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Autore: Elis9800    20/06/2020    10 recensioni
Kageyama Tobio è un geniale avvocato dal cuore di pietra.
Totalmente disinteressato a chi lo circonda, s’imbatte per puro caso in un medico dall’odioso sorriso perennemente stampato sul volto.
Quando una sistematica esistenza perfezionista e solitaria ne incontra una libera da schemi e sprizzante vitalità…
Un ferreo autocontrollo saprà resistere alle sconcertanti conseguenze dello scontro?
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[Future!AU]
[KageHina]
[side!BokuAka] [side!KuroKen] [side!IwaOi]
[14/15, epilogo in arrivo!]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Karasuno Volleyball Club, Nuovo personaggio, Shouyou Hinata, Tobio Kageyama
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Nota iniziale: non è mia abitudine porre avvertenze prima della fine del capitolo, ma in questo caso mi sembra necessario. A un certo punto della storia si toccano tematiche giuridiche propedeutiche alla trama, tuttavia ammetto la mia totale ignoranza in materia, quindi chiedo anticipatamente scusa a tutti gli esperti e le esperte del settore poiché sparerò sicuramente un sacco di cavolate. Non mi sono documentata a dovere per mancanza di tempo, quindi perdonate le mie imbarazzanti lacune :’)




XI

Fatalità  





07:44
Da: Medico idiota

“Buongiorno Kageyamaaaa! Ti aspetta una giornata pesante oggi?😄”


07:49
Da: Kageyama👹

“Le mie giornate sono sempre pesanti, idiota”


07:50
Da: Medico idiota

“Insulti già di primo mattino? Non perdi davvero tempo😳”


07:52
Da: Kageyama👹

“Ho sempre tempo per insultarti”


07:53
Da: Medico idiota

“Ti ci vuole un po’ di zucchero Kageyama-kun, hai fatto colazione? Non mentire al tuo medico😁”


07:55
Da: Kageyama👹

“Sto andando da Murakami proprio adesso”


07:56
Da: Medico idiota

“Mi viene fame solo a pensarci! Che prenderai?🤤”


07:58
Da: Kageyama👹

“Latte e una fetta di torta, li mangio in ufficio”


07:59
Da: Medico idiota

“Aww, ti piacciono i dolci Kageyama-kun😍”


08:02
Da: Kageyama👹

“Smettila con questo ‘kun’, non mi hai mai chiamato così. Mi infastidisci”


08:04
Da: Medico idiota

“Tanto tu ti infastidisci sempre😝”


08:05
Da: Medico idiota

“Comunque te la prendi comoda, sono le otto e cinque e sei ancora in giro🙄”


08:07
Da: Kageyama👹

“Perché, tu hai già iniziato?


08:08
Da: Medico idiota

“Certo, i comuni mortali iniziano il turno alle otto in punto😡”


08:09
Da: Kageyama👹

“I vantaggi del libero professionista”


08:10
Da: Medico idiota

“Ti stai vantando?”


08:11
Da: Kageyama👹

“Dico solo la verità, idiota”


08:12
Da: Kageyama👹

“Che volevi comunque?”


08:13
Da: Medico idiota

“Ricordarti che puoi passare in ospedale in questi giorni per togliere il gesso, dovresti essere a posto ormai”


08:14
Da: Medico idiota

“E comunque, ho bisogno di una motivazione per parlare con te, Kageyama?”


08:14
Da: Kageyama👹

“Non ho detto questo, idiota”


08:15
Da: Medico idiota

“Però è quello che hai fatto trasparire🙄”


08:17
Da: Medico idiota

“Non ti piace parlare con me?😢”


08:18
Da: Kageyama👹

“Ripeto, non ho detto questo”


08:19
Da: Medico idiota

“E allora cosa avresti detto?”


08:20
Da: Kageyama👹

“Sei un rompipalle”


08:21
Da: Medico idiota

“Come eviti bene il discorso😉”


08:22
Da: Medico idiota

“Timidone😝”


08:23
Da: Kageyama👹

“Non sono timido, idiota”


08:23
Da: Medico idiota

“Non sembra proprio😌”


08:25
Da: Kageyama👹
“Mi farebbe piacere vederti in ospedale”


08:26
Da: Kageyama👹

“Che c’è, sei tu il timido adesso?😏”


08:28
Da: Medico idiota

“Kageyamaaaaaa, sei sleale😣”


08:29
Da: Medico idiota

“Anche a me farebbe piacere, lo sai😄”


08:30
Da: Medico idiota

“Devo andare adesso, ci sentiamo più tardi💛”


Un timido, inusuale sorriso sbocciò sul viso stranamente pacifico di Kageyama mentre varcava la soglia di Murakami, scortato dal suono della campanella che risuonò allegramente nell’affollata pasticceria.

“Kageyama-kun, quale onore” lo salutò Kuroo con un ghigno stampato sul volto.
“Kuroo-san” ribatté il legale accennando un inchino, avvicinandosi al bancone gremito di gente.
“Booo, guarda chi c’è” trillò Tetsurou in direzione del ragazzo con ben sei vassoi distribuiti sugli scoppiettanti bicipiti, che cercava di districarsi tra la folla con scattanti slalom.
“Sono un po’ occupato in questo momento, bro” ribatté ad alta voce Bokuto, chinandosi su un tavolino graziosamente apparecchiato e servendo la colazione a due anziane signore dal sorriso cordiale.
“Mi sa che ti toccherà aspettare, Kageyama, stamattina sembra esserci più casino del solito” si fece sentire Kuroo mentre si destreggiava agilmente tra preparazioni di caffè, cioccolate e tè.

Tobio emise un piccolo sbuffo, gettando un’occhiata all’orologio da polso in acciaio che scandiva impietosamente le otto e trentadue.

Lo scricciolo aveva ragione, era tardi anche per lui.
In teoria lo aspettava il consueto, tedioso meeting mattutino delle nove.

“Kuroo-san, avrei una certa fretta” pressò il legale, cercando di avvicinarsi il più possibile alla postazione del moro, spintonando senza mezzi termini le persone accalcate lì davanti.
“La coda si rispetta, Kageyama-kun” cantilenò Tetsurou con un sorrisetto sardonico, piazzando due caffè sul vassoio di un cameriere dai riccioli chiari che si apprestò celermente a raggiungere il tavolo dell’ordinazione.

Prima che Tobio potesse lamentarsi, Kuroo, occhieggiando il braccio destro avvolto nel gesso,  aggiunse scaltramente “A meno che queste deliziose e gentili fanciulle non vogliano elargire la cortesia a quest’uomo infortunato di passare avanti” sfoderando un sorriso seducente alle due ragazze in prima fila dinanzi al bancone, che, colte in contropiede, arrossirono fino alla punta dei capelli.
“C-certo, prego, passi pure” balbettò la più alta fra le due, i cui occhi era incollati al viso magnetico di Tetsurou che le rivolgeva un malizioso occhiolino.

L’intera scena si svolse davanti a un confuso Kageyama che borbottò un “Grazie” appena accennato e non perse tempo a frapporsi fra le ragazze e la postazione del barista, che gli sorrise furbescamente.
“Il solito, Kageyama-kun?” chiese scaltramente Kuroo, mentre con la mano destra gesticolò a una colega di raggiungerlo al bancone per servire gli altri clienti.

Tobio ebbe appena la prontezza mentale di annuire che un imponente vocione lo fece letteralmente balzare in aria.

“Kageyamaaaa, buongiornoooo! Meravigliosa giornata oggi, eh??”

Il viso di Bokuto era smagliante come il sole, nonostante fosse praticamente sommerso da vassoi colmi di stoviglie e pietanze d’ogni genere.

Guardandolo, suo malgrado, un sorrisino si disegnò sul volto severo di Tobio, che chinò la testa e rispose al saluto con cortesia.

“Ah, come farà il caro Kageyama-kun quando io e Bo ce ne andremo da qui? Senza più alcun trattamento di favore” recitò melodrammatico Kuroo, portandosi il palmo della mano sul petto mentre con l’altra versava spigliatamente il latte nel bicchiere da asporto a righine celesti.
“Questo posto perderà in simpatia e buonumore” concordò Koutaro annuendo gravemente.

Kageyama aggrottò le sopracciglia, non comprendendo immediatamente a cosa si riferissero i due.
Dopo qualche istante però rammentò nitidamente la conversazione avvenuta ormai tre settimane prima durante la cena in cui si era ritrovato faccia a faccia con Hinata.


“Dovresti aver finito entro i prossimi due mesi. Smettila di scoraggiarti”
“Cosa farò senza di te, bro? Le giornate saranno così noiose!”
“Avevi detto che non appena se ne sarebbe andato Kuroo avresti accettato il lavoro al Tokyo Metropolitan Gymnasium”



Ah, già.

Kuroo-san e Bokuto-san se ne sarebbero andati da lì in poco più di un mese.

Una strana sensazione di pesantezza gli si adagiò sul petto.

In pochi istanti un flusso di ricordi gli scorse davanti agli occhi, come se stesse velocemente sfogliando un album pregno di fotografie.
Ogni frammento d’immagine ospitava la pasticceria Murakami… ma, insieme a essa, anche due svettanti figure strampalate, una con un’indomabile crestina scura e l’altra con un’eccentrica pettinatura grigia.
Mattine frenetiche in cui riusciva sempre ad acchiappare la colazione in orario per poi dirigersi in ufficio, pomeriggi trascorsi a lavorare su quei graziosi tavolini gustando yogurt fresco o una calda tazza di tè, serate trascorse in compagnia di Akaashi-san, tra le provocazioni di Kuroo-san e gli scherzi di Bokuto-san…

Uno dei pochissimi luoghi da lui prediletti, dal mese successivo sarebbe divenuto un posto qualunque.                    
Un monotono locale scevro di alcuno stimolo.
Privo di… vita.

Che senso avrebbe avuto continuare a frequentarlo?

Tuttavia, riflettendovi attentamente…
La domanda da porsi era un’altra.

Perché aveva perseverato a recarsi ininterrottamente da Murakami?

Era innegabile che si trovasse nelle vicinanze del suo appartamento e sfornasse quotidianamente torte deliziose per ogni palato.  
Era un luogo tranquillo, non c’era chiasso e le canzoncine di sottofondo lo aiutavano a concentrarsi nel lavoro, preferendole nettamente al silenzio opprimente della sua abitazione.

Eppure c’erano tanti altri locali che avrebbe potuto raggiungere con altrettanta facilità.

Perché si era ostinato a non provarne mai qualcun altro?
Perché era sempre rimasto fedele a quella determinata pasticceria?

Era stato Akaashi-san il primo a fargliela conoscere, ormai quasi tre anni prima, ed era divenuta un’abitudine incontrarsi lì almeno una volta alla settimana.
Il motivo che spingeva Akaashi a prediligere Murakami però era la presenza di Bokuto-san.
Lui non era legato da alcun motivo che lo riguardasse personalmente.
Non era un tipo abitudinario, dunque…

Per quale motivo?

Aveva agito inconsapevolmente per tutto quel tempo?

Il suo cervello aveva ricercato la presenza di quei due omoni virulenti e affettuosi, bramandone la compagnia…?


“Non ti sei mai sentito… solo?”


Le parole di Jun gli risuonarono in mente come un mantra persistente.

Possibile che la sua mente avesse inconsciamente desiderato una scappatoia a quello stato di isolamento che da sempre si era autoimposto…?

Il suo attaccamento a quel locale, considerato uno dei suoi luoghi preferiti…

Era dovuto alla capacità di alleviare la solitudine che lo avvolgeva altresì in ogni circostanza della sua vita?

Un’ondata di shock travolse il legale come un’onda anomala inaspettata, inzuppandolo dalla testa ai piedi e lasciandogli una sensazione di gelo sull’epidermide.

Non gli piaceva.

Non gli garbava per nulla la piega intrapresa dagli eventi negli ultimi mesi, colpevoli di aver aperto uno squarcio imprevisto e indesiderato nel suo cervello, facendo confluire concetti e congetture che non sapeva nemmeno gli appartenessero, sepolti sotto svariati strati di autodisciplina…
Ma che adesso influenzavano la sua psiche in maniera irreparabile, confluendo assieme alla sua razionalità e formando un unico nucleo.
 
Cominciava a non sentirsi più… se stesso.

Avvertiva di non possedere più un ferreo controllo sulla sua stessa mente.

E ciò non era possibile.

Non per Kageyama Tobio, almeno.

“Kageyama-kun? Il gatto ti ha mangiato la lingua? Sei rimasto troppo afflitto dalla notizia della nostra partenza imminente?” civettò Kuroo con un sorrisetto sibillino.

Tobio sbatté le palpebre, interdetto da quegli inaspettati ragionamenti.

“Stavo pensando che venire qui non sarà più lo stesso, dopo che ve ne sarete andati”

I secondi che succedettero quella constatazione scorsero con inesorabile lentezza.

Kuroo arcuò entrambe le sopracciglia con espressione stupefatta mentre la mascella di Bokuto crollò inesorabilmente verso il pavimento.

“Kageyamaaaaaa, ma allora ti mancheremo sul serio!” strepitò animatamente, guizzando letteralmente in avanti con le braccia ancora occupate dai vassoi per saltare al collo del legale, ma venne fortunatamente intercettato da Tetsurou che lo bloccò dai fianchi, evitando così un malcapitato incidente.
“Non avrei mai pensato che potessi dire una cosa del genere, Kageyama. Io stavo solo scherzando” proferì Kuroo con sguardo stranamente indecifrabile, fissando i magnetici occhi oblunghi sul viso di Tobio, studiandone l’espressione con tanta intensità da provocare un moto di spiacevole soggezione nel legale, che percepì gocce di sudore freddo scorrere lungo la spina dorsale.

A un certo punto però, il volto di Kuroo si aprì in un sorriso machiavellico.

“Sbaglio o sei di buon umore oggi, Kageyama-kun?”

Tobio, colto alla sprovvista, fu inizialmente a corto di parole.

“C-che?”

“Non fare il timido su, sei entrato con un sorriso trasognato stampato in faccia visibile a chilometri” snocciolò con un sorrisetto sornione mentre terminava di impacchettare la colazione take away.

Le gote di Tobio assunsero il colorito delle fragole che decoravano la torta in bella mostra dietro la vetrina refrigerata.

“Cosa… o meglio, chi mai potrebbe averti reso così allegro?”

Il viso di Bokuto si illuminò istantaneamente.

“Kageyamaaaaaa, stavi pensando a Shoyo, non è così?!” sbraitò con gli occhi color ambra grandi come due piatti da portata.

La faccia di Tobio era vicina all’implosione naturale.

“A questo proposito, Kageyama-kun” aggiunse Kuroo con voce suadente.
“Kenma mi ha detto che tre giorni fa hai fatto visita al piccoletto”

Tobio inghiottì a fatica un grumo di saliva incollatosi ostinatamente in gola.

“Spero che tu abbia reso orgogliosi i tuoi senpai” cinguettò con un tono grondante malizia.
“Che incantesimo ti ha lanciato il piccoletto per farti sorridere a quel modo, Kageyama-kun? E’ uno spettacolo più unico che raro”
“Sembri davvero un’altra persona, Kageyama! Senza quell’espressione sempre corrucciata non hai più rughe sulla fronte!” gli diede man forte Koutaro con tono deciso.

Tobio si rimangiò prontamente la parola.
Non gli sarebbe mancato proprio per nulla quel posto governato dai due famelici avvoltoi.

“Devo proprio andare adesso” mugugnò velocemente con le guance in fiamme, estraendo il portafoglio e lasciando qualche banconota vicino alla cassa.

“Perché scappi, Kageyama-kun? Racconta ai tuoi adorabili zii della tua piccola nuova fiamma” chiocciò Kuroo con un ghigno sghembo.
“Manterremo il segreto, lo promettiamo!” esclamò Bokuto con un occhiolino che di rassicurante non aveva neppure l’ombra.

Tobio non perse tempo a congedarsi, dileguandosi celermente dalla pasticceria e quasi lanciandosi sulla strada, dove fermò affannosamente un taxi per dirigersi al grattacielo in cui risiedeva lo studio legale nel quartiere metropolitano della città.





“Il meeting mattutino è terminato, potete ritornare alle vostre incombenze quotidiane”

La voce di Hashimaki congedò cortesemente i legali dello studio Kitagawa Daiichi alle nove e trenta esatte, puntuale come tutte le mattine.

Stravaccato sulla poltroncina in pelle nera, Kunimi trattenne a malapena uno sbadiglio.

Le prime ore del lunedì erano sempre una brutta bestia.

Si sfregò stancamente gli occhi con i polpastrelli, percependo a malapena una lieve pressione che gli pigiava sulla spalla sinistra.

“Guarda un po’ come Ishii-kun gli deve correre dietro come un cagnolino ammaestrato”

La voce sbeffeggiante di Kindaichi gli giunse ai timpani indistintamente, come se provenisse da una dimensione remota.

Aveva urgentemente bisogno del suo fidato caffè senza zucchero.

“Ah?”

Yuutarou gli pizzicò gentilmente la guancia.

“Ohi, Akira! Svegliaaa!”

“Sei molesto, Yuutarou” borbottò Kunimi, forzandosi ad alzare lo sguardo dal rettangolare tavolo in vetro ed ebano.

Kindaichi appoggiò i polpastrelli dell’indice e del medio sulla tempia destra dell’amico, spostandogli il capo verso la direzione opposta.

” rimarcò con enfasi.

Akira seguì svogliatamente la traiettoria indirizzatagli e…

Un sorrisino perfido gli stiracchiò all’insù la dritta linea del labbro.

“Sembra aver voglia di strangolarlo dopo nemmeno… da quanto lavora con lui?”
“Sei giorni?” ridacchiò velenoso Yuutarou.
“Durerà molto meno di Nakamura-kun. Non mi sembra una ragazza molto conciliante” soppesò Kunimi, osservando il caschetto scuro della giovane nuova assistente di Kageyama che sembrava galoppare affannosamente per star dietro alle lunghe gambe del Re.
“Però aveva un ottimo curriculum, no? Tomomi mi ha detto che ha anche lavorato al Seijo per un certo periodo”
“E adesso l’hanno affibbiata al Re? Non sarà affatto entusiasta dell’inverso salto di qualità” sogghignò mefistofelico Akira.
“Beh, suppongo che allo studio Seijo ci sia molto più lavoro da sbrigare rispetto a qui”
“Sì, ma tra avere qualche ora di turno in più e lavorare per quello lì c’è una bella differen…”

“Ma guarda qui, i nostri adorabili boss stanno spettegolando esattamente come due giovani liceali”

La squillante voce di Yukari interruppe bruscamente la conversazione tra i due legali, che si voltarono in sincrono per cogliere le figure delle due segretarie in piedi dietro la schiera di poltrone in pelle.

“Poi però si lamentano se noi ragazze trascorriamo appena un po’ più del tempo necessario a chiacchierare” aggiunse con un sorrisetto Tomomi, giocherellando con la coda di cavallo bionda.

“Penso sia leggermente diverso espandere arbitrariamente la propria pausa pranzo di un’ulteriore mezz’ora per insultare il ‘verme che mi ha ghostata senza alcuna spiegazione dopo due mesi di relazione’, non credi, Tomomi-kun?”

La ragazza spalancò gli occhi chiari ed ebbe l’ardire di apparire scandalizzata.

“Sapete che è indecente origliare le conversazioni altrui?” saltò su Yukari, appoggiando le mani sui fianchi fasciati da un’attillata gonna nera.
“Come lo è assentarsi dal lavoro per motivazioni futili” constatò Kunimi.
“Esattamente come la vostra adesso, dunque” ribatté Tomomi con un sorrisetto sornione.

Kindaichi dischiuse la bocca per replicare ma parve improvvisamente a corto di parole, limitandosi così a inglobare aria come un pesciolino rosso.

“Ahi ahi Kindaichi-san, come farà ad andare in aula se non sa ribattere nemmeno a una graziosa e candida fanciulla?” sciorinò Yukari con ostentata innocenza.
“Voi due vi accaparrate più libertà di quel che sarebbe concepibile” borbottò Akira, alzandosi dalla sedia dopo aver riordinato le proprie cartelle e incamminandosi verso il corridoio, senza però accennare di voler seriamente rimbrottare le assistenti.
“A voi però non dispiace mica” miagolò Tomomi similmente a un gatto che fa le fusa.
“Cosa fareste mai senza di noi?” recitò melodrammatica Yukari, portandosi la mano al petto e scostandosi i lunghi capelli corvini dalla fronte.
“Avremmo qualcuno che porti i nostri documenti come di consueto dovrebbe essere, per esempio” sbuffò Yuutarou, le cui braccia a malapena reggevano un’imbarazzante quantità di cartelle e portfolio colorati.
“Siete grandi e grossi, potete sollevare qualche chilo in più senza alcun problema” ribatté con leggerezza Yukari, rimirandosi le unghie perfettamente curate.
“Dovreste prendere esempio dalla segretaria di Kageyama” commentò Kunimi scuotendo rassegnato la testa.
“Parlando del diavolo…”

Tomomi si interruppe, fissando gli occhi verdi su una figura china sopra a una scrivania, decine di raccoglitori ad anelli sparsi per tutta la superficie del legno e un’espressione insofferente sul volto.

“Ishii-kun? Tutto bene?” chiese gentilmente la ragazza, avvicinandosi cautamente di qualche passo.

La giovane posò distrattamente le iridi scure sul quartetto.

“Veramente no” sbottò scocciata schiaffando sul tavolo un fascicolo che reggeva tra le mani, il cui tonfo riecheggiò sonoramente fra le mura degli uffici circostanti.
“Non riesco a concepire come quello stacanovista bastardo di Ka…”

Troncò repentinamente la frase, rendendosi conto troppo tardi delle parole sfuggitele di bocca, spostando repentinamente lo sguardo pallido sui legali.

“Parla pure liberamente Ishii-kun, non mordono nonostante l’apparenza” spiegò allegramente Yukari, ammiccando in direzione dei due uomini.
“A causa vostra ormai abbiamo perso la nostra aura minacciosa” piagnucolò Kindaichi.
“Mi dispiace infrangere i vostri sogni di gloria, ma non l’avete mai avuta” ridacchiò perfidamente Tomomi.

La nuova assistente dovette sentirsi rincuorata dall’amichevole scambio di battute, poiché ritornò celermente sul piede di guerra.

“Kageyama-san non fa altro che sputare ordini a destra e a sinistra! A stento mi guarda quando mi parla, come se si schifasse persino della mia presenza. Non lo sopporto” ringhiò, passandosi le dita tra i corti capelli ramati.
“Benvenuta nel nostro mondo, cara” la consolò Yukari con tono comprensivo.
“Ora capisco perché la sua vecchia assistente si è licenziata… anche se so che è stata con lui due anni?! Ma come ha fatto? E’ una con i nervi d’acciaio?”
“Sconfinata pazienza e pacatezza, a quanto pare” spiegò Tomomi scrollando le spalle.
“Si trovava meglio nello studio in cui lavorava prima?” indagò a quel punto Kindaichi, vinto dalla curiosità.

Ishii lo scrutò come se sul collo gli fosse germogliata una seconda testa.

“Sta scherzando, spero? Non c’è lontanamente paragone” irruppe infervorata.
“Non per essere indiscreto, ma come mai allora ha lasciato lo studio Aoba Johsai?” domandò Kunimi con un sopracciglio inarcato.

La ragazza sospirò sconsolata, giochicchiando con l’elastico dei pantaloni grigi del tailleur.

“Al Seijo ho lavorato sei mesi per sostituire l’assistente in gravidanza di uno degli avvocati. Mi avrebbero anche assunta a tempo indeterminato se non avessero già raggiunto il personale necessario. Se dovesse liberarsi un posto libero in futuro mi contatterebbero loro stessi” spiegò mestamente, nonostante una scintilla luccicante le illuminasse graziosamente le iridi castane.
“Mi sembra chiaro che lavorare al Seijo la stimolasse parecchio” dedusse Kunimi con ovvietà.
“Però immagino ci fossero ancor più faccende da sbrigare” osservò Kindaichi.
“Sì è vero, ero sempre indaffarata… ma non crede ne valga la pena quando ogni giorno si ha la possibilità di ammirare il sorriso di Oikawa Tooru?” esalò con espressione trasognata, perdendosi nei ricordi.

Kunimi e Kindaichi emisero all’unisono uno sbuffo esasperato.

“Gelosi per caso?” trillò Yukari con una smorfia maliziosa.
“Ma non dire stupidaggini” si difese prontamente Yuutarou, sebbene le gote si fossero tinte di una sfumatura rossastra.  
“Poveri Kunimi-san e Kindaichi-san, schiacciati dal vostro senpai in tutto e per tutto” ridacchiò Tomomi con leggerezza.

Un guizzo apparve improvvisamente negli occhi scuri di Yukari che, scoccando una gomitata affettuosa sul braccio della collega, squittì eccitata “Non hai trovato nessuno che ti piaccia qui al Kitagawa Daiichi, Ishii-kun?”
“Noi siamo ancora qui, eh” mugugnò Kunimi con una malcelata punta di fastidio.
“Come se non foste curiosi anche voi” replicò Tomomi, sventolando la mano avanti e indietro come per depennare sul nascere ogni problema.

“Direi proprio di no, rasentato tutti la sufficienza” soppesò Ishii, picchiettandosi l’indice sul mento.

“Poveri boss, colpiti e affondati” sogghignò Yukari, trattenendo a stento un’ondata di risa.
“A dir la verità quel tiranno di Kageyama sarebbe anche un bell’uomo, ma il suo carattere orribile mi impedisce anche solo di considerarlo un essere umano, quindi…”

Le due donne a quel punto non riuscirono più a trattenersi e si abbandonarono finalmente a una fragorosa risata.

“Mi viene davvero voglia di fare domanda per l’Aoba Johsai a questo punto” riuscì a pronunciare Tomomi tra un risolino soffocato e un altro.
“Almeno così noi non avremmo più due arpie al seguito” grugnì Kindaichi lanciandole un’occhiataccia.
“Se posso chiedere, Ishii-kun, affiancava il lavoro di che legale in particolare?” chiese Kunimi con espressione apparentemente neutra.
“Lavoravo con Matsukawa-san. Matsukawa Issei, lo conosce?”
“L’abbiamo incontrato in un paio di occasioni”
“Non lo conosciamo bene, però sappiamo che lui e Oikawa-san vanno molto d’accordo. Lo nomina spesso assieme a un altro collega, Hanamaki-san, quando capita di vederci” aggiunse Yuutarou con una punta di orgoglio nella voce.

“Uscite con Oikawa-san e non ci dite nulla?!” saettò immediatamente Yukari con espressione sconcertata.

“Perché, avremmo dovuto riferirvelo?”
“Come minimo avreste dovuto invitare anche noi! Non potete mica tenere Oikawa-san tutto per voi” protestò Tomomi in tono risentito.
“Spirito di condivisione” concordò Yukari annuendo con sicurezza.
Condivisione” mormorò Kunimi, reprimendo un sogghigno divertito.
“Mi dispiace comunicarvelo, ma Oikawa-san è già impegnato” s’intromise Ishii, interrompendo il costernato scambio di battute.

Le facce delle due segretarie si disciolsero simultaneamente come due panetti di burro al sole.

“Chi si è azzardato a rubarlo dal mercato?!”
“Chi è la strega? Voglio proprio vedere se è più bella lei di noi!” proruppe ferocemente Yukari.
“Siete proprio superficiali…” sospirò Kindaichi scuotendo il capo.
“Vorrei vedere lei se stessimo parlando di una donna bella quanto Oikawa-san” ribatté stizzita Tomomi.
“Quindi, Ishii-kun? Chi è la scellerata che si è presa Oikawa-san?!”
“Questo sinceramente non lo so. Nonostante Oikawa-san sia molto estroverso non parla mai apertamente della sua vita privata. O almeno non con il personale assistente” rispose la ragazza facendo spallucce.

Le due si lamentarono sonoramente.

“Così non possiamo nemmeno andare a spiare il suo profilo per sapere qualcosa in più su Oikawa-san” piagnucolò Yukari con espressione afflitta.
“Esatto! E’ una vergogna che Oikawa-san renda pubblico solo il suo profilo ufficiale. Non c’è assolutamente nulla di interessante lì oltre le informazioni di lavoro e qualche foto in giacca e cravatta” inveì Tomomi incrociando le braccia al petto.

“Profilo pub…” tentò di ripetere Kindaichi con viva perplessità, tuttavia le sue parole furono subito trangugiate dall’accesa disamina in corso.

“Se fossi la sua ragazza posterei una foto con lui ogni giorno e mostrerei al mondo intero che razza di figo sia il mio fidanzato” aggiunse con convinzione.
“Anch’io ho trovato frustrante che il profilo personale di Oikawa-san fosse privato, ma immagino sia per evitare che tutti i suoi clienti comincino a sbirciare nella sua vita personale e possano farsi un’idea sbagliata” dedusse Ishii.
“Tra l’altro sembra che accetti la richiesta solo delle persone che conosce personalmente! Ho provato più volte a seguirlo sia con il mio account sia con uno fake e mi ha ignorato entrambe le volte” piagnucolò Yukari con il labbrino in bella mostra.  

“Perché stiamo ascoltando questa conversazione?” sbottò scocciato Kunimi, assolutamente disinteressato alla nuova piega degli eventi.

“Perché è di vitale importanza, ma non pretendo che voi due capiate” sbottò altezzosa Tomomi, facendo ondeggiare la lunga coda di cavallo avanti e indietro.
“Curioso come il vostro concetto di vitale sia paragonabile al massimo della superficialità”
“Perché ci trattate come delle stupide adolescenti? Non penso che voi non vi comportiate in modo simile nei confronti di una bella donna” saltò su Ishii, il cui carattere agguerrito stava emergendo a tutto tondo nonostante il poco tempo trascorso nello studio.
“Dovevi proprio vedere come andavano dietro a Sasaki-san i primi tempi in cui lavoravano qui” rivelò Tomomi coprendosi la bocca con il palmo della mano per celare un risolino, scoccando contemporaneamente un’occhiata verso il fondo del corridoio opposto, in cui da una porta di uno degli uffici a vetro riservati agli avvocati sbucò una donna con un’elaborata crocchia biondo miele e diverse ciocche che le ricadevano dolcemente attorno al viso dai lineamenti scolpiti.
“Sasaki-san ha rubato il cuore a quasi tutti gli uomini dell’ufficio e puoi comprendere chiaramente il motivo” civettò Yukari sbattendo le lunghe ciglia scure.

“Come vi permettete di parlare della senpai in questo modo” sibilò sdegnato Kindaichi con le guance arrossate, adocchiando nel frattempo la posizione della donna e sperando che non avesse udito nemmeno una parola di quel licenzioso discorso.

“Non si faceva tutti questi problemi quando ha tentato in ogni modo di ottenere il suo numero di telefono, Kindaichi-san” cinguettò la ragazza con scaltrezza.
“Nemmeno lei, Kunimi-san, sembrava eccessivamente dispiaciuto quando Sasaki-san le rivolgeva la parola” aggiunse con nonchalance Tomomi, rimirandosi le unghie smaltate di rosa pastello.

Il volto sempre imperturbabile di Akira si incrinò appena, lasciando trasparire una vena tesa in prossimità della fronte.

“Beh, non si può negare che sia proprio una bellissima donna, sembra così sicura di sé con quell’aura di controllo che la circonda… preferirei di gran lunga lavorare con lei” sospirò Ishii con una punta di gelosia mentre con lo sguardo seguiva i movimenti dell’avvocato.

“Perché non ci racconti qualcosa in più su com’era lavorare al Seijo, Ishii-kun? Lo sentiamo nominare in continuazione, però non abbiamo alcuna fonte diretta da cui attingere” cambiò abilmente discorso Yukari, cogliendo l’evidente insofferenza della giovane.

Gli occhi castani di Ishii tornarono a brillare in meno di un istante.

“Il lavoro è decisamente più frenetico rispetto a qui, ci sono ritmi serrati che bisogna costantemente rispettare. Avere la fama di uno degli studi legali più importanti del Giappone comporta un numero elevatissimo di richieste e casi da seguire… eppure, nonostante questo, gli avvocati collaborano davvero in perfetta sintonia. Da quello che ho imparato, il Seijo è davvero una squadra compatta. I legali si consultano spesso sui singoli casi e preferiscono rinunciare a un po’ di notorietà in favore della risoluzione comune. Oikawa-san è ovviamente magnifico, nonostante sia così giovane ha già una sfilza di vittorie da far onore allo studio… ma anche i colleghi che avete nominato, Matsukawa-san e Hanamaki-san non sono da meno. Sono un duetto un po’ particolare, sempre pronti a far battute e alleggerire l’atmosfera. Una risata al giorno con loro è assicurata ed è anche questo uno dei motivi per cui andare in ufficio non mi pesava più di tanto” raccontò entusiasta.
“Il lavoro in sé tra l’altro è proprio stimolante. Facciamo tutti dei turni massacranti, certe volte mi è capitato di rimanere dalle sette di mattina fino alle undici della sera, ma i nostri superiori hanno sempre l’accortezza di chiederci come stiamo o se ce la facciamo a continuare… ci uniamo spesso a loro per le serate tra colleghi, ci offrono anche la cena, un po’ come se fossimo una grande famiglia… pensare che avrei potuto continuare a essere lì mi causa solo un’opprimente malinconia, soprattutto se lo paragono al lavoro che adesso svolgo qui con quel Kageyama. Non me ne vogliate, ma questo studio non ha proprio nulla da spartire con l’Aoba Johsai”

“Wow Ishii-kun, dalla tua descrizione sembra proprio un luogo spettacolare” commentò Tomomi, sinceramente colpita.
“Beh, lo è. Anche noi aspiriamo di potervi accedere, un giorno” annuì solennemente Kindaichi.
“Ambiziosi i nostri boss” cinguettò Yukari con un sorrisetto orgoglioso.
“Certamente! E’ da quando siamo all’università che il nostro obiettivo finale è l’Aoba Johsai. Il nostro percorso è una progressiva salita che ci condurrà alla vetta migliore fra tutte” spiegò Yuutarou con malcelata fierezza.
“Non è quello che vorrebbe anche Kageyama? Non fa altro che ripetere di voler lavorare in un posto che lo merita davvero” rammentò Tomomi, roteando gli occhi al cielo.
“Figuriamoci se quel bastardo non mira alla perfezione assoluta” sibilò velenoso Kindaichi.

“La cosa divertente però è che Kageyama non vuole solo la perfezione. Il suo obiettivo altri non è che Oikawa-san”

Le ponderate parole di Kunimi catturarono immediatamente l’attenzione di tutti e quattro i presenti, che voltarono repentinamente la testa verso la sua direzione.

“Cosa?” gracchiò Ishii, la cui espressione era un miscuglio fra sbalordimento e ilarità.
“Kageyama ha sempre invidiato da morire Oikawa-san, fin da quando l’ha conosciuto con noi all’università. Probabilmente il suo unico scopo nella vita è riuscire a superarlo” confidò Kunimi in  tono palesemente sardonico.
“Superarlo? Sta scherzando, spero?! Kageyama non sarebbe nemmeno in grado di avvicinarsi lontanamente a Oikawa-san! Anche solo paragonarli è assolutamente ridicolo! Come mai potrebbe uno spregevole essere senza cuore eguagliare Oikawa-san? E’ un pensiero talmente ridicolo da far vomitare”
“Certo che non vai proprio per il sottile, Ishii-kun” ghignò Yukari, lasciando intendere il suo apprezzamento.
“So che può dar fastidio, ma non ho mai avuto peli sulla lingua” constatò la ragazza facendo spallucce.
“Kageyama dovrebbe apprezzare vivamente” osservò Kunimi, accennando un sorrisetto.  
“Il Re non si abbasserebbe mai ad ammettere una cosa del genere” ribatté Kindaichi con evidente sprezzo.
“Il tiranno dell’ufficio, eh?” sogghignò Ishii, associando facilmente il nomignolo al reale significato che vi stava dietro.
“Dovreste far fronte comune per escluderlo del tutto dall’ufficio” propose perfidamente.
“Non che non ci abbiamo già provato… purtroppo finché riesce a riportare allo studio i profitti necessari non lo si può smuovere dalla sua posizione” grugnì infastidito Yuutarou.
“Parlare con voi mi sta rassicurando. Pensavo di essere l’unica, ma a quanto pare tutti qui alla Kitagawa Daiichi lo detestano” appurò soddisfatta Ishii.
“Oh, puoi starne certa” concordò Yukari.
“Tutti, dal primo all’ultimo, nessuno escluso” annuì austeramente Tomomi.
“E a lui questo non dà minimamente fastidio?” domandò allora la ragazza con, suo malgrado, una punta di incredulità.

Una risata priva di gioia abbandonò le labbra di Kindaichi.

“A quello là tutto scivola addosso. E’ la cosa che più mi fa innervosire perché non c’è modo di fargli capire che…”

“Io non ne sarei così sicuro, Yuutarou”

Le parole di Akira furono subito succedute da un attonito silenzio.

“Che vuole dire, Kunimi-san?” chiese Tomomi, piuttosto interdetta.
“Voglio dire che ultimamente Kageyama ha dato segni di cedimento”
Cedimento…?” ripetè frastornata Yukari.
“Non sembra il Re dispotico che è sempre stato” asserì nuovamente Kunimi.
“A cosa ti riferisci?” indagò Kindaichi, vivamente perplesso.

“L’ho notato dai suoi comportamenti nelle ultime settimane. E’ come se… in qualche modo, non indossasse più la solita facciata di disinteresse nei confronti del mondo. Come se gli avvenimenti recenti lo avessero intaccato, almeno”

“Sarebbe un evento a dir poco memorabile” commentò Kindaichi, nonostante un’ombra di scetticismo trapelasse dalla sua voce.
“Nell’anno e mezzo in cui ho lavorato qui non ho mai avuto il piacere di vedere la sua faccia scomporsi di una virgola. Se quello che dice è vero, Kunimi-san, non voglio perdermi lo spettacolo per nulla al mondo” dichiarò Tomomi, non provando nemmeno a mascherare la cattiveria che imperniava ogni sua parola.
“Kageyama-san che crolla, eh? Vorrei proprio documentare il grande evento” ridacchiò Yukari, sventolando eloquentemente il cellulare.

“Ma che voi sappiate, è sempre stato così?” intervenne Ishii, corrugando appena la fronte.

“Se ti stai chiedendo se il Re è diventato un despota dal cuore di pietra perché ha vissuto un qualche trauma, mi dispiace deluderti. E’ una trama che va bene per un drama tv, ma nella realtà dei fatti Kageyama è nato stronzo e morirà da stronzo”
“Ahi, duro Kindaichi-san” cantilenò Yukari sfoggiando una smorfia sibillina.
“Da quando lo conosciamo è sempre stato un bastardo senza scrupoli” convenne disinvoltamente Kunimi.
“E pretende di eguagliare Oikawa-san?” sputò sardonica Ishii.
“Forse ho sbagliato a giudicarlo, sapete? Mi fa pena, poverino, illudersi di riuscire a essere come il grande Oikawa-san. Non meriterebbe nemmeno di strisciargli sotto le suole delle scarpe”
“Non sapevo fossi così cattiva, Ishii-kun” sussurrò Yukari con ostentato shock.
“Ci piace” ammiccò complice Tomomi.
“Fa bene una ventata di schietta sincerità in un mondo di formule predefinite” soppesò, giocherellando con i capelli chiari.
“Beh, in questo il Re si discosta decisamente” enfatizzò Kindaichi.
“Fin troppo direi” borbottò Ishii, quasi stritolando i fascicoli stretti fra le dita.
“Cosa medita di fare quindi, Ishii-kun? Rassegnare le dimissioni dopo neanche una settimana?” domandò Kunimi e, seppur accennato, un barlume di furbizia si nascondeva dietro gli occhi scuri consuetamente annoiati.
“Non sono così stupida da dargliela vinta così facilmente a quel bastardo. Sopporterò il tempo necessario stabilito dal contratto, in modo tale da poter inserire nel curriculum l’esperienza qui al Kitagawa Daiichi, e poi lo liquiderò in men che non si dica. Non intendo sputare sudore e sangue per un essere che non merita nemmeno l’unghia del mio alluce”  
“Naka-kun avrebbe dovuto prendere esempio da te, Ishii-kun” rise di gusto Tomomi, estremamente appagata dalla possibilità d’insultare Kageyama senza alcun freno.

“Signore e signori, quanto avete ancora intenzione di gingillarvi senza concludere nulla?”

L’autoritaria voce del senpai Miura riportò istantaneamente all’ordine i cinque presenti che, dopo un celere inchino e qualche parola di rincrescimento, si diressero uno dopo l’altro alle rispettive scrivanie per sbrigare i consueti compiti giornalieri.

Peccato non sapessero che, dietro la porta dell’ufficio all’angolo del corridoio, con mani serrate attorno al bicchiere di latte accuratamente preparatogli da Kuroo, Kageyama teneva la testa sprofondata tra le spalle e cercava in tutti i modi di sopprimere il bruciore che, con profondo sgomento, percepiva all’altezza del cuore.


 
***



Tobio si diresse a passo indolente verso l’ala sinistra dello studio, zona da lui fondamentalmente impraticata.
Sembrava che stesse percorrendo un lunghissimo corridoio imperituro, senza alcuna possibilità di scorgerne l’estremità.
Stretto nel palmo sinistro e pressato contro il petto, quasi a proteggerne il contenuto da invisibili  e pericolose insidie, reggeva un bento acquistato in uno dei conbini al pianterreno.

Inalò a pieni polmoni una cospicua quantità d’aria, che cercò di rinfrancare almeno in minima percentuale il suo intorpidito sistema respiratorio.

In due anni di lavoro al Kitagawa Daiichi, quella era la prima occasione in cui meditava di consumare il proprio pasto nella sala comune dell’ufficio.

L’idea non gli aveva mai nemmeno vagamente sfiorato l’anticamera del cervello.

Perché avrebbe dovuto condividere lo stesso tavolo degli idioti che lavoravano lì?

Okay, forse stava leggermente esagerando.

Non proprio tutti i membri dell’ufficio rientravano nella categoria di stupidi incompetenti.
Sasaki-san e Toobetsu-san erano dei veterani della Kitagawa Daiichi verso il cui operato nutriva una sincera stima…

Dubitava comunque che i suoi colleghi avvertissero particolare nostalgia della sua presenza.
Parevano in tutti i modi ricordargli quanto lo detestassero ogniqualvolta lo vedevano in giro.
Mantenendo le dovute distanze concedeva loro soltanto un grande favore.

Tuttavia c’era un’altra, assai più pratica, motivazione per la quale non aveva mai avvertito l’esigenza di spendere del tempo nella saletta comune, frequentata soprattutto durante l’ora della pausa pranzo grazie alla piccola ma funzionale cucina.

Era sempre stata Nakamura a recapitargli il pranzo, che lui aveva sempre consumato religiosamente da solo nel suo ufficio.
Quando invece aveva in programma delle udienze in tribunale mangiava velocemente qualche sandwich diligentemente preparatigli da Nakamura o, se ciò non fosse stato possibile per mancanza di tempo, acquistati al volo in un FamilyMart.

Rievocare quegli eventi non rendeva certamente più agevole l’impresa che si era prefissato di portare a termine.


“La mia segretaria mi portava il pranzo”

“E te lo preparava lei?? I privilegi di un un lavoro di lusso, eh”



Serrò la mascella con uno scatto teso, percependo il peso che gli gravava sulla casa toracica acuirsi esponenzialmente.

La verità era che non ci aveva mai fatto caso.

Non aveva mai seriamente riflettuto su chi fosse l’artefice dei suoi pasti giornalieri per i trascorsi settecentotrenta giorni al Kitagawa Daiichi.
Si trattava di cibi tradizionali e presumibilmente caserecci, ma non per questo li aveva mai associati a un possibile lavoro extra che Nakamura aveva svolto per lui ogni giorno, tutti i giorni.

Non era mai stato in grado di espletare una così banale operazione cognitiva.
Non per mancanza di intuito spiccio s’intende, bensì…

Perché non gliene era mai fregato un cazzo.

In due anni di affiancamento costante, aveva stabilmente e volutamente ignorato colei che ogni mattina aveva investito minuti del proprio tempo per cucinare cibi tradizionali, seguendo la dieta giapponese alla lettera senza alcun risparmio di ingredienti, come se stesse confezionando il bento del marito o del figlio.

Eppure lui aveva arbitrariamente deciso di ignorare bellamente la dedizione che si era costantemente palesata davanti ai suoi occhi.

Ciò che maggiormente lo turbava però, era che avrebbe perseverato a non accorgersi di nulla se non fosse stato per l’intervento di qualcuno.
 
Una persona che, almeno indirettamente, lo stava spingendo a compiere un’azione che non si sarebbe mai sognato di mettere in pratica appena due mesi prima, la cui sola ipotesi sarebbe stata giudicata come assolutamente patetica.
Una figura che… lo stava contaminando.
Una presenza che aveva iniziato a occupare sempre maggior spazio all’interno del suo cervello, a iniettargli concetti che non gli appartenevano, idee che non lo avrebbero affatto sfiorato poiché non facevano e non avevano mai fatto parte della sua essenza.


“Non ti sei mai soffermato sul fatto che la tua opinione non sia l’unica che conta?"


Digrignò i denti, forzandosi suo malgrado a compiere un ulteriore passo in avanti.

Gli doleva ammettere che Kuroo-san avesse ragione…
Nonostante discordasse fortemente su un piccolo, non trascurabile dettaglio.

Quel dannato medico non gli aveva scagliato un incantesimo, bensì una micidiale maledizione.

Se il se stesso di qualche mese prima avesse avuto l’opportunità di vederlo in quel momento, gli avrebbe certamente vomitato addosso una cocente ondata di disgusto.

Tuttavia…


“Non riuscirei a lavorare per lui un singolo giorno di più. Ho raggiunto il mio limite, mi dispiace”


Le parole di Nakamura non avevano abbandonato le sue sinapsi neanche un giorno di quelle estenuanti tre settimane.

Vi aveva rimuginato fino alla nausea, complice l’associazione d’idee effettuata con Hinata e il suo discorso davanti alla fermata del taxi di quella fatidica serata.
Era stato quello il frangente in cui aveva veramente preso coscienza di come il suo atteggiamento avesse ferito sia il medico sia molte altre persone che lo circondavano, Nakamura compresa…

Ma era anche stato l’ingresso in un inferno che mai avrebbe desiderato varcare.

L’inizio dell’estenuante calvario dei suoi dubbi.

Dubbi su tutto ciò che aveva incessantemente perseguito in ventisei anni di esistenza e che adesso lo stavano lacerando vivo.

Incertezze che l’avevano spinto a rivelare, almeno parzialmente, una fetta del suo animo a quel ragazzino, Jun.

Vacillamenti che l’avevano persuaso a fidarsi della strada che quel medico andava predicando tanto spensieratamente e che lui stesso al principio aveva reputato rivoltante.


“Un medico… un medico cura una persona. Una persona con sentimenti e pensieri… e, in questo caso, per me si vince, sempre!”


Curarsi dei sentimenti della gente…
Quegli stessi sentimenti a lui incomprensibili…

Stava davvero cercando di seguire il consiglio dello scricciolo e affrontare l’ignoto che aveva perennemente trascurato?


“Dovresti lavorare seriamente sulla prossemica e fare uno sforzo per comprendere gli altri”


Si stava realmente azzardando a modificare la sua natura?


“Kageyama è nato stronzo e morirà da stronzo”


Tobio si lasciò sfuggire uno sbuffo pregno di cinismo.

La descrizione gli calzava a pennello, no?

Probabilmente chiunque avrebbe concordato con le parole di Kindaichi.
E a lui andava benissimo così.
Non aveva mai desiderato essere nient’altro di diverso, sebbene il senso di disagio e solitudine provati nelle ultime settimane lasciassero intendere il contrario.

Ciò nondimeno, stava seriamente tentando di cambiare opinione solo per quella misera ragione, contrastando tutti i suoi ideali?

Non credeva ancora fermamente che assecondare le emozioni umane sarebbe stato ripugnante e privo di ogni senso logico?

Aspirava a migliorare se stesso per non essere più considerato uno stronzo?

Ma ciò non avrebbe significato l’irrimediabile perdita delle innate caratteristiche che lo rendevano chi era davvero?

Stava effettivamente cedendo a quel medico strampalato il controllo sulle sue azioni e pensieri…?


"Voglio dire che ultimamente Kageyama ha dato segni di cedimento”


Un moto di rabbia gli imperversò violentemente le viscere.

Lui, cedimento?   

Che idea assolutamente ridicola.

Kageyama Tobio non sarebbe crollato dinanzi a nulla.
Era l’unico in grado di poter eguagliare Oikawa-san.
Non soltanto poiché era l’avvocato più capace dello studio, ma anche perché era l’unico che assomigliasse al suo senpai.

Forte, indipendente, senza scrupoli.

Non doveva curarsi dei futili pareri di quei due inetti.

Stava pensando troppo.
Non doveva indugiare.

Inalando a pieni polmoni, oltrepassò la soglia della sala comune che, all’una di un giovedì pomeriggio, era piuttosto gremita.

Non appena osò a mettervi piede, però, tutti i presenti ammutolirono all’istante, come se avessero improvvisamente scorto un essere soprannaturale piombato da una galassia sconosciuta.

Un velo di nervosismo si adagiò chetamente sull’animo inquieto di Tobio, che cercò a fatica di deglutire il nodo che gli comprimeva la gola.

“Che immagine inusuale, il Re che si degna di consumare il pasto assieme ai comuni mortali”

La voce di Kindaichi sembrò risuonare fra le quattro pareti della stanza come un grido in una foresta solitaria, la cui eco amplificata a dismisura riecheggiava per interminabili minuti.

“Oh? Il mondo deve essersi rovesciato” osservò Kunimi con un mezzo sorriso mentre agguantava una manciata di noodles istantanei e se li portava alla bocca.

Pressando le labbra in una linea retta, Kageyama s’impose di ignorare gli sgradevoli commenti e le occhiate lanciategli dai colleghi, premurandosi invece di rintracciare il vero oggetto del proprio interesse.

“Non capisco cosa sia venuto a fare, però” continuò Yuutarou ad alta voce, come se Kageyama non fosse affatto lì presente.
“Che abbia perso qualcosa?” ironizzò Tashiro tra un morso di onigiri e un altro.
“Probabilmente, anche perché non capisco che altro potrebbe farci qui” ridacchiò Oritsume sorseggiando birra in lattina.
“Non che sarebbe il benvenuto” ghignò sommessamente Kindaichi scoccando uno sguardo truce in direzione di Tobio, le cui spalle si irrigidirono.

Era molto peggio di quel che avesse pronosticato.

L’ipotesi di un pranzo civile in mezzo ai colleghi sfumò miseramente come vapore.

“Dov’è Nakamura?” domandò a quel punto senza mezzi termini, sforzandosi malgrado ciò di mantenere un tono di voce stabile.

Per la seconda volta nel giro di appena qualche minuto, nella saletta calò nuovamente il silenzio.

“Perché mai la cerchi, Kageyama?” ribatté Oritsume, la cui espressione aveva perso ogni traccia dell’ilarità di pochi istanti prima, cedendo il posto a una carica non indifferente di aggressività.

“Non hai già reso a quella poveretta la vita impossibile?”

“Sei proprio sadico, Re”

“La sto cercando per parlarle” abbaiò Tobio con insofferenza, soverchiando la moltitudine di voci che si affollavano concitate per scombussolargli il cervello.

“Da quando in qua ti degni di parlare con qualcuno? Non sputi sempre ordini a destra e a sinistra?” saettò Kindaichi, incapace di trattenere il veleno meticolosamente accumulato nel corso degli anni.

La pazienza di Tobio stava ormai rasentando il limite.

“Non sono affari che ti riguardano” replicò cercando di mantenere una parvenza di calma che però, purtroppo, non si era mai annoverata fra le sue abilità distintive.  

“Che c’è, Re? Come mai sei così docile oggi?”

La pungente provocazione di Kunimi gli causò un sussulto involontario.

Strinse il bento che portava sotto braccio con talmente tanta irruenza da imprimersi la plastica sul costato.

“Invece di farmi perdere tempo, ditemi dov’è Nakamura” strepitò, maledicendo ogni tentativo di suonare quantomeno beneducato.
Con i membri di quel fottuto studio era un’impresa impossibile sul nascere.

“Oh, che tono soave, fa proprio venir voglia di elargire una risposta” sogghignò ironico Oritsume per poi aggiungere, con voce minacciosamente seria “Faresti meglio a non cercarla più, Kageyama, almeno non in mia presenza”

Tobio ingollò con enorme sforzo un insulto furibondo che premeva forsennatamente per sgorgare dalla sua bocca, ma che in quel momento gli sarebbe giovato a ben poco.

Raddrizzando dignitosamente la schiena, scollò gli occhi dai visi odiosamente taglienti degli avvocati e spostò lo sguardo sul tavolo retrostante, dove consuetamente si accomodava il personale assistente.
Adocchiò la segretaria bionda a cui, mesi prima, aveva involontariamente causato il rovesciamento del caffè sui vestiti e notò che i suoi occhi chiari fossero puntati proprio su di lui.
Tuttavia, l’espressione che gli stava rivolgendo… non era più pregna di timore.

Era…

Disgustata.
 
E, con ampia incredulità, scoprì che la medesima emozione albergava sui lineamenti della sua nuova segretaria, Ishii, che lo stava squadrando come se fosse un insetto schifosamente spiaccicato al suolo.

Forse fu proprio quel freddo disdegno a intimargli di congedarsi senza pronunciare una singola parola, lasciandosi alle spalle le risatine di scherno che sussurravano malevole “Il Re che va via con la coda tra le gambe, che spettacolo”.





Seduto sulla poltrona in pelle davanti all’imponente scrivania in noce, Tobio sbocconcellava il suo bento immerso nel silenzio del suo ufficio.

Non era un’immagine molto diversa dalla norma.

L’unica consistente differenza si riscontrava in quel bento, un preconfezionato acquistato al FamilyMart e non il solito pasto casalingo cucinatogli appositamente da…

Un grugnito insofferente trapelò dalla trachea di Tobio, le cui dita erano impegnate a stritolare le povere bacchette in legno.

Non sapeva nemmeno il motivo per cui gli era balenata in mente quell’idea aberrante.

Avventurarsi in territorio apertamente ostile non lo avrebbe completamente intimidito se avesse sfoggiato la sua classica personalità strafottente.  

Ma il problema era esattamente quello.

Non voleva comportarsi come di consueto.
Non ambiva a riproporre il medesimo pattern che aveva applicato fin da quando era giunto al Kitagawa Daiichi.
Voleva, in qualche astrusa maniera che non aveva ancora palesemente compreso, mutare almeno in minima parte il proprio atteggiamento nei confronti di coloro che lo circondavano, clienti, colleghi o chicchessia.

Agguantò un tocco di riso e se lo ficcò in bocca con ferocia, assaporandone il gusto a malapena.

La verità era che nonostante si ostinasse a negarlo, le parole di Hinata, sommate agli eventi delle ultime settimane, lo avevano inciso non superficialmente come altresì avrebbe auspicato.

Se n’era reso conto persino lui, non erano ragionamenti totalmente campati in aria.

Non era un caso che le reazioni della maggior parte della gente nei suoi confronti si dividessero unicamente fra il terrorizzato e l’incollerito.
Non ci sarebbe stato niente di male a modificare leggermente il modo di interagire con loro, no?
Non avrebbe significato smarrire l’aura autoritaria che lo caratterizzava, assolutamente no.
Era una mera quisquilia, un lieve cambiamento che avrebbe solo comportato qualche beneficio nella sfera della socializzazione, nulla di più.

Anche se…

Perché doveva scomodarsi fino a quel punto?

Per quale motivo avrebbe dovuto ammorbidire il proprio carattere per quel branco di perdenti?

Certo, quella pagliacciata l’avrebbe condotto a uno scopo ben diverso.  
Aiutarlo a comprendere l’assurdo caleidoscopio che erano le emozioni umane, a detta di Hinata.
Non che avesse radicalmente torto…

Ma si trattava di un sentiero arduo e tedioso e i suoi adorabili colleghi non gli avrebbero certamente reso il compito più agevole.

Non che avesse il diritto di lamentarsi, comunque.
 
Era conscio che l’accoglienza riservatagli da quegli idioti era meritata.
Anni e anni di disprezzo accumulato fino ad assumere la forma di un’inamovibile roccia.

Eppure, quell’onda di disgusto selvaggiamente scaraventatagli in faccia…
Iniziava a coglierlo impreparato.

Grugnì sonoramente, trattenendosi dallo sbattere la testa contro il tavolo.

Evidentemente il suo fievole tentativo era stato un disastro, considerando i risultati di appena venti minuti prima.

Non poteva aspettarsi di alterare gli animi con un espediente del genere, però almeno avrebbe compiuto un piccolo, minuscolo, passetto in avanti.

Passo che tuttavia era frenato da spesse e poderose radici ancorate nelle profondità del suo cervello, apparentemente impossibili da sradicare.

Doveva cercare di persuadere la sua ferrea razionalità che il mostrarsi non schifato dal mondo intero non implicava conseguentemente una perdita di vigore agli occhi altrui.

Insomma, cazzo, Oikawa-san era perpetuamente osannato da tutti.

Chi aveva avuto l’occasione di conoscerlo di persona aveva indubbiamente appurato che si trattasse di uno stronzetto presuntuoso, ciononostante non gli era mai stata affibbiata la fama di bastardo senza cuore.
Amava stare al centro dell’attenzione, sfoggiare il suo carisma innato e conversare amabilmente con chiunque.
Esattamente l’antitesi della sua personalità schiva e solitaria.
Eppure, ciò non aveva in nessun caso sbeccato l’alone di forza che lo attorniava.
Anzi, sembrava nettamente il contrario.
Capacità oratoria e scioltezza lessicale invidiabile costituivano ormai il suo marchio di fabbrica.

Non sarebbe cambiato nulla dunque se anche lui avesse sperimentato un atteggiamento più accomodante, no?

Era vero, la sua estetica verteva a sbattersene delle futilità che lo avrebbero soltanto reso un ipocrita, unico lato di Oikawa-san che Tobio non agognava affatto eguagliare.

Però, se ciò avrebbe significato evitare di ferire nuovamente Hinata senza nemmeno accorgersene…

Un momento.

L’unica ragione di quel drastico, irragionevole mutamento… era esclusivamente lo scricciolo rosso?


“K-kageyama-san?”  


Una tremula voce femminile lo scosse brutalmente dai suoi pensieri, facendogli sollevare lo sguardo verso la porta a vetri dell’ufficio, dove, china su se stesa come se avesse desiderato nascondersi da un’imminente incursione, stava in piedi Nakamura, mani strette attorno all’inseparabile agenda in pelle.

“Mi è stato detto che mi ha cercata…?” chiese titubante, probabilmente aspettandosi una lavata di capo da lì a pochi secondi.

Le bastò tuttavia un’occhiata alla scrivania del legale, su cui svettava il contenitore di plastica nero con ancora metà pasto all’interno, a far dissolvere anche la minima sfumatura di colore dal suo viso.

“M-m-mi dispiace Kageyama-san, non volevo interromperla, p-passo più tardi quando non è occupato” si affrettò a discolparsi chinando la testa, iniziando contemporaneamente a indietreggiare.

“No!” quasi tuonò Tobio, sorpreso dall’imprevisto arrivo di Nakamura, scattando in piedi per evitare che se ne andasse e con lei il suo tentativo già andato in fumo una volta.

Evidentemente si trattò della parola sbagliata da pronunciare poiché la ragazza si paralizzò sul posto, assumendo un’espressione vivamente terrorizzata.

Soffocando una sonora imprecazione, Tobio esalò un sospiro insofferente, maledicendo la sua innata mancanza di adeguatezza.

“Volevo dire… n-non c’è bisogno di passare più tardi. Non mi hai interrotto” cercò di spiegare con rinnovata compostezza.

Nakamura sbatté velocemente le palpebre, azzardando un’occhiata verso l’alto per valutare il grado di irritazione del legale.
Non scorgendone sorprendentemente alcuno, si decise a sollevare lentamente il capo.

“Non devi nemmeno scusarti, sono io che ho chiesto di te” aggiunse Tobio in un sommesso borbottio, distogliendo lo sguardo dal viso interdetto di Nakamura e notando con la coda dell’occhio che, a diversi metri di distanza dal suo ufficio, semi nascoste dietro una scrivania erano accucciate la segretaria bionda che lo aveva fissato con ribrezzo poco prima e un’altra ragazza con lunghi capelli neri, che se non ricordava male era la segretaria di Kindaichi.    
Parevano scrutare attentamente, e stranamente, nella loro direzione.

La ragazza non rispose, non sapendo concretamente cosa dire o fare.

Non parlava con Kageyama da ormai tre settimane.
Lui non aveva mai accennato di volerle rivolgere la parola dopo le sue pubbliche dimissioni.
Non che biasimasse il suo ex capo.
Non aveva rispettato l’ordinario protocollo e non gli aveva concesso il tempo necessario per provvedere alla sua sostituta.
Senza poi considerare il modo in cui lo aveva informato delle proprie intenzioni.
Era perfettamente a conoscenza che Kageyama-san fosse malvisto dalla stragrande maggioranza dei legali dell’ufficio.
Kunimi-san le aveva proposto di prendersi una piccola rivincita per se stessa dopo gli anni di incubo a cui lui l’aveva sottoposta…
Ma in fondo, Nakamura era conscia che il motivo per cui Kunimi-san glielo avesse suggerito fosse per umiliare apertamente Kageyama-san.  
Eppure lei aveva accettato, ignorando ogni possibile rimorso.

In quel momento, però, non riusciva a nascondere di essersi pentita di aver partecipato al gioco del capo di Yukari.
Era naturale che Kageyama-san fosse infuriato con lei…

Tuttavia non si aspettava che la mandasse a chiamare così d’improvviso, soprattutto dopo così tanto tempo dal fatidico giorno.
Il suo ex capo era un tipo piuttosto impulsivo, non lo aveva mai visto attuare una ripicca a distanza di settimane dall’evento scatenante.
Non a caso era rimasta scioccata quando Tomomi e Yukari le avevano concitatamente raccontato, appena rientrata da una delle miriadi di commissioni in giro per la città che Oritsume-san le affibbiava ogni santo giorno, che Kageyama-san avesse persino messo piede in sala comune pur di cercarla.

Oltre a una velenosa sfuriata, quindi, non sapeva sinceramente che altro aspettarsi dal legale.
Di certo ciò che mai nella vita avrebbe presagito sarebbero state…

“Ti ho cercata perché volevo scusarmi”

Delle… scuse?

Nakamura sgranò talmente tanto gli occhi scuri da riuscire a scorgere i pixel dell’immagine visiva davanti a sé.

Cosa avevano appena udito le sue orecchie?!

Doveva, ovviamente, aver sentito male.
Non ci sarebbero state ulteriori spiegazioni.
O aveva battuto la testa da qualche parte e adesso stava letteralmente sognando.

La faccia sconcertata di Nakamura dovette far scattare qualcosa nel legale, poiché reclinò lievemente la testa, percependo la punta delle orecchie infiammarsi spietatamente.

“S-so che magari non ti interesserà sentirtelo dire. Ti sei licenziata proprio per evitare di avere a che fare con me… però mi sembra corretto, e doveroso, porgerti le mie scuse”

La bocca della ragazza era dischiusa, come se avesse desiderato emettere qualche suono ma la voce si ostinasse a rimanere rinchiusa in gola.
Teneva le pupille ancorate al viso di Kageyama, immobile come una statua di pietra.

“Mi sono comportato male con te, Nakamura. Non… non saprei nemmeno da dove cominciare” mugugnò sommessamente, arpionando le unghie della mano sinistra sullo strato di gesso avvolto all’avambraccio.

Dio, non poteva credere che lo stesse facendo veramente.
Non aveva la più pallida idea di come scusarsi dovutamente nei confronti di qualcuno che non fosse un senpai…
Era terrorizzato dalla prospettiva di combinare un casino ancor peggiore di quello in cui era già immerso fino al midollo.

“Non… non ti biasimo per aver deciso di andartene. Capisco che… che sia stata colpa mia se tu…”


“Non riuscirei a lavorare per lui un singolo giorno di più. Ho raggiunto il mio limite, mi dispiace”


Ricordare quell’affermazione gli causava sempre una spiacevole ondata di nausea.
Perché non se n’era mai accorto, perché?!

“Se tu ti sia sentita esasperata. Non ho….”

Esalò un profondo respiro, seppur un po’ tremante.

Lo stava confessando sul serio?
Stava volontariamente ammettendo, ad volta voce, davanti a una mera sottoposta, di…

“Non ho svolto il lavoro che ci si aspetterebbe da un buon superiore”

Di non essere stato capace di adempiere al suo lavoro?!

Stava mostrando di non essere in grado di gestire in maniera appropriata neanche una segretaria?
Se si stava così oscenamente prostrando dinanzi a una nullità, come sperava di ottenere il riconoscimento dell’élite dell’avvocatura giapponese?!

“Non ho mai considerato che il mio modo di agire potesse ferirti in qualche modo. A dir la verità non ti ho mai nemmeno considerata come una persona”

Lo sguardo stralunato venato di mortificazione della ragazza fece realizzare a Tobio cosa gli fosse appena fuoriuscito dalla bocca.

Gli veniva voglia di sbattersi il cranio contro il muro.
Perché, perché era così dannatamente difficile esprimere cosa provasse?!

“I-i-intendevo dire che non ti ho mai considerata come una persona con… con…”

Le mani stavano iniziando a sudargli copiosamente e percepiva il collo e le guance andargli letteralmente a fuoco.

“Un persona con degli stati d’animo, ecco. Capace di… sentirsi ferita…”


“Perché le persone non sono macchine, Kageyama! Sono esseri umani e in quanto tali si comportano!


“Tu per me eri solo… eri solo qualcuno che dovesse ottemperare al lavoro che gli affidavo in maniera veloce e impeccabile. Le lamentele non sarebbero state accettate. Una… una macchina insomma”

Una goccia di sudore freddo gli colò lungo la tempia destra.

Cosa cazzo aveva appena detto.

Dio santissimo, perché non si tappava la bocca, perché non si infilava il gesso giù per la laringe e non la piantava di peggiorare la situazione minuto dopo minuto.

Com’era possibile che una semplice segretaria gli stesse inducendo malessere fisico?
Com’era concepibile una situazione del genere?
Lui, Kageyama Tobio, ridotto in quello stato pietoso per una ragazza che non contava assolutamente nulla?!

“E… e tu sei sempre… sempre stata una buona… macchina

Oh merda, non poteva farcela.

Ruggì frustrato, afferrandosi la testa con la mano sinistra e stringendo le dita fra i capelli in una morsa ferrea.

“Sto cercando di dire che hai sempre lavorato in maniera efficiente senza lamentarti, non mi è mai venuto in mente che non ti stesse bene il modo in cui mi comportassi nei tuoi confronti” esplose finalmente, formulando i suoi confusi pensieri in una constatazione sensata.
“Per me era ovvio che tu sapessi di che pasta fossi fatto, quindi non ho mai prestato attenzione a una tua possibile insofferenza”
“Ma, ovviamente, mi sono sbagliato di grosso” mormorò poi abbassando drasticamente il tono di voce, gettando di sbieco una rapida occhiata alla ragazza…

Che però, incomprensibilmente, non aveva dipinta sul volto un’espressione schifata, esattamente come tutti coloro che lo avevano fissato nella sala comune mezzora prima.
Non disgustata… ma neppure terrorizzata.
Era un’espressione che faticava a identificare, in realtà.

Gli occhi parzialmente celati dagli spessi occhiali scuri non lasciavano trasparire né tristezza né ira.

Forse fu la consueta mancanza di emozioni negative che convinse il legale a proseguire nel suo altalenante discorso.

“Mi sono accorto troppo tardi che nonostante non ci avessi mai fatto caso, il tuo lavoro per me è sempre stato puntuale, ineccepibile e… non te ne sono mai stato riconoscente”

Era un lieve tremolio quello che aveva preso d’assalto le sue mani?

“So che adesso è inutile, però volevo che lo sapessi comunque” concluse infine, inalando una vacillante boccata d’ossigeno.

Non riusciva a staccare le pupille dal parquet in legno.

Per la primissima volta nella sua vita, decideva volontariamente di prostrarsi dinanzi a qualcuno. Riconoscere un errore, ammetterlo a voce alta, porgere le proprie scuse…

Si trattava di un mucchio di azioni talmente incongruenti da provocare al suo cervello una probabile implosione.
Il cuore gli batteva convulsamente contro la cassa toracica, nonostante non ne comprendesse la causa.

Ansia?
Ma di cosa, in realtà?
Aspettativa?
Paura?
Paura di che?
Di un rigetto?
Era così prevedibile che non capiva perché il suo muscolo cardiaco si scomodasse fino a quel punto.
Rabbia?
Nei confronti di se stesso per aver ceduto a quella patetica confessione?
Timore dell’inevitabile reazione che sarebbe sopraggiunta di lì a breve?
Ma che reazione temeva maggiormente?
Sdegno?
Ira?
Sbeffeggiamento?

Dal canto suo, Nakamura era la personificazione vivente dello sbigottimento.

Le parole gli erano sostanzialmente morte in gola fin dal principio di quell’allucinante discorso.

Si concesse parecchi secondi per osservare l’uomo che per due anni era stato il suo capo, uomo che negli ultimi mesi era arrivata persino a considerare alla stregua di un mostro privo di umanità.
Quell’uomo imponente, che doveva sempre guardare dal basso verso l’alto, dallo sguardo perennemente irritato, che aveva la capacità di farla sentire una nullità con una singola occhiata…

In quel momento, di quell’uomo non v’era alcuna traccia.

Colui che si ergeva davanti i suoi occhi era un ragazzo che dimostrava tutta la sua giovane età, a stento qualche anno in più di lei.
Era un ragazzo che probabilmente non aveva mai porto le proprie scuse ad anima viva e non sapeva nemmeno da dove incominciare.  
Un ragazzo che, spogliatosi dalla sontuosa veste d’arroganza e superbia indossata giornalmente, aveva svelato una semplice tunica pallida con cui non era abituato mostrarsi.

Gli sembrava quasi una persona… normale.

Un sussulto le sconquassò inaspettatamente il torace.

Un repentino ricordo, balenatogli in mente solo superficialmente quando aveva deciso di interrompere il contratto con Kageyama, irruppe fulmineo nel suo disorientamento.

Non sarebbe mai riuscita a dimenticare l’inevitabile mattina di tre settimane prima.
Il frangente in cui aveva finalmente ceduto, abbandonando il lavoro alle dipendenze di Kageyama-san.
Il giorno in cui aveva afferrato in mano le redini del gioco, infliggendo volontariamente uno smacco a quell’uomo senza alcun preavviso.
Tuttavia…
Quale era stata la vera motivazione che l’aveva spinta a licenziarsi e, soprattutto, ad accettare la perfida proposta di Kunimi-san?
Non poteva negare di essere stata travolta da una rabbia raramente sperimentata prima d’allora, però non era mai stata una persona vendicativa.
Yukari, Tomomi e i loro superiori erano convinti che avesse agito per ripicca e si erano congratulati con lei…
Ma la realtà era ben diversa da ciò che appariva.

Rammentava nitidamente che, nonostante la nausea e l’ira che quell’uomo le aveva causato quell’inevitabile mattina, v’era stato un peculiare pensiero a emergere fra gli altri.

Aveva provato il vivido desiderio di scuotere quel legale schiavo dell’autocontrollo.
Aveva percepito la palpabile necessità di comunicargli che non tutto potesse sempre seguire i suoi incrollabili piani.

La ragione per cui aveva preso quella drastica e meschina decisione, andava oltre la semplice esasperazione covata per ben settecentotrenta giorni.
Aveva pensato, magari egoisticamente, che forse il suo minuscolo gesto avrebbe scosso qualcosa nell’animo di quell’uomo apparentemente senza cuore.
Avrebbe consentito un mutamento, per quanto irrilevante esso potesse essere.
L’avrebbe portato a chiedersi, a domandarsi… perché.

Era consapevole che fosse una possibilità praticamente inesistente.
Quell’uomo aveva dimostrato la sua intrinseca natura fin da quando aveva messo piede nello studio legale.
Eppure…
Eppure qualcosa in lei l’aveva incitata a provare.
Forse in realtà era solo ciò che restava del suo orgoglio che la istigava a sfidare il legale.
Sfidarlo a mantenere la sua impassibile impalcatura di autocontrollo dinanzi a quell’improvvisa piega degli eventi.

Ciononostante, si era trattato soltanto di mere congetture prive di fondamenta.
Nakamura non si era mai seriamente soffermata a riflettere sulla reale possibilità che Kageyama potesse farsi un esame di coscienza.

Eppure, eccolo davanti ai suoi occhi basiti, il legale che era stato il suo tormento per anni e che appariva come… come un ragazzino mortificato.
Era talmente surreale che…

Un sorriso le smosse finalmente le labbra imbambolate.

Le faceva venir voglia di ridere.

Alla fine non avvertiva più il bisogno di sentirsi intimorita da quell’uomo che di spaventoso non aveva proprio nulla.

Era… liberatorio.

Gli inquieti occhi blu di Tobio continuarono a vagare per la superficie perfettamente levigata del parquet per un tempo indefinito, prima di decidersi a rialzarsi sulla sua silenziosa interlocutrice.

L’immagine che carpirono le sue pupille tuttavia lo colse talmente impreparato da sbattere più e più volte le palpebre.

Nakamura stava…

Sorridendo?

Quella scialba, insignificante ragazza di cui aveva sistematicamente rimosso il nome per un imbarazzante arco di tempo, non accorgendosi nemmeno della sua presenza…

Gli stava sorridendo?

Quella giovinetta neutra, dai colori comuni, che non aveva mai spiccato in tutto l’ufficio…

Aveva delle graziose fossette sulle guance?

Possibile che non vi avesse mai prestato attenzione in due anni di affiancamento costante?

Ma la domanda più pressante era…

Aveva mai scorto quella ragazza sorridere?

Ovvio che non l’avesse notato.

Si dimenticava persino il nome, cazzo.
Era palese che non potesse neppure rammentare che sulle guance avesse due adorabili fossette del cazzo che gli ricordavano quelle di…

“Kageyama-san, accetto le sue scuse”

Tobio spalancò gli occhi, riportandoli febbrilmente sul volto di Nakamura.

Era la prima volta che lo guardava con espressione… serena.
Si sposava bene con il suo viso, si rese conto.

“E… per me l’importante è che se ne sia reso conto, alla fine. Meglio tardi che mai, non crede?” scherzò seppur timidamente, reclinando la testa e allargando il sorriso che accentuò ancor di più le fossette sulle gote rosate.

Tobio la fissava come se si fosse appena materializzato uno spirito ultraterreno.

“Tu… non… sei…”

Quella conversazione gli rievocò uno strano senso di déjà vu.


“Cosa, pensavi che non avrei sentito ragioni? Per tua fortuna sono molto più accomodante di te”


“Arrabbiata con lei, Kageyama-san?”

Le similitudini fra quella ragazza e Hinata erano davvero allarmanti, appurò reprimendo un brivido e annuendo lentamente.

Il sorriso di Nakamura si tramutò in una smorfia un po’ amara.

“Non posso negare di esserlo stata. Però in realtà, Kageyama-san, non è stata soltanto rabbia. Quello che non potevo più sopportare non era solo il modo in cui mi trattava”

S’interruppe, regredendo in uno stato di ponderata cautela.

In fondo le scuse del legale non equivalevano automaticamente al poter dar libero sfogo ai suoi più reconditi pensieri…
Stranamente però, il legale la scrutava con aspettativa, come se fosse seriamente avido di conoscere cosa gli passasse per la testa.

Inalando un profondo respiro, racimolò il coraggio necessario per confessare ciò che l’aveva condotta al capolinea dell’umana sopportazione.

“Non ne potevo più di vederla trattare i suoi clienti con tanta… freddezza. So che lei è un uomo impegnato, non perde tempo con i convenevoli e va sempre dritto al sodo… ma non ce la facevo più ad assistere ogni giorno a quell’atteggiamento… disumano”

I battiti del cuore di Tobio guizzarono imbizzarriti.

Disumano?
Lo aveva appena descritto come…

“Mi dispiace se sono stata troppo ardita” aggiunse velocemente, cogliendo l’improvvisa sfumatura cupa negli occhi dell’uomo.

“No… no. E’ un’opinione legittima, non… devi scusarti” borbottò Tobio, seppur intimamente turbato.

“Quello che vorrei che capisse è che… sono felice che lei se ne sia reso conto, Kageyama-san. Speravo che il mio licenziamento potesse farla riflettere” confessò con le guance appena arrossate, serrando nervosamente le dita attorno all’agenda.

Tobio arcuò le sopracciglia, sorpreso.

Cosa aveva fatto…?

“Anche se a dir la verità non ci speravo mica” ammise con una risatina imbarazzata, mordicchiandosi il labbro inferiore.

Tobio a quel punto la osservava sinceramente interdetto.

Quella ragazza non aveva pensato solo a se stessa quando aveva deciso di andarsene?

Perché mai agire così?
Era una scelta indirizzata alla sua individualità e avrebbe influenzato il suo benessere futuro.
Perché scomodarsi a degnarlo di considerazione quando era da lui che avrebbe dovuto andarsene?!

Il viso sorridente di Hinata invase cocciutamente le sue sinapsi e gli parve di udire chiaramente la sua voce cristallina squillare canzonatoria “Kageyamaaaa, ti pare che siamo tutti come te? Le persone sono altruiste! Che ti aspettavi, musone?”

Possibile che quel dannato scricciolo avesse ragione fino a tal punto?
Che quella sua balorda convinzione… fosse corretta?
Empatia, coinvolgimento emotivo, considerazione dei sentimenti umani…
Che fosse quella la giusta strada da percorrere?

Era talmente sconvolto da non sapere come replicare.

“Mi dispiace se ho oltrepassato il limite, Kageyama-san” si affrettò a scusarsi Nakamura, a cui non era sfuggito lo stato di smarrimento in cui versava il legale da ormai qualche minuto.

Tobio ebbe a stento la forza di scuotere la testa.

“No… io… non… hai pensato a me nonostante non vedessi l’ora di liberarti di me…?”

Non riusciva a capire.

Nakamura assunse un’espressione meravigliata.

“Beh… sì? E’ così strano? E’ stato il mio capo per due anni”

La ragazza non riusciva ad afferrarne la ragione, ma quell’uomo che per così tanto tempo aveva percepito come inarrivabile, insensibile, glaciale…
Si stava rivelando piuttosto semplice parlare con lui.
 
“Peccato però che non lo sia più” sussurrò distrattamente Tobio, dando voce ai propri ragionamenti.

Impiegò qualche istante a rendersi effettivamente conto di cosa avesse appena pronunciato e la sua reazione fu scioccata quanto quella di Nakamura.

Come cazzo gli era saltato in mente di dirlo sul serio?!

Sì okay, gli sarebbe piaciuto, ma avrebbe ricevuto in risposta un ovvio diniego, chi voleva prendere in giro?!
La vita di Nakamura era un paradiso ora che non lavorava più per lui, no?!

Che razza di patetico idiota era stato, merda.

Nakamura credeva fermamente di non essere mai stata tanto sconcertata in vita sua.

Kageyama-san, quel Kageyama-san, aveva appena ammesso che…

Un calore sconosciuto le avvolse dolcemente il petto, cullando i suoi battiti cardiaci accelerati in un confortante abbraccio mentre un sorriso un po’ emozionato nacque sul suo viso, accendendole le gote di una gradevole sfumatura rosata.

Kageyama-san… sperava che lei fosse ancora la sua segretaria.

Era conscia che, razionalmente parlando, quella frase non potesse compensare di una virgola tutto ciò a cui era stata sottoposta nei mesi precedenti, tuttavia…
Non riusciva a non reputarla un’immensa, schiacciante vittoria.
E, anche se non avrebbe dovuto…
Quella rivelazione la rendeva davvero felice.

“Ci penserò, Kageyama-san” mormorò con tono gentile, guardando il volto stralunato del legale con sincerità.

Prima che Tobio potesse sfuggire da quell’invadente stato di shock e racimolare la forza necessaria per ribattere, udì sommessamente una voce rauca chiamare il nome di Nakamura.

La ragazza si voltò celermente per captare la provenienza della voce, per poi raddrizzare la schiena e accennare un inchino.

“Adesso devo andare, Kageyama-san. Oritsume-san mi starà aspettando” si congedò educatamente con il sorriso ancora sulle labbra e, senza attendere una possibile risposta, si apprestò a dirigersi verso l’ufficio dell’avvocato.

Colto da un inspiegabile moto di panico, Tobio allungò il braccio e circondò l’esile gomito della ragazza con la mano sinistra, pronunciando un gracchiante “Na…Nakamura!”

La ragazza si fermò, girando con circospezione il capo e ricambiando l’espressione frenetica del legale con una nettamente più serena.

“Sì, Kageyama-san?”

Tobio deglutì un gigantesco grumo di saliva.

“Volevo dirti grazie per… per tutte le volte che mi hai preparato il pranzo” mugugnò flebilmente con lo sguardo rivolto verso il basso.

Desiderava ardentemente morire dall’imbarazzo.
Le orecchie rosso fuoco poi non lo aiutavano di certo a occultare la sua indecorosa condizione.

Nakamura lo squadrò per qualche secondo con occhi vacui per poi abbandonarsi a una risata genuina, per il rinnovato shock del legale, lanciando contemporaneamente un’occhiata al solitario bento che troneggiava sulla boriosa scrivania.

“Non c’è di che, Kageyama-san. L’ho sempre fatto con piacere” rivelò con un sorriso lievemente ammiccante che mai avrebbe immaginato di assumere dinanzi al tenebroso avvocato.

Dopodiché, con un ultimo saluto, la ragazza girò i tacchi e si affrettò verso il corridoio dove, veloci come due furetti, la raggiunsero in un baleno le due amiche che fino a quel momento l’avevano aspettata nascoste dietro un’ampia scrivania e che non persero tempo a bombardarla di domande.

Tobio seguì con lo sguardo Nakamura allontanarsi fino a sparire nell’ufficio di Oritsume, separandosi così dalle due colleghe che ritornarono svogliatamente alle rispettive postazioni.

Si sentiva…

Spaesato.

Come se avesse affrontato un lunghissimo viaggio per raggiungere una destinazione sconosciuta,  giungendovi sfibrato ed estenuato.

Riportò lentamente gli occhi blu sulla scrivania, su cui acora faceva capolino il bento da consumare.

Era una sensazione strana, mai sperimentata prima d’allora, però…

Non poteva dire che gli dispiacesse.






18:23
Da: Medico idiota

“Com’è andata la giornata?😄”


19:11
Da: Kageyama👹

“La mia giornata si è conclusa adesso, a differenza della tua”


19:19
Da: Medico idiota

“Io sono stato di turno dalle otto di stamattina a differenza di qualcuno😡”


19:20
Da: Medico idiota

“Invece di fare l’antipatico rispondi alla mia domanda🤨”


19:21
Da: Kageyama👹

“Non diversa dalle altre giornate”


19:23
Da: medico idiota

“Sei davvero noioso😒”


19:25
Da: Kageyama👹

“E tu sei troppo insistente.”


19:26
Da: Medico idiota

“Ma ti ho solo chiesto come è andata oggi😢 sono insistente per interessarmi alla tua vita??”


19:27
Da: Kageyama👹

“🙄”


19:28
Da: medico idiota

“???”


19:29
Da: Kageyama👹

“Idiota.”


19:30
Da: Medico idiota

“La smettiiiiiii🤬”


19:32
Da: Kageyama👹

“Oggi ho parlato con la mia ex segretaria”


19:33
Da: Medico idiota

“Quella che ti preparava il pranzo con le sue manine?😁”


19:34
Da: Kageyama👹

“Idiota”


19:35
Da: Medico idiota

“Dovresti arricchire il tuo vocabolario, Kageyama-kun🤣”


19:35
Da: Medico idiota

“Cosa sei riuscito a dirle? Non era proprio… emh, felice l’ultima volta che hai parlato con lei, no?


19:36
Da: Kageyama👹

“No, affatto”


19:37
Da: Kageyama👹

“Mi sono… scusato con lei”


19:38
Da: Medico idiota

“!!!”


19:38
Da: Medico idiota

“😦”


19:39
Da: Kageyama👹

“??!!!!!”


19:40
Da: Medico idiota

“Ti sei davvero scusato con lei?? In modo gentile??”


19:42
Da: Kageyama👹

“Non so dirti per il gentile, però sì, mi sono scusato”


19:43
Da: Medico idiota

“E lei che reazione ha avuto??”


19:44
Da: Kageyama👹

“Mi è sembrato che le facesse piacere e… mi è sembrata contenta, o almeno penso”


19:45
Da: Medico idiota

“Kageyamaaaaaa, ma è fantastico!! Che ti avevo detto??🥳”


19:46
Da: Kageyama👹

“?”


19:47
Da: Medico idiota

“Tratti bene le persone e loro ti trattano bene di conseguenza😌”



Tobio fissò intensamente il display del cellulare, ignorando il sottofondo di voci e clacson che animavano la città alle prime luci della sera.

Nonostante fosse soffocata dalle sue rinnovate intenzioni, un’inquietante e voluminosa presenza si annidava in un angolino della sua mente, sussurrandogli, di tanto in tanto…

Vuoi davvero diventare come quel medico da quattro soldi, Tobio?
Vuoi davvero abbassarti a elemosinare scuse e sentimentalismi come ogni babbeo buono a nulla che hai  sempre detestato?
Vuoi davvero ridurti a una poltiglia senza spina dorsale?
Vuoi davvero… essere debole come quell’Hinata Shoyo?



 
***



“Kageyama? Stai sognando a occhi aperti?”

La pacata voce del corvino lo fece sobbalzare appena.

Strinse le dita della mano sinistra sul manico della fidata ventiquattrore in pelle nera e riportò celermente la propria attenzione sul suo interlocutore.

“Akaashi-san, sei sicuro di non dover tornare a casa? Mancano pochi giorni all’esame per magistratura…”
 
Il ragazzo scosse fermamente la testa, elidendo ogni problema, continuando a camminare rasentando il limite del marciapiede piastrellato.

“Mi fa bene prendere una boccata d’aria, non preoccuparti” rispose tranquillamente.
Poi, scoccando un’occhiata in tralice a Tobio, aggiunse con un sorrisetto malcelato “Allora, come vanno le cose? Mi sembra che la situazione con Hinata sia nettamente migliorata”

Le guance di Tobio s’infiammarono istantaneamente.

“C-che intendi?”

Keiji si permise una risatina.

“Quante volte devi reagire come se cadessi dalle nuvole, Kageyama?” lo prese in giro con tono canzonatorio.
“Ormai è passato qualche mese di troppo per essere sorpresi”

Tobio si mordicchiò il labbro, mantenendo lo sguardo sulle vetrine colorate dei negozi che costeggiavano la strada.

“Beh…” mugugnò, tentando di non cedere al rossore che minacciava di attanagliargli le guance.

In fondo, di cosa si vergognava?

Akaashi-san era un suo amico… o almeno, una specie di amico.
Era giunto a patti con la propria coscienza ormai da un po’, non ci sarebbero stati problemi ad ammettere la verità ad alta voce, no?
 
“Sì, adesso sta andando piuttosto bene” concesse alla fine.

Keiji inarcò il sopracciglio con aria eloquente, non accontentandosi della miseria offertagli.

Tobio sbuffò lievemente contrariato, ma non così irritato come lo era stato alle origini, quando il corvino aveva iniziato a indagare discretamente sulla sua situazione con il medico.

“Diciamo che… ho cercato di rimediare per il mio comportamento. Gli… gli ho fatto una sorpresa e sono andato a casa sua” confessò velocemente, incrementando il passo e sorpassando il senpai grazie alle lunghe gambe, evitando così di lasciar trasparire il proprio imbarazzo.

Purtroppo però il suo vano espediente fu piuttosto fallace poiché Keiji riuscì ad adocchiare l’espressione impacciata del legale e non risparmiò un risolino malizioso.
“A casa sua, eh? E… posso sapere che avete fatto?”

La vena allusiva non sfuggì alle orecchie del legale che avvampò dalla testa ai piedi e ancorò gli occhi blu sulle piastrelle grigie del marciapiede.

“Avanti Kags, non fare il timido”

Tobio si voltò di scatto con espressione scioccata all’uso improprio del suo nome, solo per trovare il viso divertito di Akaashi che lo fissava con ilarità.
“Stai troppo tempo con Kuroo-san, la sua influenza sta diventando evidente” borbottò assottigliando gli occhi.
“I suoi metodi sono discutibili, ma spesso efficaci” replicò semplicemente il corvino con una scrollata di spalle.

Grugnendo, Tobio ricominciò a camminare, svoltando distrattamente a un incrocio e proseguendo su una strada che fiancheggiava un parco puntellato di alberi dalle foglie colorate.

“Ci siamo baciati”

I piedi di Akaashi inchiodarono bruscamente, provocando una sonora imprecazione da parte di un passante alle sue spalle che gli finì addosso.
Il corvino però registrò a malapena le indignate lamentele, troppo impegnato a fissare sbalordito la schiena di Kageyama, le cui orecchie erano tinte di un’inconfondibile sfumatura rossastra.

“Vi siete…?” ripetè con aria smarrita, ma la confusione fu di breve durata poiché tornò subito alla carica, raggiungendo l’amico e scoccandogli un pugno amichevole sul braccio sinistro.
“E bravo Kageyama, finalmente un progresso degno di nota”

“Che vuoi dire con degno di nota” sbottò aspramente, girando la testa per fulminarlo con lo sguardo.

Degno di nota il bacio?!

Perché il modo in cui il suo cervello era stato letteralmente disintegrato fra ragionamenti contorti e autoimposizioni di coscienza non era stato degno di nota?!

“Beh, Kageyama, da quando mi hai parlato per la prima volta di Hinata vi siete sempre mossi con piedi di piombo. Tra la fase di diniego e quella d’accettazione è passato più di un mese e mezzo, non credi?” osservò razionalmente Akaashi.

Il broncio che apparve sui lineamenti di Tobio assomigliava terribilmente all’espressione di un cocciuto bimbo di sei anni.   

“Non è stato semplice” borbottò ostinatamente.

Keiji emise uno sbuffo divertito.

“Non è stato semplice è un eufemismo. Troverei più appropriate parole come sfiancante, spossante, logorante…”

“Okay, okay, ho capito” lo interruppe spazientito Tobio, grattandosi frustato la nuca.  
“E’ una situazione del tutto nuova per me… immagino che tu lo sappia” ammise fievolmente.
“E’ difficile… ascoltare una voce che non sia la tua, un’opinione che non sia la tua. Capire che bisogna scendere a compromessi se si vuole stare insieme a qualcuno…”

S’interruppe, sbiancando di colpo.

Stare insieme a qualcuno?!

Aveva appena detto di voler stare insieme a qualcuno?!
Sul serio?!

Nonostante lo shock evidente sul viso del legale, Akaashi non esitò a controbattere prontamente.

“Non a caso si chiama relazione, Kageyama. Un relazione tra due persone, un continuo scambio di idee, pensieri, emozioni… non è un sentiero a senso unico, come sei sempre stato abituato a percorrere, ma una strada a doppio senso”    

Le parole del corvino scavarono un solco nella memoria di Tobio, imprimendosi profondamente come un tatuaggio a fuoco.

“Devi aprirti alla possibilità del cambiamento. Se rimani chiuso nelle tue idee, se non ammetti di avere torto quando sbagli, se ti ancori nei tuoi principi… non ci sarà alcun futuro”

Il tono di Akaashi era pacato, ma determinato in ogni singola sillaba pronunciata, tanto da provocare un brivido nel legale.

Nessun futuro.
Infinita solitudine.
Eterno… nulla.

“Io… io ci sto provando, Akaashi” mormorò alla fine, dopo che ebbero camminato in silenzio per qualche minuto.
“Solo che è difficile… il modo in cui pensa Hinata è agli antipodi dal mio. Mi viene difficile capire quando sbaglio, anche se ancora più complicato è capire il perché del mio sbaglio” mugugnò a testa bassa.

Keiji ascoltava taciturno, seguendolo a passo rilassato mentre una lieve brezza gli arruffava i capelli ondulati.

“Non riesco a non pensare che stia invadendo la mia mente, prendendone il controllo e lasciandomi fuori. Non potrei mai tollerare una cosa del genere” rivelò con sforzo sovrumano, serrando le nocche attorno al manico di pelle della valigetta fino a rendere l’epidermide cadaverica.

Era la prima volta che si abbandonava a una confessione tanto personale con Akaashi.
Le sue congetture più intime non avevano mai varcato i meandri della sua mente.

Si sentiva incredibilmente scoperto, vulnerabile.
Nudo dinanzi a un gigantesco occhio che gli trapassava l’anima, estorcendogli anche la più esigua goccia di verità.
Una sensazione ributtante che gli faceva venir voglia di sparire per sempre dalla faccia della terra.

“Sai, un tempo odiavo il contatto fisico”

Tobio sbatté le palpebre, ruotando il capo per guardare il volto pensieroso di Keiji.

“Il solo pensiero di essere sfiorato da qualcuno mi faceva vomitare. Limitavo i contatti al minimo, rimanevo chiuso nella mia distanza interpersonale e mi andava benissimo così. Il sesso era l’unica eccezione, ma preferivo essere io a toccare e a fare la maggior parte del lavoro” spiegò quietamente, con un velo di malinconia adagiato sugli occhi cobalto.
“Non sapevo spiegarmi esattamente il motivo… un po’ mi disgustava, ma a dir la verità mi rendeva principalmente nervoso. Sconoscevo la ragione, però”  

Il ragazzo continuò a camminare lentamente, gettando uno sguardo al parco che stavano costeggiando, al cui interno si scorgeva una coppia di bambini con le mani dolcemente intrecciate.

“Anche da piccolo non sono mai stato un bambino particolarmente affettuoso. Quando qualche adulto provava a scombinarmi i capelli o a pizzicarmi la guancia mi ritraevo immediatamente. Non lo sopportavo” esalò con un sospiro.

Tobio teneva gli occhi puntati sul viso del senpai, percependo qualcosa di discordante nel suo discorso.

“Ma se non sopportavi il contatto fisico, come hai fatto quando…”

“Poi, però, ho conosciuto Bokuto-san”

L’affermazione di Keiji interruppe la domanda del legale, predicendone il quesito intrinseco.

Tobio increspò le sopracciglia, piuttosto scetticamente.

Una risatina proruppe dalle labbra di Akaashi, intuendo la perplessità dell’amico.
 
“Bokuto-san è forse la persona più espansiva che abbia mai incontrato, com’è possibile che tu sia riuscito a stare con lui?… ti stai chiedendo questo, non è così?

Il legale annuì, schivando contemporaneamente un gruppetto di scalmanati studenti che correvano in direzione della fermata metro lì vicina.

“E’ esattamente ciò che mi sono chiesto anch’io quando ho capito che mi piacesse”

La fronte si Tobio si corrugò ulteriormente, mentre dai lineamenti del corvino affiorò un tenero sorriso.

“Fin da quando ci siamo conosciuti, Bokuto ha sempre cercato qualunque scusa per starmi vicino, sfiorarmi la la mano, mettermi un braccio attorno alle spalle… all’inizio l’ho sempre respinto. Non ero abituato, ovviamente, ma non era l’unica ragione per cui non volessi. Poi, ricordo che ci fu un’occasione in cui Koutaro era veramente giù di morale. Non riusciva a passare una materia che gli avrebbe consentito di laurearsi e iniziare finalmente a lavorare in palestra… sai che gli capita di soffrire di sbalzi di umore, ma non l’avevo mai visto così scoraggiato. Allora, senza nemmeno rifletterci, ricordo di averlo stretto in un abbraccio che sorprese sia me sia lui. Bokuto si aggrappò a me con tutta la forza che aveva e io… non mi staccai. Era come se un calore sconosciuto si stesse espandendo da dove io e Bokuto collimavamo, un calore confortante che non avevo mai sperimentato prima d’ora. In seguito capii che si ripeteva ogni volta che Bokuto mi accarezzava o mi stringeva a sé. Era come se quel calore lo emanasse proprio Koutaro. Il mio nervosismo, la mia repulsione per il contatto fisico… erano spariti, con lui”

La voce di Akaashi era sommessa, pregna di una sfumatura calda che Tobio non seppe identificare.

“Quello che voglio dirti, Kageyama, è che certe volte non è necessario sradicare le proprie abitudini. Nonostante possa sembrare impossibile… alla fine diventa quasi qualcosa di naturale.  Non si tratta di forzarsi, ma di raggiungere una giusta consapevolezza”

Tobio ascoltò le parole di Keiji in silenzio, scrutandolo con la coda dell’occhio mentre continuava meccanicamente a compiere un passo dopo l’altro.

Un processo naturale, eh?

Non sarebbe mai stato spontaneo per lui comportarsi come Hinata.

“Non è Hinata che ti sta influenzando, Kageyama. Se fossi stato pienamente convinto dei tuoi principi non avresti nemmeno perso tempo con lui. Sei tu che stai soppesando se in effetti Hinata non abbia ragione. Sei tu che stai dubitando di te stesso”

Il cuore di Tobio pompò repentinamente il doppio della quantità di sangue comunemente necessaria.  

Lui stava dubitando di se stesso?
Stava diffidando delle sue convinzioni?
Non era Hinata a suggestionarlo ma lui a non credere più nei suoi ideali?!

Dio, gli stava scoppiando la testa.

“So che è molto difficile, ma ti verrà più semplice se provi a non trattenere le redini che ti frenano come fai sempre” pronunciò fermamente Akaashi come se avesse letto nella mente frastornata del legale, che gli lanciò un’occhiata sorpresa.

La facciata dell’imponente tribunale in pietra bianca della città era ormai vicino, quando Tobio aprì finalmente bocca.

“Ci proverò, Akaashi-san” mormorò mestamente.

Inaspettatamente, il viso di Akaashi si aprì in un raro sorriso che raggiunse i suoi occhi cobalto e colse il legale impreparato, che quasi inciampò sui suoi stessi piedi.

“Sono contento, Kageyama. E’ la prima volta che… vedo un’emozione forte in te che non sia rabbia o frustrazione. Sono felice che Shoyo ti faccia bene”

Le orecchie di Tobio si colorarono di scarlatto in meno di un istante.

“Però… assicurati di non ferirlo, Kageyama. C’è ancora molto che devi imparare su di lui” aggiunse con tono inquietantemente serio.

Tobio aggrottò dubbiosamente le sopracciglia e stava per chiedere ulteriori spiegazioni, ma venne rapidamente preceduto da Keiji.

“Adesso devo proprio andare, alle quattro devo raggiungere Bokuto da Murakami e poi tornare a casa per ripassare. Ci vediamo” si congedò con un un piccolo sorriso.

Tobio lo osservò con sguardo confuso allontanarsi a passo sostenuto, perdendosi quasi subito fra la calca che affollava le vie circostanti.

Chissà che aveva voluto intendere con quel consiglio enigmatico.
Approfondire la conoscenza del medico era un passo piuttosto ovvio.
Perché allora il tono di Akaashi era sembrato assai più grave di quel che avrebbe dovuto…?

S’incamminò verso l’ingresso del tribunale, giungendovi appena in tempo prima che fastidiose goccioline d’acqua gli colpissero la testa, riparandosi grazie alla monumentale pensilina in pietra.

Stava per varcare la soglia e raggiungere l’aula in cui si sarebbe svolta un’udienza preliminare, quando il suo cellulare vibrò dalla tasca dei pantaloni scuri.

Afferrando distrattamente il dispositivo per azzerarne la suoneria, adocchiò una notifica che gli fece sollevare inconsciamente entrambi gli angoli della bocca verso l’alto.


15:44
Da: Medico idiota

“Mercoledì 23 alle 17:30 vieni in ospedale per togliere il gesso finalmente🎉
Meno sei giorni e sarai di nuovo un uomo libero😁💛”



 
***



“Buongiorno, Kageyama-san”

Le orecchie di Tobio captarono immediatamente l’inattesa voce non appena oltrepassò l’ingresso dello studio.

Nakamura era in piedi dietro alla sua scrivania in ciliegio scuro, capelli sciolti sulle spalle coperte da una camicetta blu e viso sorridente diretto verso di…

“B-buongiorno, Nakamura” rispose incespicando sulle sue stesse parole, facendo così allargare il sorriso della ragazza.

Diretto verso di lui.

“Le auguro un buon lavoro oggi” aggiunse con un lieve inchino, spostandosi i capelli dietro l’orecchio destro per poi incamminarsi presumibilmente verso l’ufficio di Oritsume.

Imbambolato con occhi spalancati, Tobio si sentiva…

Piacevolmente scioccato.

In due anni nessuno gli aveva mai rivolto il saluto di buon grado… figurarsi qualcuno che lo accogliesse addirittura sorridendo.

Era una situazione al limite del surreale.

Poco importava che la ragazza l’avesse salutato allo stesso modo anche la mattina precedente.
Non era affatto semplice abituarsi a quella premura talmente incongruente al suo ambiente lavorativo.

Aveva interpretato il gesto di Nakamura come un segno di pace dopo il discorso di tre giorni prima, tuttavia la recidività lasciava trasparire qualcos’altro.

La ragazza desiderava veramente essere gentile con lui.

Un moto di speranza accese il petto del legale mentre percorreva il corridoio che conduceva al suo ufficio.
 
Forse stava seriamente prendendo in considerazione la possibilità di ritornare a lavorare con lui…

Non che si illudesse troppo, ovviamente.

Sicuramente la sua vita era decisamente più appagante adesso che lavorava con quell’idiota di Oritsume.
Però…
Fantasticare non era mica proibito, no?

Aprì con la chiave la porta dell’ufficio e appoggiò distrattamente la ventiquattrore sulla scrivania,  dedicando invece la propria attenzione alla battaglia intrapresa con il cappotto, consuetamente incastrato tra il gesso e l’avambraccio.

“La aiuto?”

Una voce dalla sfumatura appena annoiata lo colse di sorpresa.

Si girò velocemente, trovandosi faccia a faccia con il viso contornato dal caschetto ramato di Ishii.
Aveva un sopracciglio inarcato e le mani sporte in avanti, in attesa.

Tobio ci mise qualche attimo per collegare i fili della situazione in cui si trovava, ma poi improvvisamente strabuzzò gli occhi.

“C-certo… grazie” borbottò, permettendo che la ragazza gli sfilasse l’indumento dal braccio infortunato.

Ishii lo stava aiutando.

Era sicuro di non essere vittima di qualche sostanza stupefacente?

Dopo aver appeso il cappotto all’attaccapanni alle sue spalle, la ragazza domandò con nonchalance “Posso portarle qualcosa prima dell’inizio del meeting? Un caffè o altro?”

Tobio la fissò sconcertato.

Nonostante il tono velato di circospezione, la richiesta pareva genuina.

Come diamine era possibile?

“Io… non… posso prenderlo da solo più tardi, non devi disturbarti” cercò di spiegare, domando il suo palese sbigottimento.

Ishii roteò gli occhi ed emise uno sbuffo scocciato.

“Non è un disturbo, non mi ha mai chiesto di portare nulla di personale come cibo o sigarette a differenza di altri avvocati. E poi oggi non ha la colazione, no?” dedusse facilmente mentre gesticolava in direzione della scrivania, vuota dall’abituale sacchetto a righine celeste di Murakami.

Le gote di Tobio si imporporarono.

La ragazza si era accorta che non avesse la colazione con sé…?
Anzi, sapeva che ogni mattina la appoggiava lì?
Era in quell’ufficio da meno di due settimane e aveva dimostrato di non tollerarlo fin dal primo momento.
Perché degnarsi di una gentilezza nei suoi confronti?

“No, ecco, non ho avuto tempo di comprare nulla. Se ho qualche minuto dopo il meeting andrò nel bar all’ingresso del…”

“Mi dica cosa desidera e vado a prenderglielo io. Tanto non è necessario che rimanga per il meeting, no?” lo interruppe Ishii con tono sbrigativo.

Tobio non riusciva a capacitarsi.
Perché insistere tanto se sembrava non avere alcuna voglia?

“Non c’è alcun bisogno, non voglio caricarla di ulteriore lavoro” sbottò a quel punto con frustrazione crescente.

La ragazza parve tentennare qualche istante prima di soffocare a malapena una risatina ilare.

“Perché deve fare tanto il difficile, Kageyama-san? Vabbè, lei vada, io le porto del latte e qualche dolce, Nakamura mi ha detto che è quello che preferisce” comunicò speditamente prima di congedarsi con un celere inchino.

Tobio rimase a contemplare il vuoto dinanzi a sé per qualche minuto.

Cosa… era appena accaduto?

Perché mai Ishii aveva letteralmente stravolto il suo atteggiamento nei suoi confronti da un giorno a un altro?

Comprendeva, seppur con qualche difficoltà, che il cambiamento di Nakamura fosse ricollegabile  alla loro sorprendente conversazione, ma che razza di ragione poteva mai avere Ishii per…

Si bloccò, folgorato da un ricordo.

Quando mercoledì Nakamura era uscita dal suo ufficio…
Era subito stata braccata da due colleghe apparse parecchio incuriosite dalla loro conversazione.

Tutte le segretarie della Kitagawa Daiichi, da quel che aveva intuito, comunicavano spesso a vicenda.
Non sarebbe stato da escludere che Nakamura avesse riferito i contenuti della loro discussione a qualche collega…

Tuttavia, ciò non mutava la natura della sua domanda.

Dove si collocava Ishii in quel quadro strampalato?  
Cosa poteva mai averle riferito Nakamura per riabilitarlo ai suoi occhi?
Ma soprattutto, perché avrebbe dovuto?
Tobio si era scusato con Nakamura, non con Ishii…


“Tratti bene le persone e loro ti trattano bene di conseguenza”


Le sue scuse erano la ragione per cui le due collaboratrici avessero deposto l’ascia di guerra?
Hinata aveva ragione fino a quel punto…?

“Kageyama-san, sta cominciando il meeting” lo richiamò una voce femminile fuori in corridoio.

Il legale ebbe appena la prontezza di scorgere la figura sorridente di Nakamura prima che la ragazza raggiungesse il suo avvocato.

Tutto ciò era inconcepibile.

Quell’assurda inversione di idee era stata generata…
Dal suo tentativo di gentilezza?
Dal suo pentimento?

Con occhi ancora strabuzzati e la testa che gli scoppiava si diresse con estremo straniamento verso la tediosa sala riunioni.





Al suo rientro in ufficio, dopo poco più di mezz’ora, trovò al centro della scrivania un elegante box con la sigla del nome del bar situato all’ingresso del grattacielo.
Tentennando, aprì la confezione beige e…
S’immerse nella visione di un’abbondante fetta di cotton cheesecake ricoperta di frutti di bosco e un bicchiere da asporto trasparente contenete latte caldo.
 
Avvertì il petto contrarsi in una bizzarra fitta.

Non era dolorosa, ma…

Il trillo del cellulare riposto nella tasca della giacca grigia lo distolse temporaneamente da quella  deliziosa colazione.

Afferrò lo smartphone con dita lievemente tremanti.


09:36
Da: Medico idiota

“Buongiorno Kageyamaaaaa😝
Non andare a terrorizzare troppa gente in giro oggi👻
Buon lavoro🧡💛”


Sapeva che fosse impossibile, eppure…

Percepì il cuore gonfiarsi a dismisura di un calore sconosciuto.

Quei gesti completamente imprevisti non lo stavano soltanto facendo sentire accettato, bensì…

Benvoluto.



 
***



Martedì 22 ottobre


Erano trascorsi due giorni da quando Ishii aveva mostrato i primi segni di un sorprendente cambio di rotta e poteva affermare con assoluta certezza di non aver mai vissuto i suoi momenti in ufficio con così poca tensione aleggiante nell’aria.

Le assistenti degli avvocati apparivano lievemente più accomodanti nei suoi confronti, giungendo persino a salutarlo quando lo adocchiavano nei corridoi.
Degli sguardi terrorizzati pareva non esservi più alcuna traccia.

Non era a conoscenza della magia realizzata da Nakamura, però doveva sicuramente trattarsi di un incantesimo eccezionale.

Gli unici indifferenti a tale mutamento erano i suoi colleghi, i cui comportamenti rasentavano la norma, se non addirittura un peggioramento.
Kunimi e Kindaichi sembravano desiderare ardentemente di sputargli addosso con maggior vigore del consueto.

Cionondimeno, Tobio non avrebbe mai pronosticato che non avvertire più sulla pelle gli sguardi opprimenti dell’intero l’ufficio sarebbe stato così…

Rinfrancante.

E, seppur inverosimile da ammettere, il merito era interamente da attribuirsi al consiglio di Hinata che, apparentemente, stava producendo insperati frutti.

Empatia, rispetto, comprensione reciproca…

Tobio non era più così fermamente convinto della loro inutilità.

Akaashi-san non aveva torto, il seme del dubbio era stato inevitabilmente instillato in mezzo ai robusti steli delle sue pregresse convinzioni.

Eppure, la petulante e conturbante voce che gli ripeteva ossessivamente di star commettendo un madornale errore… si acuiva giorno dopo giorno.

Se avesse ceduto, se si fosse prostrato a quella assurda e sconsiderata linea di pensiero, sarebbe diventato…

“Kageyama-san, il prossimo cliente sarà qui tra qualche minuto. E’ la prima volta che viene da lei, quindi oggi le esporrà prevalentemente il caso. Ho lasciato gli appunti di ciò che mi ha spiegato telefonicamente nel fascicolo trasparente siglato Kimura” comunicò pragmaticamente Ishii mentre scorreva le pagine di un’agenda in cuoio finemente rilegata.
“Non penso che avrà bisogno di me per i prossimi venti minuti almeno, quindi dopo che annuncerò il cliente andrò in pausa” aggiunse celermente, chinando la testa in segno di commiato.

Tobio seguì con lo sguardo la sua assistente mentre si allontanava dall’ufficio fino a sparire in un corridoio laterale.

Quella ragazza possedeva una schiettezza inconsueta a lui decisamente congeniale.
Era estremamente efficiente, pratica e veloce.

Non a caso aveva lavorato per sei mesi al Seijo…

Digrignò i denti, innervosito.

Detestava riconoscere che la ragione per cui l’avesse assunta si riscontrasse essenzialmente nella sua esperienza lavorativa all’Aoba Johsai.

Era conscio di rasentare uno stato piuttosto patetico, eppure non aveva saputo resistere alla tentazione di sentirsi partecipe del mondo di Oikawa-san, attorniato da persone degne di aver oltrepassato la soglia dell’élite degli studi legali giapponesi…

Non a caso la differenza fra Ishii e le segretarie del Kitagawa Daiichi poteva definirsi plateale.

Era stata l’unica fra le svariate assistenti a non aver mai mostrato apprensione nei suoi riguardi.
Ciò naturalmente non implicava che non avesse detestato lavorare con lui esattamente come le sue predecessore.
Aveva avuto occasione di manifestarlo dichiaratamente la settimana precedente durante la chiacchierata intrattenuta alle sue spalle con Kunimi, Kindaichi e le rispettive segretarie.

Nonostante quello spiacevole episodio però, Ishii si era scoperta una persona genuina in quella cloaca di falsità che componeva il marcio mondo dell’avvocatura e, con lo stabilizzarsi del loro rapporto civile, avrebbe vivamente apprezzato la sua permanenza allo studio.

“Kageyama-san, ecco Kimura-san”

Sollevando il viso, Tobio si trovò davanti agli occhi un uomo di mezz’età abbastanza panciuto con una calvizie incipiente.
Tuttavia, bastava uno sguardo un po’ più attento per appurare la prominente presenza di un set di anelli d’oro incastonati sulle dita grassocce e un massiccio Rolex in acciaio che gli circondava il polso.  

Il legale si alzò dalla poltrona e fletté la schiena in un cortese inchino.

“Piacere, Kimura-san. Prego, si sieda”

L’uomo ricambiò con disinvoltura il saluto e si sedette comodamente sulla poltroncina in pelle bianca, appoggiando la valigetta che reggeva in mano sul parquet ed estraendo dal taschino del costoso blazer un pacco di sigarette.
Ishii interpretò i movimenti del cliente come segnale per congedarsi e, dopo un celere piegamento del capo, uscì silenziosamente dall’ufficio chiudendo la porta a vetri dietro di sé.

“Posso fumare, Kageyama-san?” domandò Kimura sfoggiando la confezione rossastra di sigarette.
“Sì, le è permesso” rispose il legale senza guardarlo, sfogliando la cartella diligentemente preparatagli da Ishii, contenente alcune delle informazioni sul caso che l’uomo gli avrebbe illustrato a breve.
Percepì indistintamente il rumore del click dell’accendino, ma lo sbuffo di fumo grigio che gli inondò disgustosamente il viso fu decisamente più palpabile.
Sempre con le iridi ancorate alle carte, spostò con la punta delle dita un posacenere in vetro, abbandonato in un angolo della scrivania, fino a posizionarlo praticamente sotto il naso dell’aspirante cliente.

Il tizio, per qualche strampalata motivazione, dovette trovare quell’azione particolarmente divertente poiché ridacchiò in modo piuttosto ostentato.

“Ho sentito molto parlare di lei, Kageyama-san”

Tobio aggrottò le sopracciglia e scollò finalmente gli occhi dalle carte che stava attentamente esaminando.

L’angolo destro della bocca di Kimura era piegato all’insù in una smorfia estremamente snervante.

“Sapevo fosse giovane, ma non pensavo fino a questo punto” continuò con tranquillità, inalando una profonda boccata di fumo.

Le sopracciglia del legale si corrugarono al punto tale da divenire uno sgraziato tutt’uno.

“La mia età la disturba, Kimura-san?” non si trattenne dal chiedere con acidità.

Kimura però, ancora una volta, reagì con un’odiosa risatina ilare.

“Assolutamente no, Kageyama-san. Mi perdoni se sono sembrato scortese, non era affatto mia intenzione. L’età non conta nulla dinanzi a un’abilità eccezionale” rispose pacatamente, facendo scorrere lentamente le dita sulla lunga sigaretta bianca.

Tobio represse l’impellente istinto di sbuffare.

Odiava il tipo di clienti appiccicati ai convenevoli e alle frasi imbellettate e preconfezionate con cura, ma ancor di più detestava i falsi adulatori.

“Veniamo subito al dunque se non le spiace, Kimura-san” troncò quindi qualsivoglia sceneggiata l’uomo avesse intenzione di rappresentare.

Nonostante il tono ruvido l’uomo non perse facilmente il sorriso, anzi, paradossalmente, parve dilatarsi fino a raggiungere gli zigomi.

“E’ un uomo pratico, Kageyama-san. Ha tutta la mia stima”
E, con quelle parole, Kimura protese il torso in direzione del legale, come per cercare di sormontare la barriera della scrivania che si interponeva fra loro.
“Sono un uomo d’affari, Kageyama-san. Non mi piace perdere tempo e, come ben vedo, nemmeno a lei” iniziò scoccandogli uno sguardo complice, mentre poggiava le labbra sottili attorno al filtro arancione.
“Ho deciso di venire da lei perché ha una spiccata fama nel mio ambiente. Tutti la rispettano, ha risolto numerose grane per molti miei colleghi” spiegò tra una vampata di fumo e un’altra.

Tobio assottigliò le palpebre, tentando di decifrare cosa intendesse veramente quel tizio.

Non ci voleva certo un genio per intuire che avesse un mucchio di soldi e che non avrebbe esitato a pagargli un’ottima parcella pur di lavorare con lui.

“Dalle informazioni raccolte dalla mia assistente risulta che lei è il presidente di una catena di hotel di lusso situati un po’ ovunque per il paese. Tokyo, Yokohama, Nagoya, Osaka, Sapporo, Fukuoka… le entreranno un bel po’ di introiti” osservò con distacco, leggendo fra gli ineccepibili appunti di Ishii.

Kimura assunse un’espressione profondamente soddisfatta.

“Esattamente, Kageyama-san, sono contento che sia ben informato sul mio conto. Gli affari mi vanno piuttosto bene” concesse gesticolando vagamente con la mano, facendo ondeggiare il fumo della sigaretta in spirali grigiastre.

“Non così bene immagino, se si ritrova qui da me” ribatté il legale con un sopracciglio inarcato.

Finalmente, la perfetta maschera sorridente di Kimura si incrinò apertamente.

Inalando un’ultima boccata di fumo e spegnendo la cicca nel portacenere con maggior vigore del necessario, incominciò a picchiettare ritmicamente i polpastrelli sul tavolo in noce.

“Il fatto è che per ragioni che non sto qui a specificare, sono stato costretto a chiudere due hotel di Kanagawa e a spostare i loro investimenti in altri ambiti. Nulla di eccessivamente difficile, solo un intoppo in una macchina ben organizzata e gestita, non avrei perso più di qualche decina di migliaia di yen. Somme recuperabili in un batter d’occhio. Il vero problema, però, è nato con i dipendenti che avremmo dovuto licenziare in tronco. Camerieri, cuochi, magazzinieri… centinaia di personale alberghiero senza più un impiego da un giorno a un altro. La soluzione trovata dal legale della mia catena è stata proporre di trasferire tutti i dipendenti nell’attività che aprirò tra qualche mese. Sarebbe vantaggioso anche per me, sa, avere lo stesso personale qualificato senza la necessità di sostenere tediosi colloqui e assicurarsi che la gente che metto a lavorare non sia solo interessata a rubare o a fregarmi. L’unico neo della vicenda, è che la mia nuova attività si trova a Kumamoto. Certo, un po’ lontano da Kanagawa ma… per il lavoro si fa questo e altro, no?” ironizzò Kimura, sfilando una seconda sigaretta dal pacco all’interno della tasca della giacca.

Tobio osservò circospettamente gli spigliati movimenti dell’uomo, che sembrava non avere una singola preoccupazione al mondo.

“E come le hanno risposto i dipendenti?” domandò alquanto retoricamente.  

La risposta, del resto, era facilmente intuibile.
Kumamoto distava quasi quindici ore di treno da Kanagawa.

Kimura ridacchiò mentre inalava golosamente svariate molecole di nicotina.

“La maggior parte di loro si è rifiutata. Pretendevano una liquidazione, sa, molti di loro lavorano per me da più di dieci anni. La mia offerta però, studiata con il mio vecchio avvocato, era diversa. Non un licenziamento, ma un semplice cambio di locazione. Se non si è disposti ad accettare allora ci si assume la conseguenza del licenziamento senza alcun beneficio. L’opportunità di proseguire la loro professione gli è stata concessa, quindi affari loro” concluse semplicemente con una noncurante scrollata di spalle.

Tobio sapeva perfettamente a cosa si stesse riferendo quel tipo.

Si trattava di una tattica estremamente vantaggiosa che buona parte degli imprenditori attuava non appena si trovava a fronteggiare il licenziamento imprevisto dei loro dipendenti, poiché lasciava loro poche possibilità di controbattuta.
Lui stesso l’aveva proposta ad alcuni clienti di notevole spicco sociale ed era sempre filato tutto liscio.

Perché mai allora in quel momento l’idea gli appariva talmente… meschina?

“Purtroppo però il mio vecchio consulente non aveva considerato che quel branco di idioti potesse rivolgersi a un avvocato di una certa notorietà per farmi causa. Vogliono un risarcimento danni, liquidazioni e altre fesserie che sono tutte scritte qui” spiegò in tono palesemente scocciato, estraendo dalla valigetta appoggiata sul pavimento una carpetta rigonfia di carte e sbatacchiandola con poca grazia sul tavolo.

Tobio acchiappò uno dei numerosi fogli fittamente scribacchiati e ne analizzò velocemente il contenuto.

Come sosteneva Kimura, i suoi impiegati stavano intentando un’azione legale contro di lui.
Colui che aveva preso in carica il caso era niente meno che Ohira Reon, uno degli avvocati più integerrimi in circolazione.
La sua abilità lo aveva spesso condotto a vincere ciò che i più avrebbero senz’altro definito casi senza speranza, che apparivano stranamente la sua specialità.
Tobio stimava la dedizione che Ohira riponeva nel suo lavoro, tuttavia…

Cosa spingeva esattamente quell’uomo a sprecare la maggior parte del proprio tempo su quelle pratiche pietose invece che accettarne altre decisamente più remunerative e soddisfacenti?

A lui piaceva risolvere cavillo per cavillo, spulciare il codice civile fino a stanare l’escamotage più adeguata per ogni contesto.
Non c’era alcun gusto ad appellarsi ai soli principi morali per la risoluzione di un caso.
Più cervellotico era, più appagamento trasudava.

Il compiacimento di aver scovato la soluzione perfetta era sempre stata la ragione per la quale amava il suo lavoro, eppure…

“Per questo sono venuto da lei, Kageyama-san. Ho sentito che chiede una parcella piuttosto elevata per situazioni come questa, ma sono pronto a pagare quanto vuole. Voglio solo il suo aiuto per disintegrare le inezie che cercano di bloccarmi la strada. Non ci vorrà molto, per uno come lei” asserì Kimura con un sorrisetto complice che, però, Tobio non riuscì a condividere.

Lui disintegrava le inezie.

Era la base su cui aveva costruito la sua intera attività legale.

Non gliene era mai fregato nulla dei sentimentalismi o dei casi che inglobavano una rilevante sfera emotiva.
Li aveva sempre rifiutati senza alcun rimpianto.
L’ultimo sulla sua lista era il caso di quella tizia che…


“Piuttosto che esser rappresentata da un individuo come lei…”
 
“Non sono il suo psicologo”

“No, infatti. E’ soltanto un uomo senza sentimenti”



Chinò la testa, sopraffatto dal gravante peso di quegli spiacevoli ricordi.

Non era certamente stata la prima occasione in cui aveva fermamente disconosciuto il dolore di un cliente.
Era controproducente per il lavoro, si era costantemente redarguito.

Il risultato, non il metodo.
Il fine, non il mezzo.

Era il suo motto, il suo mantra di vita.

Però…


“Era davvero necessario?”


La tormentata voce di Nakamura gli trapassò le orecchie come un’appuntita lama affilata.

Se cedere a un coinvolgimento emotivo era talmente svantaggioso, perché il suo cervello aveva scrupolosamente ingabbiato le suppliche che parecchi dei suoi clienti gli avevano rivolto nel corso degli anni?


“Kageyama-san, ho perso tutto quello che ho, non è possibile fare qualcosa in più? Il giudice capirà, la prego…”

“Kageyama-san, la prego, mi aiuti, non so a chi altro rivolgermi, lei è il migliore in questo settore, mio padre è un uomo anziano ed è stato truffato, tutti i nostri risparmi sono andati in fumo…”

“Kageyama-san, per favore, se lei non mi aiuta il denaro per l’università di mia figlia sarà per sempre perduto, come farò a darle un futuro? La prego Kageyama-san, la supplico…”



Si era davvero comportato in modo tanto terrificante?

Aveva seriamente negato la possibilità a così tante persone di poter ottenere…


“Ciò significa che a lei... non interessa davvero che le persone che le si rivolgono riescano ad ottenere giustizia?”

“Il lavoro è lavoro. I miei clienti non sono miei amici”



Giustizia.

Un impetuoso brivido gli percorse la spina dorsale come una frustata.

Lui aveva intrapreso la propria professione per perseguire la giustizia, no?

Aveva scelto di garantire a coloro che si rivolgevano a lui cosa fosse giusto, no?

Ma in tre anni di professione avviata…
Aveva mai veramente lottato per il benessere di qualcuno che… lo meritasse?


“Io… io voglio aiutare i miei pazienti, prima di dedicarmi soltanto a ciò che li fa star male. La persona e la sua malattia... non sono la stessa cosa”


Le parole di Hinata scavavano inesorabilmente profondi solchi sul suo petto, penetrandogli la carne con ferocia e lasciando dietro di sé solo una sanguinolenta scia di frattaglie senza vita.

Aveva commesso uno sbaglio?
Aveva agito erroneamente per tutto quel tempo…?

No, non era possibile.
Non era concepibile che lui avesse compiuto un’aberrante quantità di inesattezze.
Lui aveva servito la giustizia, a modo suo.
Nulla era dato per nulla.
Non poteva certo sperperare il suo talento per cause di beneficenza come quell’Ohira Reon.

Il risultato, non il metodo.
Il fine, non il mezzo.

Era quella la retta via da seguire.
Era quella la…

“Sono davvero felice di poter lavorare con lei. Non tutti hanno la capacità di apprezzare quanto sia soddisfacente imporre la propria potenza sugli altri” sogghignò Kimura ammiccando, inalando una  consistente quantità tabacco.

Non v’era nulla di inadeguato in quella frase.

Lui ne era stato un fervente sostenitore fin da quando avesse memoria.

La consapevolezza di possedere una potenza superiore agli altri, l’assistere con compiacimento al penoso sbriciolamento delle anime deboli davanti ai suoi occhi…

Si trattava di un vero e proprio orgasmo cognitivo.

Tuttavia…

Aveva sempre creduto di applicare tale principio alla sua controparte legale, colei che sfidava con astuzia e orgoglio in tribunale.

Non ai suoi stessi…

Clienti.

Udire quella perfida constatazione provenire da un uomo come quel Kimura…


“Ma lei è sempre così sorridente?”

“Svolgo il lavoro che mi piace, quindi… beh, sì, sorrido spesso! Perché, le da fastidio?



Si era mai abbandonato a un sorriso in tre anni di lavoro?
Aveva mai sfoggiato un’espressione che non fosse pregna di mera gratificazione personale?
Un sorriso…

Un sorriso di gioia per aver permesso al suo cliente di ottenere giustizia?

“Non ha preso in considerazione di concedere loro una piccola liquidazione?” si trovò a pronunciare spontaneamente, trascinato da quel flusso di febbricitanti congetture.  

Kimura si bloccò mentre era in procinto di avvolgere le labbra sulla sigaretta.
Gli rivolse un’occhiata perplessa, come se non avesse udito quel che avesse appena proferito.
“Come dice, scusi?”

Tobio si schiarì la gola e raddrizzò la schiena, appoggiando la mano sinistra sopra il gesso dell’avambraccio destro.

“Intendo, capisco cosa l’abbia spinta a venire qui, comprendo che non sia logico perdere un’ammontare di denaro talmente alto. Ma non potrebbe essere più ragionevole giungere a un accordo con la controparte? I suoi dipendenti e l’avvocato Ohira vogliono farle causa per far sì che sborsi una quantità di denaro non indifferente, che minerebbe persino le sue tasche. Potremmo giungere a un compromesso adeguato, cosicché i suoi impiegati ricevano almeno una parte di ciò che gli spetterebbe di diritto e i suoi affari non siano minati da una spesa ingente”

Kimura trascorse qualche istante in silenzio, squadrandolo come se sulla fronte gli fosse affiorato un gigantesco terzo occhio.
Poi, abbassando la sigaretta con una lentezza forzatamente controllata, eruppe uno sprezzante “Sta scherzando, spero. Non sono venuto qui per raggiungere nessun compromesso. Sono venuto qui perché lei possa distruggere quell’avvocato e quelle persone senza batter ciglio esattamente come ha sempre fatto. Non ho alcuna intenzione di regalare un singolo centesimo a quelle persone. Ho una reputazione da proteggere, non posso certo mostrarmi come un rammollito di fronte ai miei amici, non so se mi spiego”

Tobio comprendeva la situazione, ovviamente.

Sapeva precisamente come funzionassero i rapporti di potere fra i membri di spicco dell’imprenditoria.
Non erano certamente puliti come un panno appena smacchiato.
Sicuramente quel Kimura era stato costretto a chiudere le attività di Kanagawa e a girare docilmente i tacchi per qualche conto in sospeso o affare andato a rotoli con la yakuza locale.

“Certo, capisco perfettamente. Ma…”

Lasciò la frase in sospeso, improvvisamente titubante.

Ma cosa?

Il tizio non avrebbe sentito ragioni, era ovvio.
Lui doveva solo svolgere il suo lavoro, prendersi la bella parcella che gli avrebbe elargito…

“Non crede che debba qualcosa ai suoi dipendenti dopo anni di lavoro al suo servizio?”

Ciononostante, un parte di lui non era in grado di accettarlo.

La sua mente sembrava governata dall’angolo in cui le parole di Hinata avevano iniziato ad attecchire con vigore, dove le idee del medico avevano influenzato quelle già radicate nei suoi emisferi, confondendolo a dismisura.

Tentare di comprendere gli altri, cercare di rimediare ai suoi errori passati…
Con Nakamura e Ishii aveva funzionato, no?
Lui…
Nonostante le difficoltà, stava seriamente provando a credere che anche lui possedesse un cuore.
Aveva costantemente fallito nel comprendere le persone, quindi era giunto il momento di mettersi alla prova, no?
Doveva dimostrare la sua natura di essere umano e non quella di un Re spietato e dispotico.

Era questo ciò che gli aveva suggerito Hinata, no?
Hinata, Jun, Akaashi…

“Non… non pensa a quelle persone? A come… vivranno, d’ora in poi?”

Si era ripromesso di lasciarsi andare proprio come aveva sostenuto Akaashi, no?
Si sarebbe trattato di  un processo naturale se non avesse forzato la mano, quindi…

“Molti avranno una famiglia, non le sembra doveroso provvedere a una parte dei loro bisogni? In questo modo…”

Doveva essere più umano, no?

“In questo modo i dipendenti di tutti gli altri hotel la vedranno come un capo che sa come ricompensare e lavoreranno meglio. Possiamo chiedere facilmente un colloquio con Ohira-san per…”

Era l’umanità ciò che gli mancava, l’umanità che lo attraeva disperatamente da…

“Mi prende per i fondelli?!”

Lo strepito di Kimura paralizzò Tobio in un istante.

L’uomo aveva stritolato la sigaretta fra le dita e una spessa vena gli emergeva vistosamente dalla fronte.

“Si può sapere perché mi sta propugnando questo discorso da catechesi di punto in bianco?! Sono venuto da lei perché faccia il suo lavoro! Non me ne frega nulla di quello che penseranno i miei dipendenti, non me ne frega nulla delle loro vite e nemmeno dovrebbe a lei, mi sbaglio?” saettò stringendo rabbiosamente i pugni.

Tobio percepì le viscere aggrovigliarglisi.

Come si azzardava quel signor nessuno a parlargli con quel tono?!
Era lui che dettava le regole del gioco.

“Non c’è alcun motivo di alzare i toni, Kimura-san. La mia è una proposta equa, mi assicurerò che la somma sia congrua alle esigenze di…”

“Allora noi non ci siano capiti” tuonò a quel punto l’uomo, afferrando la cartella con i fogli consegnatagli da Ohira e sbattendola furiosamente sulla scrivania.
“Io non sono venuto da lei perché mi faccia un servizietto che chiunque altro avvocato farebbe. Io sono venuto da lei perché lei sa schiacciare chiunque le capiti davanti. Non la pagherei fior di quattrini solo per farmi sborsare altri soldi verso quelle nullità, ma per togliermele di mezzo una volta per tutte”  

La reazione di Tobio a quella innegabile verità fu lacerata in due.

Schiacciare chiunque gli capiti davanti.

Da un lato avrebbe desiderato rifuggire da quell’appellativo spietato, ma dall’altro… ne era irrimediabilmente catalizzato dal pari di una calamita.

Distruggere tutto ciò che incontrava gli aveva sempre conferito un’autorità fuori dall’ordinario.

Era sbagliato, ne era consapevole, eppure…

“Allora, accetta la causa a queste condizioni?” pressò Kimura, guardandolo con crescente aspettativa.

Tobio, però, non riuscì a formulare una riposta.

Era combattuto, dilaniato fra quelle due controparti che bramavano ardentemente la supremazia sull’altra, ma che alla fine fallivano miseramente entrambe.

Una tentava disperatamente di staccarsi da quell’immagine truculenta che gli aveva donato la fama di un uomo di ghiaccio…
Mentre l’altra persisteva ad agognare con cupidigia quella brama di potere illimitata, non curandosi minimamente dei sentimenti della gente, considerati come un mero ostacolo…

Visibilmente spazientito, Kimura interpretò il silenzio del legale come un diniego.

Agguantando la carpetta e schiaffandola burberamente dentro la valigetta, si alzò dalla poltroncina con una calma piuttosto angosciante.

“Devo essere stato informato male, Kageyama-san. Non avevo capito che lei fosse un rammollito senza spina dorsale”

Il sangue nelle vene di Tobio si tramutò istantaneamente in una poltiglia congelata.

Che cazzo aveva appena detto quel tizio?!

“I miei amici mi avevano raccomandato lei con tanta sicurezza, dicevano che uno come lei, che era uscito dalla stessa università degli avvocati più quotati dell’intero Giappone, fosse formidabile. A quanto pare però ha perso parecchi colpi” sferzò senza pietà, voltando la schiena e accingendosi a uscire dall’ufficio.

“Non si azzardi” ringhiò Tobio, issandosi in piedi con talmente veemenza da far sbattere rumorosamente la poltrona contro il muro retrostante.  

Il suo corpo era permeato da un tremito irrefrenabile.

Che cazzo aveva appena detto quel cazzo di idiota.
Come osava anche solo dubitare della sua competenza, lui era il migliore, il migliore dell’ufficio, il migliore di quell’ammasso di incompetenti che pullulavano gli studi legali del paese, come cazzo si permetteva di apostrofarlo come un…

“Non osi parlarmi in questo modo. Lei dovrebbe essere grato anche solo per trovarsi qui a parlarmi dei suoi problemi e a dir poco onorato di avere il suo caso accettato da…”

“Grato di lavorare con qualcuno a cui importa della vita di complete nullità e per questo mi chiede di sprecare i miei soldi?” sbuffò con un ghigno sardonico.

Tobio si bloccò, improvvisamente ammutolito.

Quel tizio stava per caso insinuando che…

“Mi dispiace solo di aver sprecato il mio tempo con uno come lei, mi aspettavo molto di meglio” aggiunse con voce carica di sprezzo.

A Tobio s’accapponò orridamente la pelle.

Non era possibile.

La tipologia del cliente con cui più andava d’accordo lo stava reputando un incompetente?!

Che cazzo aveva fatto, che aveva sbagliato, lui non era…

“Sicuramente avrò cura di riferirlo ai miei amici. Nessuno di loro avrà più interesse a mettere piede qui dentro, glielo garantisco” sentenziò aprendo la porta dell’ufficio proprio quando Ishii si apprestava a entrare, allarmata dalle voci concitate che aveva avvertito fin dai corridoi.

“Kimura-san, c’è qualcosa che…”
“Nulla mia cara, stavo proprio per andarmene. Se è così gentile da farmi strada…”

“Aspetti!” urlò improvvisamente Tobio balzando letteralmente in avanti e posizionandosi davanti la faccia tronfia dell’uomo che a malapena gli rasentava la spalla.
“Le ho solo proposto una modalità di azione, non c’è alcun motivo di…”

“Kageyama-san, le persone del mio calibro sanno riconoscere un uomo degno di rispetto da uno sguardo” lo interruppe bruscamente Kimura, squadrandolo con condiscendenza.

Il legale deglutì a fatica un grumo di saliva ristagnatagli in gola.

“Sono venuto qui con la speranza di trovarmi davanti una bestia assetata di vittoria, non un debole sentimentale. Nonostante sia così giovane dovrebbe aver imparato ormai che nel nostro mondo o si mangia o si viene mangiati. Comportandosi così non riuscirà mai a spiccare nei nostri ambienti” aggiunse freddamente, ghermendo una sigaretta dalla tasca e infilandosela fra le labbra.
“Come le ho già detto, sono un uomo d’affari. Investo solo in ciò che mi garantisce un profitto e lei non rientra fra questi parametri” concluse accendendosi la sigaretta e, senza un’ulteriore parola, si incamminò in direzione dell’uscita.

Tobio non seppe per quanti interminabili minuti rimase a fissare il punto in cui Kimura era sparito dalla sua vista.

La sua mente aveva tentato di fermarlo, inchiodarlo al muro e contraddire ogni parola fuoriuscita da quella fottuta bocca fino a quando non avesse implorato pietà in ginocchio…

Ma il suo corpo non ne era stato in grado.

Non riusciva a muovere un singolo muscolo, bloccato sulla soglia con le labbra dischiuse in un suono mai generato.

Quell’uomo… quell’uomo…

“Kageyama-san, si sente bene?”

La voce preoccupata di Ishii gli giunse ai timpani ovattata, come se provenisse dalle remote profondità marine.

Quell’uomo aveva ragione.

Si era comportato come un debole sentimentale.

Aveva permesso che il suo lavoro venisse intaccato da…

“Cosa odono mai le mie orecchie? Il Re ha appena toppato alla grande?”  

Se prima il sangue di Tobio si era tramutato in ghiaccio, in quel momento assunse la consistenza della lava.

Girando la testa di scatto, vide con orrore che in piedi al centro del corridoio si ergevano Kunimi, Kindaichi e qualche altro paio di colleghi.

Il fracasso provocato nel suo ufficio non aveva solo attirato la curiosità di Ishii, chiaramente.

“Allora è davvero come pensavo, Re. Stai davvero perdendo colpi. Non pensavo adesso fossi uno smidollato” ridacchiò Kunimi con le mani appoggiate sui fianchi.

All’udire quella maledetta parola, il castello di certezze accuratamente costruito di Tobio si sfracellò miseramente in mille pezzettini.

Smidollato.

Era stato uno… smidollato

Perché, perché, perché…

“Non pensavo che questo giorno sarebbe davvero arrivato. Il re perde fiducia in se stesso? Che ti succede? Qualche scrupolo di coscienza?” si insinuò Kindaichi con un ghigno vittorioso sul volto.

La respirazione del legale incominciò a mostrare segni di squilibrio.

Un cliente lo aveva appena umiliato e rifiutato.

Perché?

Aveva permesso che quei fottuti sentimenti che mai nella sua fottuta vita aveva preso in considerazione, da cui si era costantemente tenuto alla larga, giudicandoli inutili e inopportuni…

Offuscassero il suo lavoro.

Lavoro in cui era stato sempre brillante, elogiato da tutti.
Inserito perennemente in riviste e articoli specialistici, osannato come la giovane promessa dell’avvocatura civile con una sfilza di successi da far invidia ai veterani…

Chi cazzo era stato?
Di chi cazzo era la colpa?
Perché cazzo si era lasciato infinocchiare fino a quel punto??!

“In effetti ti abbiamo trovato deboluccio in questi giorni, Re”

“Non sembravi più tu, che ti è successo?”

“Dove è finito il tiranno dell’ufficio?”

I polmoni di Tobio avevano ormai raggiunto una pericolosa fase di iperventilazione.

Era un fottuto debole?!

La sua reputazione era stata rovinata?!
Com’era stato possibile?!
Come aveva…

“Ma come, Re? Se ti fai dire persino da un cliente che sei uno smidollato, come farai mai a raggiungere Oikawa-san?”

Tobio potè nitidamente udire il sussurro di un ticchettio riecheggiare nella sua mente con il medesimo tono della vocina che per giorni lo aveva severamente ammonito.

Dopodiché, una dirompente bomba a orologeria esplose nel suo cervello, distruggendo qualunque cosa incontrasse nel suo passaggio.

Razionalità, ricordi, pensieri, emozioni…

Tutto.

Un feroce backup generale… da cui soltanto un’idea pareva essere rimasta miracolosamente intatta.

Oikawa-san.

Oikawa-san non avrebbe mai permesso a una situazione del genere di presentarsi.
Oikawa-san non era così stupido da permettere a qualcuno di condizionarlo fino ad essere reputato un buono a nulla.

Come una doccia ghiacciata, Tobio percepì di aver finalmente riconquistato il totale controllo sui propri processi cognitivi.

Dopo settimane di restrizioni insistenti, era finalmente in grado di scorgere la realtà con la fredda chiarezza di sempre.

Oikawa-san non era un inetto.

E lui, Kageyama Tobio, non era certamente da meno.

L’unica persona che era debole, che lo era stata fin dal fottuto principio ma lui era stato troppo cieco per rendersene conto, tentando in ogni modo di modificare la visione della realtà…

Era quel fottuto medico.

Quell’Hinata Shoyo che lo aveva contaminato tanto da inculcargli la sua stessa mentalità di merda.

Dio, gli veniva da ridere.

Le parole di Akaashi erano tutte delle gran cazzate.

Le persone forti non necessitano di cazzate come quelle per sopravvivere.

Oikawa-san non ha bisogno di tali cazzate.
 
Una folle determinazione lo imperversò da capo a piedi.
La sua mente era lucida, schematica.

Il Kageyama Tobio che cedeva, come l’aveva etichettato Kunimi la settimana precedente, non esisteva più.

Lui era forte.

Lui non era debole.

Gli smidollati erano subordinati alle emozioni, non i forti.

E lui non era un debole.

Lui non aveva emozioni.

Lui vinceva.

I deboli perdevano.

Adesso che finalmente quel basilare concetto era stato ripristinato, poteva dedicarsi a ciò che avrebbe dovuto fare fin dall’inizio.

Sbarazzarsi della causa principale della sua inaudita e irrazionale perdita della ragione.

Ignorando bellamente le miriadi di voci che si sovrapponevano l’una sull’altra per approdare alle sue orecchie, dalla preoccupata Ishii ai beffardi colleghi, Tobio ebbe la prontezza mentale di afferrare giacca, cellulare e portafoglio e piombare letteralmente fuori dallo studio, scendendo le scale di corsa per sgravare il suo petto dall’ira che lo stava divorando dall’interno.

A grandi falcate raggiunse la stazione della metro più vicina, la mente fissa unicamente su un singolo obiettivo.

Destinazione: Karasuno Hospital.





“Buon pomeriggio signori. Prego, descrivetemi i vostri sintomi”

“Buongiorno, caro. Ecco vede, mio marito da stamattina dice di sentirsi più fiacco del solito. Io pensavo che fosse normale e che magari dovesse solo riposarsi un po’ di più… ma in realtà lo vedevo davvero stanco, quindi ho pensato che sarebbe stato il caso di…”

“Devo vedere Hinata”

La tonante voce di Tobio risuonò nella sala d’attesa insolitamente priva della consueta moltitudine di gente, interrompendo il discorso di un’anziana signora dai folti capelli grigi raccolti in uno chignon che aveva accanto, seduto su una sedie a rotelle, un uomo con lunghi baffi bianchi probabilmente della medesima età.

L’infermiere in uniforme verdognolo posizionato dentro al cubicolo di guardia sbatté velocemente le palpebre, palesemente spiazzato.

“Emh, mi scusi, c’è un ordine da rispettare…”

“Ho detto che devo vedere Hinata” ruggì Tobio avvicinandosi pericolosamente alla lastra di vetro che divideva il pronto soccorso dall’uomo dalla testa rasata, che sgranò gli occhi in evidente stato di difficoltà, lanciando occhiate a destra e a sinistra per cercare qualcuno che potesse aiutarlo.

“Faccia passare pure il giovanotto mio caro, deve avere fretta. A noi aspettare non pesa più di tanto” risolse prontamente la situazione la donna dal sorriso gentile, facendo segno a Tobio di prendere il suo posto mentre lei indietreggiava di qualche passo assieme al marito.

Il ragazzo, dalla cui targhetta sul petto svettava il nome “Narita”, guardò dubbiosamente la coppietta di anziani prima di sospirare rassegnato.

In cinque anni di lavoro in quell’ospedale dei matti ne aveva viste davvero di cotte e di crude.

“Intende il dottor Hinata, no?” precisò a quel punto con tono collaborativo, fissando l’uomo dall’altezza spropositata incombere su di lui.

Tobio abbaiò un “Sì” in cui cercò di convogliare tutta la rabbia che gli lacerava l’animo.

“Ha un appuntamento?” chiese l’infermiere mentre pigiava qualcosa sulla tastiera del computer e controllava una lista di nomi sullo schermo.

“Non per oggi. Sarei dovuto venire domani ma ho bisogno di vederlo adesso” ringhiò esalando e inalando lentamente, tentando di domare l’impazzito sistema respiratorio.

Narita aggrottò le sopracciglia e gli scoccò un’occhiata perplessa.

“Oggi il dottor Hinata non ha alcuno spazio libero, è in reparto tutto il pomerigg-”

“Ho bisogno di parlare con lui, non mi serve una visita” lo interruppe bruscamente il legale, esibendo eloquentemente il braccio ingessato.

Narita, tuttavia, non comprese il collegamento fra l’ingessatura e i turni del medico.

Continuò a scrutarlo come se il viso iracondo dell’uomo dagli occhi blu potesse comunicargli qualcosa di concretamente utile, ma alla fine scrollò le spalle.

“Mi faccia vedere un documento e firmi qui” cedette, pescando un modulo da un ammasso di carte alla sua sinistra e porgendo all’uomo una penna nera.

Tobio estrasse il portafoglio e la carta di identità, sforzandosi di non lacerarla in due, e la sbatacchiò in malo modo sul ripiano in legno bianco, firmando quel dannato modulo come se fosse in preda a un violento raptus.

Narita, dopo aver controllato che effettivamente esistesse una prenotazione a nome di “Kageyama Tobio” fisata per l’indomani pomeriggio, continuò a osservare i violenti movimenti dell’uomo con occhio critico.

Non sapeva se fosse effettivamente saggio permettere l’ingresso a un uomo visibilmente in stato alterato nel reparto di Shoyo.  

“Ecco” sbottò il corvino chiudendo il tappo della penna e spingendo il modulo verso l’infermiere, riacchiappando il proprio documento con foga.

Narita diede una rapida scorsa al foglio opportunamente firmato ed esalò un sospiro di malcelata sopportazione.

“Terzo piano, ala destra. Troverà il dottor Hinata in una delle…”

“Conosco la strada” lo interruppe iracondo Tobio, incamminandosi immediatamente verso la rampa di scale in marmo bianco situata all’ingresso dell’ospedale.

Era già a metà del primo piano quando un’improvvisa esitazione affievolì temporaneamente l’ira che gli dominava la mente.  

Terzo piano?

Nelle poche occasioni in cui aveva transitato da quell’ospedale di merda si era sempre diretto al primo piano.
Lì si trovava lo studio di quell’idiota, no?

Si bloccò con il piede a mezz’aria sul gradino successivo.

Odiava ammettere che fosse sceso a conclusioni troppo affrettate e che non conoscesse affatto la strada.

Sbuffò esasperato, percependo una nuova ondata di collera affiorargli dallo stomaco.

Il tizio aveva detto terzo piano a destra, no?
Non sarebbe poi stato così complicato.

Percorse le rampe di scale rimanenti a passo febbricitante, giungendo con lieve affanno al fatidico terzo piano.
Senza nemmeno degnarsi di leggere i cartelli con le indicazioni svoltò a destra, spingendo con foga la porta arancione a due battenti del reparto.

I suoi occhi iniziarono subito a dardeggiare a destra e a sinistra per scovare l’oggetto della propria ira funesta, ma bastò qualche sguardo al vasto androne per provocare sul suo viso un’espressione sconcertata.

Ogni porta era bizzarramente dipinta in una tonalità differente, rendendo il reparto un arcobaleno di colori fiammeggianti.
Giallo, blu, rosso, viola, verde, azzurro…

Tentando di contenere il moto di disgusto che si sovrapponeva alla rabbia cocente, avanzò lungo il corridoio non curandosi minimamente delle persone lì presenti, almeno finché qualcosa non gli sbatté rapidamente contro la gamba sinistra.

Non ebbe nemmeno il tempo di chinare la testa per capire chi o cosa gli si fosse scaraventato addosso poiché una vocetta stridula urlò “Tanto non mi scappi Dayu! Vieni quiiii” e una piccola figura non lo sorpassò a gran velocità.

Un’imprecazione sfuggì finalmente alle labbra di Tobio.

Ma che razza di posto era quell’ospedale?
Un cazzo di asilo nido?

L’assurdità della situazione incrementò ulteriormente la bile che gli fermentava nel fegato, rendendolo tanto cieco dal risentimento da far fatica a vedere chiaramente attorno a sé.

I suoni apparivano attutiti, i suoi sensi drasticamente limitati.

L’unico pensiero coerente su cui riusciva a focalizzarsi riguardava la sua idiozia.

Come aveva potuto essere così imbecille da prestare ascolto agli sproloqui di uno strambo omuncolo che fin dal primo giorno aveva giudicato ridicolo?
Un uomo privo di spina dorsale che non sarebbe stato in grado di gestire alcuna situazione critica senza venirne risucchiato.
Stringere un rapporto con i propri clienti, provare empatia nei loro confronti…

Digrignando furente i denti, il legale galoppò lungo l’androne insensatamente variopinto.

Era stata tutta colpa di quel medico se aveva perso un cliente dalle grandi potenzialità.
Era stata tutta colpa di quell’idiota se la sua reputazione era stata macchiata.
Era stata tutta colpa di quell’Hinata Shoyo se per la prima volta nella sua vita era stato considerato uno smidollato incapace di compiere a sangue freddo il proprio lavoro.

Aveva smarrito la sua impeccabile estetica e il suo autocontrollo era stato intaccato a causa di quel fottutissimo uomo che lo aveva convinto a buttare nel cesso la ragione e, se non fosse stato abbastanza sveglio, avrebbe posto fine alla sua intera reputazione.

Avvertiva una voglia malsana di stringere quei folti capelli rossi e sbattergli ripetutamente la testa contro il muro.
Anelava a fargli del male, provocargli la medesima umiliazione che lui aveva patito.
Voleva che quell’uomo uscisse definitivamente dalla sua vita, che non potesse più essere in grado di corromperlo in alcun un modo.
Non gliene fregava un cazzo se gli piacesse o meno.
Esigeva che nessuno potesse più azzardarsi a insinuare che lui non sarebbe riuscito a superare Oikawa-san.
Ma soprattutto, non vi sarebbe più dovuta essere anima viva a poter anche solo pensare che lui fosse uno schifoso essere debole come quel…

“Hinata-sensei! Hinata-sensei!”

Le sinapsi di Tobio scattarono immediatamente, come risvegliatisi dopo un interminabile sonno opprimente.

I suoi piedi lo guidarono inconsciamente in direzione della voce al termine del corridoio, dove svettava un’imponente vetrata rettangolare adornata da vellutate tende rosso sangue.

Tobio si avvicinò con circospezione, posizionandosi all’angolo in cui la tenda gli offriva un vago senso di protezione.

Giunto abbastanza vicino da scorgere l’ambiente oltre lo spesso vetro trasparente, constatò subito la stranezza dell’ampia stanza.

Il pavimento era ricoperto da un enorme tappeto colorato a forma di puzzle e su di esso erano adagiati numerosi giocattoli dalle forme più svariate.
Cubi, costruzioni, macchinine, bambole, pupazzi.

Tobio aggrottò le sopracciglia, sempre più frastornato.

Che significava tutto quello…?

“Hinata-sensei!”

La vocina acuta che lo aveva attirato fin lì catturò nuovamente il suo interesse.
Il viso del legale si spostò verso una piccola sagoma vestita di azzurro che tendeva le braccia in avanti, come se aspettasse un abbraccio da una figura con una cascata di capelli rossi.

Tuttavia, con occhi strabuzzati, Tobio non riuscì a focalizzare la propria attenzione su nulla che non fosse un unico dettaglio.

La bambina, o il bambino, non riusciva a capire…

Aveva la testa completamente calva.

Non un singolo capello era adagiato sul suo capo e, a un’occhiata ancor più attenta, sembrava avere una totale assenza di peluria sul volto, sopracciglia e ciglia comprese.

Tobio deglutì a vuoto, percependo un imprevisto incremento del battito cardiaco.

Non capiva.

Dove era finito…?

“Buon pomeriggio, Kaoru-chan! Come ti senti oggi?”

Come una falena implacabilmente attirata dalla luce di una lampada, il cervello di Tobio reagì in meno di un secondo all’udire l’allegra voce familiare.
Le sue iridi blu si ancorarono sull’uomo inginocchiato davanti la bambina e…

Anche quella volta, l’unico particolare che il legale fu capace di cogliere fu uno solo.

Un sorriso.

Un sorriso smagliante, talmente brillante da essere costretti a distogliere lo sguardo per non rimanere accecati.

Esattamente come… un raggio di Sole.


“Ma lei è sempre così sorridente?”

“Svolgo il lavoro che mi piace, quindi… beh, sì, sorrido spesso! Perché, le da fastidio?”



Un sorriso sincero, che sprigionava… gioia.


“Lei… non è felice, Kageyama-san?


“Oggi mi sento meglio sensei! Ieri ho fatto la brutta medicina, però io sono stata brava e coraggiosa come ha detto lei!” esclamò la bambina con occhi vispi, battendosi orgogliosamente il piccolo pugno contro il petto.

Il sorriso del medico dai folti capelli rossi si ingrandì magnificamente e protese il torso in avanti per accarezzare la morbida pelle del capo della bambina.

“Sei stata bravissima” pronunciò con voce dolce e la bimba sorrise, sorrise in maniera tanto sfavillante e genuina da annullare la pressante distrazione rappresentata dall’assenza di capelli.

Tobio si sentiva… attonito.

La rabbia ferina che l’aveva condotto come una furia in quell’ospedale sembrava essersi assopita in qualche luogo remoto del suo cervello, apparentemente dimenticata.
Continuava a non comprendere, a non riuscire a collegare i fili di quella situazione il cui senso pareva continuamente sfuggirgli.

Quell’uomo dagli strampalati capelli rossi, dal camice esageratamente lungo, dalla targhetta con il nome impresso in simboli rosso fuoco avvolti da pois variopinti…

Con il cuore in gola e il respiro mozzo, le sue pupille occhieggiarono la porta color canarino che conduceva al di là della vetrata.

In kanji sbarazzini neri come l’inchiostro, svettava l’incisione…


 
Hinata Shoyo
Oncologo pediatrico










Note finali: Perdonate il cliffhanger, non mi uccidete, ma avevo in mente quest’ultima scena sin dal principio e si sarebbe dovuta concludere esattamente così, quindi please, non mi lanciate un coltello :’)
Sono davvero curiosa di conoscere le vostre opinioni. Ho cercato di inserire qualche indizio qua e là  durante i vari capitoli quindi chissà, si era intuito qualcosina o vuoto totale?
Aspetto vostri feedback ;)
Ah, Tobio in questo momento è come se fosse intrappolato in una centrifuga fuori controllo, non giudicatelo troppo presto😢
E’ il capitolo più lungo della storia, ci ho messo un’eternità a rileggerlo e sicuramente mi sarà sfuggita qualcosa, quindi se notate qualche errore segnalatemelo per favore🙏🏼
Ho cercato di aggiornare in tempi più o meno decenti e sebbene la quarantena mi abbia dato un po’ di tregua, l’università non mi ha comunque lasciata libera di scrivere liberamente  T.T
Spero che questo capitolo, che definire chilometrico è davvero un eufemismo considerate le ventiduemila e passa parole, possa farmi perdonare e tenervi compagnia per qualche altro mesetto (avrò esami fino a fine luglio, scrivere sarà off-limits per un po’ 😔).
Se vi state chiedendo il motivo del perché sia magicamente apparsa una quantità non indifferente di emoji è perché ho scoperto solo adesso la possibilità di inserirle qui su Efp da computer.
Elis e la tecnologia, che connubio indissolubile.
Ringrazio tantissimo voi fedeli lettori per le bellissime recensioni che mi lasciate, mi incoraggiano sempre a darmi da fare il più possibile.
Senza di voi la storia non sarebbe mai proseguita fino a questo punto❤️
Vi mando un bacio, ci si sente al prossimo aggiornamento ^-^

 
 



 
   
 
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