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Autore: _Il colore del vento_    19/06/2020    7 recensioni
Dal testo:
Gli indicherebbe quel reticolo di esistenze, intere generazioni votate a degli ideali assurdi e crudeli, un intreccio inestricabile in cui non c’è mai stato spazio per la tolleranza e l’amore, che ha provveduto ad espellere ogni gesto di umanità – scambiata per debolezza e devianza -, semplicemente bruciandolo via.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Famiglia Black, Molly Weasley, Nimphadora Tonks, Remus Lupin, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Spesso, a riunione terminata, qualche membro dell’Ordine si attarda a Grimmauld Place per scambiare due chiacchiere e, anche se per poco, Sirius è ben felice di avere compagnia.

Per esempio, quando può, Remus resta sempre a bere un bicchierino.
Siedono assieme al tavolo della cucina: qualche volta commentano la riunione appena conclusa, discutono le ultime, severe restrizioni introdotte a Hogwarts o la luna piena appena trascorsa.
Remus sostiene che la Pozione Antilupo fornita ogni mese da Piton sia una vera manna dal cielo.
Al che Sirius lo osserva, al di sopra della bottiglia che stringe fra le mani, con il sopracciglio interrogativamente sollevato – ritornando quasi il ragazzo affascinante di un tempo, prima che Azkaban gli inaridisse i lineamenti.
Quando Sirius lo scruta così, l’altro distoglie lo sguardo, puntandolo sulle venature del legno del tavolo, e sospira.
«Ovviamente non è lo stesso» mormora dopo un po’, con un tono di voce leggermente più alto del crepitio del fuoco che scoppietta nel camino alle sue spalle. «Con voi era tutta un’altra cosa».

Già, conviene Sirius, era tutta un’altra cosa.

Le notti di luna piena condivise da quattro ragazzi che, ora dopo ora, mese dopo mese, avevano creduto di poter spingere l’amicizia oltre i limiti consueti appartengono ormai ad un’altra vita – una vita interrottasi di colpo quella notte del 31 ottobre, quando i cuori di Lily e James hanno cessato di battere.

Per lo più, comunque, lui e Remus restano in silenzio.
Ne hanno passate talmente tante, assieme, che anche solo stare lì seduti, uno di fronte all’altro, è sufficiente.

E, poi, le parole non scivolano via dalle labbra con la facilità di un tempo. Risalgono lentamente lungo la gola, si attardano sul palato e poi si dissolvono, scontrandosi contro il collo di una bottiglia portata alle labbra giusto per fare qualcosa, per risultare meno impacciati.

Ad aleggiare tra di loro, nel silenzio della cucina, ci sono tutti gli anni che hanno vissuto separati.
Remus avverte sulle spalle il peso della colpa, dell’aver dubitato dell’amico mentre questi scontava una pena immeritata in un luogo orribile, solo.

Ho davvero creduto che fossi stato tu, che fossi un traditore e un assassino” è il pensiero colpevole che lo assale ogni volta, quando guarda quel volto scavato che, nonostante tutto, conserva tracce nascoste dell’antica, sfolgorante bellezza – basta solo saperle cercare.

Sirius, dal canto suo, si perde spesso con lo sguardo nel vuoto: fissa le fiamme nel camino, i ceppi che si consumano lasciandosi dietro solo resti anneriti.
Si sente un po’ così, lui. Come se un fuoco fosse divampato, un tempo, lasciandosi alle spalle solo detriti carbonizzati, un’inutile manciata di cenere.

In quei momenti diventa ancora più difficile, per Remus, pensare di non avere a che fare con uno sconosciuto.
Assieme ai brandelli di una bellezza passata, impigliati nei tratti del viso, riesce quasi a vedere gli effetti di dodici anni trascorsi in una cella che poteva contenere a stento un corpo che deperiva ogni giorno, dove la paura bussava alla porta accompagnata dal respiro roco di terribili creature ammantate di nero.
Riesce a vederli, gli effetti di un odio divorante, del desiderio cocente di vendetta verso colui che ha sacrificato la loro amicizia, barattandola per imperdonabile, meschina vigliaccheria. 

È più facile, per Remus, riconoscere i resti di un odio che ha provato lui stesso, quella notte in cui ha scoperto la verità e il tradimento di Minus – un atto tanto atroce che non sarebbe bastata tutta una vita per capirlo.
E davvero non riesce a immaginare come Sirius abbia potuto tollerare un odio simile per anni e anni, senza che questo erodesse la sua lucidità e ne estinguesse l’umanità.

Non dice nulla, Remus, ma il sapore dell’alcol che gli bagna le labbra ha un retrogusto amaro e nauseante – colpa liquida da buttar giù.
 
A dir la verità, quando lo accompagna alla porta, anche Sirius vorrebbe dirgli tante cose.
Vorrebbe – irrazionalmente – che l’altro non andasse via, che non lo lasciasse solo in quella casa troppo vuota (ma non abbastanza).

Vorrebbe indicargli le scale, per esempio; l’esatto gradino su cui era caduto quando aveva sei anni, sbattendo il viso e procurandosi una cicatrice sulla guancia, che poi la madre non aveva voluto medicargli con la magia.  «Così, forse, imparerai che, ad ogni azione, segue sempre una conseguenza» aveva concluso categorica.
La cicatrice, poi, era andata via col tempo, ma la lezione l’aveva imparata comunque.

Vorrebbe dirgli che, ogni volta che sale quel gradino, pensa alle parole della madre, alle scelte che la vita ti costringe a compiere e alle conseguenze che ne derivano.

Vorrebbe confessargli che, quando poggia il piede su quel gradino su cui era inciampato da bambino – ricorda ancora la risata sommessa di Regulus, alle sue spalle, pensa a James e Lily.
Sirius sa che il rimorso di quella scelta, quella di proporre un altro come Custode Segreto, non l’avrebbe abbandonato mai più, fino al suo ultimo respiro.

Vorrebbe dire a Remus che il rimorso lo attende puntuale, assieme alla risata sommessa di Regulus e alla voce stizzita della madre, ogni volta che sale le scale.

Ma non lo fa: lo saluta semplicemente con un rapido abbraccio o una pacca sulla spalla, con tante parole che si scontrano contro i denti, senza superare il confine delle labbra.
Le deglutisce in silenzio, quelle parole fiacche e incerte che poi gli scivolano nello stomaco.
Lì, le parole non dette si addensano, rimescolandosi senza sosta. Ancora e ancora.
 
O anche, quando quell’idiota di Mocciosus – perché sì, Silente avrebbe anche potuto continuare ad insistere su questioni come la maturità e il rispetto, ma per lui Piton sarebbe sempre rimasto “quell’idiota di Mocciosus” – lo deride, a lui tremano le mani, tanto è forte il desiderio di scuoterlo.

Vorrebbe quasi afferrarlo per il braccio – il sinistro, magari, così gli avrebbe fatto più male – e condurlo davanti all’irremovibile arazzo di famiglia.

Gli indicherebbe quel reticolo di esistenze, intere generazioni votate a degli ideali assurdi e crudeli, un intreccio inestricabile in cui non c’è mai stato spazio per la tolleranza e l’amore, che ha provveduto ad espellere ogni gesto di umanità – scambiata per debolezza e devianza – semplicemente bruciandolo via.

Ricorda ancora le ore infinite trascorse ad imparare a memoria quell’albero genealogico – sotto lo sguardo severo del vecchio e torvo precettore e gli occhi attenti di Walburga.

In effetti, "Toujours Pur" sembra proprio il motto a cui uno come Mocciosus guarderebbe con rispetto, non con costernazione – questo perché nessuno capisce mai cosa ci sia davvero dietro un’ideologia simile.

Eppure, Sirius crede che non riderebbe tanto, Piton, se capisse veramente cosa significhi provenire da una famiglia del genere.

A Piton, la risata si trasformerebbe subito in rantolo, se solo anche lui potesse avvertire il senso di oppressione che gli appesantisce il petto, rendendo faticoso ogni respiro in quella casa dall’aria irrespirabile – rancore e veleno vi sono rimasti intrappolati troppo a lungo e non serve spalancare le finestre per farli sparire.
 

Anche Tonks, con la sua goffaggine e la sua esuberanza, a volte si ferma da lui.
«È un peccato che le cose siano andate così» gli ha detto una volta la giovane dal volto a forma di cuore e i capelli rosa cicca.
«Sai che non ci credo che anch’io sarei potuta crescere in una casa simile? Sarebbe stato forte, però».

Siede scompostamente, con il respiro ancora lievemente affannato – per aver fatto cadere per l’ennesima volta il portaombrelli a forma di zampa di troll e l’aver dovuto tacitare le urla del ritratto della signora Black, all’ingresso.

Sirius lo sa che Tonks è giovane e che non lo fa con cattiveria, eppure, in quei momenti, vorrebbe tanto farla alzare e guidarla fino alla porta chiusa di quello che un tempo era stato lo studio di suo padre, fino alla camera di suo fratello.

Lì, nel corridoio semibuio, vorrebbe chiederle se crede davvero che sia “forte” crescere in una casa simile, tanto grande e altrettanto gelida.

Vorrebbe dirle che non era stato affatto “forte” convivere con l’indifferenza reciproca dei propri genitori – unica superstite di un matrimonio fallito –, con un padre assente e una madre asfissiante.

Riconoscerebbe che, probabilmente, se lui non crede tanto all’amore o, comunque, non si reputa capace di amare qualcuno – non come James ha amato Lily –, è proprio per via dei genitori, di quella inseparabile freddezza che accompagnava ogni loro interazione, ogni sguardo che si scambiavano.

Davanti allo studio del padre, le confesserebbe che l’idea di avere figli gli è sempre sembrata intollerabile, perché non può immaginare di generarne uno che poi possa arrivare ad odiarlo – proprio come lui  aveva detestato suo padre.

Invece, davanti alla camera chiusa di Regulus – a quello sciocco cartello che Reg ha appeso alla porta quando aveva undici anni –, le direbbe che era stato tutto tremendamente spiacevole; dover accettare la distanza incolmabile che, giorno dopo giorno, si andava creando tra lui e quel fratello morto a soli diciotto anni – invischiato in una situazione troppo grande, troppo complessa di cui non ci aveva mai capito nulla – era stata forse la cosa più difficile della sua vita, perché lui, a quel fratello, aveva voluto bene, a modo suo.

Lì, in piedi nel corridoio, forse ammetterebbe anche di essere stato brusco, con Reg, persino cattivo, ma solo perché fino alla fine aveva sperato di poterlo portare dalla propria parte, di fargli aprire gli occhi giusto in tempo, appena prima che fosse troppo tardi.

Vorrebbe indicare a Tonks la propria stanza, non distante da quella di Regulus, un monumento eretto come fiera testimonianza dell’irriducibile diversità che lo ha sempre contraddistinto, e confidarle che no, non era stato “forte” per nulla, sentirsi per anni così inconsolabilmente solo nella propria casa.

Ma, alla fine, dopo minuti trascorsi in silenzio a fissare il fuoco, anche Tonks raggiunge la soglia, spesso inciampando, e lui non le dice mai niente.
Le parole restano a rimescolarglisi nello stomaco e si ritrova di nuovo solo – una solitudine aggravata dal suono dei sospiri che gli sembra sempre di percepire, dietro le porte chiuse che non indica a nessuno.
 
Anche Molly, qualche volta, resta dopo le riunioni, magari a preparargli la cena. A volte lei, il marito e qualcuno dei figli più grandi restano a cenare lì, ma – delle altre – Molly si trattiene da sola.
Con lei il silenzio si satura sempre di tensione.

Sirius lo sa che Molly non apprezza la sua impulsività, i suoi modi talvolta aggressivi, né condivide la sua visione di Harry.
Se Molly pensa che lui lo confonda troppo spesso con James, lei – invece – ha questa abitudine di ritenere i giovani sempre più giovani, sempre più indifesi, di quanto lo siano davvero.

Sirius pensa che, agli occhi di Molly, Harry sarà sempre l’undicenne spaesato che ha incontrato a King’s Cross e che le ha chiesto timidamente informazioni.
E, sinceramente, preferisce sopravvalutare il suo figlioccio, anche a costo di sbagliarsi; del resto, con Harry, è difficile cadere in errore, perché quel ragazzo dimostra di essere sempre di più, sempre più avanti rispetto alle aspettative che le persone ripongono in lui.
 
 Molly, quando spadella in cucina e si volta a guardarlo, ha la bocca per lo più serrata in una linea stretta e severa – come quella volta in cui lui, in forma canina, ha accompagnato Harry alla stazione, rischiando di farsi scoprire.
Sembra sempre che lei lo osservi in attesa del prossimo passo falso, giusto per puntargli il dito contro e dirgli “te l’avevo detto!”, con malcelata soddisfazione.

Però Molly è anche una madre, è proprio quello che Walburga non è stata mai, neanche una volta, per i suoi figli.
Sirius allora la osserva muovere gli utensili della cucina con dimestichezza e con la stessa autorevolezza – ed eleganza, anche – di un direttore d’orchestra.

Nonostante le divergenze, nei suoi gesti intravede sempre la dolcezza materna che a lui – a parte Euphemia Potter – non ha mai rivolto nessuno, quella delicatezza che gli è tanto mancata da bambino.

Non che Molly la rivolga spesso a lui, ovviamente. Per lo più, la sua naturale gentilezza nei confronti del prossimo, arriva a Sirius ricoperta di disapprovazione e stizza: le differenze che sussistono tra di loro la contaminano troppo, quella gentilezza, perché Sirius possa riceverla nella sua forma pura e originaria.

Eppure, nonostante la linea severa delle labbra,  nonostante le divergenze, ci sono attimi in cui – negli occhi nocciola di lei – ritrova un calore rassicurante, comprensivo.
 Si sente un bambino, in quei momenti, ma vorrebbe tanto prenderle la mano, piano, e confidarle che la notte non riesce a dormire.

Le direbbe che ha preso l’abitudine di restare con Fierobecco fino a tardi e, solo quando si sente tremendamente stanco, si decide ad arrancare fino alla sua stanza.

Ma le confesserebbe che c’è comunque quel tratto da percorrere, dalla soffitta dell’Ippogrifo fino alla propria camera, che lo fa sentire a disagio. Perché, di notte, il buio sembra popolarsi di fantasmi, questo vorrebbe dirle.

Se non pensasse di suonare uno sciocco, ammetterebbe che – qualche volta – gli è parso quasi di scorgere la figura della madre vagare negli spazi d'ombra dei corridoi.

Dopo essere scappato di casa, Sirius ha rivisto i genitori solo di sfuggita, in poche occasioni, e l’ultima volta che ha visto la madre è stato al funerale di suo fratello.

Eppure, nonostante non abbia visto Walburga invecchiare (del resto, sua madre è sempre stata vecchia, nell’aspetto, priva di freschezza anche da giovane), riesce a figurarsela benissimo mentre – sola, vedova e senza più figli accanto – vagava per quella casa troppo grande per un'unica persona.

Confesserebbe a Molly che, a volte, nelle notti insonni, quando una trave del pavimento scricchiola improvvisamente, si è spesso domandato se anche Walburga – a suo tempo – trascorresse le notti senza chiudere occhio, se anche per lei le tenebre del corridoio si riempissero di fantasmi e ricordi.

Solo che Molly va via, lasciandosi dietro sul tavolo una pietanza fumante che – per quanto buona – non riesce a colmare quel vuoto allo stomaco, lì dove si addensano tutte le parole non dette.

E Sirius la lascia andar via, mettendo a tacere i lamenti del bambino che è stato, ritrovandosi scaraventato nelle vesti dell’adulto inquieto che è diventato.
 
L’unico che sembra intuire qualcosa è Silente.
Ma, forse, è proprio la comprensione che scorge nei brillanti occhi azzurri del mago ciò che lo induce a tacere.

Infatti, se neanche Silente ha trovato il modo di liberarlo da quel senso di prigionia – quell'opprimente tormento da cui si  ritrova ancora ghermito, anche dopo Azkaban e anche senza Dissennatori –, è evidente che non abbia alcun senso lamentarsi.

Può solo restarsene in silenzio a deglutire le parole non dette, a conficcarsele a forza – una dopo l’altra – nel vuoto in fondo allo stomaco, può soltanto lasciarle marcire.

Può aspettare, certo, aspettare che qualcosa succeda, qualsiasi cosa.

E, in effetti, poi qualcosa succede davvero.

È un pomeriggio d’estate - un giorno normale, iniziato esattamente come tutti gli altri.
 
Quel pomeriggio di metà giugno, assieme ai membri dell'Ordine accorsi di fretta al Quartier Generale – dopo una soffiata di Piton – Sirius gira su se stesso e i suoi occhi catturano un ultimo sprazzo di Grimmauld Place (finalmente vista dall’esterno).

Il numero 12 si restringe, divorato dai palazzi vicini, e in una manciata di istanti riesce a cogliere scatti fugaci di quel luogo tanto detestato.
La cupa facciata illuminata dai raggi di un sole morente.
Il battente d'argento a forma di serpente che sembra quasi contorcersi sotto i suoi occhi. E le finestre, anche.
Gli sembra, per un attimo, di scorgerli, loro, muti e immobili dietro le vetrate.
I suoi genitori, suo fratello. Il suo passato intrappolato dietro il vetro.

Si chiede se, per tutto quel tempo, loro non siano sempre stati lì, senza che lui riuscisse a vederli.
Si chiede se siano mai andati via.

Mentre il cuore gli rimbomba nel petto per l’adrenalina e qualcosa che non sa spiegare, mentre il suo pensiero si aggrappa a Harry – all'idea del figlioccio al Ministero, in pericolo –, girando su se stesso, Sirius guarda la sua casa per l'ultima volta.
 
Lui non lo sa ancora, certo, che quella è l'ultima volta.
Eppure, celata sotto l'ansia e l'adrenalina, una minuscola parte di lui non può che sperare.
La speranza a cui non ha neanche il tempo di dar voce è quella di non doverci più tornare, in quel luogo polveroso, stipato di ricordi e tristezza.
 
Sirius svanisce nella brezza dell'estate, mentre il cielo incendiato dal rosso del tramonto si tinge gradualmente di nero – nero come un velo che si agita senza vento, nella cornice di un arco di pietra.

Lui non lo sa e non può saperlo, certo, ma la sua speranza sarà presto esaudita.
Lui non lo sa, ma ha appena abbandonato per sempre la casa dei suoi avi, quel covo di infelicità, odio e veleno, per andare a morire.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Note (anche dette: divagazioni varie o complimenti a te che sei giunto fin qui):
 
Che posso dire a mia discolpa?
Scrivere una volta di alcuni personaggi è un caso; due volte indicano già un certo interesse, ma tre… sì, direi che presto mi vedrete nel reparto a lungodegenza dei Patiti per i B.B. (Black Brothers).
Scherzi a parte, ultimamente ho molto meno tempo per scrivere, inizio tante cose - alcune anche molto più allegre, giuro! - e non ne finisco neanche la metà.
Questa è praticamente l'unica che, a fatica, sono riuscita a concludere e mi dispiaceva lasciarla a marcire in una cartella del computer.
Le parti che mi premeva "esplorare" erano sostanzialmente due: in maniera generica cercare di attraversare gli ultimi mesi trascorsi da Sirius bloccato a Grimmauld Place; infine, quel momento in cui, dopo mesi e mesi trascorsi rinchiuso nel luogo da lui più odiato (dopo che per dodici anni ha scontato una pena immeritata ad Azkaban, ricordiamolo. La Row ci è andata giù proprio pesante con i Black...come non amarli?), "finalmente" può abbandonare il numero 12 di Grimmauld Place.
Io credo che anche correre nelle braccia dei Mangiamorte - soprattutto per un impulsivo come Sirius – possa essere sembrata un'inattesa "liberazione". Ecco, volevo esplorare un po' proprio quel piccolo momento in cui si lascia tutto alle spalle, per l'ultima volta (senza sapere che sia l’ultima perché, ovviamente, queste cose non si sanno mai).
 
Per la Pozione Antilupo, in realtà, ammetto che non so se Remus abbia continuato a prenderla, dopo l’anno da insegnante, né tantomeno se l’abbia ricevuta sempre da Piton (ovviamente, in quel caso, sarebbe sempre per intercessione di Silente, impegnato costantemente nel tentativo di appianare le divergenze tra i membri dell’Ordine). Ho pensato che Remus potesse continuare a farne uso e che, essendo un prodotto difficile da realizzare, lo ottenesse sempre da Piton, quando si vedevano al Quartier Generale.
Non potendo più ricorrere ai mezzi di un tempo – la compagnia dei Malandrini -, credo che quello sia stato un compromesso preferibile, piuttosto che trascorrere la luna piena da solo e affidandosi alle sue sole forze.
Inoltre, se alcuni giudizi di Sirius vi sembrano troppo netti, riguardo alla propria famiglia (a Regulus, anche) ricordatevi che è, appunto, di Sirius che parliamo e che, anche nel caso del fratello, lui molte cose non le viene mai a sapere, fino alla fine.
 
Precisazioni (inutili? Noiose?) a parte, come sempre, spero vi piaccia!
  
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