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Autore: Thiare    23/06/2020    3 recensioni
Tornare a casa è stato allo stesso tempo un’esplosione di gioia e di dolore.
Lila è uguale a sua mamma, vedere il suo volto e stringerla nelle sue braccia era stato come stringere Laura prima di farlo pochi secondi dopo. Non vuole pensare alla paura che avevano provato e al dolore di scomparire, non sopporterebbe anche quello, l’importante è averli di nuovo a casa.
Bacia Laura piano sulle labbra e stringe i suoi due ragazzi, trattenendo le lacrime.
La sera li mette a letto con dolcezza e resta a guardarli dormire, come se ancora non si capaciti della loro presenza.
“Clint?” lo chiama sua moglie. Clint si gira vero la porta della loro camera dall’altra parte del corridoio e si avvicina a Laura.
“Clint, che cosa abbiamo dovuto perdere?”
Clint le prende una mano baciandone il palmo e Laura sente le sue lacrime bagnarle il polso.
“Tutto, Laura, tutto.”

[Post Endgame] [Clint in sorrow for Nat]
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Clint Barton/Occhio di Falco, Laura Barton, Natasha Romanoff/Vedova Nera
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Hanno incastrato anche te, eh?”
Natasha si sedette accanto a lui e sorrise.
“Io sapevo che non sarei tornata da Vormir.”
“E perché ci sei andata lo stesso?”
 Così si voltò verso Tony.


 

Natasha Romanoff non era sempre esistita. Era stata bambina anche lei prima delle maschere che era stata costretta a mettersi addosso, un’adorabile bambina che sognava di diventare un’eroina. Era affascinata dalla storia della principessa Anastasia, circondata da mistero nella sua fuga avventurosa dai sicari bolscevichi, così da grande aveva deciso che voleva essere come lei.
Quando però le porte del camion si erano chiuse sulla sua casa di San Pietroburgo, con Ivan che le respirava piano sul collo, non le era piaciuta più l’idea della Super Natasha che combatteva contro il crimine. Così aveva capito che da quel momento in poi sarebbe stata sola, senza eroine a cui ispirarsi: avrebbe dovuto contare su sé stessa, senza nessun idolo da guardare dal basso.
E nonostante per anni avesse combattuto al fianco dei cattivi, in una parte della sua anima si era sempre lasciata la possibilità di passare dalla parte dei buoni come si lascia una luce accesa durante la notte.
E sperava che prima o poi quella luce avrebbe fatto passare la notte.
 

 
“Perché è quello che facciamo.”
 
 
 

Tornare a casa è stato allo stesso tempo un’esplosione di gioia e di dolore.

Lila è uguale a sua mamma, vedere il suo volto e stringerla nelle sue braccia era stato come stringere Laura prima di farlo pochi secondi dopo. Non vuole pensare alla paura che avevano provato e al dolore di scomparire, non sopporterebbe anche quello, l’importante è averli di nuovo a casa.
Bacia Laura piano sulle labbra e stringe i suoi due ragazzi, trattenendo le lacrime.

La sera li mette a letto con dolcezza e resta a guardarli dormire, come se ancora non si capaciti della loro presenza.
“Clint?” lo chiama sua moglie. Clint si gira vero la porta della loro camera dall’altra parte del corridoio e si avvicina a Laura.
“Clint, che cosa abbiamo dovuto perdere?”
Clint le prende una mano baciandone il palmo e Laura sente le sue lacrime bagnarle il polso.

“Tutto, Laura, tutto.”
 
 
 



Percorrere le stesse consuetudini, le stesse strade e le stesse situazioni che aveva sempre vissuto con Natasha gli stava pian piano logorando il cuore. Spesso si svegliava di soprassalto di notte e metteva mano alla pistola che aveva nascosto sotto il materasso per puntarla nell’ombra. Quante volte aveva visto Thanos o il Teschio Rosso invece di Nathalien che chiedeva timidamente se poteva dormire in mezzo a loro… Quante volte aveva visto Natasha lasciargli di forza la mano e cadere nel vuoto.
Laura cercava di dissimulare il più delle volte l’inquietudine che provava. Aveva paura che suo marito in un momento di assenza di lucidità potesse ammazzare uno dei suoi figli. Anche se sapeva che dopo tutto quello che avevano fatto, dopo tutto ciò che avevano perso per portarli indietro, non l’avrebbe mai fatto. Si sarebbe tagliato le mani prima.


Natasha le mancava. C’erano le sue impronte in ogni punto di quella casa. Li aveva aiutati a costruirla quindici anni prima, con una camiciona da boscaiolo aveva inchiodato le assi, pitturato le pareti, montato i mobili e intagliato le porte.
Le mancava tantissimo e non poteva neanche immaginare il dolore che stesse affrontando suo marito. L’uomo che lei aveva incontrato era cresciuto con Natasha e gran parte dell’uomo che aveva cominciato ad amare era stato plasmato da lei e doveva ringraziarla per questo.
Non poteva aspettarsi che non soffrisse, non con la consapevolezza del legame indissolubile che li univa. A volte era gelosa marcia di quell’amore preferenziale che Clint dava a Natasha, che era del tutto diverso da quello che donava a lei. Ma sapeva di non poterci fare molto: Natasha era entrata nel cuore di suo marito molto tempo prima di lei.
 
 


 

“Allora? Hai fatto quello che hai consigliato a me?”
Se il giorno in cui aveva incontrato Tony qualcuno le avesse detto che anni dopo sarebbero finiti così lei avrebbe fatto di tutto per cambiare il futuro. Non perché non si sarebbe sacrificata altre cento volte per il mondo, ma perché l’idea di dividere l’eternità con quel cazzone la faceva rabbrividire.
“Cioè?”
"Farei tutto quello che ho voglia di fare, con chiunque abbia voglia di farlo."
Tony citò le sue parole con un imbarazzante falsetto.
“Oh già, la regola dell’ultimo compleanno.”
 
 



La vedeva, la vedeva nella vita dei suoi figli, in ogni passo che compivano, in ogni cosa che scoprivano, in ogni cosa che amavano. In tutto c’era lei e la vita che aveva dato per riportarli indietro.
Natasha Romanoff era stata per lui una figlia, un’amica e una confidente. Se l’era cresciuta fin da quando si erano incontrati, l’aveva resa una perfetta americana, completa di xenofobia e amore per i fast food.
Se lei è viva è solo grazie all’agente Clint Barton.
All’inizio Natasha aveva combattuto per mesi contro il senso di colpa che le dava quella frase. Come se ogni lettera la costringesse ad una devozione e premura forzata che lei non voleva avere nei confronti di Clint. Nono voleva finire per tramutarlo in un totem idolo da guardare dal basso. L’aveva salvata, e allora? Non gliel’aveva chiesto di certo lei di farlo, non gliel’aveva chiesto lei di esporsi così, di proteggerla, di darle una nuova vita. E se all’inizio pensava che Clint volesse che lei gli fosse riconoscente, dopo si accorse che non era così.
Dopo averla portata allo SHIELD, Clint l’aveva quasi ignorata. Aveva aspettato che fosse lei ad abituarsi alle mura, ai corridoi infiniti, all’affollamento della centrale, allo smog di New York, alla routine. Aveva aspettato che fosse lei a voler restare, ad accettarlo, prima di accettarla lui e una volta che l’ebbe fatto, nessuno li poté più separare.

Nei primi anni della loro relazione aveva creduto che fosse lei ad aver bisogno di lui. Aveva voluto convincersi che fosse così per non vedere il fatto che lui avesse avuto bisogno di salvarla, per cancellare il suo passato, per dimostrarsi l’eroe che voleva essere, per dimostrare che lui aveva la stoffa del campione. Non gli era bastato ricoprirsi di un’armatura pesantissima, di un gran nome, di sguardi lividi, no, gli era servita la donzella in pericolo per sentirsi uomo. Per tutta la vita aveva sperato che Natasha non se ne accorgesse, perché questo avrebbe fatto di lui davvero un uomo piccolo.
 






 
“Da sola. L’ho passato da sola.”
“Che tristezza.”
“Nessuno sapeva che fosse il mio compleanno e non fare finta che te lo ricordavi.”
Tony abbassò la mano, beccato nel bel mezzo della sua menzogna.
“E’ venuto Steve per un momento, ma non gli ho detto niente.”
“Capirai, se il buon Samaritano avesse saputo che se l’era dimenticato si sarebbe autoinflitto qualche pena corporale.”
“Non sono stati cinque anni facili.” Natasha sospirò. “E tu?”
 





 
Si stava dimenticando di lei.
Del suo volto quando rideva, dei suoi occhi quando piangeva, dei suoi capelli al vento. Non poteva togliersi dalla testa l’immagine dei capelli di Nat mischiati al suo sangue sulle rocce di Vormir, ma non riusciva a ricordare come se li portava dietro le orecchie quando era concentrata, come se li ravvivava quando non pensava a niente, come non riusciva a recuperare l’immagine della linea dei suoi zigomi, in pendant con quelle sue pozzanghere cristalline e quei nei spruzzati in faccia.
Si stava dimenticando di lei. E il soffitto che stava fissando da più di un’ora non gli avrebbe riportato indietro la sua immagine. Doveva viaggiare nei ricordi, riviverli, per poter rivivere lei.

È il grande Teatro Bolshoi e Nat si riempie di lacrime mai piante veramente, perché il rimorso pesa e il senso di colpa logora e lei in fondo, molto in fondo, è ancora quella bambina che danzava su sogni di zucchero filato e canditi e tutù di seta, quella bambina che è stata, che hanno ucciso e che ora non c'è più. Il grande Teatro Bolshoi rimbomba nella memoria e Nat ricorda i vecchi tempi passati a danzare su punte di stoffa e su sguardi severi, in quella Russia fredda di un inverno che per lei non passerà mai. Clint l'ha portata lì perché lei ne rimanesse tanto scioccata da permettere a lui di vederla piangere.
“Quando ero piccola pensavo di essere io Anastasia, lo sai? La figlia perduta dello zar Romanov. Lo desideravo moltissimo.”
“Tutte le bambine sognano di essere delle principesse, non c’è nulla di strano in questo.”
Natasha scosse il capo con un sorriso. “Per me era diverso. Mi piaceva l’idea che qualcuno avesse cercato di farmi fuori, di non avere nessuno che dovessi guardare dal basso, mi piaceva pensare che ci fosse qualcuno così spaventato da me che preferiva ammazzarmi.”
“Eri una bambina piuttosto problematica eh.”
“Guardami ora, non ti sembra?”

 


“Amore, che succede? Dovresti dormire, non ti sembra?”
“Ho paura di chiudere gli occhi.”
Laura gli si strinse di più addosso. Nessuno gli aveva detto che prometto di amarti e onorarti nella gioia e nel dolore avrebbe significato questo dolore, nessuno le aveva mai detto che sposare una spia sarebbe significato sobbarcarsi problemi che non le era dato di comprendere, accettarli e cercare di risolverli senza conoscerli davvero.
Sarebbe tutto più semplice se ci fosse Natasha.
Lei non aveva bisogno di parlare per capirlo e lui le era grato per questo. Anche se Laura sapeva che era lei la donna che Clint aveva scelto e sposato, non riusciva a trattenere quel tocco di gelosia per quel rapporto che suo marito aveva solo con una persona al mondo, e ora che era morta era morto con lei.

Va tutto bene, siamo al sicuro ora.”
“No Laura, non basta aver sconfitto Thanos lì fuori, conta che cosa ci è rimasto dentro.
E io ho paura di chiudere gli occhi.
Prima Loki, poi Thanos. Ci sono entrati dentro, Laura, in un modo che non ha via d’uscita.”
Finché morte non vi separi.
Ma serviva davvero la morte per vederli separati?





 
 
“Una cena, semplice, sobria, tutto ciò che dieci anni fa avrei odiato, ti giuro. Ma c’era la mia famiglia… Happy, Rhodes, Pepper, Morgan. Tutto ciò che dieci anni fa non pensavo che avrei amato tanto.”
Farei tutto quello che ho voglia di fare, con chiunque abbia voglia di farlo.” Citò Nat storcendo il naso.
“Ed è stato proprio così.”
 
 





Quando era nata Lila lei era andata in missione da sola, Clint era rimasto a casa con Laura. Nat era tornata a trovarli tre giorni dopo con un braccio rotto e un livido marcato sulla fronte.
“E’ davvero così che finisce quando non ci sono io a pararti il culo?”
Natasha aveva scosso la testa avvicinandosi al bebé. “Non ti chiedo di prenderla in braccio solo perché non ce la faccio.” Fece un segno al braccio fasciato.
“Sì, dillo a chi non ti conosce, zia Nat.”
“Eddai, dammi tempo per abituarmi al marmocchio, Barton.”
“E’ una femmina.”
“Alla ranocchia.” Si corresse andandosi a sedere sul divano. “E comunque sono molto indispettita per come l’avete chiamata. Leila?”
Clint prese la figlia dalle braccia della moglie. “Lila, Nat, come la madre di Laura.”
“Avrei potuto consigliarvene uno molto bello.”
Clint scosse il capo e le andò a posare un buffetto sulla testa, poggiandole la bambina in grembo nonostante lo sguardo di panico della compagna. “Non vorrei che il tuo cattivo umore ti impedisca di farle da madrina.”
Nat guardò prima Clint e poi Laura che sorrideva emozionata. “Ti va?” Poi riportò lo sguardo sul batuffolo che aveva poggiato nell’incavo del braccio buono. “Certo che mi va, piccolina.”



 
“La zia Nat non tornerà, vero?” Lila aveva aspettato che i fratelli si allontanassero per fare quella domanda a papà. Gliela fece quando lui era di spalle, chinato sul motore del trattore. Alcuni avrebbero potuto pensare ad una mossa da codardi, aggredire di spalle, ma Clint la ringraziò mentalmente, perché sapeva che sua figlia gli aveva appena risparmiato la fatica di fare un’espressione finta per non ferirla. E quello in qualche modo l’avrebbe ferito molto.
“No, tesoro.” Clint poggiò la chiave inglese e si sedette ai piedi del trattore, dove subito Lila lo raggiunse.
“E’ morta?”
Clint trattene il respiro per un attimo. Era stato addestrato a non provare niente, ad accettare la morte, che fosse la propria o quella di un compagno, ma con Nat sentiva di essere caduto in un abisso da cui solo con molta fatica e con molto tempo sarebbe riuscito ad uscire.
“No, tesoro, è solo che è in missione lontano, non potrà tornare per un bel po’.”
“Non mentirmi, Barton, non sono stupida.”
Clint scosse il capo sorridendo davanti alla caparbietà della sua primogenita.
“La zia Nat non torna più?”
“No, tesoro, la zia Nat non torna più. Ma hey hey non piangere” la strinse forte a sé chiudendo gli occhi. “Non fare così, lei non vorrebbe vederti così, sai? Ti amava tanto, ci amava tanto e ha fatto quello che ha fatto per proteggerci.”
“Che cosa ha fatto?”
Clint gonfiò il petto inorgoglito. “Ha salvato il mondo intero, lei, lei da sola.”
“Davvero?”
“Sì, l’ha fatto per vederci tutti felici.”
Lila si separò un attimo per guardare suo padre in faccia. “Allora perché tu sei così triste?”
Clint sospirò. “Perché non è sempre facile ora che non è più con noi. Però ti dico” guardò con un sorriso Nathaniel sgambettare felice sul prato. “Che un pezzo di lei vive sempre dentro noi.”
Lila guardò verso il cielo, quasi come se potesse vedere Natasha affacciata da una nuvola.
“Da grande voglio essere come la zia Nat.”
 






 
“Allora, pensi di aver realizzato tutto quello che desideravi nella tua vita?”
“Diventare il miglior meccanico e ingegnere, sex symbol, milionario che esista sulla faccia della Terra?”
“Ma piantala, Stark…” Nat roteò gli occhi al cielo.
“E comunque nella mia serie di vittorie, ho capito - stammi a sentire perché non regalo facilmente certe chicche – che non è importante quante persone colpisci con quello che fai, ma che tu ne colpisca almeno una. E finché i miei geni vivranno in quella topastra pericolosamente adorabile, io sono in pace. Tu, rossa?”
“Sì, Tony, sì.”
Nat sorrise serena. Non era diventata un’eroina del mistero come la piccola Anastasia, ma di certo era diventata qualcosa per qualcuno, che, con amore, la guardava dal basso.










 
N.d.A.
Avevo voglia di pubblicare qualcosa ed eccomi al volo. Spero che questa mia vi sia piaciuta!
Saluti, Erika

 
 
 
 
 
 
 
 

 
   
 
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