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Autore: LorasWeasley    20/06/2020    2 recensioni
AU|Soulmate [Soukoku]
"Chuuya aveva pensato a un sacco di scenari possibili per quando l’avrebbe finalmente trovato, ma non era pronto a come reagì il suo corpo senza neanche rifletterci.
Si alzò di scatto, una furia cieca negli occhi, urlò un –TU! LURIDO PEZZO DI MERDA!- per poi correre nella sua direzione, saltargli addosso e iniziare a prenderlo a pugni."
Genere: Commedia, Hurt/Comfort, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Chuuya Nakahara, Osamu Dazai
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Soulmate'
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Ciao!
Visto che ieri era il compleanno di Dazai oggi ho deciso di tornare con una storia in questo fandom.
Vorrei fare una premessa dicendo che amo tantissimo questo fandom e amo questa coppia.
Ma mi piacciono così tanto proprio perché sono personaggi complessi e sono abbastanza certa di non saper scrivere appieno di loro.
(Ecco anche perché ho scritto così poche storie di loro due).
Quindi vi avverto fin da subito, soprattutto nella parte finale, che i personaggi potrebbero essere molto OOC.
Spero che possiate apprezzare comunque la storia!
Un bacio, a presto,
Deh
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Soulmate - Soukoku


Chuuya odiava la sua anima gemella.
Aveva 20 anni e non l’aveva ancora conosciuta, ma era certo di odiarla, tra le tante cose.
Le cose per lui erano diventate un tantino complicate quando, in un mondo dove ricevevi le stesse cicatrici se non mortali della tua anima gemella, la sua metà aveva deciso di farsi male ogni singolo ogni giorno.
E non erano cicatrici normali, lividi di chi sbatteva o graffi di chi cadeva.
Erano veri e propri tagli profondi sulle braccia, gambe e petto.
Quando aveva 15 anni si era dovuto fasciare la testa e l’occhio perché aveva ricevuto un lungo taglio anche li.
Inizialmente Chuuya era preoccupato.
I tagli erano iniziati verso gli otto anni, non che ricordasse molto della sua vita in orfanotrofio prima che Koyo lo adottasse all’età di sette anni, ma era certo che si sarebbe ricordato di tutto quel sangue.
Era stato preoccupato e con l’angoscia per mesi interi, chiedendosi cosa stesse succedendo alla sua anima gemella.
L’avevano rapito? Lo stavano torturando? Cosa volevano da lui? Perché non era ancora morto dopo tutto quel tempo?
Poi però passarono gli anni, le cose continuarono sempre allo stesso modo e Chuuya passò dalla preoccupazione alla rabbia.
Era arrivato alla conclusione che quella persona si faceva del male da sola, se avesse avuto davvero bisogno di aiuto dopo tutti quegli anni avrebbe trovato un modo per contattarlo, anche solo scrivendo sulla sua pelle una richiesta d’aiuto con i tagli.
Lo odiava perché continuava a farsi del male e lo odiava perché aveva distrutto ogni momento della vita di Chuuya.
Come quando era a scuola e si aprivano tagli sulle sue braccia che gli inzuppavano la divisa scolastica, gli aveva rovinato così tanti giorni di scuola facendogli perdere così tante lezione che aveva iniziato a presentarsi in classe con le braccia già fasciate.
O quando aveva avuto l’esame di fine anno e uno squarcio si era aperto sul suo petto sporcando camicia, banco e foglio dove aveva quasi finito di scrivere tutte le risposte.
O quando ancora era a una festa in piscina e si erano aperti dei tagli sulle sue gambe così profondi che l’acqua divenne rossa in pochissimo tempo.
Chuuya lo odiava, chiunque esso fosse.
Lo odiava perché gli aveva rovinato la vita, ma lo odiava soprattutto perché, nonostante fossero passati anni, aveva sempre quella voglia di incontrarlo e accertarsi che stesse bene, proteggerlo dal mondo e da sé stesso.
Quando aveva 17 anni Chuuya passò due settimane d’inferno.
I tagli e qualsiasi altra cicatrice erano spariti di botto, per due intere settimane la sua pelle rimase candida e priva di deturpazioni.
Fu al terzo giorno che Chuuya iniziò a preoccuparsi.
Perché aveva smesso così di botto? Perché non stava ricevendo più tagli?
Sapeva che le ferite mortali non sarebbero spuntate sul suo corpo, l’ansia che fosse finalmente riuscito a uccidersi lo attanagliò.
Non riusciva a respirare, il suo petto stretto in una morsa, probabilmente stava avendo un attacco di panico.
Rimase chiuso in casa per tutti quei giorni, le finestre chiuse per non far entrare il sole, si alzava dal letto solo per andare in bagno.
Koyo lo costringeva a mangiare, ma lei era spesso fuori per lavoro e non poteva stargli dietro tutto il giorno.
Tachihara e Higuchi erano passati a trovarlo più volte, ma lui si era rifiutato di vederli.
Era quasi diventato uno zombie, non era neanche più sicuro di provare qualcosa, quando dopo due settimane un taglio spuntò sul suo braccio.
Chuuya lo fissò con gli occhi sgranati per secondi interi, il sangue che lentamente gli scorreva lungo la pelle e andava a infrangersi contro le lenzuola.
E pianse, pianse per il sollievo con i singhiozzi, il sorriso in volto mentre si rendeva davvero conto di non averlo perso.
Da quel giorno i suoi tagli si fecero molto più rari, ma anche se passavano giorni senza nessuno di questi erano sempre li a ricordargli della sua presenza.
-Comunque, secondo me, dovresti cercarla- annunciò una sera Tachihara.
Chuuya aveva ormai 20 anni, lui e i suoi amici si erano ritrovati nel loro solito bar dopo il lavoro, erano già tutti abbastanza brilli considerando l’ora tarda.
-Chi?- domandò Chuuya in risposta, le sue guance erano rosse per i diversi bicchieri di vino che aveva già bevuto.
-È ovvio di chi sta parlando- si intromise Gin Akutagawa, mentre suo fratello al suo fianco lo fissava con uno sguardo imperscrutabile, al rosso sembrava sempre che lo stesse giudicando in silenzio, probabilmente era così.
Chuuya scosse la testa –Non è importante.
Higuchi sbatté entrambe le mani sul tavolo con fervore –Certo che è importante, hai già 20 anni e non vuoi che ti ricordi quelle due famose settimane quando avevi pensato di averlo perso, no?
Chuuya arrossì ancora di più.
-Inoltre- Elise canticchiò –Qui ormai siamo tutti troppo curiosi di sapere chi è questa strana persona che fa tutti quei tagli al nostro amico.
Chuuya alzò gli occhi al cielo –Anche se in via ipotetica decidessi di cercarlo, come dovrei fare?
Fu Tachihara a rispondere –Oh lo so, in centro sta un’agenzia di detective che si prendono principalmente casi del genere, un mio collega di lavoro c’è andato una settimana fa e giusto ieri l’hanno aiutato a capire che la sua anima gemella era un altro collega di lavoro. È stata una scena carina, per questo ho pensato che potrebbero aiutare anche te.
Chuuya storse la bocca ma ci pensò seriamente, infine annunciò –Dimmi nuovamente di questa agenzia quando sarò sobrio, okay?
 
E tre giorni dopo, durante il suo giorno libero, Chuuya si trovò di fronte l’indirizzo che Tachihara gli aveva scritto sul cellulare.
Sospirò e si fece avanti a passo svelto, aveva paura di ripensarci e scappare via.
Quando entrò dentro trovò due ragazzi al bancone.
Uno sembrava avere la sua età, era alto e magro con il volto serio, i suoi capelli biondi avevano una ciocca più lunga nella parte di dietro, aveva un cartellino con il nome “D. Kunikida”accanto a lui stava un ragazzino che probabilmente andava ancora al liceo e lavorava li part-time, aveva i capelli bianchi tagliati strani e gli occhi di un colore ancora più strano, nel suo cartellino c’era scritto “A. Nakajima”.
-Buongiorno!- fu proprio quest’ultimo a salutarlo con un grande sorriso –Come possiamo esserle utile?
-Uhm- fece un colpo di tosse per schiarirsi la gola roca –Vorrei trovare la mia anima gemella, mi sta rendendo la vita difficile.
Gli chiesero il proprio nominativo e gli fecero firmare un contratto, poi venne fatto accomodare in una stanza con due divani davanti un tavolino basso dove erano già sistemati dei biscotti e del the, una ragazza di nome Naomi prese il posto dei due uomini alla reception e questi lo accompagnarono dentro la stanza facendolo accomodare su uno dei divani.
Il ragazzo dai capelli bianchi bussò a un’altra porta e quando mise la testa dentro Chuuya lo sentì dire –Ranpo-san, c’è un caso che potrebbe interessarti.
Ne uscì da questa un ragazzo probabilmente alto quanto lui, i capelli castani e degli occhiali dalla marcatura spessa e nera, aveva in mano un sacchetto di patatine che stava sgranocchiando.
I tre detective si sedettero di fronte a lui e il biondo gli fece segno di raccontare la sua storia.
Chuuya lo fece e più andava avanti più si sentiva inquieto per le espressioni dei tre uomini che reagirono in modo completamente differente, facevano così per ogni caso? Era normale?
Il ragazzo che era stato chiamato Ranpo aveva un sorrisetto divertito in volto, di chi aveva già capito tutto ma voleva solo divertirsi guardando come sarebbero andate le cose.
Kunikida aveva una faccia sconvolta e sembrava quasi… dispiaciuto per Chuuya.
Nakajima invece aveva gli occhi che gli brillavano e non riusciva a contenere la sua esaltazione, tanto che quando Chuuya finì di parlare, si alzò di scattò e indicò il rosso rivolgendosi ai suoi colleghi -È lui! È decisamente lui!
Kunikida sbiancò ancora di più.
Chuuya era nervoso –Voi… Conoscete questa persona?
Ranpo ampliò ancora di più il suo sorriso, sembrava inquietante, si alzò e gli porse un fazzoletto –Ti servirà- poi andò via dalla stanza.
I due uomini rimasti lo fissarono con aspettativa, come se dovesse fare qualcosa, Chuuya aveva solo voglia di alzarsi e scappare via.
Nakajima si illuminò ancora di più quando vide qualcosa sul volto del rosso, Chuuya sentì del fastidio sulla sua guancia, alzò una mano per grattarlo via ma quando sentì del liquido viscoso sospirò, era ormai talmente abituato che non si preoccupò di avere la mano ricoperta di sangue quando la ritirò.
Usò il fazzoletto che gli era stato dato qualche minuto prima.
Ranpo tornò nella stanza e domandò –Sta sanguinando, no?- anche se sembrava più un’affermazione che una domanda.
Kunikida annuì lentamente, il moro sembrava soddisfatto, poi afferrò per un braccio un’altra persona e la portò dentro la stanza.
Era un ragazzo alto e moro, i suoi occhi scuri si guardarono intorno con curiosità, poi sembrò fare un broncio e dire in tono lamentoso –Mi hai ingannato, non c’è nessuna bella ragazza qui dentro.
Chuuya registrò che sotto la camicia che il ragazzo indossava si potevano notare delle bende, inoltre il taglio che aveva fresco sulla guancia era impossibile da ignorare.
Chuuya aveva pensato a un sacco di scenari possibili per quando l’avrebbe finalmente trovato, ma non era pronto a come reagì il suo corpo senza neanche rifletterci.
Si alzò di scatto, una furia cieca negli occhi, urlò un –TU! LURIDO PEZZO DI MERDA!- per poi correre nella sua direzione, saltargli addosso e iniziare a prenderlo a pugni.
Chuuya tentò di strozzarlo, il ragazzo rispose con un pugno, continuarono così a picchiarsi rotolando a terra.
Ranpo aveva preso il telefono per fare un video, Atsushi sembrava sconvolto e si girò a fissare Kunikida –Dovremmo… fermali?
-Lascia che il destino faccia il suo corso, Atsushi-kun.
 
Mezz’ora dopo erano talmente stanchi e ricoperti di sangue che si staccarono rimanendo a terra a pancia in su a prendere fiato.
Fu il moro a parlare per primo –Chibi- lo chiamò.
Chuuya ringhiò –Non chiamarmi così!
Il ragazzo rise –Allora come dovrei chiamarti? Io sono Osamu Dazai.
-Chuuya Nakahara.
-ChuChu, perché esattamente mi hai picchiato?
Chuuya divenne quasi dello stesso colore dei suoi capelli sentendo quel nuovo soprannome –Perché sei un pezzo di merda, mi hai rovinato la vita con tutti quei tagli ogni giorno.
Dazai rimase in silenzio, il suo respiro che si stabilizzava, infine sussurrò –Se fossi riuscito a uccidermi come si deve, avrei smesso di rovinare la vita anche a te.
Chuuya sentì un groppo in gola, il suo petto gli faceva male, gli diede un nuovo pugno sul fianco mentre borbottava un –Coglione- tra i denti.
Infine si alzò cercando di darsi un contegno, anche se era abbastanza difficile considerando che metà dei suoi vestiti erano strappati ed era ricoperto di sangue.
Recuperò il suo cappello cercando di pulirlo, mentre era di spalle annunciò –Puoi iniziare a farti perdonare portandomi a cena stasera, un posto dove abbiano del buon vino.
Anche Dazai si era alzato e afferrandolo per un polso l’aveva fatto girare, un secondo dopo le loro labbra erano unite in un bacio aggressivo quanto la loro precedente lotta.
E quando infine Dazai si staccò mormorò –Va bene, si può fare.
 
Quattro mesi dopo erano sdraiati nel loro letto, in realtà era casa di Chuuya ma ormai Dazai si era trasferito da lui senza nemmeno chiedere, non che al rosso dispiacesse.
Era notte, i due ragazzi nudi stesi sotto il piumone, i loro corpi che si rilassavano e calmavano dopo aver fatto l’amore.
Chuuya aveva la testa poggiata sul petto del più alto, il suo sguardo fisso sul braccio privo di bende dell’altro, le sue dita che tracciavano con leggerezza le cicatrici che si era fatto.
-Perché?- mormorò poi in una domanda che non gli aveva mai posto.
Sentì Dazai irrigidirsi sotto di lui.
-Perché Dazai?- ripeté alzando lo sguardo su di lui.
Il diretto interessato aveva una mano tra i suoi lunghi capelli rossi che toccava con dolcezza, il suo sguardo era rivolto al soffitto mentre iniziò a parlare –Non riuscivo a provare nulla, mi sono sempre sentito vuoto, farmi del male… mi faceva sentire vivo. Ho pensato davvero di uccidermi, Oda mi ha sempre fermato.
Chuuya corrugò la fronte, Dazai si rese che non gli aveva mai parlato di lui.
-Oda è sempre stato come un fratello per me, mi ha praticamente cresciuto lui. Lavorava nella polizia, mi ha trovato durante un raid e ha deciso di prendermi con sé, è morto tre anni fa in una sparatoria. L’hanno portato in ospedale ma non c’era nulla da fare, le ultime parole che mi ha detto sono state quelle di chiedermi di continuare a vivere, ha voluto che glielo promettessi. Così ho smesso di tentare il suicidio, quando ho ripreso a tagliarmi è stato solo per tornare a sentire qualcosa, ma non erano più tagli profondi… non so se te ne sei accorto.
-In quelle due settimane, quando hai smesso di tagliarti, io credevo che tu fossi morto.
Dazai portò lo sguardo su di lui incredulo, gli occhi sbarrati.
Chuuya continuò –Mi sono sentito morire, credevo davvero che fossi riuscito ad ammazzarti. E quando mi è rispuntato quel taglio sul braccio il sollievo è stato così grande… da quel momento, anche io, in un certo senso, mi sentivo vivo ogni volta che vedevo un tuo taglio. Perché sapevo che tu eri ancora qui.
Dazai rise –Siamo proprio due casi disperati.
Chuuya mise il broncio –Tu lo sei.
-Ma tu sei incastrato con me.
Il rosso fece una smorfia tornando a poggiare la testa sul suo petto, il silenzio si protrasse per altri minuti.
Era tardi, ma nessuno dei due aveva ancora intenzione di dormire, ognuno troppo preso nei suoi pensieri.
-E adesso?- domandò a bruciapelo Chuuya.
-Mh?- rispose Dazai non capendo a cosa si riferisse.
-Hai detto che non riuscivi a provare nulla, l’hai detto al passato.
E probabilmente Dazai avrebbe risposto al suo solito con una battuta o con un insulto, ma era notte, il buio della loro stanza era confortevole così come il calore del corpo dell’altro su di sé, per questo per una volta decise di rispondere con estrema sincerità in quella che probabilmente sarebbe stata l’unica frase carina che avrebbe mai detto.
-Adesso ci sei tu. Mi fai sentire più vivo di qualsiasi altra cosa abbia mai provato. Ti amo talmente tanto.
Chuuya era troppo imbarazzato per alzare lo sguardo, sentì una lacrima solcare la sua guancia e infrangersi contro il corpo di Dazai, sussurro in modo impercettibile –Ti amo anche io.

[2432 parole]
  
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