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Autore: Dragonfly92    21/06/2020    3 recensioni
Tobia è un uomo che ha trovato, nella solitudine, la sua felicità.
Yuri è un bambino che, invece, non l'ha mai conosciuta.
Un passato ingombrante, un ricatto, la forzata convivenza e la scoperta di un'infanzia mai esistita: pelle livida, cuore cianotico.
Piccoli, faticosi passi per arrivare a capire, scoprire, disinfettare le emozioni.
E difenderle, quando il passato torna a reclamarne la potestà.
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(La storia è legalmente protetta da copyright)
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Uno Verticale

 

 

Uno Verticale - Stato di perfetta felicità

Undici caselle bianche.

 

Avrei potuto lasciarle così: piccole gabbie gemelle, quadrate e vuote.

Silenziose.

Icone della mia Uno Verticale.

 

Stato di perfetta felicità: solitudine.

Dieci lettere.

Ne mancava una.

Quando si era trasformata in dogma, la definizione di felicità?

Quando aveva iniziato a dettare legge in fatto di atteggiamenti, parole, posture, abitudini, preferenze, significati?

 

Non sorridi, non sei felice.”

 

Non fu patetico il planare dei mie pensieri nella sua direzione ma lo fu il passivo permesso che gli concessi facendoli volare indietro di sette mesi.

Sette mesi e tredici giorni, mi correggo.

Nessun freudiano motivo.

Solo avversione per il pressapochismo.

 

Non sono un malinconico romantico.

Sono un puntualizzatore professionista.

 

Andrea se n'era andato da sette mesi e quattordici giorni.

Era scoccata la mezzanotte.

Oh, sì.

Ricordo tutto di quel giorno.

 

Uno Verticale - Stato di perfetta felicità: beatitudine.

 

Vedi, sono un uomo che non riesce a sorridere raggiunta quella soglia.

Io la respiro, la beatitudine.

La guardo, la ascolto, la godo in silenzio.

E Andrea si era stancato.

I rari, preziosi sorrisi non gli bastavano più.

 

Né gli bastava più supporre che la differenza fosse dettata anche dal nostro lavoro.

Lui è un pediatra specializzato in espressioni rassicuranti.

Io un botanico restio a sorridere alle Peonie.

 

“Potresti sforzarti!”

“Perché?”

 

Sbatté la porta, uscendo.

Se fosse tornato, mi avrebbe dato ragione.

Avrebbe compreso la differenza tra il non sorridere e l'essere infelice.

 

Ma non tornò.

 

Se non fossi in me, direi che eravamo ad una lettera di distanza.

Direi anche che sono state quelle caselle ad ucciderci.

Il mio bisogno di conoscere ogni definizione, il suo bisogno di metterle in pratica.

Ma sono in me e l'unica cosa che posso dire è che nessuno dei due ha sbirciato al di fuori della sua cella.

 

Andrea mi chiamava il domatore di emozioni.

 

Era una definizione adatta, un titolo giusto.

Per il soggetto sbagliato.

 

Ma sei servito tu, per farcelo capire.

 

Ed è stato un processo lungo.

 

Assolutamente non indolore.

Decisamente indesiderato.

 

Obbligatoriamente accolto.

 

In un giorno banale stravolto senza pietà.

Insieme a definizioni.

Concetti.

E alla mia beatitudine.

 

Ricordo con nitidezza il primo tonfo.

Che fece sussultare il pugno chiuso attorno Parker, sfregiando la pagina e il silenzio della notte.

 

Mi colse di sorpresa.

E, come sai, sono poco propenso ad esse.

Soprattutto quando appaiono come scintille d'illusione. Non poteva essere lui.

Per quanto impulsivo, è un romantico praticante: non avrebbe buttato le chiavi.

 

Il secondo colpo lo ricordo con meno rancore.

Me lo aspettavo e non mi scomposti troppo.

 

Mi domandai per quale arcano motivo, costui avesse ignorato il campanello.

Il cancello chiuso, la tarda ora.

 

Cercare spiegazioni a comportamenti sconsiderati: inutile.

 

Qui lo dico e qui lo nego: mio padre aveva ragione.

Tobia, un cancello non è sufficiente!

Il muricciolo deve essere alto almeno due metri se non vuoi che lo scavalchino!”

Fu forse la frase più sensata che le sue labbra mi dedicarono.

 

Non lo ascoltai, un po' per l'eccitante sensazione provocata dalla disobbedienza, un po' perché l'umanità meritava qualche centimetro di fiducia.

Che persi quando il nono colpo si abbatté sulla porta.

 

Mi concessi un breve applauso mentale per la dosata calma con la quale posai l'amato passatempo.

Ed un altro, per l’estenuante lentezza dei passi coi quali raggiunsi il legno abusato dai colpi innervositi dal tempo trascorso.

 

La maschera, era sistemata sul mio volto.

Impassibile.

Glaciale.

Impeccabile.

 

Tuttavia, a causa della brezza notturna che alitò sulla mia pelle mentre aprivo la porta, la copertura ebbe un cedimento.

 

L'espressione mutò.

Il corpo s’irrigidì.

La mascella si contrasse.

 

E al suono di quella voce, il pugno strozzò la maniglia della porta facendo impallidire le nocche.

 

“Devi aiutarmi.”



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Post-it autrice 

Grazie, per avermi regalato il tuo tempo.
Grazie, per esserti addentrato in questa storia.
Scaveremo nel dolore, nella solitudine, in un'infanzia livida, in una vita arresa.
alla ricerca di un'emozione sconosciuta, spaventosa, dolorosa in maniera buona: l'amore.

Grazie a Syila, che questa storia l'ha editata con pazienza, affetto, dedizione.
Lei ama la scrittura e questo potete sentirlo, 
attraverso le sue parole.

   
 
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