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Autore: amirarcieri    22/06/2020    0 recensioni
Saeko è alle prese con il suo secondo anno di liceo.
Dopo essere stata espulsa dal suo vecchio a causa di un'incresciosa contesa tra studenti, non volendo starsene a casa a girarsi i pollici, si vede costretta a iscriversi in uno nuovo.
Il fortunato liceo da lei scelto è quello del Kainan.
Saeko si ritrova così ad annoiarsi alle lezioni e a instaurare un'amicizia spassionata con una sua compagna di classe.
Finché un giorno non riesce a ficcanasare nella palestra del club di basket e....
Genere: Generale, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het, Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Change my rules [SAGA]. '
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Change my rules.


Capitolo Sedici.



 

"How does it feel to be free? 

 

 

Quel pomeriggio, sembrava che volesse fare più caldo del caldo previsto.
Erano le cinque spaccate e i nostri cinque eroi del basket – accompagnati dalle loro due immancabili donzelle – camminavano verso il luogo finale: il campetto da basket sito dentro il parco Imagawa.
Shinichi Maki era riuscito a persuadere facilmente il coach tirando fuori il presumibile pretesto di un allenamentoextra supplementare” che li avrebbe irrobustiti nell’esperienza di gioco e tecnica.
Dopo averlo sentito, il coach non aveva fatto una grinza, riunendo invece i quattro atleti richiesti per comporre la squadra atta a sostenere l’allenamento “Extra supplementare”.
Se il coach si era convinto così sveltamente, dipendeva dal fattore “fiducia assoluta” che non sorprese affatto gli altri.
Come il settanta per cento del liceo e la popolazione di Kanagawa, Maki beneficiava delle due facce della stessa moneta dell’ammirazione e disprezzo altrui.
Per quanto riguardava Nami invece, quel pomeriggio si era appropriata del ruolo di manager, prendendo talmente tanto seriamente quel compito da decidere ogni fermata da fare durante il breve viaggio a piedi.
Saeko si sorprese che il motivo per il quale avesse deciso di camminare dopo aver usufruito di un comodo e veloce mezzo pubblico, non fosse una corsa pre – riscaldamento, ma poté anche ritenersi una culattona.
Pigramente poco incline all’attività fisica com’era, l'avrebbero lasciata distante anni luce da lei, oltre che ritrovarla stramazzante a terra con il respiro rantolante.
In questo momento gli altri tre giocatori del Kainan sostavano all’ombra di un albero in attesa che Nami, Kiyota e Jin tornassero assieme ai viveri acquistati nel market sito dall’altra parte della strada.
Saeko se ne stava seduta ai piedi dell’albero ad ascoltare musica dal suo Walkman, slanciando di tanto in tanto lo sguardo – su uno in particolare – per cogliere una qualche parola dal loro labiale.
Ma non troppo spesso perché il senpai si sarebbe accorto di essere osservato a lungo e l’ultimo dei suoi desideri era di voler apparire screanzatamente invadente.
Comunque, diversi quesiti boicottavano la mente della ragazza, già boicottata dai suoi inamovibili complessi:
Nobu e gli altri avrebbero giocato slealmente commettendo vili falli pur di vincere?
In rimando, nessuno si sarebbe infortunato no?
E alla fine avrebbero davvero smesso di tentare di invalidarla dell'altra ala con la quale riusciva a planare senza alcuno sforzo verso il suo sogno?
Saeko emise un sospiro rammaricato.
Era inutile spaccarsi la schiena prima ancora di essere salita sul cavallo.
Si doveva principalmente cercare di domare l’animale per vedere che esito avrebbe avuto la cavalcata.
Che poi era il paradosso esempio della vita per eccellenza.
Se non la affrontavi con determinato coraggio non avresti mai saputo come si sarebbe concluso un prolungato arco della tua vita.
Già più facile a dirsi che a farsi”. Pensò Saeko.
Quindi, poggiando il capo sul tronco dell’albero, si lasciò trasportare dal testo e musica della canzone andante.

 

[ I lie awake at night and think about you.
I wake up to another lonely day.
I know you'll never feel this way about me,
no matter what I do or say. ]

 

Peggio stava.
Anche la musica sembrava riportarla a quell’altra cosa che si stava in tutti i modi stremando di ignorare. E non era affatto la circostanza di analizzare le sue peripezie amorose per tornare a sentirsi una poppante infatuata.

 

[]And I'm falling in love with you.
It's the easiest thing for me to do.
Yes, I'm falling in love with you, with you. ]

 

Basta”. Saeko frullò la testa spazientita dall’affare.
Proprio allora gli si appiccicò alla faccia una leggera brezza di vento fresco, dandogli un po’ tregua generale.
Neanche il tempo di apprezzarla, che i tre furono di ritorno.
Dopo aver fatto la meticolosa divisione delle lattine energizzanti, Nami comandò un «Bene, si riparte. In marcia!» e tutti partirono disciplinatamente a seguirla.
Quando Maki fu l’ultimo della fila ad unirsi alla truppa, Saeko non riuscì a reprimere un impulso irrazionale gridato dal microfono del cuore come un “Carpe Diem”.
La mano fece tutto da sola aggrappandosi alla stoffa viola della giacca - divisa del Kainan, prima ancora che riuscisse a ritrarla.
«Senpai..» lo chiamò questa con vocalità armoniosa, serrando più fortemente le dita nel tessuto.
«Si?» rispose mantenendosi di profilo, ma abbassando il capo.
«No, ecco vedi...» “Tu cosa? Perché hai fatto questo gesto insensato? Perché ti lasci condizionare dalle necessità del cuore? Molla subito e adesso quella giacca” la sua voce nella testa fu insensibile nei riguardi di se stessa.
Perché lei non aveva voluto dirgli niente. Voleva solo ritagliare un altro impagabile momento con lui fatto di sguardi, sorrisi, parole, silenzi.
Era già una settimana che i suoi batticuori periodici gli elemosinavano uno sfogo mediante la ricerca petulante del contatto fisico.
Contatto fisico, ma pur sempre innocente: un cinque fragoroso delle mani.
L’offerta o la restituzione di un oggetto.
Il toccare un braccio per richiedere l’attenzione.
Saeko sapeva di non doverli assecondare, di vincolarsi al passare il minor tempo possibile con lui per non velare gli occhi d’incanto e intorpidire di calore le guance rosate, perché l’indomani come quello dopo ancora, avrebbe desiderato di essergli vicina. Sempre più vicina. Senza più riuscire a schiodarsi dal suo fianco. Fino a provare una desolante assenza accanto a se nelle ore di solitudine.
Maki comunque parve captare cosa baluginava tra i pensieri della ragazza. O almeno in apparenza.
Voltandosi del tutto – quindi interrompendo il contatto della sua mano e la stoffa – allungò un braccio verso di lei per accarezzargli affettuosamente la testolina riccioluta.
Sentire la sua mano calda strusciarsi morbidamente tra i suoi capelli, le fece quasi scoppiare il cuore.
«Tranquilla, Saeko. Saremo noi a vincere» le disse lui ammorbidendo lo sguardo una volta centrato il suo.
«Si» articolò sintetica. Un singulto le si arrampicò in gola mentre si addentava il labbro inferiore per imprigionare una lacrima nel condotto lacrimale dalla quale era partita.
Il senpai le aveva appena destinato delle parole ingentilite da un nobile conforto, ma allora perché le sembrava che il cuore le fosse stato avvolto e stretto con del filo spinato?
Perché per quanto il loro legame si stesse rafforzando, da parte sua, Saeko, percepiva, solo un’enormità di bene che non si sarebbe mai evoluto nel sentimento passionale incitante dell'accelerazione a mille dei suoi battiti.
Per questo iniziale periodo, le emozioni la colpivano in maniera delicatamente acuta, ma passato avrebbe fatto un male cane.
Lei aveva ben chiaro di doverle incarcerare a vita nel penitenziario impenetrabile della sua memoria, renderli dei sentimenti astratti, ciò nondimeno non riusciva proprio a esimersi dal loro ammaliante ascendente.
Per questo Saeko sosteneva che esistessero due vie di rimedio: odiarlo o uscire con un ragazzo.
Ma nessuno dei due faceva parte dei suoi emblematici comportamenti.
Quindi lei ripiegava nella forza guaritrice del tempo.
Forse il tempo avrebbe ricucito un nuovo sentimento sopra quello contemporaneo, o magari, anche a distanza di anni avrebbe continuato a pensarlo romanticamente, ormai rassegnata alla fatalità del doverlo amare per l’eternità, ma di non essere destinata allo starci insieme.
«Vieni, andiamo» la indusse questo volto ancora a guardarla.
«Si» accordò lei seguendolo.
Raggiunta la comitiva che senza di loro formava già una squadra mista di sessi, Saeko, per combinazione, finì di posizionarsi al fianco di Jin, Maki dietro Kiyota e Nami, quindi a capo fila c’erano Takasago e Muto.
«Eccoti, tutto apposto?» gli chiese Nami sporgendosi alla sua destra dell’amica poiché dietro di lei.
«Hai già il mal di pancia da partita di basket?»
«Si, ho lo stomaco sottosopra» sostenne Saeko facendola passare per quella che era: una verità.
«In questo caso» disse arretrando per ritrovarsi in cima alla minuscola fila.
«Farò una breve e divertente intervista per mantenere un’atmosfera leggera» inventò sollecita al tempo. Nami li discerni uno per uno mediante i suoi occhi di un blu pimpante e decise che avrebbe cominciato l’intervista inventata al momento con la sua beneamata amica.
«Vediamo, cominciamo con..Te, Saeko» la preparò allungando il braccio verso di lei senza smettere di camminare in controsenso.
Saeko già sudava il mezzo litro d’acqua bevuto in quel caldo pomeriggio durante il tragitto.
Poteva solo immaginare con quali bislacche domande se ne sarebbe uscita e se queste erano di tema amoroso, lamentava già di taglienti fitte allo stomaco.
«Qual è la cosa più carina che qualcuno ha fatto per te?» Nami la spiazzò avviando l’intervista. Nami avrebbe voluto fargli domande peccaminose della serie “A chi concederesti un appuntamento tra questi cinque pilastri del basket?” o “Hai avuto altre avventure passionali oltre “Mr. Sono schizofrenico all’ultimo grado?”, ma anche questa aveva il suo perché.
Nami sperava che rispondesse “Tu hai fatto una cosa carina per me”.
Però anche “Voi” al posto di tu andava bene.
«L’essere stata spronata dai miei amici a passare del tempo con loro» rispose Saeko spiegando uno smagliante sorriso idilliaco sulla bocca.
Il costringermi a credere in loro per imparare a credere in me”. Parlò a se stessa.
Tutti compiacettero quel suo sorriso facendone ben sei repliche.
Nami montò su un siparietto comico in cui fingeva di piangere “drammaticamente” e gettava via dei fazzoletti invisibili dopo essersi soffiata il naso.
«Bene, ora dopo questo sipario di generale commozione, possiamo passare al prossimo» si riassestò puntando con l’indice e il pollice il.
«Capitano!»
«Sentiamo» se ne prestò intrigato.
«Hai un luogo dove ti piace andare per riflettere? Se è si, qual è?» gli domandò lei spigliata.
«Il mare» disse senza stare troppo a pensarci. Non solo perché praticava surf da quasi tre anni, ma lo privilegiava anche perché gli piaceva stare a sentire la brezza marina sulla pelle e la gentile melodia delle onde poiché gli ristoravano l’animo di pace.
Il mare”. Pensò più sentitamente. E proprio allora gli si palesò una testimonianza temporale.
Una nuova memoria legata a quell’incontro indecifrabilmente fittizio con Saeko, si era appena risvegliata.
«Il mare» ripeté scombussolato dall’improvvisa folgorazione quasi ad essere stato travolto da un cavallone oceanico.
«Che?» domandò un Kiyota confuso, li accanto.
Il mare. Ora ricordava. Era li che l’aveva vista.
Tutta la scena si stava ora diramando a effetto slow nella sua testa come vernice mischiata che colava lenta su una tela: il mare alla destra che ondeggiava euritmico, le sue gambe e quelle dei suoi compagni che scattavano fulminei sulla sabbia, e lei che, stava lì seduta, in uno spiazzo della spiaggia, ferita e spaventata da un tremore dovuto a qualcosa che gli aveva danneggiato una parte dell’anima.
Oggi finalmente ricordava, ricordava ogni piccolo particolare di quell’unilatere incontro.
Era stato durante uno dei loro allenamenti in spiaggia che lui aveva quasi notato per caso la sua presenza mentre lei non se nera neanche accorta.
Saeko” Maki la guardò con sguardo rattristito perché nel presente conosceva il seviziatore che l’aveva ridotta in quelle condizioni infelici. Lo stesso che stavano per affrontare così da assicurargli un domani splendente e risonante di risate.
Dal punto di vista di Saeko, com’è naturale, nell’udire quel suo responso, la ragazza drizzò il collo voltandosi nascostamente alle sue spalle.
Anche il mio è il mare”. Parlò via mente colta da una repentina scossa elettrica nella spina dorsale.
Trovava estroso e inverosimile che si fossero trovati nello stesso posto senza mai incrociarsi, stile appuntamento ignaro con destino del quale non erano stati a conoscenza.
A Saeko sembrò, quasi che il loro incontro fosse stato deciso presto o tardi nelle loro vite.
Saeko smettila” si intimò rigida.
Non cominciare a comportarti come una scolaretta che fa sogni smancerosi. Sai benissimo che queste cose romanticamente diabetiche accadono solo nelle opere letterarie e i manga”. Quindi Saeko sbatacchiò vigorosamente la testa prestando sovrabbondante attenzione all’intervista in corso.
«Passiamo a te Kiyota» Nami passò parola al numero dieci.
Chissà che razza di domanda mi rifilerà” pensò questo con la bocca obliqua e lo sguardo critico su di lei.
«Vediamo….Cosa non dovrebbe mai fare una donna?» lo mise inaspettatamente sotto esame.
«Ingannare il ragazzo che la ama» reagì lui per il gusto di istigarla. Nami come al solito accolse quella provocazione da spasimante sedotto, inclinando inebriantemente le labbra gellate di gloss brillantinoso.
«Passiamo a Takasago...In quale luogo non ti annoi mai di aspettare?» gli lanciò un quesito irriflessivo.
«Durante una partita di basket» il numero cinque del Kainan, si adattò all’attaccamento che provava per suo prediletto sport.
«Scontato, ma legittimo» Nami gliela diede per buona.
«Okay, vediamo….Jin, qual è la cosa alla quale diamo poco importanza ai tempi di adesso?»
«Sorridere. Se la gente sorridesse più spesso anche gli altri verrebbero contagiati e il mondo risulterebbe più positivo» soddisfò quest’ultimo poggiando le mani dietro la nuca nel suo modo sbarazzino che aveva di fare.
«Jin quello che hai detto è meraviglioso» lo elogiò la ricciolina. Saeko trovava che si rifletteva perfettamente con i canoni della sua personalità. Il ragazzo in risposta le donò un sorriso virtuosamente benefico.
«Già, affascinante» lo encomiò anche Nami schiacciandogli un occhio. Jin le sorrise felicitato della cosa.
«Ora tocca a te ultimo rimasto. Muto, che cosa rifiuteresti di fare, anche in cambio di un milione di Yen?» gli scaravento una patata bollente per domanda, ma il numero nove se la rise in maniera superba.
«Ma questa è facile. Ragazzi sia mai l’allenatore. Ma dico, avete visto a che livelli di stress arrivano e si alterano alcuni? Di sicuro una delle credenziali per farlo è non soffrire di cuore altrimenti sarebbero belli che stecchiti durante l’allenamento» mise in luce i contro esponenziali del mestiere, facendo così scoppiare in un corteo di risate il resto della combriccola.
Seppur qualcuno a caso portatore della maglietta quattro, non avesse intenzione di scartarne totalmente la possibilità una volta ritiratosi dalla memorabile carriera dall'atleta.
«Ragazzi secondo voi chi va più in bestia tra Takato e Taoka?» domandò umoristicamente questo.
«Sicuramente Taoka. Quello lì è un vecchio rimbambito» stabilì Maki con umore sarcasticamente intollerante. La combriccola di sei rimase di stucco per via di quella sua ingiuriosa noncuranza.
Doveva stargli assai stretto nelle mutande per arrivare a insultarlo in maniera così insulsa.
«Beh, comunque l’intervista è finita. Grazie a tutti per aver partecipato» palesò Nami. Kiyota la fissò ad una guardata che sapeva di “illusa!”.
«Eh, no carina. Adesso tocca a te rispondere a una domanda» la notificò poi.
«Fatta da te o una ciascuno? In ogni caso, fate pure» Nami com’è vero che il sistema solare è fatto di nove pianeti, si tuffò di testa e piedi dentro quella giravolta di quiz time.
«Emh...Ragazzi, siamo arrivati» Saeko quasi si dispiacque ad interrompere quel loro peculiare corteggiamento reciproco.
«Siiii! Siamo arrivatiiii!» si esaltò Nami percorrendo la rete del campo per poter spiare la fazione nemica. Toccava la consistenza metallica della rete quasi si aspettasse che questa producesse un suono simile a quello di un pianoforte a coda.
Il campo da basket urbano in cui si sarebbe svolta la partita, si presentava delimitato da due recinzioni di ferro recenti e l’interno aveva un canestro per angolo, con il centro accuratamente disegnato da bianche linee nette che facevano da guida alle regole basilari dello sport.
Spingendo la vista oltre la rete che lo recingeva, Saeko riconobbe quattro su cinque degli atleti avversari: alto non quanto Uozumi del Ryonan, ma massiccio e potente si, Kotaru portava sempre quella buffa capigliatura rasata da un lato con il ciuffo corvino sporgente a sinistra, mantenendo sugli occhi di ematite, uno sguardo sufficientemente comunicativo.
Anche se non sembrava aveva cura di se stesso quanto un divo di Hollywood.
Saeko lo sapeva bene.
Durante le ore di ozio prima dei club pomeridiano, si era fatta consigliare infiniti capi d’intimo e acconciature adatte alla sua corporatura barra fisionomia, tuttavia, quando entrava in campo si trasfigurava in un carro armato del basket. Non per questo il suo soprannome era “Kotaru il terribile” poiché la sua ombra incombeva sulla pavimentazione della posizione nemica, impossessandosi della palla con una facilità invereconda.
Alla destra di lui ecco li Oda.
Alto un metro e ottantadue, teneva una capigliatura castana medio corta con dei ciuffi ai lati degli occhi che sulla fronte sagomavano la forma superiore di un cuore irregolare. Le pupille erano contraddistinte da un mosaicismo verde – castano, loscamente presuntuoso.
Se al tutto si aggiungevano i due percieng all’orecchio destro e sul labbro inferiore, il quadro era concluso.
Nonostante la sua costituzione mingherlina si era guadagnato il titolo di “schiaccia sassi” non solo per le sue terribili schiacciate, ma la prestanza con cui manometteva la difesa nemica.
Davanti ad Oda svettava Sanjiro ora al suo ultimo anno e quindi capitano della squadra.
Sanjiro aveva la sua orgogliosa massa di muscoli, non esagerata, eppure bella che pompata alla resistenza.
I suoi capelli lunghi erano naturalmente dorati da un miele intenso, perciò legati in un codino fissato alla sommità della tempia. Gli occhi screziati di riflessi ambra ti giudicavano senza che lui aprisse bocca.
Saeko aveva sempre odiato la sua parlantina maldicente da corvo crocidante. E se era per quello, non aveva mai visto di buon occhio neanche i suoi schemi subdoli che una volta in una partita si erano liberati di due avversari spedendoli in infermeria.
Accanto a lui, c’era Nobu che anche se con la muscolatura rilassata e il sorriso appariscente, rimaneva il portatore numero uno delle sue sciagure.
Il quinto fu l’unico di cui Saeko sapeva il vuoto cosmico. Anche se a priori aveva intuito che fosse un nuova matricola della squadra.
La sua altezza si equilibrava a quella di Takasago, i capelli erano ricci spugnosi, anelli ramati ancorati alle ciglia folte e occhi verdi più irriverenti e marpioni di un ladro gentiluomo.
Sarà una matricola forte quanto Rukawa?” si chiese pensierosa. Una cosa l’aveva intuita però: era portatore di sciagure assicurato anche lui.
Si stavano allenando tutti e cinque mediante tiri di miscelato genere, mentre le due donne del gruppo li osservavano con un’operosa concentrazione.
Ciò nonostante quando avvertirono la loro presenza, gli atleti arrestarono il riscaldamento in corso, girandosi contemporaneamente verso quest’ultimi stile bulli liceali che prima si prendevano a bastonate via ingiurie e poi partivano con i cazzotti concreti.
Ma gli sguardi parvero mutare quando i campioni del Kainan fecero il loro ingresso sovrano dentro il campo da basket. Variarono in un’avida lotta agonistica a chi avrebbe realizzato il più spettacolare canestro della partita.
«Ciao a tutti» li raggiunse Sanjiro facendo una piccola corsetta.
«Ben arrivati! E’ un piacere fare la vostra conoscenza» si porse come se fosse l’ambasciatore di un imperatore che incontrava l’imperatore nemico in terra neutrale.
«Lo stesso vale per noi» parlò Maki offrendogli – come sempre - la mano in segno di rispetto e pace.
«Nobu mi ha spiegato a grandi linee cosa è successo e quando ho saputo contro chi avremmo dovuto disputare una partita, non potevo credere alle mie orecchie. Siamo una squadra mediocre, giocare con una squadra superiore alla norma come quella vostra, per noi, è pressoché impossibile come quello di posizionarci al secondo posto del campionato nazionale. Ma quando Nobu mi ha informato della cosa, ho capito che la vita ci aveva dato una chance.
Non avrei mai pensato di poter competere con una squadra imbattibile come voi e Shinichi Maki, il campione numero uno della prefettura. Se saremo vincenti o perdenti non importa, ci importa solo di aver preso la palla al balzo» conversò eloquente questo.
Poi si piegò a destra, omaggiando Saeko con il saluto di un sorriso.
«Ciao, Saeko. Come butta?» Saeko si ritrovò deconcentrata dal suo atteggiamento urtante e rispose con un lapidario «Ciao»
In realtà le era venuta voglia di sagomargli un pugno proprio nel mezzo del setto nasale.
Qualsivoglia volta che un giocatore di basket o individuo si volgeva a lui, a Shinichi Maki, Saeko aveva percepito l’arroganza ignorante di cui ne imbottiva le frasi.
Certo c’erano esempi eccezionalmente riguardosi che lo stimavano con indiscusso orgoglio – Saeko avrebbe messo la mano sul fuoco su un tipo come Akagi dello Shohoku – ma la quantità maggiore cascava su quelli battuti, e altri che avrebbero voluto batterlo, imputriditi da un invidia maldicente.
Mentre in contrapposizione, Shinichi Maki era così inguaribilmente umile, così ininterrottamente desideroso di farsi spiazzare e spronare dall’imprevedibilità e combattività dell’avversario, da arrivare persino ad abbassarsi ad una scaramuccia da bulli di sporco genere per un’amica.
Al solo appurarlo, a Saeko salì ancor di più il nervoso.
Nessuno aveva rispetto per lui che invece lo dava.
Nessuno era meritevole di averlo come avversario, amico o anche minimamente di ritrovarsi al suo cospetto. E Forse perfino lei non meritava di ricevere un trattamento di quell’ostentata protezione.
Avrebbe voluto dirgli a tutti di andarsene all’altro paese e tornare fra tre anni quando avrebbero compreso non di doversi inginocchiare ai suoi piedi, ma di imparare a non snobbare nessun avversario – sopratutto se questo era un indiscusso campione - e celebrare ogni piccola vittoria come se fosse la vincita odierna di una coppa d’oro.
«E’ un piacere rivederti. Ti vedo, cambiata» proseguì la manfrina divenendo sempre più urticante. A quel punto Nami stava già controllando il suo dizionario personale degli insulti per rivisitarne qualcuno in onore alla sua scempiaggine culminante. Jin di suo, si mise in maniera implicita a fianco a Saeko pronto a svincolarla da un altro probabile attacco vocale.
«Beh» realizzando che Saeko non reagiva alle sue ridicole ripicche, passò nuovamente al contrattare “affabilmente” con la squadra.
«Riscaldatevi pure. Vi diamo dieci minuti di tempo» terminò e si indirizzò verso la sua squadra con una scattante corsa.
«Questo mi sta già sulle palle» commentò Kiyota spogliandosi della giacca della tuta.
Ovviamente non avevano indossato la loro divisa ufficiale – sarebbe stato da matti – ma gli indumenti di allenamento giornaliero.
Ma anche in quella mise – t – shirt gialla e pantaloncini bianchi per Kiyota, verde menta per Jin, arancione fiamma per Tagasako e canottiera blu cadetto per Mito e nera per Maki - riuscivano ad emettere un’aura privilegiata e superiore.
In dieci minuti, gli atleti del Kainan erano belli che carichi quanto riscaldati.
Tutto questo sotto lo sguardo compostamente marmoreo degli avversari congiunto il caldo scombussolante del pomeriggio.
Concluso il totale riscaldamento, fatti gli ultimi tiri a canestro e indossate le maglie rosse numerate sopra le vesti, gli atleti del Kainan si raggrupparono intorno alle ragazze per riscuotete informazioni bonus sulla squadra avversaria.
«Ragazzi, Nobu è il loro realizzatore. Sicuramente la passeranno a lui quando non potranno smarcarsi o andare a canestro. L’altro, Il ragazzo con cui avete parlato prima, è il loro playmaker. Ha una buona tecnica anche se parecchio temeraria. Difatti è abbastanza pazzo da tentare manovre azzardate pur di guadagnarsi un tiro libero in più» gli illustrò Saeko scorrendo di sguardo in sguardo.
«Bene. Che qualcos’altro che dovremo sapere di quelli lì?» le chiese Muto con uno scatto secco della testa verso gli avversari.
«Si. Quei due, i più alti, hanno un gioco ostinato e sveglio, dovreste marcargli in maniera stazionaria. In quanto al ricciolino, non ho idea di chi sia. Sarà entrato in squadra quest’anno»
«Se ce l’hanno tra i titolari avrà sicuramente un talento particolare» evidenziò fondatamente Maki. Saeko lo assecondò sbattendo lentamente il capo in un si.
«Figurarsi, non sarà certo un rookie talentuoso come me» si compiacque al suo solito Kiyota e al solito un cazzotto bronzeo del suo capitano, cozzò contro la sua testa.
«Un ‘altra di queste e non entri in partita» lo avvertì Maki.
«Okay, ragazzi, andiamo a vincere questa partita per Saeko» proclamò a seguito col volto fiero, mandando in un pazzo visibilio Nami e provocando quasi uno svenimento a Saeko.
Lei non si era certo sognata di contemplare un simile scorcio di eventualità in cui il senpai avrebbe sbandierato a gran voce la causa barra obbiettivo principale della loro presenza in quel campo di basket urbano.
Nell’ovvio era risaputo che fosse così – altrimenti che ci facevano lì? - con un possente bercio vocale.
Quel suo timbro tonante e marziale la costellarono di un gran numero di emozioni come l’avrebbe fatto una festa di “Ben tornata” dopo aver passato un anno da emigrante in terra straniera.
Per lei fu inespicabile spiegarsi la danza altalenante che il suo cuore stava ballando: da una ballata lenta passava ad un tango passionale per poi cambiare a un rock’n roll sfrenato e finire con un funk ritmico.
Le squadre si piazzarono ognuno in una parte prestabilita del campo.
Tempo un attimo, e ai suoi bordi scoppiò una guerra di secessione al diritto di possessione del fischietto e l’indispensabile ruolo di arbitro.
«Faccio io l’arbitro» impose Mai, stringendo con prepotenza il fischietto tra i denti.
«Non se ne parla! Mi oppongo!» contestò Nami strappandoglielo malamente dalla bocca.
«Hey come ti permetti, razza di busu?» si scaldò Mai pericolosamente.
«Eh, no è! Brutta busu spennacchiata mi oppongo anche io. Non fai mica le uova d’oro tu» ribatté Nami che non se ne teneva una per gli amici, figuriamo i “nemici”.
«Ragazze. Ragazze» si intromise Nobu mettendosi al centro di entrambe così da distanziarle adeguatamente.
«Facciamo che lo fa Saeko e non se ne parla più?» propose studiando lo sguardo della diretta interessata.
«Vuoi?»
«Io...» Saeko rimase lì per li muta come un pesce.
«C’è qualcuno che è contrario?» vedendo la ragazza esitante, Nobu si rivolse ai rimanenti per constatare la sua idoneità.
Nessuno sollevò un braccio per contestare la scelta.
«Bene. Decisione presa. Vai Saeko!» la incoraggiò battendo le mani e tornando al suo posto. La gemella seguì la ricciolina lanciandogli uno sguardo freddamente minaccioso.
«Attenta poppante che ti tengo d’occhio. Se sgarri e fischi in favore di loro per tutta la partita, ti mando all’ospedale a suon di calci e pugni»
«Provac..» Nami si trovava già con il piede sulla fossa di una lotta armata. Saeko arpionò per il deltoide Nami così da arrestarla.
Le pupille le mantenne inchiodate su Mai, affrontandola con la stessa rude luce di fermezza.
«Sono troppo intelligente per barare. Questi stupidi sotterfugi li lascio ai codardi» le rispose quindi facendo la saputella altezzosa. Dietro di lei, Kiyota e Jin si sganasciarono dal ridere.
«Questa è troppo divertente» disse uno tenendosi la pancia.
«Così si fa, Saeko» inserì l’altro stiracchiando un sorriso smagliante.
Ciò, non fece altro che incollerire Mai.
Per lei non poteva esistere uno scorcio di futuro in cui gli altri ridevano di lei, doveva essere sistematicamente lei a ridicolizzare gli altri.
«Ah! Ah! Mai vai a sederti per favore» il gemello la bloccò prontamente – con un pressato strattone - quando lei si era sporta in direzione di Saeko e non certo con le intenzioni di pestarla mediante la bocca.
«Tanto per la cronaca, anche il ricorrere alle mani invece che rispondere a parole, è da codardi» la informò Saeko, adoperando dell’altra altezzosa saccenteria.
«E comunque passo il timone a Nami. Lei è valida quanto me di fare l’arbitro» troncò quell’inutile polemica, schiaffando il fischietto sul petto dell’amica. Non gli andava di farlo per il semplice fatto che si sarebbe rovinata la visione della partita.
Voleva assistervi come spettatrice, non arbitro meticoloso.
«Aw, grazie Sae» la adorò questa, imitando i movimenti dell’areo manco avessero appena vinto i mondiali.
Nessuno volle più signoreggiare in frivolezze perditempo e gli atleti tornarono ai posti di origine.
In seguito, il simpaticissimo arbitro dal caschetto cobalto, chiamò a raccolta i due che avrebbero aperto le danze.
«Pronti?» Nami lanciò il pallone in aria dando formalmente inizio alla tanto ripudiata – per Saeko – ma anche vagheggiata partita.
I due atleti saltarono per raggiungere il pallone che si sollevava e ruotava in aria.
La mano di Tagasako la raggiunse prima. L’azione principale fu perciò in appoggio del Kainan.
Muto, per l’appunto, si fece mezzo campo scansando avversari senza passarla a nessuno, tuttavia quando tirò la palla arancione, questa colpì l’anello del canestro, prolificando un rimbalzo che fu conquistato da Kotaru.
«Sathoshi è tua» asserì scagliandogliela addosso con una forza sovrumana. Il compagno la afferrò stringendo un occhio per l’impatto della palla sul torace e subito dopo lanciarsi alla volta del tanto adulato canestro.
Ma in faccia a lui si parò un’impertinente Kiyota.
«E tu chi sei?» gli chiese beffardo il ricciolino.
«Hey, Abbi più rispetto per il miglior rookie della prefettura» Kiyota si auto indicò quasi come a dire “Imprimiti in mente la mia faccia perché presto diventerà di dominio planetario”.
«Ma davvero? Pensavo che il migliore fosse Kaede Rukawa» continuò a stizzirlo l’avversario sperando che fosse un tipo suscettibile. E infatti Kiyota andò su tutte le furie al solo sentire nominare quel nome che ultimamente echeggiava troppo spesso tra le strade della prefettura e corridoi del liceo.
«Come ti permetti? Tu non sei nessuno per giudicare. E in quanto a quel Rukawa non vale niente in confronto a me. Mi spiace solo che non potrò mai dimostrare la mia superiorità a lui perché la sua squadra non si classificherà neanche alle semifinali» rimpicciolì la grandezza di gran valore che il passaparola gli aveva attribuito.
«Vabbeh» disse quello con fare annoiato dalle sue ciarle.
«Sai come sono soprannominato io invece?»
«Esibizionista?» lo schernì il moro del Kainan. Il ricciolino emise un ghigno birbone in replica alla sua diffamazione.
«Il mago. Perché quando è nelle mie mani, la palla da qui» gliela mostro facendola rimbalzare dietro la schiena da un palmo all’altro. Subito dopo la rimise dietro la schiena e.
«Finisce li» lo avvisò il ricciolino indicandogli un punto del campo in cui adesso si trovava la sfera arancione striata di nero: nel serrato possesso di Nobu.
«Che cosa? Ma come è possibile?» proruppe Kiyota voltandosi verso quella direzione completamente stupefatto.
Nobu percorreva a grandissima velocità il raggio di distanza che gli avrebbe assegnato due punti sicuri.
Quindi si elevò alto in perpendicolare sul canestro per permettersi di schiacciare, ma prima che questo completasse la sua azione, una mano lo raggiunse da dietro, disarmandolo della palla con una potente e precisa stoppata.
«Vai Kiyota!» gli gridò il capitano perentorio. Gli aveva appena offerto una chance per esibire le sue doti e non ammetteva nessun insubordinato strafalcione di nessun genere.
«Tranquillo Maki» il suo roger della matricola fu più che sufficiente.
La palla comunque venne accolta dalle mani di Jin che smarcandosi di un avversario, intuendo lo schema del capitano, la passò celere a Kiyota, che liberatosi a sua volta dal ricciolino, realizzò uno sfavillante dunk dopo un molleggiante e incredibile salto.
«Si!» Kiyota e Jin si diedero il cinque per l’egregio gioco di squadra, passando subito dopo al loro fenomenale playmaker.
Dopodiché, Kiyota lo svalutò squadrandolo con una guardate che diceva “Allora? Che ne pensi di questo, mago?”.
«Tsk!» fu la replica scortese dell’avversario.
«Vai ragazzi siete miticiiiii!» ventilò Nami a seguito dell’aver assegnato i primi due punti alla squadra.
«Non preoccupatevi ragazzi. La partita è appena cominciata. Ci sarà tempo per sorprenderli e sconfiggerli» Nobu glielo prospettò sfrontatamente alla squadra.
Nobu che cosa hai in mente? Sai che non vincerete, eppure continui a dare speranza nei cuori dei tuoi compagni”. Ponderò Saeko e non si riferiva solo alla partita.
La rimessa in gioco fu fatta.
La sfera arancione finì nelle mani di Kotaru che si ritrovo a dover eludere la difesa di Tagasako.
Tagasako lo stava marcando favolosamente e lui iracondo aveva cominciato a spingerlo con tanta di quella veemenza che le ragazze – Saeko più di Nami – avevano all’incirca smesso di respirare.
«Ti prego, lascialo andare o ti farà male» gli urlò Saeko inquieta per la sua incolumità. Proprio in quel momento Kotaru si beffò della difesa di Tagasako, ma non contento, per sfregio, nel superarlo, gli diede una spinta intrisa di cattiveria, che lo fece ritrovare spalmato a terra.
«Oh porcaccia!» imprecò Saeko. Nami fischiò il fallo dell’avversario concedendo due tiri liberi al Kainan. I compagni di squadra si raggrupparono intorno a lui turbati dal comportamento buzzurro del numero cinque.
«Tutto okay?» gli chiese Maki allungandogli la mano.
«Si» rispose rialzandosi.
«E’ una bestia assassina quello, sarà meglio per noi stare attenti» recepì Jin.
«Eh! Però se hanno intenzione di giocare in questo modo cafone allora abbiamo un grosso problema» li recriminò Kiyota.
«No, invece, in questo caso è un' ottimo guadagno per noi. Pensateci, se lo rifanno allora saremo costretti a fargli commettere un fallo antisportivo e il problema è risolto» Muto fece leva sul loro primo punto debole appena scoperto.
«Si, se sarà necessario provvederemo. E teniamo d’occhio anche il numero undici. È abbastanza incalzante con le finte» statuì Maki.
«Si, ricevuto capitano» obbedirono all’unisono.
E fu il momento dei tiri liberi.
Tagasako era più o meno esperto dei tiri liberi. Certo non faceva schifo come Kiyota, ma su due, uno con un po’ di buona sorte sarebbe stato messo a segno.
E infatti andò così. Solo che il rimbalzo fu preso da Satoshi che la fece filare agiatamente nelle mani di Nobu, conquistatore di un canestro da due punti.
Quindi i punteggi si uguagliarono.
«Vai così» si vantarono dandosi spinte amichevoli.
Nell’azione successiva Maki la passò a Jin che fece tre eleganti punti.
«Si! Vai vai! Siamo noi i dominatori della partita» Nami eccepì nella tonalità vocale scambiandosi sguardi fetidi di polvere da sparo con Mai.
Saeko era troppo impegnata a seguire l’esecuzione della partita per dirgli di smetterla perché se il tutto non si fosse concluso in un incontro di box per la loro sconfitta, ci avrebbero pensato le sue incensanti occhiatacce stizzite.
Saeko tornò alla partita localizzando la palla in mano a Sanjiro che da regista della squadra fece un superlativo passaggio ad Oda messo in un punto consono al fare canestro, solo che vedendosi ostacolare dalla prestanza atletica navigata del campione della prefettura, lo fece tremane fin dentro alle ossa, facendogli sbagliare il tiro.
Il rimbalzo però fu agganciato da Nobu che si aggrappò al canestro stile scimmia detenente di un record mondiale di Slam Dunk.
«Fantastico, Nobu» lo acclamarono i compagni.
«Scusatemi ragazzi» si discolpò Oda, sentendosi incompetente.
«Non preoccuparti. Ma non farti più influenzare dalla sua imponenza perché altrimenti ci metti in grave difficoltà» legittimò Sanjiro.
«Si,capitano. Farò di tutto per contrastarlo» anche se le parole contenevano risolutezza, il tono non era stato dei più impavidi. Oda si era infatti accorto che era proprio come dicevano.
I campioni si riconoscevano in campo non solo per le prodezze ineguagliabili che riuscivano a rifinire durante una partita, ma l’aura folgorantemente imponente di cui erano pervasi. Era così talmente predominante da paralizzarti i muscoli e schiacciare ogni strepito combattivo di volontà.
La rimessa in gioco fu fatta e la palla arrivò sollecitamente nella mani di Maki.
Quando Shinichi Maki scattava all’attacco non esistevano armate di mille uomini che potessero arrestarlo.
Tre dei cinque atleti accorsero nell’aria di difesa per cercare di afferrarlo durante l’inafferrabile corsa del campione indiscusso di Kanagawa, ma individuarono la sua postazione solo quando la palla cadde dentro il canestro.
Fanculo. È una saetta. Ma ti fermerò” si disse Sanjiro digrignando i denti.
Nobu lanciò casualmente uno sguardo su Saeko che seguiva l’unico presente in campo in quel momento.
E capì subito il segreto che essi tacevano a nome del cuore perché anche i suoi ne velavano uno identico.
Nobu scosse vaporosamente il capo, siglandosi sulle labbra sottili, una curva di rinuncia.
Beh, ora è tutto chiaro.” pensò correndo dietro i suoi compagni.
La palla era correntemente in possesso di Oda che la passò a Kotaru marcato da un disonesto Muto.
«Avanti, prova a sfondare la mia difesa novellino» lo fomentò Muto. Sapeva cosa stava facendo e come farlo per avere quello che puntava ad innescare nell’avversario.
Kotaru, perspicacemente acuto, aveva intuito il suo giochetto, tuttavia la sua nomina da “Kotaru il terribilegli spense ogni sirena di prudenza.
Kotaru partì in contropiede poggiandosi di spalle al petto di Muto per potersi aiutare a pressare meglio. Muto in senso contrario reggeva bene i suoi urti rozzi, attendendo il momento in cui ne avrebbe dato uno da inequivocabile fallo.
Nel secondo dopo fu così.
Kotaru incitato dal suo compagno di squadra Nobu a passargli la palla, poiché era libero, lo ignorò intenzionalmente per dare una gomitata vichinga sull’addome di Muto che si gettò a terra senza dover simulare il fallo.
«Fallo! Fallo! Falloooo!» stridiò più di gola che di fischietto Nami.
Muto si sollevò su una gamba sogghignate. E anche un po’ dolorante.
«Maledizione!» imprecò Kotaru dando un pugno alla rete che attorniava il campetto.
In ogni squadra c’era il cestista “miccia” ovvero quello che con sole due misere parole provocatorie, innescava in se un’esplosione di rabbia arrogantemente screanzata, finendo per farsi espellere dall’arbitro in carica alla partita.
Il Ryonan aveva Uozumi.
Lo Shohoku aveva Sakuragi.
Il Kainan aveva Kiyota.
E il Waseda aveva Kotaru.
Muto l’aveva provocato apposta. Gli si era messo davanti per bloccarlo si, ma il suo intento era di farlo svalvolare di collera così che nel tentare di liberarsi dalla sua resistente marcatura, ci mettesse più forza del previsto, facendo un inequivocabile fallo.
«Sta calmo Kotaru» lo placò Sanjiro poggiandogli una mano sulla spalla.
«E’ il tuo secondo fallo, ma non preoccuparti. Mantieni la calma e non cadere nella loro trappola. Anzi facciamo quel gioco di squadra famoso per il quale ci hanno scelto come titolari» gli diede l’imbeccata sogghignando ingegnosamente. Kotaru parve ricordarsi in quel momento del suo asso nella manica e lo guardò internamente disorientato. La bile gli aveva fatto cancellare ciò che era ed era capace di fare con una palla da basket in mano. Non era un fuoriclasse, ma se si metteva d’impegno caricando ogni suo palleggio di uno scoppiettante sentimento dedito allo sport , nessuno oltre Shinichi Maki poteva essere in grado di stopparlo.
«Si, capitano. Hai ragione» si rinvenì grintoso.
«Bravo! Schiacciamoli tutti!» rincorsero il resto della squadra per sistemarsi al centro di loro.
Il Kainan schierato anch’esso nella parte sinistra, aveva origliato la loro conversione estrema.
«C’è qualcosa di diverso. Il loro sguardo è cambiato» captò Maki.
«Allora ci converrà non abbassare la guardia» intese Jin.
Dopo i due tiri liberi concessi al Kainan, a rimettere fu il Waseda.
La palla girò ad una scioltezza confusionaria da giocatore a giocatore come se stessero facendo la conta di sorteggio prima di scatenarsi in un’azione memorabile.
«Ma che combinano questi mentecatti?» li disapprovò un innervosito Kiyota.
«Sembra quasi che ci vogliono confondere» ipotizzò Jin più disteso.
«Più che confondere mi stanno facendo girare le palle» disse Kiyota stufo marcio di quella interminabile giostra circolare.
Fortunatamente, Maki intervenne togliendogli la palla da dietro le spalle con un tocco intangibile della mano.
Muto corse a recuperarla ritrovandosi Kotaru alle calcagna.
«Non riuscirai a fermarmi» lo fomentò il primo.
«Questo lo staremo a vedere» lo rimbeccò l’altro sveglio e in guardia.
Non cadrò una seconda volta nella tua trappola”. Pensò senza disgiungere gli occhi dai suoi.
Muto fu pronto a partire, ma lui lo fissò al terreno ostruendogli la vista barra passaggio.
Ci fu una lotta di spinte nella norma, fino a quando Kotaru riuscì a sottrargliela e fare nell’immediato un tiro lungo su Sathoshi, che tonificato dai loro esperimenti di allenamento, la afferrò con l’esclusione di qualsiasi tipo di intoppo.
A cercare di fermarlo si mise Jin, ma per privilegiata fatalità, riuscì a sfuggirgli, correndo verso il canestro come una furia.
Maki si trovava già a proteggere l’area del canestro. Kiyota non mancò di raggiungerlo nell’attimo seguente. Entrambi mobilitandosi di volata come due saette invisibili.
Un secondo e lo superarono, schierati uno accanto all’altro predisposti a difendere il canestro.
Maledizione. Sono dei fulmini. E hanno una difesa imminente e invalicabile. Ma io non mi arrendo” pensò determinato il ricciolino.
Posizionandosi al centro dei due li asseverò ad uno sguardo gradasso.
«Stavolta non mi freghi. Ti fermerò ad ogni costo» lo avvertì Kiyota combattivo più che mai.
Quella precedente umiliazione, gli aveva fatto venire una voglia matta di sigillare la bocca a quella cicala fastidiosamente rumorosa. Dimostrargli che se si trovava nella squadra più rinomata della prefettura era perché aveva un enorme talento che in altre squadre sarebbe stato sprecato. Oltre al non essere notato.
«Ah, si? Non c’è piacere a competere. Sei solo una matricola» replicò l’altro mettendo in risalto che l’unico per il quale andavano perse le energie era l’esponente sito alla sua destra.
«Senti chi parla» lo deprezzò Kiyota con cadenza fanatica.
«Hai ragione, ma io so fare qualcosa che tu non saprai fare neanche fra tre anni» e premesso lo spettacolo, il mago mise in mostra i suoi trucchi da illusionista.
Sollevando la palla in aria con entrambe la mani, prese a fare movimenti ipnotici distraendoli dalla vera azione. Proprio come un mago.
«Ma cosa?!» ne fu sbalordita Saeko.
Non gli ho mai visto fare questa tecnica. L’avranno affinata grazie al nuovo arrivato. Sento puzza di punto” dedusse mentalmente la ricciolina.
«Che razza di tecnica è questa? Mi sono partiti i bulbi oculari» le chiese l’amica non comprendendo la strategia schematica dell’avversario.
«Eccolo che ricomincia» disse Kiyota scagliandosi su dove pensava si trovasse la palla, ma non c’era.
«Oh, è sparita» Sathoshi lo schivò semplicemente, spiaccicandogli in faccia un sogghigno da brigante.
Maki rimase vigile sui suoi torpidi spostamenti di braccia fino ad un certo punto, ma anche lui perse le traccie dell’oggetto arancione.
I due si accorsero troppo tardi del tranello.
Sathoshi infatti aveva attirato l’attenzione su di se, lasciando il tempo ai compagni di posizionarsi uno alla sua sinistra e l’altro al suo fianco in modo che la palla passasse a Sanjiro e da Sanjiro a Nobu che si gettò inosservato sul canestro.
Tutto questo nel mentre che loro venivano opportunatamente ingannati.
Non appena Nobu schiacciò, gli occhi di Maki si granarono e la rabbia di Kiyota si addensò nelle viscere.
«Beh, te l’ho detto no?» lo innervosì ulteriormente Sathoshi nel mentre che camminava all’indietro. I suoi compagni lo cinsero d’assedio dandogli chi scrollate ai capelli, chi pacche sulla spalla.
«Maledetto. Te la faccio vedere io sai?» obbiettò Kiyota incazzato nero fino all’ultimo grado.
I cinque del Waseda, sganciarono una sguardo truce su di Maki che diceva proprio “Vedrai in un modo o nell’altro riusciremo a batterti”.
Ma lui non ne fu inciso. Anzi, allargò le labbra in un sogghigno affamato di vittoria.
«Bisogna ammettere che sono stati bravi» li lusingò Jin andato li vicino ai compagni.
«Si, hanno fatto un’azione da manuale» riconoscette Maki, allettato dalla cosa.
«Ma non basta per sconfiggerci» puntualizzò sull’imbattibilità del Kainan, rendendo cristallino che da quel momento in poi avrebbero tenuto loro il ritmo della partita senza fargli più toccare una volta la palla.
«Infatti. Mostriamogli il vero volto sovrano del Kainan» Kiyota decantò la squadra con un vocalizzo stridente.
«Li vinceremo in un niente» attestò sfacciatamente Muto. Si esaltò a tal punto gettandogli addosso una guardata del tipo “Siete senza speranze”.
E infatti, gli altri dieci minuti del primo tempo furono conquistati dal Kainan.
La palla veniva messa a canestro in varie combinazioni di azione: Maki con Jin, Jin con Kiyota, Maki con Takasago, Muto con Maki.
Negli ultimi tre minuti i quattro ragazzi del Waseda, vedendo il loro capitano devastato dalla estenuazione alla quale l’aveva sottoposto la marcatura su Maki, gli chiesero se volesse il cambio, lui però rifiuto categoricamente di rinunciare a bloccarlo.
«No, a lui lo marco io» insistette iimperlato dal sudore e affannato.
«Capitano, ma...» esclamarono angustiati gli altri quattro giocatori.
«Una volta sola. Voglio fargliela a Sninichi Maki una volta sola per sapere che ho uno sprazzo di talento e potermene vantare per il resto dei miei giorni» lo sfidò pubblicamente con la faccia deturpata dalla stanchezza.
Maki accolse la competizione atletica comprimendo ancora una volta un sorriso come se si trovasse al suo stesso livello atletico. Quando l’evidenza della realtà ne calcava un divario abissale di stile ed esperienza.
Disperato il Waseda, provò anche marcature inflessibilmente spropositate.
In una gli stavano addosso in due – uno davanti l’altro di dietro – ma Maki riusciva puntualmente a scivolare via, sfrecciandogli accanto come fosse una freccia che viaggiava a dieci metri al secondo.
E non ci fu verso di riacquistare né terreno, né punti o perfino fiato.
A un minuto dal fischio, si presero la briga di trascendere le regole e i canestri che riuscirono a mettere in cantiere li fecero a stento, quasi arrivando a commettere cinque falli ciascuno.
Quando Nami fischiò la conclusione del primo tempo il cartellone improvvisato dei punteggi segnava un 71 a 52 per il Kainan.
«Ragazzi, siete micidiali. Quest’anno al torneo spaccherete come ogni anno» li lodò Nami sculacciandoli uno per volta.
«Puoi giurarci carina e sarà anche merito mio se ci piazzeremo primi al campionato interscolastico» attaccò Kiyota con la sua solita manfrina. Prevedibilmente, un pugno lo colpì in piena testa.
«Ti ho detto sempre di abbassare la cresta» lo ammonì Maki dissetandosi poi con una lattina fresca.
«Comunque siete stati magnifici davvero ragazzi» si complimentò Saeko ornando le parole ad un sorriso extra - large.
Vedergli in campo in unaprova supplementarenon aveva niente a che fare ad osservarli forgiarsi durante i disumani allenamenti.
«Allora, come ci si sente ad essere ad un passo dalla libertà?» gli chiese Jin radioso quanto i raggi che li stavano scaldando.
«Emh...io...è...difficile da spiegare» fece lei perlustrando disordinatamente nella sua testa in cerca di una metafora interpretativa.
«Ma questa partita mi fa sentire come se fossi un'aquila pronta a spiccare il volo dopo un terribile temporale» parafrasò quindi cristallina.
«Bel paragone. Si vede che sei una scrittrice» la voce del senpai si accese di elogio.
«Io...» si impappinò lei imbarazzata.
«Gr...grazie senpai» gli rese in un sussurro. E stavolta non ebbe il riguardo di nascondere gli scocchetti arrossati sulle guance.
Nel lato antistante, intanto, gli avversari predisponevano una tattica atta a sbarellare barra ingorgare il gioco inespugnabile del Kainan King.
«Se neutralizziamo Jin non potranno mettere una distanza epocale di punti tra noi e loro» il loro capitano scoprì una falla instabile del Kainan.
«Si, ma come?» fece l’ala piccola.
«Ci penso io a lui» si auto candidò il capitano.
«Come? E Maki chi lo marca?» domandò l’ala grande scombussolata. Sanjiro non rispose. Cioè, rispose, ma con un’occhiata che cadde apaticamente su Nobu.
«Puoi giurarci capitano» disse estasiato come se gli avessero appena detto che l’NBA l’aveva convocato in sede per un provino.
«Bene, adesso ascoltate la mia strategia» antepose muovendo il palmo verso di se per farli stringere intorno a lui.
«Non possiamo sconfiggerli tramite il confronto frontale e la nostra difesa non li fa indietreggiare affatto» espose Sanjiro mentre il resto della squadra si dissetava o riprendeva fiato piegato in due dalla fatica.
«Se vogliamo per lo meno incagliare il loro gioco di squadra efficiente, dovremo improvvisare. So che può sembrare una cosa insensata, ma l’unico modo per fargliela è la carta della sorpresa. Potranno anche portare la corona invitta della squadra più insuperabile del Kanagawa, tuttavia il giocare come se fossimo in una roulette, li confonderà certamente» risolse con tono contegnoso.
«Ci sto!»
«Sarà fantastico vedere la faccia atterrita di ognuno di loro quando non sapranno che pesci pigliare» i quattro atleti si compiacettero della nuova manovra tessuta dal loro capitano. Si fidavano ciecamente della sua guida e ascendente, se pur questo fosse di truffaldino scopo.
«Bene. Pronti?» li persuase facendo mettere a tutti i pugni al centro del loro cerchio.
«SI!» urlarono in coro sollevandoli come ciotole di sake.
Dall’altra parte del campetto gli altri si voltarono fomentati dalle loro gradasse risa.
«Ma sentiteli. Quanto chiasso fanno per essere una squadra di terzo livello» sclerò Kiyota con le gambe divaricate e il volto corrucciato.
«Lasciamoli fare, tanto per noi non fa più alcuna differenza» li ridimensionò Muto imbevuto di sicurezza.
«Sono sicuro che hanno appena architettato una nuova strategia per fermarci» si accorse Jin, sorridente come se la combattività dell’avversario lo spingesse ancor di più a dare il meglio di se.
«Si, mi chiedo di cosa si tratti» si accordò Maki sollevandosi per fare il suo illustre rientro in campo insieme al resto della squadra.
Quando gli atleti presero posto come pedine di una scacchiera, ognuno con l’uomo che gli era stato assegnato di marcare, Saeko ebbe un colpo.
«Nobu marca Maki e Sanjiro marca Jin? Che cosa hanno in mente di fare?» commentò Nami sconvolta.
«Non lo so e non mi piace» rispose Saeko ansiosa. Le fece una strana impressione vederli contendersi la palla l’uno di faccia all’altro.
Gli parve quasi simboleggiassero il suo passato e futuro che si battevano in uno scontro finale per statuire chi avrebbe continuato a sussistere nel suo presente.
Anche se, figurare Shinichi Maki nelle vesti del suo “futuro” le appariva come un pensiero superlativamente ambizioso.
In ogni caso, Il secondo tempo non andò meglio per il Waseda.
Il Kainan segnò altri dieci punti mettendo una distanza di quattordici.
Ma gli avversari non demordevano, diventavano secondo per secondo sempre più caparbiamente grintosi.
Arrivati a quel punto, agli ultimi dieci secondi di gioco, era pressoché impossibile recuperare, ma dimostrare la loro tonificata bravura no. Se pur la squadra presentasse alcune parti decadenti.
Ormai era inutile provare a prendersi il premio finale – non gli fregava neanche più – la vera gratificazione sarebbe stata sconfiggere il re indiscusso di Kanagawa.
Nobu ricevette la palla e spiccò un salto, piegando la schiena in modo da poter schiacciare eccellentemente.
Un secondo dopo lo fece anche Maki per ostruirgli l’azione.
La mano di Maki su posò sulla palla, esercitandone un’autorevole pressione, ma Nobu, persuaso da una fiammata di ottusa determinazione, non fu da meno, stabilendo una contesa di palla all’ultima potenza che fece passare gli attimi come delle ore. Il tempo si scandí così lentamente da sembrare essere stato messo in pausa da uno spettatore esterno.
E sotto la loro accanita pressione, la palla prese pericolosamente a scricchiolare.
Nobu diede una grande prova di resistenza, ma Shinichi Maki gli era superiore per potenza e massa muscolare, tant'è che scacciò via la palla dalla sua mano con un possente colpo.
L’oggetto rimbalzò pesantemente sul lastricato di basket, rotolando pigro verso l’aria avversaria e fermarsi proprio sotto alla rete del canestro.
Nami diede due sfiatate.
«Stop! Fine partita» si sbracciò alimentando il suo suono.
Gli atleti del Waseda calarono il capo affaticati, ansimanti e sconfitti. Altri si buttarono a terra per la stanchezza mentale – fisica - alla quale il gioco assiduo del Kainan li aveva sottoposti.
Abbiamo vinto.disse Saeko portandosi l’indice all’occhio sinistro per cacciare via una vagabonda lacrima di gioia.
Io sono, finalmente libera?”
Tutta la squadra esultò chi con le braccia diritte al cielo, chi con gridi trionfanti, e chi dandosi dei colpi secchi con le mani.
Poi si voltarono tutti verso di lei, che strabiliantemente radiosa, gli fece un assenso di gratitudine commossa da quell’incredibile momento.
Dopodiché partirono alla carica come Tsuru che planavano sul loro nido confortevole.
Jin e Kiyota furono i primi a raggiungerla: coinvolgendola in una danza della baldoria fatta di piccoli saltelli ed “Evviva” ricorrenti, il numero dieci la racchiuse per i fianchi in un abbraccio orsacchiottone, il numero sei incastrò ambedue le mani alle sue.
Poi toccò agli altri due che ringraziò dandogli un cinque che le le costò le ossa della mano intorpidite.
L’ultimo – e non per ordine di importanza – fu il senpai, che se Saeko avesse ascoltato l’assordante “carpe diem” dei battiti del cuore, si sarebbe gettata romanticamente tra le sue braccia come nei pessimi finali dei romanzi romantici. Ma lei aveva lo spirito di infrangibile granito, e quando vide un plasmarsi sorriso tra le labbra carnose, gli sporse un pugno che lui colpi finemente da sopra.
«Grazie! Siete grandi!» gli disse con la bocca tremante.
Giunse il momento convenzionale del corteo di omaggio alla squadra vincitrice - non dovuta - ma i ragazzi lo vollero fare da veri sportivi che erano.
«E’ stato una bella partita» gli disse Maki offrendogli rispettosamente la mano.
«Si, lo penso anche io» se ne uniformò Nobu stringendogliela vigorosamente. Aveva stretto la mano al primatista del Kanagawa e condiviso una partita con una squadra invincibile come il Kainan. Adesso non importava più della sconfitta o le vendette che a confronto sapevano di latte scaduto, ma solo di essere riusciti a vivere un‘esperienza tanto esaudiente e istruttiva per il futuro campionato.
«Potremo riavere una rivincita alle eliminatorie e anche se non fosse verremo comunque a vedere le altre partite, ma non contate che tifiamo per voi» conversò Nobu.
«Oh, penso che non sarà una preoccupazione» rispose Maki facendo riferimento ad entrambe le cose. Nobu sogghignò complice alla sua spiritosaggine mentre scioglieva la stretta e faceva piombare lo sguardo luccicante su Saeko.
«E, Saeko» il ragazzo lanciò un’occhiata piccata agli altri per comunicargli che abbisognassero di privacy.
Le membra degli amici di Saeko si irrigidirono a effetto domino quasi che a scatenarlo fosse stato uno sbadiglio attaccato.
Saeko, si torchiò i bordi dei pantaloncini che indossava così da soppesare egregiamente la sua decisione.
Non dovrei accettare, potrebbe essere la sua ultima occasione di vendetta. Però non posso neanche rifiutare. Fino ad adesso ha avuto una condotta impeccabile come il Nobu di un tempoSaeko rifletteva e nel frattempo ne esaminava l’oggetto dei suoi gravosi perché.
«Solo un minuto» sancì addentandosi il labbro inferiore.
«Sicura?» volle sincerarsi Jin.
«Si, vi raggiungo tra un minuto» rinfrancò lei allontanandosi all’angolo del campetto insieme a Nobu.
«Cosa volevi dirmi?» gli domandò tenendosi a un metro di distanza da lui nel caso volesse allungare le mani per fargli una qualche inopportuna molestia.
Nobu non parlò.
Sorrise benevolo. Poi restrinse le distanze imposte da lei e chinandosi alla sua altezza, spostò il viso di lato al suo per depositargli un tenero bacio sulla guancia. L’intera muscolatura di Saeko si contrasse a causa dell’agghiacciante stupore.
«Grazie per avermi offerto questa chance» le disse ritornando con la schiena diritta.
«Mi stai dicendo che non cercherai più vendetta verso i miei confronti?» tradusse lei sentendosi tuttora scossa dall’inconcepibilità del suo gesto.
«Te lo giuro per quando amo il basket e ne hai appena avuto una dimostrazione. E poi sarei una vera merda se volessi ancora boicottare la tua vita dopo che tu mi hai fatto un regalo bellissimo»
«Scommetto che nel tuo nuovo romanzo ho assunto la parte del cattivo dagli occhi folli e non più l’amico amatissimo della protagonista» le imbroccate parole di Nobu, ebbero l’autorità di rattristare le pupille di Saeko. La sua parte di colpa racchiusa nella cortina intramontabile del passato, gli incendiò la testa come le fiamme di un anno fa che danzavano lente davanti i suoi occhi.
«Mi spiace per quello che è successo. Io, non volevo ferirti è solo che...» la voce di Saeko non venne quasi crepata da un singulto di lacrime.
Il non ricambiare qualcuno poteva essere etichettato come un reato?
Saeko ricordò il giorno in cui gli aveva esplicitamente detto «Mi spiace, ma non metterò mai il mio sogno al secondo posto per nessuno al mondo» e il cuore di lui si era tramutato un rovo selvatico ricolmo di frutti veleniferi.
Ma non poteva avere una relazione con qualcuno a cui voleva bene, ma che non amava. Sarebbe stato trecento volte più infelice del destino barbaro che si era modellata con le sue stesse mani.
A pensarci Saeko, trovò una similitudine tra la situazione remota tra loro due e quella attuale nella quale la stava facendo trovare la sua farraginosa infatuazione.
Che questa fosse la lapidaria legge del Karma?
«No, Saeko. devo scusarmi io, non tu. Ho perso il controllo e il senso delle cose. Non avrei dovuto farmi plagiare dalle parole deleterie di mia sorella.
Mi rendo conto di aver reagito esageratamente, ma quando si è pazzi d’amore penso che siano giustificati certe azioni. Forse» Nobu si asciugò il viso depositando poi la tovaglia al lato destro della spalla.
«Ma da oggi dedicherò anima e tempo alla mia passione e diventerò un fuoriclasse senza precedenti» Nobu lanciò un accenno di mento ai ragazzi che si erano ritirati nelle panchine sinistre per recuperare gli oggetti personali.
«Chi lo sa? Può darsi che riuscirò a sconfiggere il mitico Shinichi Maki» sperò sottacendo un’altra verità evidentemente lampante.
Vedendosi scoperta della sua cotta, Saeko avvertì un vertiginoso sobbalzo cardiaco al centro del petto.
«Come...come l’hai capito?»
«Gli occhi. Non mentono mai. Il tuo modo di guardarlo è inequivocabile. Lo guardi come io guard..avo te» Nobu conosceva benissimo quel languido contrassegno.
Era come se i suoi occhi si aprissero la mattina per il solo compito di illuminare la strada di colei che amava smisuratamente.
«Osservandolo, capisco. Io non rispecchio decisamente il tuo tipo. Su nessun aspetto»
«Io non ho un tipo. È solo che lui è….» si pressò a spiegare con le pupille indurite dall’incomodo. Nobu arricciò svagatamente le labbra sottili.
I suoi occhi non parevano più quelli di un rettile strisciante, ma di un giovane ragazzo che nonostante le percosse acuite della vita, riusciva ancora a vedere il mondo a colori. Se pur sbiaditi.
«Hai gusti particolari e ambiziosi, ma forse capisco perché ti piace così tanto» riconobbe onesto.
Maki era il tipico soggetto favorito di virtù connaturate delle quali molti “uomini” decidevano volutamente di scansarsi per timore di danneggiare la loro reputazione di teppisti virili, quando invece Shinichi Maki equilibrato da un’ambizione e umiltà parimenti, seminava soggezione – sia a chi sia a chi lo rispettava che chi lo disprezzava - conservando un’aura eroicamente maestosa.
«Ti auguro di realizzare il tuo sogno Nobu» gli auspicò con modeatia, ma sopratutto per mutilare l’argomento “Parliamo dei pregi della tua crush così finisci per innamorartene completamente”
«Anche io a te. Dovrei scusarmi per averti bruciato il romanzo e so che forse non mi crederai, ma se c’è qualcuno tra noi due che realizzerà il suo sogno quella sei tu Saeko» si sdebitò della sua buona creanza. Le pupille di Saeko si dilatarono per l’incredulità.
«L’ho sempre saputo e forse ti invidiavo un po’. Però, ne sono certo. Tu diventerai un’affermata scrittrice» ribadì con più enfasi.
Trasportata da quel surreale momento, Saeko poté rievocare alla memoria dei ricordi invasi di luce: Nobu che leggeva il suo romanzo – in fase di stesura - sotto l’albero in cui usava scriverlo.
Nobu che recitava le frasi inchiostrate nelle pagine del suo romanzo e chiedeva a lei di lo stesso con quelle della protagonista.
Nobu che faceva le fotocopie dei capitoli per pubblicizzarlo a puntante come i tempi antichi.
Erano stati ricordi invasi di luce ai quali Saeko avrebbe ripensato con un’amara tristezza perché nonostante gli avesse dato dei momenti raggianti, Nobu gli aveva sopratutto fatto passare ore spaventose, impossibili da poter provare a cancellare dalla sua memoria semantica.
«Grazie. Lo, accetto e apprezzo da parte tua» rese con tonalità asciutta.
«Glielo dirai? Intendo, del nostro passato?» quello di Nobu diede l’impressione di essere un consiglio, anziché un interrogativo.
«Dovrebbero sapere la verità. Si sono messi in gioco rischiando di compromette il club di basket per te»
«Io gliela dirò» sputò gelida. E sapeva anche quando farlo. Li aspettava un intero weekend al cottage di Jin, ne avrebbero avuto di tempo spropositato per raccontarsi favole del folclore, aneddoti esilaranti di vita e passati sofferentemente burrascosi.
«Beh, allora ci vediamo negli spalti dello stadio, Saeko» Nobu lo fece passare per un appuntamento irrevocabile su cui segnare una X su ogni strisciolina del numero del mese.
«Ci vediamo» disse lei neutra.
Nobu si voltò verso di lei sorridendogli con un ingentilito ardore. Poi si riunì al suo gruppetto di atleti e compari.
E’ davvero finita?” Saeko si rifiutava di credere, però quando si voltò dalla parte dei suoi compagni di avventure barra disavventure, Saeko sentì quasi il corpo lievitare in aria per la sana sensazione di leggerezza provata.
Sono libera. Finalmente libera di andare incontro ai miei compagni e destino senza più – bene o male - paure e incertezze. “
Così Saeko corse incontro alla sua comitiva sentendosi come un uccellino che dopo due settimane di bendaggio all’ala spezzata, poteva felicemente tornare a volare nel cielo di un blu che più infinito non c’era.

 

 

NOTE AUTRICE: ed eccomi qui con il sedicesimo capitilo. Uno dei miei preferiti in assoluto.
Finalmente la tanto attesa partita è arrivata, vi è piaciuto come si è svolto il tutto? Dite che è davvero finita qui? O qualcuno in particolare della banda di Nobu ha ancora in servo qualcosa di spiacevole per Saeko? Beh, che dire ditemi voi. Qual è stata la vostra scena preferita e perché?
Maki si è finalmente ricordato dove ha visto Saeko per la prima volta, pensate che glielo dirà o no? Vi immaginvate una cosa del genere?

E del passato di Saeko con Nobu, che ne pensate? Penso che adesso sia chiaro cosa è successo tra i due.
Pensate che Saeko racconterà tutto agli amici come gli ha promesso? O diciamo "trascurerà" questo dettaglio della sua vita?
Oggi per il thread “delle canzoni che mi ispirano a scrivere la FF"  condivido con voi ben due canzoncine.
La prima è quella che Saeko ascolta all’inizio del capitolo, ovvero Gary Moore - Falling In Love With You canzone che trovo perfettissima, perfettissima, per la ship (non ship) Saeko&Maki.
E’ adorabile e  descrive la ship (non ship) il tutto per tutto.
La seconda canzone che condivido invece è una delle sigle di Slam Dunk che mi ha ispirato molto per scrivere il capitolo, ovvero Manish - Kirameku toki ni toraware

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Ringrazio chi mi aggiungerà alle varie opzioni di scelta e chi leggerà silenziosamente o recensirà. Alla prossima.

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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