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Autore: Lisbeth Salander    20/06/2020    7 recensioni
«Qualche volta ho paura che non ci riprenderemo mai da quello che abbiamo vissuto» confessò Hermione ma Harry lo sapeva che stava parlando di Ron, dell’amore della sua vita, del suo migliore amico, e della sua famiglia, quella stessa famiglia che era stata per loro due, prima estranei e bambini soli in quel mondo, un porto sicuro.
«Si va avanti, Hermione. Con dolore ma andremo tutti avanti» cercò di rassicurarla Harry. Poi deglutì e, fissando quell’orizzonte che tanto li spaventava, disse «Non credo che ad un certo punto accetterò la morte dei miei genitori però non li ho mai conosciuti e non devo lasciarli andare perché non mi sembra di averli mai avuti davvero ma Sirius… non so se sarò mai disposto a lasciarlo andare».
Hermione annuì rivolgendogli un’occhiata densa di tenerezza. Parlava di lui ma parlava anche di Ron, di Ginny, di tutti gli altri.
«Harry» disse poi mentre si allontanava dal bagnasciuga, «Non morire più senza dirmelo».
«Promesso».
Genere: Angst, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Famiglia Weasley, Harry Potter, Hermione Granger
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Footprints in the sand

Chiacchierate in riva al mare

19 Giugno 1998

Sydney, Australia 

Era proprio come l'avevano immaginata. L’Australia era un’infinita distesa di mare, di sabbia, di terra.  
Sembrava la terra dell’infinito. Non sapevano mai cosa ci fosse al di là dell’orizzonte. 
Forse erano gli anni vissuti, i traumi recenti, le torture, le persone che avevano visto morire, il sollievo per essere sopravvissuti unito al dolore per chi non ce l’aveva fatta. Forse era per questo che quella distesa infinita li spaventava immensamente.
Harry raggiunse Hermione sul bagnasciuga porgendole un cappuccino appena preso. Erano stati giorni pesanti, pesantissimi. Erano mesi, forse addirittura anni, che avevano giorni pesantissimi.
«Ti senti minuscolo, vero? Davanti a tutto questo…» disse Hermione, persa tra i suoi pensieri.
Lui annuì in cerca di chissà cosa mentre scrutava l’orizzonte.
«Questo paesaggio mi mette un po’ d’ansia» confessò Harry. 
«È così anche per me ma è strano perché, di solito, il mare dovrebbe calmare» replicò Hermione, «I miei sono ancora un po’ scossi per la questione della Memoria. Sarebbe stato molto peggio se non fossi venuto con me».
«Pensavo mi odiassero visto quello che ha fatto la loro figlia per venirmi a salvare la pelle» disse con un sorriso.
«Non ti ringrazierò mai abbastanza per essere venuto».
«Te lo dovevo» sentenziò lui, «e poi sei la mia migliore amica. Sarei venuto in ogni caso, anche se so che Ron avrebbe preferito essere al mio posto».
Si rivolsero uno sguardo triste, lo sguardo di chi ha spesso condiviso il dolore di dover lasciare la persona amata indietro. Con la morte di Fred, Ron non poteva nuovamente abbandonare la sua famiglia distrutta dalla perdita ed Hermione non poteva attendere oltre per ritrovare i suoi genitori. 
Era stata lei a chiedere ad Harry di accompagnarla, anche se capiva il momento particolare, ma Harry non si era tirato indietro. Quella era l’essenza della loro amicizia: lei sapeva che ci sarebbe sempre stato per tenderle una mano. 
 

«Harry, mi accompagneresti a ritrovare i miei genitori?»
«Certo che ti accompagno».
«Se vuoi rimanere qui con Ron e con Ginny, lo capisco benissimo».
«Hermione, tu mi hai accompagnato dai miei genitori; io ti accompagnerò dai tuoi».

 

Non era stato semplice partire con il senso di colpa a divorarli, con Ron e Ginny devastati da tutto quel dolore. 
«Harry, con Ginny le cose torneranno al loro posto» disse Hermione con dolcezza, appoggiando la testa sulla sua spalla.
«Me lo auguro», rispose lui con tristezza, «Prima di partire mi ha detto di non avermi ancora perdonato per i venti minuti in cui sono morto senza dirglielo».
Hermione sorrise appena pensando all’espressione dura dell’amica. Poi arrivò come un’onda particolarmente violenta il ricordo del momento in cui anche lei, come tutti, aveva creduto Harry morto, e della disperazione provata, del senso di smarrimento e di arrendevolezza che l’aveva travolta alla notizia che il suo migliore amico era morto. Ricordò di aver pensato che per tutti loro era davvero finita.
«Se è per questo, credo di non averti perdonato nemmeno io. Forse solo Ron lo ha fatto» commentò accigliata.
Ron non aveva avuto nemmeno il tempo di arrabbiarsi perché Harry era morto. Lui aveva davvero perso un fratello in quella battaglia e la felicità perché il fratello non di sangue ma d’elezione era ancora vivo aveva spezzato via la sensazione di tradimento che avevano provato per un attimo, quando Harry era andato a morire senza dir loro nulla. 
«Non potevo dirvelo, lo sai» chiosò Harry, camminando nervosamente avanti e indietro e lasciando impronte confuse sulla sabbia.
«A Ron e Ginny non potevi dirlo. A me avresti dovuto» replicò Hermione con durezza.
Hermione era perfettamente consapevole del perché Harry non avesse voluto dir nulla alla ragazza di cui era innamorato. Era ovvio: non sarebbe riuscito a portare avanti quella missione.
Ron, dal canto suo, non lo avrebbe mai lasciato andare a morire, non lo avrebbe mai accettato ma lei, invece, lo avrebbe capito, avrebbe trovato un modo per esserci in ogni caso. 
«Che avresti fatto se te l’avessi detto?» chiese poi Harry con tono stanco. Da quando avevano ritrovato i genitori di Hermione avevano provato a rilassarsi, in quel Paese lontano da tutti i drammi della loro vita.
Hermione tacque per un po’, fissando ancora il mare che la faceva sentire così piccola ed impotente.
«Ti avrei detto che sarei venuta con te» ammise con un sorriso amaro.
Harry sorrise con l’espressione di chi aveva sempre conosciuto quella risposta, poi colmò la distanza e l’abbracciò. 
«Sei comunque venuta con me fino alla fine del mondo» le disse mentre Hermione ricambiava il suo abbraccio.
«Ma tu pensi che ce l’abbiamo fatta sul serio?». 
Il tono timoroso con cui l’amica parlò lo fece sussultare: aveva dato voce a pensieri che lo tormentavano da giorni. 
Da quando avevano lasciato l’Inghilterra, soltanto pochi giorni prima, avevano costantemente in mente i volti affranti dei Weasley, gli occhi arrossati di pianto e di incredulità per quello che stavano affrontando, l’espressione straziata di Andromeda Tonks stretta ad un neonato che era tutto quel che la guerra le aveva lasciato, l’urlo disperato di Dennis Canon quando era tornato a scuola e aveva visto il corpo di suo fratello.
Lo splendore della vittoria, la contentezza per quella missione più grande di loro che erano riusciti a portare a termine aveva presto lasciato spazio all’orrore per quello che la guerra e la battaglia avevano portato con sé.
«P-penso di sì» disse Harry esitante. Doveva esserci un bagliore di speranza: Voldemort era stato sconfitto e con lui era cessato il regime di terrore. 
«Qualche volta ho paura che non ci riprenderemo mai da quello che abbiamo vissuto» confessò Hermione ma Harry lo sapeva che stava parlando di Ron, dell’amore della sua vita, del suo migliore amico, e della sua famiglia, quella stessa famiglia che era stata per loro due, prima estranei e bambini soli in quel mondo, un porto sicuro. 
«Si va avanti, Hermione. Con dolore ma andremo tutti avanti» cercò di rassicurarla Harry. Poi deglutì e, fissando quell’orizzonte che tanto li spaventava, disse «Non credo che ad un certo punto accetterò la morte dei miei genitori però non li ho mai conosciuti e non devo lasciarli andare perché non mi sembra di averli mai avuti davvero ma Sirius… non so se sarò mai disposto a lasciarlo andare».
Hermione annuì rivolgendogli un’occhiata densa di tenerezza. Parlava di lui ma parlava anche di Ron, di Ginny, di tutti gli altri. 
«Harry» disse poi mentre si allontanava dal bagnasciuga, «Non morire più senza dirmelo».
«Promesso».
 

Villa Conchiglia

8 Ottobre 1999

Hermione si era allontanata dal chiacchiericcio dei Weasley già da un po’. Nonostante l’autunno, aveva comunque sfilato le scarpe per avvicinarsi al bagnasciuga. 
Il mare, in quel luogo, non sembrava spaventoso come quello dell’Australia ma non riusciva proprio a calmarla. Ogni onda le portava alla luce una preoccupazione.
«Te lo ricordi come ci impressionava l’oceano in Australia?» chiese Harry con tono squillante mentre appoggiava le sue scarpe accanto a quelle di Hermione.
«Credo che mi spaventerebbe ancora».
«Dovremmo tornarci, invece, insieme a Ron e Ginny. A loro piacerebbe» disse l’amico con il suo solito tono incoraggiante.
«Hai preso anche tu una pausa dalla festa?» chiese Hermione, ignorando il riferimento all’Australia. Harry aveva ragione: a loro sarebbe piaciuto ma lei era ancora perseguitata da quel senso di immensità ed impotenza che l’aveva sopraffatta l’anno prima.
«George ha iniziato a mischiare Whiskey Incendiario ed altre cose e non credo di avere lo stomaco per reggerle» spiegò Harry. 
Hermione si voltò verso il gruppo di persone con i capelli rossi poco distante da loro e sorrise.
«Ron mi ha detto che ha deciso di andare a lavorare al negozio con George, di lasciare gli Auror e che gli hai parlato».
«Non era felice. Lui… credo che lui non riesca più a vedere gente che muore e maghi da combattere. Ha perso troppo» disse Harry pensieroso.
Lasciar andare il proprio migliore amico dal lavoro della vita, da quella che sembrava il loro destino da sempre gli era costato più di quanto volesse ammettere ma Ron lo aveva salvato innumerevoli volte, soprattutto da se stesso, dalla solitudine, da pensieri che gli annerivano la mente. 
Adesso era lui che aveva bisogno di essere aiutato, anche se non sarebbe stato più il suo braccio destro ed il loro sogno da quindicenni non si sarebbe avverato. Era successo altro perché quel sogno potesse ancora essere intatto.
«Solo tu potevi riuscirci. Quest’ultimo anno è stato difficile per lui» disse Hermione, poggiando una mano sul braccio di Harry in segno di ringraziamento.
«Almeno ci sarai tu al Ministero quando avrò bisogno di consigli».
«Mi troverà al Quarto Livello. Hermione Granger, Ufficio per la Regolazione e Controllo delle Creature Magiche» disse lei, ridendo e facendo finta di presentarsi.
«Stare con Ron ti fa bene. Sei più simpatica» la prese in giro Harry mentre riceveva un colpo da Hermione con aria fintamente offesa.
«In giornate come queste, penso quasi che ce l’abbiamo fatta» riprese poi Hermione voltandosi a guardare i Weasley insieme ad Harry.
«Te l’avevo detto che saremmo andati tutti avanti» disse Harry, voltandosi anche lui osservando Ron e Ginny raggiungerli.
«Ecco dove eravate!» esclamò Ginny gettandosi tra le braccia di Harry.
«Avevamo bisogno da una pausa dai brindisi di George» spiegò Hermione mentre Ron l’avvolgeva in un abbraccio. 
«Forse all’undicesimo è diventato un po’ troppo» rise Ginny.
«Credo che sia il più contento di tutti, persino più della mamma» disse Ron con affetto. Ed era vero: non avevano mai più visto George così felice dalla morte di Fred, mai.
Quella felicità era la combinazione perfetta dell’aver ritrovato un fratello a lavorare accanto a lui e dell’annuncio che in primavera sarebbe nato il primogenito di Bill e Fleur. 
«Non capita tutti i giorni che ti annuncino che stai per diventare zio» disse Harry.
«Il primo Weasley di una lunga serie» decretò Ron mentre gli altri scoppiavano a ridere.
Si voltarono tutti e quattro a guardare i festeggiamenti andare avanti: non solo George era radioso ma anche i genitori di Ron e Ginny sembravano finalmente aver ritrovato la gioia che li aveva sempre accompagnati. 
George con l’andatura incerta ed oscillante di chi aveva decisamente bevuto troppo si avvicinò a loro portando pericolosamente con sé altri boccali di Burrobirra.
Non si preoccupò di sfilarsi le scarpe, incurante che sarebbero state travolte dalle onde dell’oceano.
«Non scapperete ancora ai miei brindisi» disse porgendo a ciascuno di loro un boccale mentre Ginny e Ron sghignazzavano.
«Non era minimamente nelle nostre intenzioni» mentì Harry mentre Hermione fissava la sua Burrobirra con aria quasi disgustata.
«Dobbiamo fare un altro brindisi noi giovani» disse George con aria solenne.
«Percy ha solo due anni più di te» gli fece notare Hermione.
«Sì ma lui non è mai stato davvero giovane, anche se da quando ha incontrato Audrey ha scoperto grandi divertimenti. Se avete capito cosa intendo» aggiunse facendo un occhiolino mentre la combriccola scoppiava a ridere.
«Oggi è un grande giorno per la famiglia Weasley» disse poi con solennità mentre alzava il boccale colmo di Burrobirra.
«Uno di quelli da non dimenticare» fece eco Ginny. 
«Resterà assolutamente nella storia» diede manforte Ron.
«Propongo un brindisi al nuovo erede della famiglia Weasley, primo nuovo Weasley di una lunghissima serie» continuò con voce malferma.
«O nuova erede» ribatté Hermione.
«Ginny è l’unica Weasley donna da generazioni! Sarà maschio di sicuro» replicò Ron.
«Io non ci scommetterei» affermò la sorella.
«Dopo apriremo le scommesse sul sesso del nascituro e stabiliremo la posta ma dobbiamo ancora brindare a mio fratello Ron, che mi aiuterà a riempire le tasche della famiglia di galeoni e la vita di persone di fantastici scherzi. Freddie ed io siamo proprio contenti che tu abbia finalmente capito le giuste priorità e che ti sia trovato una fidanzata naturalmente! A Ron e all’erede!» disse porgendo in avanti il boccale mentre gli altri si accingevano a brindare.
«A Ron e all’erede» fecero eco mentre incrociavano i bicchieri.
Hermione guardò Harry con uno sguardo complice, ripensando alla chiacchierata fatta in Australia. Forse aveva ragione.
Quel giorno, a Villa Conchiglia, entrambi pensarono che, sì, forse ce l’avevano fatta.
 

Porthcurno, Cornovaglia

15 marzo 2008

Sulla sabbia le impronte confuse e sovrapposte di tanti piccoli piedini tradivano la presenza di bambini ancor prima dei gridolini che si avvertivano.
Erano scesi tutti in spiaggia approfittando della giornata di sole che era spuntata quel giorno.
Hermione osservava suo marito con il piccolo Hugo, di poche settimane, tra le braccia, e sua figlia Rose, di quasi due anni, mano nella mano con il coetaneo Al, rincorrere goffamente i più grandi.
Accanto a lui, c’era Ginny con le mani sul pancione di sette mesi, l’aria pensierosa e gli occhi intenti a seguire i figli ed i nipoti.
Entrambi erano intenti a parlare con Angelina, la moglie di George, ma ad Hermione non sfuggivano le occhiate preoccupate che spesso rivolgevano alla madre stretta in un abbraccio di Percy che le indicava qualcosa all’orizzonte.
«Sei preoccupata anche tu per ieri, vero?».
La voce di Harry la colse di sorpresa. Doveva essere sceso da poco perché era rimasto a chiacchierare con Bill e Charlie di sopra.
«Ron non ha chiuso occhio e nemmeno io» sussurrò Hermione, passandosi una mano prima sul volto stanco e poi tra i capelli raccolti distrattamente.
«Ginny è stata malissimo. Stamattina ho fatto venire Susan a darle un’occhiata. Questa gravidanza la sta stressando molto ma quel che è successo ieri… ho avuto davvero paura» disse Harry guardando con amore e preoccupazione sua moglie.
«Lo so. Anche Ron lo ha detto… continuava a parlare di Ginny e di quelle fitte. Non l’ho mai visto tanto preoccupato» disse Hermione con tristezza.
«Erano anni che la Signora Weasley non aveva attacchi del genere» commentò Harry scambiando con l’amica uno sguardo carico di preoccupazione.
Gli eventi della sera precedente erano ancora vivi nella loro mente, come fossero accaduti un secondo prima. Hermione aveva inviato un Patronus ad Harry, ancora al Quartier Generale Auror, nel pieno pomeriggio intimandogli di tornare a casa, dopo che la Signora Weasley aveva avuto uno dei suoi attacchi sotto lo sguardo avvilito dei propri figli e quello spaventato dei piccoli Rose, James ed Al. 
Negli anni successivi alla morte di Fred, Molly Weasley aveva attraversato un profondo stato depressivo, alternato a sfuriate di incontenibile rabbia. Nei primi anni tutti loro avevano temuto che lei non potesse riprendersi più nonostante gli sforzi di tutti, soprattutto di Percy, affinché la madre ritrovasse la vitalità di un tempo. 
Era un pensiero ricorrente, un timore radicato nei figli sopravvissuti. Hermione ricordava di Ron che la stringeva durante la notte e le confessava quelle paure, Harry non avrebbe mai dimenticato le lacrime che Ginny non riusciva a trattenere ogni volta che si trovava a fronteggiare uno di quegli attacchi.
Con la nascita dei nipoti, però, il cuore di Molly sembrava essere tornato a guarire: Victoire, nata durante il secondo anniversario della battaglia, era stata considerata il perfetto miracolo, aveva colorato di vita un giorno che sapeva di morte; la piccola Molly, poi, aveva avuto il pregio di riaccendere definitivamente gli occhi dolci di sua nonna. Da lì in poi, sembravano destinati a brillare sempre ad ogni nuovo nipote cui donare cure amorevoli.
Vi erano stati pochissimi episodi, mai particolarmente gravi, che avevano costituito un’eco preoccupante di quel periodo buio fino alla sera precedente, prima che nella cucina di Ron ed Hermione la signora Weasley iniziasse a tremare.
La zuppiera che teneva tra le mani era caduta a terra in mille pezzi, tra le urla di quel dolore mai passato, arrivato a travolgerla come un’onda inaspettata, e le espressioni spaventate dei presenti. 
Hermione aveva assistito impotente, addolorata, esterrefatta dinanzi ai tentativi di Ron e Ginny di calmare la madre mentre incoraggiava Rose, James ed Al, che fissavano la scena disorientati, ad andare a giocare in salotto. 
Il tutto era durato pochi minuti ma ad Hermione era sembrato un tempo interminabile. Mentre Molly si divincolava dalla stretta dei suoi figli, aveva inavvertitamente spinto Ginny che si era aggrappata goffamente ad una sedia. 
Hermione aveva urlato e Ron, di cui avrebbe amato e benedetto per sempre i riflessi da portiere, era riuscito ad afferrarla prima che la sorella cadesse. 
Era talmente abituata a vederli battibeccare che non avrebbe mai dimenticato il modo disperato in cui Ron aveva stretto Ginny, spaventata per quel terzo figlio non ancora nato, non lasciandola mai andare fino a quando non era arrivato Harry. 
La signora Weasley si era ripresa poco dopo, sconvolta dall’accaduto e mortificata dagli sguardi spaventati dei figli, da quelli preoccupati di Hermione ed Harry.
«Ho temuto il peggio, Harry. Non riuscivo a capire come controllare le cose. James si è spaventato tantissimo, continuava a chiamare Ginny e Rose ed Al erano terrorizzati dalla scena» disse Hermione, guardando Ron che  allungava una carezza ai lunghi capelli rossi della sorella.
«Per fortuna, non è successo nulla e Susan me lo ha confermato ma non ho mai visto Ginny così, non ho mai visto così tutti loro, nemmeno negli anni peggiori» disse Harry in un sussurro, poggiando mesto una mano sulla spalla di Hermione.
La baia di Porthcurno, non distante dalla quale abitavano Audrey e Percy, non trasmetteva a nessuno dei due quella sensazione di infinito ed impotenza provata dieci anni prima dinanzi alla spiaggia di Sydney. C’era tutta la loro famiglia, in quella piccola baia, ora costellata dalle impronte di tutti loro.
Eppure l’orizzonte aveva ancora il potere di spaventarli, di farli sentire nuovamente impotenti, di far sentir loro, ancora una volta, il peso della responsabilità.
«Te la ricordi quella domanda che mi facesti in Australia?» chiese Harry dopo alcuni minuti di silenzio tra loro, mentre i loro occhi scorgevano James e Louis che rincorrevano i piccoli Albus e Rose e le loro labbra si muovevano involontariamente in sorrisi pieni di tenerezza.
«Quando ti ho chiesto se ce l’avevamo fatta, intendi? Certo che me lo ricordo».
«Se me lo richiedessi ora, ti direi che non ce l’abbiamo fatta» affermò lapidario mentre Rose ed Albus venivano a nascondersi dietro le sue gambe.
«Te lo direi anche io» replicò, guardando suo marito stringere con apprensione la sorella.
 

9 agosto 2021

Sydney, Australia

Alla fine in Australia c’erano tornati davvero, ventitré anni dopo, ma vi avevano fatto ritorno con tutta la famiglia dietro e Ginny e Ron l’avevano amata, proprio come aveva detto Harry.
Era stata proprio Ginny a proporlo: diceva che sarebbe stato il regalo per i suoi quarant’anni ed Hermione aveva acconsentito per esaudire il regalo di colei che era stata non solo sua cognata e la moglie del suo migliore amico, ma soprattutto una sorella. 
Così erano tornati in quella terra che sapeva di infinito, fatta di immense distese di mare, terra e cielo ed Hermione l’aveva riscoperta negli occhi meravigliati di suo marito, dei suoi figli, dei nipoti. Il senso di smarrimento davanti a quelle distese prive di una fine, però, continuava a non abbandonarla.
Si era avvicinata piano al bagnasciuga chiacchierando con l’amica, che aveva raggiunto i ragazzi e Ron in acqua.
Sulla sabbia c’era ancora traccia del gioco intentato da figli e nipoti: James, Al e Hugo si erano lanciati all’inseguimento di Rose e Lily per costringerle a buttarsi in acqua sotto lo sguardo divertito di suo marito. 
Hermione aveva osservato a distanza e, anche se scuoteva la testa dinanzi a quei giochi, non poteva non amare la scintilla che si accendeva negli occhi di Ron. In quei momenti si sentiva serena, come se fosse davvero riuscita a placare tutte le sue paure. Il periodo di crisi vissuto l’anno precedente era un ricordo lontano: ne erano usciti più forti, più uniti, migliori.
Come un perfetto déjà-vu, Harry arrivò con il cappuccino sorridendole. Lo sguardo di entrambi, questa volta, non era sull’infinito, sull’orizzonte, sull’ignoto. 
Si fermava alla riva dove Ginny, Rose e Lily cercavano di vendicarsi giocando con i ragazzi e Ron: riecheggiavano solo risate. 
Hermione si voltò per un secondo a guardare l’espressione compiaciuta di Harry, i cui occhi verdi erano fissi sulla moglie stretta nell’abbraccio dei figli maschi. 
Tutto quello che avevano rincorso per una vita intera era lì davanti, anche se l’infinito faceva ancora paura, anche se nel Regno Unito c’erano ancora responsabilità importanti, anche se, da loro due, dipendevano tante, troppe, decisioni importanti.
«Allora, signor Ministro, è contenta o no di questa vacanza? Ci sono volute ben otto teste per convincerla» la stuzzicò Harry.
«Credo che anche al Ministro della Magia servisse una vacanza. Non l’avevo capito fino a quando non siamo arrivati qui» ammise lei sorridente. 
«Qui sembra non sia cambiato niente» continuò Harry guardandosi intorno. 
«Tutta sabbia e mare in fin dei conti» rispose pragmaticamente Hermione.
«Lo avresti mai detto che ci saremmo tornati dopo ventitré anni?».
«Io non ci sarei tornata affatto» affermò Hermione, «però, devo dire che anche solo per quelle facce felici laggiù ne è davvero valsa la pena».
«Impossibile non crollare davanti a quelle facce lì!» confermò l’amico. 
Si scambiarono uno sguardo complice. Ne era passato di tempo, di vita. 
In quei ventitré anni era successo di tutto: si erano sposati, avevano avuto figli, erano diventati parte di una famiglia grandissima; insieme avevano rivoluzionato il Ministero della Magia, quel Ministero che un tempo era stato loro tanto nemico. 
Lui era da anni a Capo del Dipartimento Auror. Lei da un anno era diventata Ministro della Magia, la più alta delle cariche del Mondo Magico, la prima Nata Babbana. 

«Quindi, che faccio? Accetto?».
«Non vedo una ragione per la quale dovresti rifiutare».
«Il potere, Harry. Non mi è mai interessato…».
«Proprio per questo. Sei perfetta, io lo so».
«Tu saresti stato migliore».
«Sciocchezze. Devi essere tu. Non sei più soltanto ‘furbizia e tanti libri’».
«Tu, però, mi farai da braccio destro?».
«Così mi fai dubitare di te. Tu hai sempre tutte le risposte. Dovresti conoscere anche questa!».
«Questa non è una risposta da manuale».
«Sei stata praticamente l’unica a non abbandonarmi mai mentre sembrava che stesse finendo il mondo. Non potrei mai tirarmi indietro mentre ne sei al comando».
«Sono terrorizzata».
«Più dei G.U.F.O.?».
«Molto di più».
«Ron ti ha già presa in giro?».
«Ovviamente».
«È ovvio che ti farò da braccio destro. Ti ho mai lasciata sola?».
«Solo quando sei morto per venti minuti senza dirmelo. A parte quella volta, mai».

A pensarci bene erano passati ormai trent’anni dal loro primo incontro sull’Espresso per Hogwarts, trent’anni passati spalla a spalla, un’avventura dopo l’altra: da quelle più terribili, fatte di fughe dai Mangiamorte e da una caccia al Mago Oscuro più temibile di secoli, a quelle elettrizzanti, come fondare una società segreta o far evadere un ricercato pluriomicida in sella ad un Ippogrifo; dalla ricerca di verità nascoste alla scoperta di quelle più belle, come diventare genitori.
Quando Ron aveva lasciato gli Auror, avevano tremato entrambi. Era sempre un trio, il loro. C’era sempre stato un equilibrio naturale perché Ron per entrambi era un porto sicuro, quello che li riportava a casa. Ron riusciva a rasserenarli, a dare leggerezza nei momenti in cui né Harry né Hermione riuscivano a trovarla. 
Poi, però, lo avevano capito tutti e due che quell’anno a cercare gli Horcrux li aveva cambiati ed aveva cambiato anche le dinamiche della loro amicizia e che è non c’era da temere un cambiamento. 
Così erano cambiati ma la loro amicizia era rimasta la stessa di sempre: quando erano insieme erano sempre loro tre e quello non sarebbe mai cambiato. 
Oltre il lavoro, c’era sempre Ron, il sorriso gioviale, la battuta sulle labbra, pronto a risollevarli da qualsiasi malumore del Ministero. Lui non era fatto per quello, per tutta quella tragedia: una vita come la loro lo avrebbe distrutto. 
Harry ed Hermione, invece, condividevano l’innata e naturale vocazione a farsi carico di responsabilità e pesi: lui era nato con il destino del Mondo Magico sulle spalle e lei, senza battere ciglio, se ne era fatta carico. Mai una volta, aveva tradito la volontà di tornare indietro: c’era una causa per cui combattere, una di quelle che Hermione Granger non avrebbe mai potuto tradire.
Per un periodo erano stati entrambi all’Ufficio di Applicazione della Legge Magica, al secondo Livello: lei proponeva leggi, lui le faceva applicare. Il peso non era sempre così grande ma lo portavano in due, parlando per ore di quale fosse la cosa giusta da fare, di come poter fare meglio, di come poter fare di più. 
Quella, secondo Ron, era una cosa che li avrebbe perseguitati a vita.
L’anno precedente Hermione era diventata Ministro della Magia ed il peso era diventato enorme. Questa volta era stato Harry a non battere ciglio e ad offrire la sua spalla per condividerlo. Poco importava che vi fossero dozzine di Consiglieri, Hermione riusciva a prendere le decisioni più spinose soltanto dopo averne parlato con Harry.
«Se te lo chiedessi ora, se ce l’abbiamo fatta, cosa mi risponderesti?» chiese lei all’improvviso, mentre si allontanava di pochi passi per gettare le tazze dei cappuccini.
«Ti risponderei che non lo so se ce l’abbiamo fatta ma che sono davvero estremamente soddisfatto della nostra vita. Ai noi di ventitré anni fa direi di non preoccuparsi e che, tutto sommato, se la caveranno» decretò Harry sorridendo all’avanzare di James, Al e Hugo. 
«Che è più o meno quello che mi hai detto ventitré anni fa. Forse con più esitazione ma mi hai detto che saremmo andati avanti comunque» rise Hermione, «Quando sei morto senza dirmelo, hai acquisito una insolita saggezza».
«Ma poi mi hai perdonato per quello? Ginny lo ha fatto».
«Lei sì, io mai» lo rimbeccò lei con un sorriso mentre i tre ragazzi le si paravano davanti.
«Mamma, sei ancora troppo asciutta» annunciò Hugo.
«Sei sotto scacco, zia» gli diede manforte Al mentre lei alzava il sopracciglio sinistro in segno di disapprovazione.
«Non ho voglia di fare il bagno» protestò lei. 
«Ci aspettavamo questa mancanza di collaborazione da parte tua. Per fortuna, abbiamo un complice» affermò James con aria solenne indicando Harry, che le cingeva le spalle bloccandola mentre i tre ragazzi procedevano a sollevarla da terra, ignorando le sue proteste. 
Mentre veniva trasportata in acqua tra le risate generali, Hermione notò ancora le impronte sulla sabbia, confuse dal gioco che si era appena consumato e in acqua i visi allegri della sua famiglia la distraevano dall’orizzonte che l’aveva tanto spaventata.
Intercettò lo sguardo felice di Harry e pensò che, se fosse stato lui a farle quella domanda, avrebbe risposto che, sì, ce l’avevano fatta, spalla a spalla come ogni volta. 

Sai cos'è bello, qui? Guarda: noi camminiamo, lasciamo tutte quelle orme sulla sabbia, e loro restano lì, precise, ordinate.
Ma domani, ti alzerai, guarderai

questa grande spiaggia e non ci sarà più nulla, un'orma, un segno qualsiasi, niente. 
Il mare cancella, di notte. La marea nasconde. È come se non fosse mai passato nessuno.
È come se noi non fossimo mai esistiti. Se c'è un luogo, al mondo, in cui puoi non pensare a nulla, quel luogo è qui. Non è più terra, non è ancora mare. Non è vita falsa, non è vita vera. È tempo. Tempo che passa. E basta…

A. Baricco - Oceano mare

 
Note: forse in questa storia ci sono parecchie delle mie inquietudini di questi ultimi giorni, molto più autobiografica - con i dovuti correttivi - di altre. Queste inquietudini le ho prese e ho cercato di applicarle ad Hermione ed Harry, che sono sempre personaggi molto tormentati e che su questo tormento interiore fondano gran parte della loro amicizia, uno dei legami più belli della saga, perché li immagino davvero una vita così. Credo anche che il rapporto del Trio si sia inevitabilmente dovuto adattare al cambiamento lavorativo dei tre e che Ron fosse troppo provato dalla guerra per continuare a combattere maghi oscuri. 
La risposta di Hermione alla domanda di Harry sul cosa avrebbe fatto se le avesse detto di dover morire è ovviamente ripresa da Harry Potter ed i Doni della morte - Parte II, posto che nel libro Harry spiega precisamente perché non riuscirebbe a reggere quell'addio.  
Il finale doveva essere molto più amaro ma scrivendo scrivendo mi sono accorta di essermi angosciata a sufficienza e ho voluto restituire un briciolo di speranza e serenità persino ad Hermione. 
Sperando di non intristirvi troppo, vi ringrazio ancora per l'attenzione!

 
   
 
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