica e inappropriata manifestazione d'affetto, ma segretamente lieta che quel Tozier fosse finalmente fuori dalla vita di suo figlio una volta per tutte.

«Ci sentiamo presto, Spaghetti.»

Furono le ultime parole che gli rivolse.

Lo guardò montare in macchina. Quella macchina che suo padre gli aveva concesso di guidare un'ultima volta, prima di spedirla in California con tutto il resto dei loro averi.

Lo salutò con un cenno della mano.

Richie probabilmente stava piangendo di nuovo, le sue spalle scosse da un sussulto inconsolabile. Eddie non piangeva, ma lo strazio senza sfogo del dolore che si portava nel petto forse era peggio, molto peggio.

Il rumore del rombo del motore, lo scarico che rilasciava una nuvola oscura e mefitica nell'aria.

Lo guardò allontanarsi, sopraffatto da una sensazione che lo avrebbe accompagnato a lungo, nei mesi a venire.

Ma solo uno sguardo verso casa, alla finestra dove sua madre lo osservava soddisfatta e fiera lo spronò a rivolgerle la prima vera sfida del lungo percorso che gli avrebbe permesso la libertà.

Le lanciò uno sguardo determinato, ignorando il suo richiamo di rientrare in casa e senza pensarci un solo istante di più, puntò lo sguardo sulla macchina di Richie che ormai era in fondo al vialetto e scattò in corsa al suo inseguimento. Ben conscio che non avrebbe potuto raggiungerlo mai.

Un piede davanti all'altro, un respiro dietro l'altro. Il cuore che pompava ossigeno i polmoni che reclamavano aria.

Posso correre, mamma.

Lasciò che le sue emozioni si fondessero con la fatica, che il suo sudore si amalgamasse con l'angoscia e la paura. Che le annientasse.

Corse fino a quando la macchina di Richie non fu che un puntino in fondo alla strada. Corse ancora, anche quando non c'era più niente da vedere.

La sensazione che avrebbe potuto correre all'infinito, inseguire Richie per sempre, se solo avesse voluto.

La certezza che lo avrebbe rivisto... se solo ci avesse creduto abbastanza. Se si fosse concesso di provarci abbastanza.

 

**

 

Los Angeles, California, 2001

 

Eddie aveva sempre considerato affascinanti le macchine d'epoca, ma non disdegnava mai un secondo sguardo a quelle autovetture un po' datate di qualche decennio. Gli ricordavano, in qualche modo, gli anni della sua infanzia. Per qualche strana ragione non riusciva mai a rammentare con chiarezza gli anni passati a Derry, ma la Station Wagon color sabbia che possedeva sua madre, quando ancora abitavano in quella sinistra cittadina del Maine, la ricordava eccome.

Per quel motivo, adesso era fermo ad osservare quella Ford Sierra, color rosso sbiadito, parcheggiata sul ciglio della strada. Non doveva stare poi così a cuore al suo proprietario considerata l'usura della scocca e il disordine che regnava sovrano, al suo interno.

Eppure, in una certa misura, quel disordine gli sembrò improvvisamente familiare. E il ricordo di Derry tornò a far capolino nella sua memoria in un assolato pomeriggio californiano.

 

 

Fine prima parte.

 

 

Note:

*Chamberlain è la fittizia cittadina del Maine in cui è ambientato il romanzo Carrie, di Stephen King. La tragedia a cui Richie si riferisce è quella del ballo di fine anno descritto alla fine del libro.

 

Presa dal sacro fuoco dell'ispirazione ho assecondato un'idea e mi sono ritrovata a scrivere una storia breve. Concepita all'inizio come One Shot, credo di averla inavvertitamente trasformata in una long, che comunque non credo prevederà più di tre capitoli. Ripercorrerà tre precisi momenti nella vita di Eddie e Richie. Filo conduttore: un'automobile (che pur trattandosi di qualcosa ispirato a King, no, non sarà posseduta dal demonio).

  
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