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Autore: _justabibliophile_    21/06/2020    2 recensioni
Tra poco probabilmente il Sole sorgerà di nuovo e tu forse aprirai gli occhi, sbattendo le palpebre un sacco di volte e cercando a tentoni gli occhiali sul tuo comodino, occhiali che non troverai perché come sempre io te li avrò nascosti in un posto troppo lontano per la tua mente ancora annebbiata dal sonno.
Ma io non sono così sicuro di voler restare qui quando ti sveglierai. [...]
Perché quella che ti hanno fatto, James, è Magia Oscura. E se pensavo che questa guerra l'avremmo combattuta fianco a fianco, andando allo sbando come nostro solito e senza un piano ben preciso a cui attenerci, ora devo arrendermi di fronte alla consapevolezza di non esserne più così sicuro. Perché se credevo che ormai non potessi più provare sulla mia pelle il dolore dell'abbandono, del tradimento, dell'assenza di chi ero convinto non se ne sarebbe andato mai, oggi devo gettare la spugna e rendermi conto che non esiste più nemmeno questa certezza.
Perché il Sole sorgerà di nuovo, l'alba rischiarerà un'ennesima giornata e tu aprirai gli occhi.
Ma di te, di lei, di noi, tu non ricorderai più nulla.
Genere: Angst, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, James Potter, Lily Evans, Ordine della Fenice | Coppie: James/Lily
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Lumos

James.

C'è un tempo per ogni cosa.

C'è un tempo per aprire gli occhi, per prendere in mano la propria vita e darci un taglio con il piangersi addosso. C'è un tempo per insistere e uno per lasciar correre, c'è un tempo per ridere, per sognare e per vivere con la leggerezza sulla pelle. C'è un tempo per capire e uno per fingere di non poterlo fare, c'è un tempo per arrendersi definitivamente e uno per vivere e combattere.

Poi c'è un tempo per respirare. E quello, prima o poi, arriva sempre.

Apro un occhio e sento la palpebra più pesante di un macigno, tanto che questo gesto mi costa uno sforzo disumano e mi costringe a richiuderlo immediatamente. Ma ci riprovo, perché so che non posso restare con gli occhi chiusi e non voglio nemmeno farlo. C'è qualcosa che sembra pesare addosso a me, ma smuovendo lentamente una mano mi rendo conto che sono da solo e quel blocco monolitico che sento sopra il mio petto non è esterno, ma viene direttamente da dentro. All'altezza del cuore.

È questa consapevolezza a indurmi ad aprire di scatto entrambe le palpebre, facendomi capire all'istante che , sono vivo e sono ancora in grado di guardarmi intorno. Certo, se avessi con me gli occhiali sarebbe tutto molto più chiaro e comprensibile, ma non è che qualcosa ultimamente sembri andare per il verso giusto.

Muovo entrambe le mani a tentoni - non sia mai che un colpo di fortuna me li faccia trovare in un secondo - ma sotto le mani percepisco solo la pietra fredda e ruvida. È una mera constatazione che, tuttavia, mi fa emettere un rantolo che vorrebbe assomigliare maggiormente ad un sospiro di sollievo, sebbene non gli si avvicini per niente.

Sono a Hogwarts.

Questa consapevolezza mi colpisce con la violenza di un pugno e all'istante un odore di antico, di chiuso e di polvere mi solletica le narici. Ma è un pensiero che dura appena un battito di ciglia, perché improvvisamente qualcosa di più forte, di più doloroso, sembra abbattersi sulla mia testa, premendo nella scatola cranica e costringendomi a trattenere un mugolio. Percepisco una fitta all'altezza delle costole e mi lascio cadere di nuovo a peso morto sul pavimento, rinunciando del tutto a cercare gli occhiali e restando così, con un ammasso sfocato al posto del mondo che mi circonda e una sensazione di sgradevole sofferenza che si fa largo dentro di me.

E poi mi ricordo che è questo il tempo per respirare, che se provo a regolare il battito furioso del mio cuore che pompa nel petto forse ce la faccio per davvero a rinsavire e che, magari, questa sensazione di fastidioso smarrimento se ne andrà via velocemente come è arrivata.

Ma la calma che ho tentato di evocare è destinata ancora una volta a essere interrotta bruscamente, perché il mio orecchio premuto sulla pietra fredda percepisce all'istante un rumore di passi affrettati che rimbombano per tutto il corridoio, giungendo fino a me e obbligandomi ad aprire di nuovo le palpebre. Maledizione, non trovo nemmeno la mia bacchetta.

E poi i passi si fanno più forti, più vicini, più fragorosi, finché non diventano solo il sottofondo fastidioso di una voce che urla, pregna di panico e di paura.

«Dannazione, è qui! Sirius, Lily, è...è qui!»

Sento le mie unghie stridere contro la pietra mentre provo a fare leva sulle mani e a tirarmi su, ma tutto si annulla nell'esatto istante in cui intuisco chiaramente che qualcuno sta correndo nella mia direzione e le grida che sento non sono solo dentro la mia testa, ma provengono anche da fuori. Poi qualcuno mi fa girare con poca grazia a pancia in su e mi infila con forza gli occhiali sul naso, toccandomi la bocca, gli zigomi, la mascella e le palpebre, come per assicurarsi che io sia tutto integro.

E qualcun altro continua a ripetere il mio nome lentamente, una voce rotta dal pianto che colpisce il mio orecchio come se fosse vicinissima, ma che riesco a percepire come drasticamente lontana, spevantosamente inafferrabile...

«James, ti scongiuro, stai bene? Per favore, ti prego, rispondimi.»

«Allontanati un attimo, non respira.»

«È ferito? Godric, è pieno di sangue e...e gli occhiali, maledizione, Reparo

Sento un lievissimo crac e all'istante le lenti dei miei occhiali tornano come nuove. Così, dopo essermi abituato alla penombra del corridoio e alle voci concitate che continuano a discutere animatamente intorno a me, apro con calma le palpebre e cerco di mettere a fuoco le sagome che mi circondano.

«È vivo Lily, smettila di preoccuparti.»

Rosso. La prima cosa che vedo è qualcosa di estremamente luminoso, qualcosa di un rosso scarlatto quasi accecante, che sembra essere piegato su di me e mi copre metà viso, solleticandolo in un modo che registro essere quasi familiare. Non passa molto prima che metta in moto quei due neuroni stanchi che non sembrano essere svenuti insieme al resto del mio corpo e capisca che si tratta di un ammasso voluminoso di capelli, totalmente rovesciati sul mio volto e che fanno arrivare dritto alle mie narici un profumo che mi pare di conoscere come le mie tasche.

«Smetterla di preoccuparmi? Dannazione Sirius, hai visto o no quello che è successo a Hogsmeade?»

«Certo che ho visto, fino a prova contraria ero esattamente a pochi passi da lui.»

«E allora lascia che mi assicuri che stia bene.»

E le sue mani sono di nuovo su di me e sembra per davvero che voglia tastare ogni centimetro della mia pelle, come se passare le dita sulle mie guance e seguire i miei lineamenti non sia sufficiente, ma abbia anzi bisogno di sentire sotto i suoi polpastrelli che il mio cuore sta pulsando, che sono vivo e che può smetterla, per l'appunto, di preoccuparsi in questo modo. Non so chi sia la persona che mi sta sfiorando, ho un vuoto abissale nella testa che mi pare adesso impossibile da riempire con informazioni sensate e coerenti, sebbene io sappia con altrettanta certezza che è bello che qualcuno sia così intimorito per il mio momentaneo stato fisico e psicologico.

Ma poi mi ricordo che il colore dei suoi capelli è rosso ed è questa la parola chiave, lo so per certo, perché c'è un campanello nella mia mente che continua a suonare a proposito di questo. Ed io non sento più nulla, come se le mie percezioni e le mie emozioni si fossero totalmente annullate nello spazio di un istante, sovrastate dall'unico bisogno quasi primordiale che questa persona, chiunque essa sia, si allontani da me.

«Godric, volete smetterla di litigare? La situazione è già drastica con Alice che non la finisce di piangere e con Peter che stava per strapparsi i capelli fino a un minuto fa.» Sento sussurrare da una terza voce, decisamente più calma e pacata delle due precedenti. «Non peggiorate la situazione, vi prego.»

Percepisco uno sbuffo sarcastico che trasuda anche un certo sollievo provenire da un punto imprecisato alla mia sinistra, ma non faccio in tempo a domandarmi come diamine io possa saper interpretare un mezzo sospiro con tutta la meticolosità di questo mondo, perché all'istante mi decido ad aprire definitivamente gli occhi e deglutisco piano, per alleviare almeno in parte il dolore che pulsa nelle tempie.

«James! Si è svegliato!»

Le mie pupille sono offuscate dalle lacrime e non capisco perché, se è questo miscuglio di dolore e disorientamento che mi sta davvero uccidendo dall'interno oppure se sono vivo, se mi sto riprendendo. Se sono ancora in grado di respirare.

«Hai una faccia orribile.» Ancora quella voce che emana pura ironia e un desiderio di ridere non indifferente, sentimenti che di nuovo intuisco anche senza riuscire a capire a chi appartengano. «Merlino James, svegliati un po'. Quando verrai a sapere che Lily ti ha visto in queste condizioni...»

«Oh, stai un po' zitto.»

Sento qualche risata sommessa e quello che sembra un singhiozzo riecheggiare tra le pareti del corridoio, finché diverse paia di mani non si arpionano alle mie spalle nel probabile tentativo di tirarmi su.

«Forza Prongs, piano, così.» ripete piano una voce, familiare e confortevole come una vecchia litania, mentre vengo trascinato lentamente verso la parete di pietra più vicina.

Riesco per miracolo ad appoggiarmi ad essa con la schiena, tanto che adesso che sono quasi seduto le costole sembrano farmi meno male e i polmoni paiono decisamente meno compressi di prima. Contemporaneamente, tuttavia, prendo anche coscienza del fatto che la mia camicia sia lacerata in più punti e che ci siano svariati tagli più o meno profondi sparsi per tutto il corpo, che irradiano ovunque un dolore non indifferente.

Sono a pezzi, dannazione, e la parte peggiore è che nemmeno mi ricordo il perché.

«Io...»

Provo a parlare e ad articolare qualche parola di senso compiuto, ma la voce mi muore in gola e mi sembra di sentire bruciare dappertutto, sottopelle e in superficie.

«Bentornato Mister Egocentrico, ci eri mancato da morire.»

Ancora delle risate sommesse, che giungono alle mie orecchie come se fossero dei suoni acuti incredibilmente fastidiosi. Probabilmente le tre figure che mi circondano devono aver colto l'evidente malessere che provocano in me i rumori troppo forti, perché all'istante si zittiscono ed io ho la possibilità di riflettere, con la poca lucidità residua, sulle persone che ho davanti.

«Stai meglio?»

Non faccio nemmeno in tempo a estrarre la prima persona da iniziare ad analizzare, perché subito è di nuovo il rosso ad attirare la mia attenzione e, neanche a dirlo, è il colore della chioma che appartiene a colei che ha appena parlato. Una ragazza, un paio di occhi verdi che mi scrutano in apprensione e ancora la sua mano sulla mia guancia, mentre scivola piano e mi lascia una lieve carezza.

È un movimento automatico che a stento registro con coscienza, come se il mio corpo sapesse come muoversi prima ancora che qualunque comando gli venga impartito dal mio cervello, così la mia mano si solleva a scostare bruscamente la sua. Il mio gesto deve probabilmente lasciarla spiazzata, perché la sua espressione muta impercettibilmente e una minuscola ruga di confusione le si delinea proprio sulla fronte.

«Sto a meraviglia.» borbotto in risposta, incapace di nascondere un implicito fastidio che mi viene quasi naturale, spontaneo. «Sentite, non è che potreste dirmi cosa ci faccio qui?»

Adesso la mia vista è tornata quella di sempre e le tre paia di pupille che ho di fronte mi restituiscono gli stessi sguardi sorpresi e sconcertati. Come se poi fossi io quello strano e anormale della situazione, ma per favore.

«Che diamine intendi, James?»

Ora è il ragazzo dagli occhi grigi che parla, inserendo nel suo tono di voce una specie di irrequietezza e nervosismo che mi sono del tutto nuovi. Lo guardo in faccia e socchiudo le palpebre, prendendo coscienza del fatto che una lieve fitta mi ha appena stretto il petto ed è la stessa che provo ancora, spostando di nuovo lo sguardo sulla ragazza al centro e scontrandomi con la sua espressione assente, spaventata.

«Intendo quello che ho detto, semplicemente.» ripeto ancora, massaggiandomi piano una spalla dolorante. «So chi sono, so che mi trovo a Hogwarts, ma la vera domanda è chi diavolo siete voi

Perché tutti e tre mi osservano e mi parlano come se mi conoscessero da una vita intera, come se avessimo sostenuto chissà quante altre conversazioni simili e come se sfiorarmi la pelle, ridere di me e prendermi amichevolmente in giro fosse una cosa normale. Ma non lo è, e devono sul serio smetterla di far sentire me come quello sbagliato e difettoso della situazione.

C'è un istante di pausa in cui il silenzio torna a insinuarsi intorno a noi, talmente intenso da farmi sentire il fastidioso rumore del sangue che scorre nelle mie orecchie, ma presto accade qualcosa che ha il potere di spiazzarmi in una maniera quasi sconvolgente.

Occhi grigi mi sta osservando da qualche secondo, finché le sue labbra non si arcuano all'insù e lui scoppia in una risata sguaiata, gettando la testa all'indietro e lasciando che il ciuffo corvino gli ricada sulla fronte in maniera scomposta. E ride, continua a farlo in un modo davvero contagioso, tanto che la rossa davanti a me si lascia scappare un sorriso e scuote la testa, mentre l'altro ragazzo più taciturno non accenna a staccare lo sguardo da me.

«Dai Capitano, non è divertente.» mormora infatti quest'ultimo, mantenendo un'espressione divertita ma inserendo nel suo tono di voce una certa dose di rimprovero che non mi sfugge. «Capisco voler sdrammatizzare, ma dopo quello che è appena successo mi sembra quasi eccessivo.»

E lui mi parla di cose che non riesco proprio ad afferrare, mentre l'altro non cessa di ridere e la ragazza mi osserva ancora con inquietudine. C'è qualcosa che non va, lo percepisco eccome, eppure mi sento dannatamente impotente e mi sembra di non poter fare assolutamente nulla al riguardo.

«Non so che cosa diamine mi sia successo, ma quello di cui sono sicuro è che non sto affatto scherzando.»

«Va bene Prongs, è stato tutto molto divertente e ti ringrazio per il tuo fallimentare siparietto, ma...»

«Non sto scherzando, maledizione!»

Il mio urlo riecheggia ancora per qualche secondo nel silenzio del corridoio, potente come nemmeno io mi sarei aspettato di emetterlo, a tal punto che le espressioni dei tre si incupiscono all'unisono e la risata del ragazzo alla mia destra cessa all'improvviso. Sono sinceramente sconvolti, questo riesco a coglierlo, ma la parte peggiore è sicuramente il fatto che non riesco a spiegarmi il motivo. Perché loro non mi conoscono, non possono sapere chi io sia, dunque la loro preoccupazione è del tutto immotivata ed io ho solo bisogno che mi rispondano all'istante, o giuro che potrei impazzire.

Sempre se non l'ho già fatto.

«Sono Lily.» mi asseconda infine lei, mentre occhi grigi emette una risata sarcastica e borbotta qualcosa di molto simile a "ridicolo". «Lily Evans.»

E poi, nell'esatto istante in cui la ragazza finisce di pronunciare il suo nome, accade qualcosa. È come una specie di fuoco che divampa nel mio petto, un impulso che si accende all'improvviso e mi obbliga a indietreggiare ancora, finché la mia schiena non si appiccica totalmente alla parete alle mie spalle e tra me e la presunta Lily Evans c'è quel metro di distanza che basta a farmi sentire sollevato.

Non so chi diamine sia, il suo nome non mi dice nulla, ma l'istinto di starle lontano è più forte e potente di qualunque altra cosa.

«James, ti dico solo che stai esagerando.» scandisce il ragazzo alla mia destra, contraendo la mascella e perdendo ogni precedente traccia di ilarità. «Sto iniziando per davvero a innervosirmi.»

«Sirius.» mormora la rossa a mo' di ammonimento, posando una mano sul suo braccio e fissandolo tanto intensamente quanto con uno sguardo vuoto, spavantosamente spento.

Ma il suo gesto viene a malapena registrato dal mio cervello, perché tutti i miei sensi si focalizzano sul nome che lei ha usato per chiamarlo.

Sirius. Sirius Black.

«Statemi lontano.» Mi sento dire con rabbia, senza nemmeno pensare troppo alle parole da pronunciare. «Tutti e due, statemi lontano.»

Tornano entrambi a fissarmi, sostituendo le loro espressioni assenti con degli sguardi piuttosto corrucciati e, nel caso del ragazzo, persino abbastanza incazzato.

«È il primo scherzo che fai, Prongs, che non mi fa per niente ridere.»

Ignoro bellamente il suo commento, tornando a concentrarmi sull'unica persona che ancora non ha parlato. Va bene, occhi grigi ha un atteggiamento abbastanza minaccioso mentre la rossa mi fissa con uno sguardo che, senza che io sappia spiegare come, ha per davvero qualcosa di destabilizzante e capace di farmi sentire a disagio in un modo che non mi piace per niente. Ma c'è il ragazzo dai capelli castani, quello che non ha ancora aperto bocca, che mi guarda ed è in grado di mettermi in soggezione con la sola forza delle sue pupille.

«E tu chi saresti?» chiedo infatti, guardandolo con una smorfia abbastanza sconcertata.

«È ridicolo, è tutto fottutamente ridicolo.»

«Sirius, basta.»

«Ma non lo vedi come fa, maledizione? Ha preso una botta in testa bella e buona, oppure si diverte a fare il simpatico quando non è il momento opportuno. Non c'è altra spiegazione.»

«È sconvolto, per Godric! Non tutti reagiscono di fronte ai traumi allo stesso modo!»

«Ma lui non è traumatizzato, è solo un coglione a cui piace scherzare.»

Seguo le loro frasi spostando lo sguardo da uno all'altra, incapace di aprire bocca ma sentendo solo la fortissima, intensa sensazione di una rabbia cieca che mi monta nel petto. Prima che io possa dire o fare qualunque altra cosa, tuttavia, ci pensa il ragazzo di prima a prendere in mano la situazione.

«Frank, mi chiamo Frank!» urla per sovrastare il battibecco dei due, portando le mani in avanti e tornando a concentrare la sua attenzione su di me. «Frank Longbottom.»

Il suo sussurro si perde nel vuoto, perché all'istante un dolore lancinante mi colpisce le tempie e la mia fronte si aggrotta in una smorfia di dolore, mentre sento il battito del mio cuore aumentare a dismisura e il respiro farsi sempre più pesante.

«James, James! Cosa ti succede?»

Ma tutto si annulla, tutto si riduce al niente più totale, perché le mani della ragazza sono di nuovo sulla mia pelle e la sua voce preoccupata arriva a solleticarmi i timpani come se fosse vicinissima, mentre io percepisco una sola, singola frase scivolare via dalle mie labbra prima ancora che abbia il tempo di connettere la bocca al cervello.

«Toglimi le mani di dosso, Sanguesporco

La pronuncio come se fosse un rantolo affaticato, ma quando le parole si annodano e si attorcigliano fino a prendere forma e riecheggiare tra le pareti del corridoio, capisco che la loro portata è decisamente rilevante. Il tempo pare congelarsi, tanto che il dubbio di essere svenuto per davvero mi coglie alla sprovvista, ma per restare con i piedi per terra mi aggrappo alle uniche cose concrete, reali, che ancora mi circondano.

Il presunto Frank Longbottom trattiene il respiro, gli occhi sgranati che seguitano a guardarmi e la bocca socchiusa, trasfigurata in un'espressione di puro terrore. La rossa sembra essere stata pietrificata seduta stante, perché adesso lo sguardo che mi rivolge è di nuovo spaventosamente assente e mi fa male, come se lo sentissi dritto nello stomaco con la forza di mille pugni. Registro a stento le sue pupille diventare impercettibilmente più lucide, quasi sentisse il feroce impulso di piangere, ma subito vengo distratto dalla terza e ultima reazione del ragazzo alla mia destra.

«Questo non dovevi dirlo, James.»

Due mani si attaccano con violenza alle mie spalle, scaraventandomi per terra e facendo cozzare nuovamente le mie costole già doloranti sulla pietra dura e fredda. Mi puntello sulle mani e mastico qualche imprecazione tra i denti, perché questo è un incubo e tra il dolore fisico e quello psicologico mi sembra di dover morire da un momento all'altro, finché occhi grigi non mi fa girare bruscamente a pancia in su.

Il primo pugno arriva all'improvviso, forte e deciso sul mio naso, mentre il sangue caldo comincia a sgorgarmi sulla pelle e scivola fino a impiastricciarmi le labbra. Ma va bene, sanguinare è un'altra cosa che mi fa sentire vivo, che mi fa presupporre di esistere per davvero su questo mondo, così mi limito ad arpionarmi alla camicia bruciacchiata del ragazzo che ora troneggia su di me e a provare a restituirgli a mia volta qualche colpo.

Non ci mette troppo a togliersi le mie mani di dosso e a colpirmi con un'altra scarica di pugni, perché so di essere in questo istante troppo debole e, in un qualche modo dannatamente masochista, me ne compiaccio eccome. Forza, continua a colpirmi e a farmi male, come se la testa non mi stesse già esplodendo e il mio petto non fosse sconquassato da un dolore allucinante.

«Sirius, maledizione, fermati!» sento urlare dalla ragazza e, dal tono di voce che ha appena usato, non mi è difficile immaginare che abbia appena cominciato a singhiozzare.

Il suo pianto è un sottofondo piuttosto lontano, perché ora il suono che giunge dritto alle mie orecchie è la voce di Sirius Black, dura e fredda in un modo quasi spaventoso.

«Ti devi svegliare,» continua a ripetere come una litania, intervallando ogni frase a un pugno o uno schiaffo. «ti devi svegliare.»

Ogni volta che la sua mano cozza con la mia pelle mi sembra di percepire un miscuglio perfetto tra dolore fisico e mentale, come se questo stordimento fosse giusto, come se me lo meritassi. E quasi mi viene da sorridere, pensando che forse non è passato nemmeno un minuto da quando mi ha scaraventato per terra, ma a me sembra essere trascorsa una vita intera ed è perfetto così. Deve fare male, dev'essere una tortura lenta e studiata, deve farmi soffrire.

Arriva un altro pugno sullo zigomo ed io cerco di non perdere i sensi, di focalizzarmi su quegli spiragli color argento che intravedo tra le sue palpebre quasi serrate, mentre la sua mascella è contratta in un'espressione rigida e inflessibile. Come se farmi del male provocasse in lui lo stesso dolore sordo che sento io.

«Basta Sirius, basta. Ti sei sfogato abbastanza.»

Frank allontana occhi grigi da me, prendendolo per le spalle e lasciando che si dimeni ancora qualche secondo tra le sue braccia nel tentativo di tornare a tempestarmi di pugni. E la ragazza continua a piangere, lo sento, tanto che il mio primo impulso è quello di voltarmi nella direzione da cui credo provengano i suoi singhiozzi. I miei occhiali sono di nuovo volati da qualche parte e tutto intorno a me è tornato ad essere sfocato, quasi nebuloso.

Non so in che condizioni sia il mio volto, non so cosa io abbia ancora di integro e cosa invece sia rotto, ma ora cerco di focalizzarmi solo sull'ammasso rosso scarlatto a pochi metri da me. È rannicchiata contro la parete e, anche se non riesco a distinguerne bene i contorni, sono quasi pienamente convinto del fatto che abbia le ginocchia premute contro il petto, mentre non cessa di puntare i suoi occhi - verdi, il colore è un dettaglio che ricordo in maniera quasi automatica - sul sottoscritto.

Così continuo a guardarla per qualche secondo, circondato da un silenzio che viene interrotto solo dai suoi singhiozzi, dal respiro pesante di Black e dai sussurri concitati del ragazzo che lo trattiene. Ed è in questo esatto modo che, incapace di muovere un singolo muscolo e persino di respirare, accolgo a braccia aperte il buio che mi circonda e perdo definitivamente i sensi.

   
 
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